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Autore: TotalEclipseOfTheHeart    08/01/2016    1 recensioni
Erano mesi, ormai, che Artù si era fatto stranamente ribelle e intollerante nei confronti del padre. Metteva in discussione tutte le sue decisioni, si assentava dai banchetti, preferendo passare il tempo con quel garzone da quattro soldi di un suo amico, era arrivato persino a insinuare che la sua politica contro la magia fosse errata. E infine, poche settimane prima, aveva letteralmente mandato a monte una scorreria di importanza primaria presso i loro vicino, che da mesi importunava il suo popolo.
Storia partecipante al contest "Two sides of the same coin" indetto da katniss_jackson sul Forum
http://freeforumzone.leonardo.it/d/11217652/Two-sides-of-the-same-coin-Merlin-contest/discussione.aspx
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Merlino, Principe Artù, Uther | Coppie: Gwen/Artù, Merlino/Morgana
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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The role of a friend
 
"Il ruolo di un amico è di essere al tuo fianco quando sbagli,
perché chiunque sarà accanto a te quando hai ragione"

-Mark Twain
 
Uther Pendragon quel giorno era proprio fuori di sé dalla rabbia.
Fissava, impassibile e gelido, il tavolo imbandito di tutto punto, con la sua colazione ancora intatta e ormai fredda, mentre con una mano tamburellava impaziente contro il tavolo, in attesa che quell’emerito imbecille di suo figlio si facesse vivo.
Quel mattino si era svegliato, aveva fatto come sempre le sue cose, si era lavato e si era allenato nell’arena del suo castello, era andato a caccia e nulla, almeno pensava, avrebbe potuto distruggere il suo buon umore. Se non che quando era rientrato nelle sue stanze era stato fatto chiamare, e un messo gli aveva riferito che, per l’ennesima volta, quell’idiota di suo figlio aveva disobbedito ai suoi ordini.
Erano mesi, ormai, che Artù si era fatto stranamente ribelle e intollerante nei confronti del padre. Metteva in discussione tutte le sue decisioni, si assentava dai banchetti, preferendo passare il tempo con quel garzone da quattro soldi di un suo amico, era arrivato persino a insinuare che la sua politica contro la magia fosse errata. E infine, poche settimane prima, aveva letteralmente mandato a monte una scorreria di importanza primaria presso i loro vicino, che da mesi importunava il suo popolo.
A quel punto, Uther aveva deciso che era ora che suo figlio ricordasse quale era il suo posto nel castello, e che lui era a comando delle guardie e dell’esercito solo in qualità del suo rango, e non per meriti personali. Gli aveva quindi tolto ogni privilegio militare, riducendolo a un normalissimo soldato, e l’aveva messo agli ordini del suo cavaliere più fidato ed esperto, che aveva messo al suo posto come comandante.
Purtroppo però non aveva tenuto conto di un piccolo dettaglio, ossia che i suoi uomini dovevano la loro fedeltà al principe e che per quanto, in via ufficiale, lui non fosse più il loro comandante rimaneva comunque il loro leader e solo a lui avrebbero dovuto la loro obbedienza.
Infatti, quando aveva ordinato di distruggere una delle città del loro nemico, e lui si era rifiutato perché non voleva ferire la popolazione indifesa, loro lo avevano seguito a ruota, e l’attacco era stato mandato completamente a monte.
Odiava ammetterlo, ma era l’unica soluzione.
Sebbene avrebbe preferito non distruggere quell’avamposto, rimaneva il fatto che Re Kaylen, sovrano delle terre confinanti a nord col suo regno, utilizzava quella fortezza come centro delle sue manovre di invasione nei loro confronti.
Erano stati distrutti già molti villaggi a causa della crudeltà di quel pallone gonfiato del suo rivale, e non poteva certo lasciare impunite certe azioni solo per salvaguardare la popolazione nemica.
Inoltre, non mai stato nelle sue intenzioni quella di sterminare la popolazione. Semplicemente, come succede in ogni guerra, l’avrebbe presa prigioniera e tenuta a lavorare nel castello, o rivenduta da qualche parte oltremare.
Fatto era che Artù aveva fatto ritirare le truppe, e durante la fuga erano morti centinaia dei suoi uomini.
Il giovane principe fece il suo ingresso col capo abbassato, pienamente consapevole che quella volta nessuno lo avrebbe salvato da una bella lavata di capo, e si portò al cospetto del padre tentando in tutti i modi di ignorare lo sguardo gelido di quello.
Uther osservò il figlio, calibrando con attenzione ciò che avrebbe dovuto dirgli. Quando questo si fu inchinato sbuffò, facendogli cenno di rialzarsi e fissandolo in cerca di segni, per capire se era o meno consapevole del danno che aveva fatto.
Nascosto poco lontano, Merlin osservava in silenzio la scena, il fiato sospeso e la netta sensazione che quella volta Artù l’avesse combinata davvero grave, vista la rabbia del re che, in genere, non rimproverava spesso il figlio.
Il mago scosse il capo. Perché quello scemo doveva fare sempre di testa sua? E pensare che glielo aveva anche detto, che ritirarsi era un’idea folle, senza la cavalleria a coprir loro le spalle.
Fortuna che aveva reso la sua armatura impossibile da scalfire, altrimenti a quell’ora l’erede del re si sarebbe trovato con ben più di un braccio fasciato e qualche livido qua e la.
Comunque, sebbene non fosse la prima volta che faceva di testa sua, quella volta anche Merlin era parecchio arrabbiato, specialmente se pensava che, con la carovana di Artù, vi era anche Morgana, la quale avrebbe benissimo potuto rimanere ferita, o addirittura uccisa, nella fuga.
Perché quella donna avesse insistito per accompagnare il fratello, era un mistero, ma d’altra parte erano anni che Merlin aveva rinunciato a comprendere le femmine. Un mister, ecco cos’erano. Persino Kilgharrah aveva detto di non comprendere il loro modo di pensare, e lui era un essere millenario…
Uther, nel frattempo, si era alzato, e fissava il figlio con gli occhi scintillanti d’ira a stento repressa: “Lo sai quanti uomini abbiamo perso?”, chiese, la voce tremante di rabbia.
Artù abbassò il capo: “Trecentododici, signore”, mormorò, flebilmente.
“E lo sai che anche tua sorella avrebbe potuto rimanere uccisa?” proseguì il re, iniziando a camminare come un predatore di fronte al cervo attorno al figlio, che tentò di evitare il suo sguardo, consapevole dello sbaglio commesso.
“Si, signore” rispose, mentre quello si fermava alle sue spalle.
“Hai nulla da dire a tal proposito?” chiese, giocherellando annoiato col pomello della sua spada, appesa alla vita.
Artù tremò.
Ok, aveva sbagliato.
Fin li ci arrivava anche lui.
Ma per la miseria, davvero suo padre avrebbe ucciso quelle persone come niente? La sola idea gli dava il voltastomaco. Certo, aveva ordinato di fare prigionieri, ma da quando in qua i soldati si limitavano a quello? Solitamente, qualche morto ci scappava per forza, e tra donne stuprate e bambini resi orfani alla fine era sempre il popolo a rimetterci. E a lui non faceva né caldo né freddo?
Quello era il motivo per cui, negli ultimi tempi, aveva iniziato a separarsi sempre di più dagli ideali paterni. Perché quando si trattava del SUO popolo, era fin troppo buono, quando invece si trattava della vita degli altri, non gliene poteva fregare di meno.
Era davvero questo essere re?
Si riduceva a questo il suo potere?
Che gusto c’era nell’uccidere e schiavizzare innocenti?
Tremante di rabbia, ma perfettamente consapevole che una sua sfuriata avrebbe fatto degenerare la discussione, Artù tentò invano di stare zitto, ma alla fine il suo senso di giustizia ebbe la meglio, al punto che si voltò a fronteggiare il padre, gli occhi illuminati di fervore.
“Se ho qualcosa da dire? Avremmo schiavizzato e ucciso gente innocente! Ti sembra forse poco? Credi davvero che, nella mischia, nessun popolano ci sarebbe finito in mezzo! Avevi ordinato di attaccare di notte! Di notte, per la miseria! I ladri attaccano di notte, i mostri e i codardi, non certo noi! Con che coraggio guardi in faccia il tuo popolo, quando degli altri non te ne frega un accidente!”, Artù fissò furibondo il padre, che strinse i denti.
“Molto bene, se p così che la pensi, prenderò provvedimenti in proposito. Vai nelle tue stanze, restituisci l’armatura e le armi e non uscire fino a quando non ti farò chiamare. D’ora in avanti la carriera militare te la puoi anche scordare”, detto ciò, Uther fece dietro front, lasciando il figlio solo nella sala del trono, mentre il suo amico si trovava, suo malgrado, a concordare col re sui provvedimenti presi.
 
Mentre tornava nelle proprie stanze, sbuffando di rabbia e lanciando occhiate omicide a ogni inserviente tanto sciocco da avvinarlo, Artù iniziò a ripensare all’accaduto, e a maledirsi per quello che aveva fatto.
Aveva mandato a morte i suoi uomini, e tutto per il suo stupido senso di giustizia.
Dopotutto, era vero che qualche cittadino sarebbe morto, ma era forse la prima volta che guidava un attacco contro dei popolani? Inoltre, con l’ordine di arrestare e non uccidere, i suoi uomini si sarebbero ben guardati dall’ammazzare dei futuri schiavi.
Percorse i corridoi a capo chino, e fu con immenso rammarico che, per la prima volta, l’intera corte pareva condividere il parere di suo padre.
Mentre camminava verso le sue stanze, sentiva i loro sguardi rancorosi alle spalle, i loro mormorii delusi, e i loro commenti critici. Anche loro sapevano ciò che aveva fatto, e anzi, molti di loro erano in lutto per quegli uomini che LUI aveva guidato tra le braccia della morte.
Li fissavano sprezzanti, ignorandolo palesemente o evitandolo.
Fu con il cuore a pezzi che il principe si chiuse la porta alle spalle, sdraiandosi sul letto e ripensando a ciò che aveva fatto.
Erano i suoi uomini, con alcuni di loro era praticamente cresciuto, e per quanto potesse non sembrare, la loro perdita gli bruciava come una ferita aperta.
Merlin, ovviamente, lo aveva seguito per tutto il tempo.
Era ancora arrabbiato con lui eppure sapeva anche che, col suo buon cuore, quello scemo di un suo amico si sentiva già abbastanza in colpa da solo, senza che altri stessero li a rinfacciargli i suoi errori.
Quindi, per quanto avrebbe davvero tanto voluto prenderlo a botte, sapeva che non lo avrebbe fatto e, anzi, stava giusto tornando dalle cucine dopo aver preso qualche fetta della sua torta preferita, giusto per tirarlo su.
Fu sulla strada per le sue stanze che venne fermato da un gruppo di garzoni, tre ragazzoni in carne grossi quanto armadi, che lo misero all’angolo e gli buttarono il cibo per terra.
“Guarda guarda…l’amichetto del principino”, esordì il più basso, un tizio dagli occhi grigi con il muso da iena.
“Lo sai che a causa di quel coglione mio padre è quasi morto?”, fece quello più grosso, una specie di gorilla antropomorfo.
“Chissà, secondo te che succede se ti rimandiamo dal tuo compagno con un occhio pesto?”, disse infine il terzo, che nel frattempo aveva estratto un pugnale e lo stava spingendo verso un vicolo cieco.
Merlin tremò, non voleva usare la magia contro di loro, e di certo se non l’avesse fatto se la sarebbe vista davvero brutta. Ovviamente, poteva sempre tradire Artù, col quale era ancora furioso, e dir loro che anche lui lo odiava per quello che aveva fatto.
Lo avrebbero lasciato stare, magari gli avrebbero chiesto di giocare un brutto scherzo al suo amico, mettendo chissà cosa nel suo cibo, ma almeno non avrebbe rischiato di andarsene con qualche osso rotto.
Poi però gli venne in mente di quella volta, quando tutti a corte pensavano che fosse un mago e stavano per condannarlo a morte, e lui gli era stato a fianco. Di fronte alle prove schiaccianti, non aveva pensato che fosse innocente, e quando gli aveva chiesto per quale motivo lo supportasse comunque, lui gli aveva detto: “Il ruolo di un amico è di esserti accanto quando sbagli, perché chiunque sarà accanto a te quando hai ragione”
Quelle parole lo avevano colpito profondamente, specialmente se dette da quella testa calda di Artù, e non le aveva mai dimenticate.
I tre lo spinsero in disparte: “Se ci permetti di ripagare il tuo amico come merita magari ti lasciamo anche stare, sai?”, fece il più grosso, sbattendolo contro un muro e alitandogli in faccia quel suo fiato fetido all’aglio.
Sorrise, anche se in realtà se la stava facendo sotto: “Mi spiace, ma siamo amici, non lo consegnerei mai a tre babbuini troppo cresciuti come voi!”
Quelli ringhiarono, poi qualcosa lo colpì alla nuca, e non vide più nulla.
 
Quando Merlin entrò nelle stanze di Artù, quello capì subito che gli stava nascondendo qualcosa.
Ovviamente, il mago non voleva far preoccupare l’amico, che aveva già abbastanza grane di suo, e quindi tentava di ignorare al meglio i lividi che gli ricoprivano tutta la schiena, così come la gamba fratturata che gli mandava scariche di dolore per tutto il corpo.
Artù Pendragon, da parte sua, accettò con silenziosa gratitudine il cibo che gli aveva portato il compagno e iniziò a mangiare, osservando l’amico, certo che qualcosa non andasse.
Quando fu ormai chiaro che Merlin non avrebbe risposto ai suoi dubbi, chiese: “Ehm…ti ha chiesto mio padre di portarmi la colazione?”
Merlin alzò un sopracciglio, poi sorrise: “E’ vero, hai fatto una stronzata e sono incazzato nero con te. Però credo che tu abbia già sofferto abbastanza di tuo, senza sopportare tutti quei dementi la fuori che ti rinfacciano quello che è successo. Quel che è stato è stato, e siamo amici, quindi non ho motivo per non decidere di portarti qualcosa da mangiare, o organizzare, che so io, un appuntamento segreto con Gwen stasera al tramonto”
Gli occhi del principe si illuminarono.
Merlin rise, sapeva che, se esisteva qualcuno in grado di tirare su di morale il giovane re, quella era senza ombra di dubbio Gwen.
Artù rise: “Scusa…questa cosa mi ha preso così tanto che per un attimo ho pensato che anche tu volessi evitarmi”, arrossì appena. Odiava mostrare il suo affetto per quel garzone, ma che ci poteva fare? Prima che se ne rendesse conto erano diventati troppo amici.
Merlin fece per alzarsi, ma Artù lo trattenne.
Il mago alzò un sopracciglio, in cerca di spiegazioni, poi quello si riprese e disse: “Comunque, devi ancora pulire i miei stivali, oggi”
Rise, scuotendo il capo e lasciandolo solo, era sempre il solito, dopotutto.
Come la porta si fu chiusa alle spalle del mago, Artù si rabbuiò.
Ne era sicuro, quel cretino si era fatto pestare a causa sua.
Perché si cacciava sempre nei guai?
Sospirò, avrebbe dovuto rimandare l’appuntamento con Gwen, ma per lo meno ne sarebbe valsa la pena.
Prese il pugnale che teneva nascosto sotto il cuscino, il mantello e aprì la porta, guardandosi intorno per controllare che non ci fosse nessuno.
I responsabili potevano essere solo quei tre, che già in passato gli avevano fatto girare le scatole con la loro arroganza. Sorrise, quella notte avrebbero ricevuto il suo messaggio di ringraziamento per quello che avevano fatto al suo garzone.
Insomma, Merlin era al SUO servizio, solo lui poteva picchiarlo!


Note dell'Autrice:
Questa OS partecipa al contest indetto sul forum da katniss_jackson, "Two sides of the same coin-Merlin contest"...
http://www.freeforumzone.com/d/11217652/Two-sides-of-the-same-coin-Merlin-contest/discussione.aspx...
La richiesta era quella di prendere una delle immagini tra quelle proposte e costruirci su una storia, per cui eccomi qui...la citazione, invece, l'ho tratta da quelle messe a disposizione presso un'altro dei contest da me frequentati, che aveva come tema l'amicizia.
Confesso che mi aveva colpita così tanto che non ho proprio potuto fare a meno di riproporla presso una delle mie Fanfic.
La passione per le citazioni, lo ammetto, per è qualcosa di parecchio recente, visto che prima non avevo mai preso troppo in considerazione la cosa. Quindi non stupitevi se da adesso in poi troverete parecchie citazioni sparse tra le mie OS, perchè sono diventate una vera droga per la sottoscritta!
Dedico questa OS alla mia carissima EragonForever, amica indispensabile e amatissima, che come me partecipa al contest e senza la quale non saprei mai cosa fare. Mi ha seguita nel mio percorso su Efp e insieme abbiamo anche scritto e ideato molto, diciamo che io sono la sua Merlino e lei la mia Artù, per intenderci ;)
E' la mia prima uscita su questo Fandom, per cui siate clementi.
Saluti e alla prossima!
Teoth
   
 
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