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Autore: Floralia    09/01/2016    0 recensioni
Una storia con le stesse premesse di sense8, ma con personaggi diversi, OC.
Che cosa succede quando persone di paesi diversi si ritrovano l'uno nella mente dell'altro?
Leggete e scopritelo!
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Threesome, Violenza
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Katrine Nielsen percorse il corridoio del terminal 3 a passo sostenuto.
Le ruote del trolley scorrevano fluide al suo fianco sul pavimento di linoleum.
Dalle ampie finestre penetrava la luce calda del tramonto.
A pochi chilometri dall’aeroporto, il sole scendeva dietro la Sagrada Familia e creava al suo interno meravigliosi giochi di luce come in un caleidoscopio.
Se in quel momento Katrine fosse stata dentro la chiesa, avrebbe alzato il viso verso le vetrate a mosaico e avrebbe spalancato gli occhi per la meraviglia.
Ma la ragazza era ormai lontana dal centro città, nel quale aveva trascorso gli ultimi giorni.
“Buonasera” la salutò gentilmente la hostess all’ingresso dell’aereo. Katrine rispose con un sorriso.
Le guance nella loro risalita furono ostacolate dalla pesantezza degli occhi stanchi.
Sorridere era però parte del suo lavoro, così ad ogni modo il suo viso si illuminò e la fece apparire ancora più giovane e più bella di quanto non fosse.
I suoi lunghi capelli biondi, raccolti in una coda alta, sbiadirono e assunsero una colorazione verdastra quando furono colpiti dall’illuminazione interna dell’aereo.
Era molto più alta della maggior parte delle persone presenti nel corridoio. Alcune di queste le lanciarono sguardi curiosi e ammirati.
“Mi scusi” disse Katrine gentilmente per far intendere all’uomo di fronte a lei, il quale stava armeggiando con il suo bagaglio a mano, che aveva intenzione di proseguire nel corridoio.
L’uomo annuì e grugnì allo stesso tempo, spostandosi di qualche centimetro.
La ragazza lo superò con un movimento aggraziato e raggiuse la fila 18.
Sistemò il suo bagaglio a mano nello scompartimento e un ragazzo in camicia e cravatta si propose di aiutarla, anche se era evidentemente più basso di lei di almeno venti centimetri.
“Grazie, molto gentile” acconsentì Katrine, e prese posto con un movimento fluido, allo stesso tempo rivolgendo un sorriso allo sconosciuto, uno dei suoi sorrisi tanto belli da sciogliere il ghiaccio.
Nel movimento la gonna del vestitino nero che portava svolazzò con grazia e per qualche istante parve che da essa stessero spiccando il volo due corvi.
Alcune passeggeri si ritrovarono a guardarla come ipnotizzati. La guardarono mentre si aggiustava le falde del vestito sulle gambe, mentre si allacciava la cintura con le lunghe dita affusolate, mentre salutava con sincera gentilezza negli occhi la signora anziana che si stava accomodando nel sedile accanto al suo.
“Benvenuti sul volo per Copenaghen” esordì la voce del capitano. Proseguì pregando i passeggeri di prendere posto, li informò di un leggero ritardo. Ripeté lo stesso messaggio tre volte: in Catalano, in Spagnolo e in Inglese.
 
Katrine ascoltò distrattamente la versione inglese, mentre cercava di applicare del correttore sotto gli occhi, tenendo uno specchietto nella mano destra di fronte a sé.
La conversazione con la sua vicina di posto si era conclusa in un tempo incredibilmente breve, poiché l’anziana signora parlava soltanto Catalano.
Katrine non aveva potuto fare altro che sorridere e alzare le spalle, come per intendere “mi dispiace ma sono certa che avremmo fatto un’ottima conversazione se avessimo potuto”.
Si domandava il motivo per cui la signora stesse volando verso Copenaghen.
Gli assistenti di volo illustrarono le procedure di emergenza mentre l’aereo si muoveva sulla pista per prepararsi alla partenza.
Una hostess con il rossetto rosso e il viso che Katrine definì “tipico spagnolo” passò velocemente tra le file per controllare che tutto fosse in ordine.
L’aereo prese velocità e si alzò da terra. La signora catalana emise un urletto isterico.
Katrine attese che l’aereo raggiungesse una quota stabile e poi indossò le cuffiette e si immerse in una canzone degli Artick Monkeys.
Sospirò e chiuse gli occhi, appoggiando il collo contro il sedile.
Trovandosi scomoda, raccolse i capelli biondo platino in uno chignon molto alto e si abbandonò finalmente alla stanchezza.
Quando si svegliò, il cielo fuori dal finestrino era completamente buio e immaginò che fosse ricoperto di nubi scure poiché non riusciva a vedere alcuna luce che segnalasse una città o un centro abitato.
Si sentiva indolenzita.
Provò a distendere le gambe e le braccia senza allargarsi troppo per non disturbare gli altri passeggeri.
Comparve la hostess col rossetto rosso a chiedere se qualcuno volesse qualcosa da bere o da mangiare.
Katrine prese un caffè e domandò quanto mancasse alla discesa.
“Circa venti minuti.”
Qualcosa dentro di lei fece le bollicine. Era felice di ritornare in Danimarca dopo tanto tempo.
Avrebbe rivisto la sua famiglia, sarebbe ritornata alle sue abitudini, al suo cibo.
Avrebbe rivisto Jonas.
Sapeva già che avrebbe trovato Jonas davanti alla sua porta di casa il mattino seguente il suo arrivo a casa. Anche se si erano lasciati, a causa del lavoro di Katrine, lei sapeva che Jonas non era il tipo da ricominciare una nuova vita e dimenticarsi di lei in fretta. Sarebbe tornato. E andava bene così.
Sua madre sarebbe stata felice e l’avrebbe fatto entrare. Si sarebbero seduti al tavolo e avrebbero fatto colazione insieme, conversando e attendendo insieme che Katrine si svegliasse e facesse capolino in sala da pranzo. Forse avrebbero riso al vederla stupita e felice.
Ma non sarebbe stata stupita. Conosceva Jonas.
Suo padre sarebbe stato in giardino a falciare il prato o a leggere il quotidiano sulla sua sdraio.
Avrebbe avuto accanto a sé una tazza di caffè lungo e un piattino con una fetta di rugbrød con burro e formaggio da cui prendere sporadici morsi.
Jonas avrebbe parlato del lavoro e dell’università, mentre sua madre preparava le uova strapazzate con la panna.
Sua madre si vestiva sempre bene anche se doveva rimanere a casa. Aveva sempre il viso curato e i capelli in ordine.
Il gatto sarebbe sceso dalla poltrona sulla quale sonnecchiava e si sarebbe strusciato sulle gambe di Jonas facendo le fusa.
Poteva vedere il ragazzo sorridere e prendere l’animale in braccio per posarlo sulle sue gambe, dove si sarebbe accoccolato.
Allora sua sorella Johanne sarebbe ritornata rumorosamente a casa, dopo aver passato la nottata in città o da qualche amica e fare festa.
Avrebbe certamente avuto mal di testa e si sarebbe servita un’abbondante porzione di uova strapazzate inondate di salsa remoulade.
L’unico elemento mancante all’interno del quadretto che i stava immaginando, era Katrine stessa.
La sua famiglia era vicina ora, ma lontana da lei. Le scelte che aveva dovuto compiere, come quella di lavorare per lunghi periodi lontano da casa, avevano fatto in modo che i suo genitori e sua sorella vivessero nella sua mente soltanto, e nello schermo del telefono durante qualche sporadica chiamata su skype.
Katrine volse leggermente il viso verso il corridoio mentre rifletteva su tale argomento. Vide una ragazza seduta qualche fila più avanti, con lunghi capelli biondi raccolti in una treccia.
Per una frazione di secondo aveva creduto che fosse sua sorella.
Dato che doveva rimanere ancora per del tempo lontano da lei, rimase a fissare la sconosciuta di schiena, immaginandosi che fosse realmente la sorella, conversando con lei nella mente.
Le cuffiette nelle orecchie trasmettevano un canzone dei Red Hot Chilli Peppers ora.
Katrine appoggiò il viso sulla testata del sedile lateralmente e socchiuse gli occhi esalando un lungo respiro.
I suoi occhi furono tutto d’un tratto catturati da un movimento periferico. Si voltò verso la sorgente dell’impulso, ma non vide nulla.
La ragazza si raddrizzò, distese le gambe e spostò la propria attenzione verso l’oblò alla sua sinistra, dal quale si intravedeva il cielo nero come inchiostro di seppia.
Si sporse ancora , fino ad appoggiare la fronte contro il vetro e a premervi contro il naso, dalle quali narici si formavano due piccoli aloni di condensa.
Il cielo si era rasserenato ed il panorama sottostante mostrava le diramazioni luminose delle metropoli, che brillavano come se fossero causate da un pugno di gemme preziose e pepite d’oro sparse sopra un lenzuolo di velluto nero.
Qualunque cosa stesse succedendo per le strade, chilometri sotto di lei, Katrine se le immaginava affollate, cariche di uomini e donne intenti in una lotta disumana.
Un senso di inquietudine le avvolse la gola come una mano gelida.
Immaginava uomini che nascondevano il volto, intenti ad ordire attacchi e attentati.
La sicurezza della popolazione era compromessa, la folla urlava, gridava a pieni polmoni, devastata dalla consapevolezza del pericolo.
La ragazza cominciò a respirare affannosamente e si distaccò dall’oblò con un movimento repentino e inaspettato che le causò una forte fitta al collo.
Tentò di alzarsi, spinta da un’irrefrenabile istinto, chiedendo scusa alle persone che le sedevano di fianco.
Subito accorse una hostess che doveva aver notato il movimento dall’altro capo del corridoio.
“Non può alzarsi, abbiamo cominciato la discesa, torni al suo posto” interloquì gentilmente.
“Io devo andare in bagno!” balbettò Katrine, consapevole di essere nel torto. Le guance le si tinsero di rosso.
La hostess si limitò e ripetere la stessa frase e a indicare con una mano il posto alla ragazza, e attese che tutto tornasse alla normalità.
Katrine sentiva gli occhi delle persone addosso. Sentiva la loro cattiveria che le faceva una radiografia ai raggi x. Annaspò e sbuffò e scopri che la fronte le prudeva selvaggiamente. Quando si grattò la colpì un fronte bruciore e le sfuggì un’esclamazione di dolore. Tuttavia quando abbassò la mano ad altezza degli occhi, sicura che vi avrebbe trovato sopra del sangue, la scoprì pulita, anche se ora leggermente tremante.
Le sfuggì un’imprecazione in danese mentre prendeva lo specchietto del make-up dalla borsa e si controllava il viso.
La signora seduta al suo fianco si era lanciata in vari tentativi di capire cosa succedesse e di rassicurarla, ma in catalano.
Katrine era pietrificata dallo scoprire che la sua fronte era liscia a rosea, come avrebbe – o non avrebbe- dovuto essere.
Imprecò di nuovo in danese e affannosamente cercò di calmare la donna catalana, che nel frattempo le aveva posato una mano sul braccio con aria preoccupata. 





Ciao a tutti :) vi riterrei delle persone fantastiche se lasciaste una recensione, anche piccola!
Grazie per aver letto, spero che vi siate almeno un po' incuriositi della storia e che continuiate a seguirmi ^___^
Fatemi sapere se trovate degli errori o se avete suggerimenti ^___^
  
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