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Autore: Adeia Di Elferas    09/01/2016    2 recensioni
La famiglia di Melissa ha trovato per lei un ottimo partito, ma la ragazza non è disposta a sottostare al volere dei genitori. Poco ci viene detto nell'anime, circa il mancato matrimonio di Mao. Ecco la mia versione.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Melissa Mao
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Full Metal Fanfiction!'
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~~“Cosa c'è?”
 Melissa riconobbe la voce di suo padre, ruvida e nevrotica, come quando cercava di imporre inutilmente la sua autorità.
 “Niente, solo...”
 Quella, invece, era la voce di sua madre. Debole, titubante...
 Melissa scosse appena il capo. Si era nascosta lì non per origliare, quanto per starsene un po' sola. E invece i suoi genitori avevano ben pensato di presentarsi dal nulla e cominciare a parlare...
 Approfittando dell'occasione, Melissa appoggiò l'orecchio ai forellini che aveva fatto nel muro divisorio. Tanto piccoli da non poter essere visti dalla stanza accanto, ma abbastanza larghi da lasciar passare alla perfezione il suono.
 “Solo?” chiese di nuovo la voce del padre.
 “Ecco, mi sembra che Melissa sia un po' troppo... Ecco, mi sembra fin troppo tranquilla. Non è da lei.”
 “Non essere sciocca.”
 “Ti dico che ho questa sensazione. Non è da lei essere così... remissiva.”
 “Ha solo capito chi comanda in questa casa. Ed era anche ora!”
 Melissa represse uno sbuffo alle parole del genitore. Chi si credeva di essere?
 “Forse non avremmo dovuto permetterle di trovare lavoro dopo il liceo, non avremmo dovuto ritirarla dagli studi...” disse la voce di sua madre.
 “Idiozie. Una volta sposata, una donna non ha bisogno di un titolo di studio.”
 “Ma lei è tanto intelligente...”
 “Meglio che non lo sia più di suo marito.”
 “Insomma, è così giovane...”
 “Non pare che tu fossi più vecchia, quando mi hai sposato.”
 “No, hai ragione.”
 Melissa avvertì qualcosa di strano nella voce di sua madre. Era tristezza, forse?
 “E comunque – riprese suo padre – questo ragazzo mi sembra un tipo deciso. Le rimetterà la testa a posto. E con tutti i soldi che ci darà, finalmente potremo dire che quella rompiscatole ci è servita a qualcosa.”
 Non vi fu risposta.
 Melissa aveva ascoltato l'ultima frase del padre senza riuscire a crederci. Lo stava dicendo davvero. In pratica stava ammettendo che per lui la figlia era solo un oggetto scomodo, da vendere il prima possibile, strappando il prezzo più alto.
 Non voleva piangere, ma non era affatto facile trattenersi.
 “Per una mezza delinquete, quel pivello ha pagato fin troppo.” concluse lapidario suo padre.
 Melissa sentì il suono di un bicchiere che veniva appoggiato al tavolino di vetro e poi i passi dei suoi genitori allontanarsi.
 L'avevano venduta. E sua madre, per quanto ne fosse rattristata, non aveva fatto nulla, nemmeno detto una parola, per evitarlo.

 “Oh, che vestito meraviglioso!” stava esclamando la madre di Melissa, accarezzando lo strascico candido.
 La ragazza si guardava allo specchio di quando in quando, quasi di nascosto. Faticava a riconoscersi, in quell'abito bianco che metteva in risalto il suo corpo in un modo quasi indecente.
 “Davvero meraviglioso... Sei una sposa bellissima, piccola mia...” disse la donna, cercando di accarezzare il volto di Melissa, che però si scostò all'ultimo momento.
 Sua madre era quasi in lacrime, ma le era facile capire che il motivo ultimo di quella commozione non era tanto il sapere la figlia prossima alle nozze alla sua giovanissima età, quanto saperla destinata a un matrimonio combinato con un uomo che, lo sapeva, Melissa disprezzava.
 Melissa, solo per quel motivo, cercò di addolcirsi un momento: “Potrai venire a trovarmi – disse, rigida – quando preferisci. Non andremo a vivere dall'altro capo del mondo, solo a un paio di isolati di distanza da voi.”
 Sua madre scosse il capo, mettendosi a ravvivarle lo strascico con un entusiasmo eccessivo: “Oh, no, non è per la distanza...”
 Melissa strinse il morso e abbassò lo sguardo, mentre diceva, lapidaria e a denti stretti, smorzando ogni altro tentativo di ostentare allegria da parte della madre: “Lo so.”

 La sera prima del matrimonio, Melissa riuscì a sfuggire ai controlli dei suoi genitori e del portiere del suo palazzo, al quale diede la solita mazzetta di dollari in cambio del suo silenzio.
 Era andata a infilarsi in un bar fuori mano, dove andava a rifugiarsi di tanto in tanto, quando era particolarmente giù di morale.
 “Ehilà, bellezza. Che hai stasera?” le chiese il barista, ormai suo vecchio amico.
 “Dammi una birra, Joe.” rispose Melissa, sedendosi al bancone.
 L'uomo non avrebbe potuto servirle da bere, lo sapevano entrambi, ma ormai il loro sodalizio andava avanti da qualche anno. All'inizio Melissa aveva dovuto allungargli sottobanco grosse mance, ma alla fine era sopraggiunta un certo grado di amicizia tra i due e non era più stato necessario comprarsi la sua complicità.
 Ecco cosa le avevano insegnato i suoi genitori: cosi soldi puoi comprare di tutto, dal silenzio all'amicizia.
 “Ecco qui.” fece Joe, allungandole un bicchiere pieno fino all'orlo della sua birra preferita. Tedesca, d'importazione.
 “Grazie.” disse Melissa, sorbendo subito una lunga sorsata.
 “Allora, mi dici che hai?” chiese ancora Joe, mentre salutava con la mano un altro cliente appena entrato.
 L'aria del bar era fumosa e una musichetta ripetitiva e passata di moda usciva dalle casse della radio, mescolandosi col chiacchiericcio spento dei pochi avventori.
 Melissa si sentiva meglio lì che non a casa, il che era tutto dire.
 “Sono di cattivo umore.” rispose Melissa, che aveva già dato fondo al bicchiere e ne chiedeva silenziosamente un altro.
 “E come mai?” chiese curioso il barista, riempiendo diligentemente il boccale.
 “Perché domani mi sposo.” disse Melissa, piatta.
 Le sembrava una cosa così assurda che il solo dirlo ad alta voce la fece scoppiare in una fragorosa risata.
 “Matrimonio? Brutta storia...” commentò Joe, annuendo con aria sapiente.
 Melissa smise di ridere poco per volta, tornando a bere la sua birra: “Puoi dirlo forte. Se domani non mi presento all'altare, mio padre potrebbe anche farmi fuori.”
 Il barista alzò le sopracciglia, ben abituato alle recriminazioni che Melissa faceva nei confronti della sua famiglia: “Ma immagino che daresti qualunque cosa pur di non sposarti.”
 “Come sempre hai ragione.” annuì Melissa, il secondo bicchiere già vuoto davanti a sé: “Versamene un altro, questo è il mio addio alla vita, Joe.”
 Il barista non fece domande sul senso della frase, limitandosi a eseguire gli ordini.
 Vari bicchieri dopo, Melissa guardò l'orologio e si rese conto che era troppo tardi. Tutti i suoi propositi di scappare al futuro marito nel modo più scenico possibile, magari gettandosi da un ponte o da un grattacielo, erano svaniti nel nulla assieme alla schiuma della birra.
 Nel profondo sapeva di essere di pasta forte e non si sarebbe lasciata manovrare dai suoi genitori. Non sarebbe morta per colpa loro.
 “Quanto pago, Joe?” chiese, alzandosi dallo sgabello, barcollando appena.
 Il barista la guardò un momento. Non era facile vedere quella ragazza ubriaca. Reggeva l'alcool in modo straordinario, eppure quella sera ci aveva dato dentro così tanto da non riuscire a stare dritta.
 Joe provò un profondo senso di smarrimento e pietà per quella che nel tempo era diventata un'amica gradita, così le disse: “Offro io. Regalo di nozze.”
 Melissa fece una smorfia, forse un sorriso, alzò l'indici, a mo' di ringraziamento, e se ne andò.

 New York brillava come una gemma in quella mattina di fine primavera. Melissa era davvero, come si era auspicata sua madre, la sposa più bella vista in città da almeno cinquant'anni.
 Era tanto giovane da sembrare, a tratti, ancora una bambina. Se non fosse stato per il suo profilo risoluto e per la sua figura slanciata, si sarebbe potuto pensare che la sposa non fosse ancora maggiorenne.
 Il suo sposo, pomposo come la sua laurea ad Harvard, impettito come il cognome che portava con tanto orgoglio, pieno di sé com'era pieno il portafoglio che tanto aveva allettato il padre di Melissa, l'aspettava all'altare.
 Non appena Melissa entrò nella chiesa, sottobraccio a suo padre, che per l'occasione aveva indossato l'alta uniforme, si sentì soffocare.
 Se la sera prima era arrivata a meditare il suicidio, pur di sfuggire a quel futuro orribile, mentre percorreva la navata arrivò a valutare un omicidio plurimo. In primis i suoi genitori, poi lo sposo e infine tutti quelli che erano lì ad assistere silenziosi e sorridenti al suo sacrificio.
 Come un automa camminò fino all'altare maggiore, lo sguardo dritto davanti a sé, ben decisa a non degnare lo sposo nemmeno di uno sguardo.
 Quando il prete cominciò a sciorinare le sue frasi di rito, Melissa capì che le era rimasta solo una cosa da fare. Era un'idea che aveva continuato ad accantonare, dicendosi che non ne sarebbe stata capace, che non era in grado.
 Il laureato a Harvard rispose 'sì' alle domande del prete e prima che Melissa se ne rendesse conto fu il suo turno.
 Lasciò che il prete le ponesse la prima domanda. Restò in silenzio, fino a che il prelato, vagamente imbarazzato, ripeté la domanda, a voce più alta.
 Melissa non sapeva nemmeno quale fosse, quella domanda. Le era bastato sentire il tono interrogativo e vedere gli occhi porcini di quell'uomo in gonnella per capire che era arrivato il momento.
 Fissò con sprezzo il suo sposo e, con voce alta e decisa, disse: “No.”
 Si strappò il velo, si afferrò la gonna e cominciò a correre, verso l'uscita.
 Con la coda dell'occhio riuscì a intravedere sua madre che sveniva e sentì il padre imprecare con forza, scatenando i commenti scandalizzati del prete, che non sapeva come riportare all'ordine la folla di invitati che aveva cominciato a vociare e muoversi a destra e a sinistra per vedere meglio la sposa che scappava.
 Addirittura Mao avvertì il flash di alcune macchine fotografiche. Forse quei leccapiedi incaricati del servizio fotografico del matrimonio avrebbero venduto quegli scatti a qualche giornaletto scandalistico, facendo venire un infarto a suo padre, il rispettatissimo e compassato ufficiale, il pilota di bombardieri... Stava andando meglio del previsto!
 Come fosse stato chiamato apposta per lei, un taxi aspettava giusto fuori dalla chiesa.
 Melissa saltò sul sedile posteriore, tirando dentro lo strascico dell'abito da sposa e ordinò: “All'ufficio di reclutamento della marina più vicino!”
 Il taxista, sconvolto dall'arrivo di quella stramba cliente, chiese, titubante, mentre metteva in moto: “Vuole... Vuole passare da casa a cambiarsi?”
 “Neanche morta. Parti!” esclamò Melissa, guardando dal lunotto posteriore la confusione che si stava creando sul sagrato della chiesa.
 Il taxista partì, ma dopo pochissimi metri, al primo semaforo, ammise: “Non so dove sia l'ufficio di reclutamento...”
 “A quattro isolati da qui. Ti guido io, muoviamoci! Gira a destra!” fece veloce Mao, sporgendosi tra i sedili anteriori e indicando la strada con la mano dalle unghie dipinte.
 Dannazione a sua madre che l'aveva costretta a farle di quel rosso orribile...
 Quando arrivarono, Melissa ancora si guardava alle spalle, di tanto in tanto, per assicurarsi che nessuno l'avesse seguita.
 “Eccoci qui!” disse la ragazza, facendo fermare il taxista.
 Si toccò sui fianchi e ovunque, nella ricerca assurda del portafoglio, dimentica di avere addosso un vestito da sposa e non i suoi soliti abiti.
 “Oh, no, non ho soldi...” disse, a mezza bocca, continuando nella vana ricerca.
 Il taxista, con un debole sorriso, ancora un po' scosso per quella corsa incredibile, si affrettò a precisare: “Non fa niente, signorina... Emh, le offro io la corsa. Regalo di nozze.”
 Melissa si accigliò un secondo. Era il secondo regalo di nozze gradito in meno di ventiquattro ore.
 Diede una forte pacca sulla spalla al taxista e lo salutò: “Sei simpatico.”
 Scese dal taxi correndo e raggiunse la porta d'ingresso dell'ufficio di reclutamento col fiato corto e il cuore in gola.
 Una volta dentro, cercò di calmarsi, sicura che nessuno l'avrebbe cercata lì. Si sistemò un po' il vestito e raddrizzò la schiena, davanti agli occhi attoniti dei presenti.
 Chiese dove fosse di preciso l'ufficio in cui ci si poteva arruolare e le dissero di salire al primo piano.
 In ascensore ebbe modo di vedersi allo specchio. Aveva le gote arrossate, i capelli fuori posto, il vestito stropicciato e la fronte sudata. Però, la luce che brillava nei suoi occhi... Quella era impagabile.
 Una volta al piano, seguì le istruzioni ed entrò nell'ufficio che le era stato indicato. C'erano in tutto cinque uomini, due vicini alla finestra, che parlottavano e tre ad altrettante scrivanie.
 Quando la videro, tutti e cinque rimasero immobili, senza parole. Non doveva essere frequente, vedere una sposa entrare da quella porta.
 “Sono qui per arruolarmi in marina.” disse Melissa, deglutendo rumorosamente, per la prima volta timorosa, da quando era iniziata la sua fuga.
 Il Caporale che stava allo sportello centrale, quello col cartello 'arruolamenti', la guardò con gli occhi sgranati: “Ma sei proprio sicura?”
 Melissa gli si avvicinò e rispose, con voce più calma: “Ma certo che sono sicura.”
 Tutti i militari presenti cominciarono a parlare uno sull'altro, dimenticando la disciplina che avrebbe dovuto guidare ogni loro azione.
 Le dicevano di ripensarci, le chiedevano perché voleva farlo, le domandavano quanti anni avesse e se avesse davvero presente cosa significava diventare una Marine.
 “Mia signora – disse uno dei due che stavano vicini alla finestra – ci ripensi... Proprio il giorno del suo matrimonio...!”
 “Renderà infelici i suoi genitori!” rimarcò quello accanto.
 Melissa sollevò un angolo della bocca: “Mio padre è ufficiale d'aviazione.”
 A quelle parole, tutte le rimostranze e tutti gli accorati appelli si tramutarono in un corale motto d'approvazione improvvisa. Il Caporale, in particolare, si affrettò a dire: “Se è così perché fare tanti discorsi?”
 Prese un modulo dalla pigna e una penna e glieli mise davanti al naso: “Firma questo pezzo di carta ed è fatta!”
 Melissa prese il foglio e lesse solo l'intestazione. Non le importava rivedere i dettagli. Si era documentata, tempo prima, quando pensava che quella carriera fosse per lei solo un'utopia.
 “Ecco i miei documenti.” disse, gettando un pacchetto che teneva nascosto tra le sottogonne.
 “Melissa Mao...” lesse il Caporale, annuendo: “Nata il 2 novembre del 1976. Giovanissima davvero, appena al limite. Complimenti.”
 Melissa ringraziò con un cenno del capo e prese in mano la penna.
 Con un tratto rapido, ma deciso, firmò in calce il modulo, prima ancora di compilarlo per intero.
 Quella firma spazzò via tutte le sue perplessità. Improvvisamente si sentì felice, potente, sicura di sé.
 Quando ebbe terminato di compilare il modulo, lo consegnò al Caporale, che scattò sull'attenti e le disse: “Benvenuta a bordo, soldato Mao.”
 E, da quel momento in poi, nessuno dei presenti trovò strano avere davanti agli occhi una donna in abito da sposa che raddrizzava la schiena e salutando militarmente rispondeva: “Il mio cuore è pieno di gioia, signore!”

   
 
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