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Autore: Ater_Hailie    08/01/2016    1 recensioni
William è sempre stata diversa rispetto agli altri, anche solo attraverso quel nome, e mai avrebbe desiderato diventare come i suoi coetanei, evitando ogni loro contatto e ogni opportunità.
Semplicemente lei voleva esser così.
Diversa. Strana. Nerd. Chiamatela come volete, visto che anche i suoi chili di troppo e la bellezza non troppo invidiabile accentuavano quel suo modo di essere.
Ma purtroppo, come le Leggi Universali spiegano, nella sua vita subentra, senza preavviso, una forza che scatenerà una serie di eventi per lei apocalittici.
Il suo nome? Fidanzato di suo fratello, il Centro di Gravità.
Genere: Comico, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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IL Mondo è lì per Te, Conquistalo

Non spariamo cazzate nuovamente,
il mondo è lì solo per prenderti a calci in culo.
 

Passai tutta la notte a pensarci su e a furia di rigirarmi nel letto, ero perfino riuscita a far cadere due dei tre poster che erano attaccati alla parete di fianco a me. Non era colpa mia se la sua faccia mi appariva pure su quella copia ormai logora della locandina di Assassin’s Creed, ma del suo modo di esser vivo: perché sì, era meglio vederlo come futura creatura sul procinto di esalare l’ultimo respiro che come un ragazzo di quasi diciotto anni ancora pieno di forze. E poi, con i suoi preconcetti scontati e comuni, riusciva a far crescere la rabbia già repressa, che in quel periodo stavo sfogando in modi fantasiosi, mandando all’altro mondo ogni briciolo di sanità in me.
I risultati della giornata appena trascorsa? Foto a caso fatte da una Tau, una compagnia che mi aveva introdotta dopo vari rapimenti senza un minimo di consenso dalla parte della sottoscritta, un’orticaria causata dal Tacchino e un aumento di pena carceraria da parte dei miei genitori per quegli occhiali belli che devastati. O sì, aggiungiamo il mio volto non più nascosto da quella montatura spessa e il risultato, oltre alla notte insonne, era una cara e dolcissima Will affetta dal Bacillo di Frenkel. Ma diciamolo, in quelle settimane vedermi in quello stato era ormai parte della mia normalità.
Ero talmente ridotta male che non aspettai quel fastidioso rumore di sveglia per alzare le mie pigre membra da quel soffice e caldo letto, all’alba delle sei ero già in piedi, con una schifezza in bocca e la musica nelle cuffie. E ancora il suo volto non spariva, e spesso le canzoni sembravano riprendere alcune parole che lui aveva farfugliato. Ma perché continuavo a pensarci?
Mio fratello nemmeno mi aveva accennato al piccolissimo problema, ma anzi, era tornato a casa con l’ennesima ragazza come se nulla fosse. Al che, mentre i miei dubbi iniziali si erano basati principalmente su quello sconosciuto, ormai erano tutti incentrati su Luke: perché lui non ci stava male, mentre quel cretino sembrava sul punto di suicidarsi?
Forse quello che avevo visto quel giorno nei suoi occhi non era amore, era l’attimo fuggente che si portava via, oltre ai secondi di respiri ed espiri, l’infatuazione che gli aveva messo in dubbio la sua sessualità, e probabilmente, con quasi una sicurezza piena, dicevo a me stessa che per lui illudere le persone era naturale. Lo aveva ingannato, e non si era accorto di nulla.
Ma se da una parte avevo quel dubbio, dall’altra, mentre addentavo la fetta di pane ricoperta di sana salutare marmellata alle more, avevo quella piccola vocina da disturbo mentale che mormorava paroline come “Reggere” e “Apparenza”, le stesse che erano state il succo del discorso di ieri. Magari, circa al cinquanta per cento, lui aveva subito reagito a quel piccolo errorino chiamato cretinaggine e si era dato da fare con altro, al posto che pensare. Ma comunque, se quello fosse stato amore, lui non avrebbe fatto così, e dunque la mia risposta a tutto era una, semplice e concisa. Lui non era innamorato del Tacchino, o era troppo stupido per saper amare. E tra le due opzioni, davvero non sapevo quale fosse quella giusta.
E qui, mentre partivano i trip mentali capaci di mandarmi in overdose sotto il getto caldo della doccia, capivo quanto fosse una merda mio fratello e quanto quel ragazzo, che io non riuscivo più ad odiare totalmente, fosse una vittima, che probabilmente, con la scoperta dei reali sentimenti, sarebbe scomparsa dalla mia vita con la stessa velocità con cui ci era arrivato. E qui, come brava disturbata mentale erede di Smeagol, mi chiedevo se davvero lui fosse riuscito ad uscire dalla mia vita e la risposta mi sembrava sempre e solo un sonoro “No”, con un bel punto dopo quel tondo secco. Ma onestamente, non mi creava più così tanto fastidio quel dannato verdetto.
Uscita dalla doccia, resa umana dal mascara e dal pettine, mi infilai di fretta e furia gli ennesimi vestiti osceni color azzurro pastello e grigio e, senza aspettare di vedere le facce degli altri familiari, uscii di casa, lasciando al mio passaggio solo un post-it con scritto qualcosa sulla mia passeggiata notturna. E ancora una volta, come se fosse la colonna sonora della mia vita, la canzone “45” degli Shinedown ripeteva le stesse parole, solo con ancor più carica emotiva.
La fortuna di uscire dalle sette e qualcosa di casa? Non trovare nessun coetaneo che camminava per quelle strade desolate e riecheggianti del traffico cittadino e assistere all’assenza sollevante delle ragazze che si facevano uno di prima mattina davanti al cancello, provocando conati capaci di farti salire il tuo primo pranzo di Capodanno. Pace dei sensi in poche parole, anche se quella giornata, come ormai mi aspettavo, sarebbe stata tutto, ma non una tranquilla routine da nerd. E mi ero pure dimenticata degli altri due amichetti di James, che come per magia, mi avevano introdotta, senza nemmeno un minimo di sensibilità verso la sottoscritta, nella loro compagnia da idioti con gli occhi a bassotto e non avevo voglia di vederli, figuriamoci sentirli. La mia non era cattiveria, era consapevolezza. Nessuno è santo e nessuno è diavolo, solo tanti stronzi in un mondo di stronzi a farsi le scarpe a vicenda dimenticandosi di sé stessi solo per avere un briciolo di felicità, che puntualmente si scambiava per fama. Nemmeno io ne ero esterna, figuriamoci quei due puntini del C.E.R.O. che avevano a che fare con i Soli Maggiori. La vita insegna sempre a non fidarsi, e io ascoltavo, e ascolto tutt’ora, la mia vita.
Il semaforo rosso ancora era bello che acceso davanti al mio sguardo perso nel nulla e, mentre le canzoni si succedevano senza un minimo di attenzione, ancora, a pensare a quelle bellissime cose da non pensare a quell’orario, mi appariva davanti al volto la sua faccia da Tacchino spennato. Che lui amasse mio fratello o che Luke amasse lui, non erano fatti miei, e non li avrei resi miei. Avevo chiuso.
Attraversai, continuando così quella mia marcia verso un buco di morte e sofferenze, e canticchiai un po’, come a cacciare ogni pensiero e anche ogni presunta persona con la mia voce stonata. Qualche parola lì, qualche parola là, nella mia mente si insidiavano nuovamente quei maledetti pensieri a ogni piccola pausa, e mi facevano trovare lì, sospesa tra incubo e realtà, nella linea indefinita dell’orizzonte, come in un limbo tra il bene generale e il mio. E allora, come a sfidare quella mente da criceto in decomposizione, alzavo la voce, sempre di più, fino a quasi gridare come un idiota in mezzo alle strade desolate, svegliando probabilmente troppe persone. Ma ancora loro non smettevano, quasi soffrissi di una quadrupla personalità.
Cosa mi rimaneva se non un fanculo verso me stessa? Ma naturalmente la mia sfiga, che unita alla Fisica, creava situazioni sempre più improbabili.
Avete presente quella cosa sulla pace dei sensi che avevo detto qualche riga più su? Ecco, prendetela, accartocciatela e dimenticatevela se siete sfigati come me, perché quel giorno, come ogni singolo attimo dopo quel maledetto incontro, era un tutto, ma non un fottuto giorno normale.
Ero lì, ad urlare “I Hate everythig about you” dei Three Day Grace con la mia bellissima e gracchiante voce intonata, quando un piccolo bastardo senza nome si mise ad accompagnare, ridendo, quelle maledette parole, come se fosse normale incontrare una che ulula la mattina canzoni mezze sconosciute.  Per una volta non era pallida e bionda quella figura, ma un insulsa sagometta tutta normale, che mi guardava sorpresa e naturalmente divertita. Tizio Caio Ritardato cantava la mia stessa canzone con sicurezza, dimostrando che la conosceva tanto quanto me, ma onestamente non mi interessava nulla: volevo solo andare a vivere in Antartide, sola con orsi e pinguini e freddo.
Continuando a guardarlo, lì in piedi davanti a me ad aspettarmi, svoltai subito alla prima via che mi apparve a destra, di cui fino a quel momento avevo ignorato l’esistenza, e senza girarmi, continuai a camminare, sperando di essergli sfuggita.
Un Dejà vu? Probabilmente sì, vista la natura di quell’aiutante dello stalker. O forse era diventata una moda inseguire le ragazze mezze obese e fissate con i videogiochi che a ogni opportunità mostrano la loro instabilità mentale.
Di sicuro mi stava seguendo, anche perché, a mia sfiga, sentivo la sua voce chiamarmi a qualche metro di distanza da me, come se potesse, con il mio nome, farmi andare da lui. Ma se l’avevo evitato, come faceva a credere che lo avessi fatto senza accorgermene? Irritante, poco ma sicuro. E se quella giornata era iniziata senza segni funesti del destino, in quel momento si era bella che smentita, piazzandomi un C4 davanti alla faccia. Ma forse con lui avevo qualche speranza in più.
Continuai a camminare, accelerando a ogni passo la mia andatura da morta vivente, e senza nemmeno curare la canzone del momento, che naturalmente, per assecondare la situazione, odiavo, incominciai a far arrovellare il mio cervello poco lucido per trovare una soluzione funzionante. Ma la mattina, come vi dico sempre, io e la mia mente siamo tutto, ma non su questo pianeta.
Lui continuava a chiamarmi, io continuavo a camminare come se stessi facendo una marcia, convinta che prima fossi arrivata a scuola, prima mi sarei salvata. Salvata, sì, perché alle future sette e trenta la scuola era un bellissimo posto affollato e capace di nascondere anche una spada laser. Proprio complimenti a me stessa e alla mia demenza, tanto valeva farmi prendere in quel momento e risparmiarmi una corsa senza senso. Ma naturalmente, perché in fondo anch’io devo rendere la mia stessa vita un inferno, non ci pensai nemmeno un secondo a quell’ipotesi, e continuai, svoltando nuovamente a destra, un’altra bellissima strada di periferia abbastanza silenziosa.
- Non canti più? – Spesso e volentieri mi urlava dietro quel demente ritardato che si era dimenticato di presentarsi, e io puntualmente, visto che non sapevo non star zitta alle sue bellissime prese per posteriore, alzavo fiera il mio medio e lo facevo oscillare a suon di musica, che era troppo bassa per zittirlo. Eppure non mi aveva raggiunto, e anzi, non sembrava che volesse farlo: forse aveva solo preso il caso e deciso di farsi una risata, senza dovermi rapire e torturare come il suo caro amichetto. Forse voleva esser abbastanza vicino per parlarmi, o per meglio dire prendermi in giro, ma abbastanza lontano per la sua sicurezza. Scelta saggia, anche se ormai non avevo quasi più energie per reagire.
All’ennesima via che mi si presentava a destra, svoltai, e davanti a me, subito dopo l’altra che prima di quell’incontro stavo maledicendo con la mia intonazione, vidi quella bellissima e odiatissima stradina in cui avevo svoltato ed ero stata rapita. Se fossi stata fortunata, in quel momento avrei rivisto il divino prof di ginnastica in sella alla sua moto, ma dietro di me si sentiva solo quella voce odiosamente solare e irritante.
- Non canti proprio più, Smith? – Continuava a ripetermi, con un’insistenza femminile che io in realtà avevo abbinato a quella povera sventurata di Calibro, e alla sua ultima parola, che naturalmente era il mio cognome e l’unica cosa che mi aveva messo in quei casini, alzai il dito medio nuovamente, e intonai un bellissimo “Crepa Coglione” capace di far commuovere perfino un apatico. Significato semplice, dritto e conciso, dedicato a una persona che meritava totalmente quelle mie fantastiche parole di affetto. Peccato che erano semplicemente parole, che lo avevano fatto applaudire e ridere, e non la realtà che si sarebbe creata se il giorno prima non avessi litigato con James.
Fu proprio la cosa a cui pensai, e non riuscii a credere a quello che incoscientemente il mio cervello aveva formulato. Detto così, sembrava lui la causa, ma solo in parte, come se io non avessi dormito perché ero seriamente preoccupata per lui. Preoccupazione comporta attaccamento, che porterebbe poi l’amicizia con tale individuo, mentre io credevo solo di esser preoccupata per me stessa. Sì, perché se il suo segreto fosse stato svelato, presto e malvolentieri tutti avrebbero scoperto l’oscura identità di quel rospo di mio fratello, e mi avrebbero collegata a lui, facendomi abbandonare ogni forma di vita tranquilla e anonima che volevo condurre.
E poi perché ero andata a scuola così presto? Per non vederlo?
Beh, diciamo che avrei voluto evitare pure il suo sostituto, che ancora mi seguiva e rideva soddisfatto del risultato, però il problema era che in fondo alla mia coscienza ormai fossilizzata, io non volevo vederlo. Non per l’odio che provavo verso di lui, ma per come era andata a finire il giorno prima.
E l’ennesima domanda era: odio incondizionato verso Alex o semplicemente paura per quello che lui poteva rendermi?
Attraversai la strada, che mi divideva da quel grigio edificio pieno di sofferenza e agonie infinite, e mi sfilai gli auricolari, che ormai riuscivano a produrre solo canzoni fastidiose e capaci solo di confondermi. Era solo il trasporto del momento, l’instabilità della mia mente per Tizio e il sonno, io realmente non pensavo a certe cose.
Dovevo solo toccare la mia sedia, dormire un po’ sul mio banco e dimenticarmi della mia avventura da sonnambula. Non dovevo ripetere gli sbagli delle persone che avevo osservato da piccola, perché il mondo non è lì per te. I calci sì.

 

Angolo Autrice
Per una volta sarò breve:sto risistemando i vari capitoli.
Quindi nulla, per il momento a posto c'è solo il prologo.
   
 
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