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Autore: Yume Kourine    10/01/2016    1 recensioni
Allyson ha un lavoro perfetto, più di vent'anni e una storia da raccontare... ma non è la sua storia: quattro ragazzi sono entrati nelle sue giornate quotidiane e le hanno insegnato i valori della vita, i moti della passione e che, a volte, la semplicità non è un difetto.
[Dal Capitolo cinque]
“Ammettilo” dopo qualche minuto di silenzio fui io la prima a parlare, senza però voltarmi “Stai ricavando un sadico divertimento a tormentarmi non è vero?”
“Non potrei mai” rispose basito “Se devo essere sincero non so nemmeno io perché sia seduto qui vicino a te a indagare le persone”
Volsi il capo verso di lui: quella sua risposta mi aveva lasciata stupita e anche curiosa, non tanto per il fatto che fosse ignaro del motivo per cui mi avesse cercata ma più per il suo interesse nel voler “indagare le persone”.
“Sei proprio strano. Mi spieghi cosa trovi di interessante nelle persone sconosciute?”
Scoppiò a ridere: aveva una risata, come potrei dire... viva. Sì, viva. Perché era fresca, melodica e sincera.
(Storia rivisitata)
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo V

A Storm and a Teacup

 

Ti ricordi quel giorno, Dan?

Ormai hai troppi pensieri nella tua testa, sempre intenta cercare nuove idee e nuove storie.

Non hai tempo per ricordarti futili particolari, soprattutto se questi coinvolgono la mia presenza... Io invece sono certa che non lo scorderò mai, quel giorno, sai?

Era il 27 Maggio.

 

“27 Maggio! Ragazzi manca davvero poco ai test universitari, immagino che abbiate scelto le materie da portare. Se non lo avete fatto, beh, muovete il culo”

Lauren Ross, la nostra tutrice di storia dell'arte, aveva sempre avuto l'abitudine di usare un linguaggio volgare e rude, però era l'unica interessata alla nostra educazione e al nostro futuro.

Erano gli ultimi giorni dei corsi, mancava veramente poco all'esame finale; anche se “finale” non è la parola giusta, anzi, quella prova sarebbe diventata l'inizio delle nostre carriere, era la rampa di lancio verso il futuro.

Eppure io non riuscivo a scorgere nulla, al contrario dei miei compagni: il mio sarebbe stato un salto verso l'ignoto e la cosa mi stava spaventando.

“Allora Fence, alla fine cosa hai deciso di preparare?” Anne appoggiò la testa sulla mia spalla mentre la professoressa Ross faceva un giro tra i banchi per risolvere i dubbi di alcuni miei compagni.

Fui molto diretta nella risposta.

“Letteratura, Media e Italiano”

“Come mai ha scartato arte? Credevo ti piacesse come disciplina.”

“Ho cambiato idea”

“Anche se entrassi in un College avrai pur sempre il tuo percorso di sceneggiatrice da preparare. Seguirai qualche corso oppure parteciperai a qualche concorso?”

“Non farò niente. Non voglio più diventare regista né sceneggiatrice. Ho chiuso con quel mondo”

Anne sgranò gli occhi e si alzò di colpo fulminandomi con il suo sguardo ceruleo:

“Ma come?! Era il tuo sogno e adesso mandi all'aria tutto? Devi provarci!”

“Anne non...”

“Smettila di tirarti indietro! So bene quello che stai provando ed è normale avere dubbi ma devi anche pensare positivo! Devi fare come me! Impegnati a seguire il tuo sogno e tutto andrà bene, dai retta a me”

“Ma chi ti credi di essere?!” la interruppi alzando il tono della voce. “Chi sei tu per dire cosa devo fare?! Non sai come mi sento né tanto meno puoi capirmi quindi per favore puoi anche evitare queste scenate di compassione forzata perché sei ridicola! Non ho bisogno del consiglio della grande cantante Anne che ha già la strada spianata davanti a sé! ” urlai attirando l'attenzione di tutti.

“Haunt?” la Ross si avvicinò al mio banco, sembrava spaventata “Se hai qualche problema puoi condividerlo con i tuoi compagni e soprattutto con me, siamo qui per aiutarti” cercò di tranquillizzarmi con uno dei suoi sorrisi malinconici ma ottenne l'effetto contrario.
“Non ho bisogno del vostro aiuto! Anche io posso farcela da sola!” affermai mentre strinsi i pugni. Iniziai ad ansimare e ogni cosa si fece sfocata e sbiadita.

“Posso andare ai servizi?” riuscii a formulare alla fine e la Ross acconsentì anche se mostrò chiara preoccupazione.

Senza considerare le occhiate e i bisbigli dei miei compagni, camminai con passo lesto e raggiunsi il bagno poco dopo: sentii la vena del collo pompare vigorosamente mentre il fiato iniziò a mancarmi.

Mi sciacquai il volto e mi diedi tre sberle per riprendermi: nello specchio vedevo il riflesso di una ragazza fragile e frignona, era una cosa che detestavo. Dentro di me avvertii una sensazione insolita, quasi di vergogna. La stessa che provai quel giorno di fronte a Woody e ai suoi compagni.

Fu in quel momento che tornarono alla memoria le parole di Dan e quel suo atteggiamento presuntuoso, come se sapesse tutto di me.

“Maledizione...” borbottai mentre mi diedi un'ultima occhiata allo specchio.

Avevi gli occhi lucidi...

Quelle maledette sillabe continuavano a rimbombare nei miei pensieri e a scatenare la più sfrenata ricerca nella mia memoria. Non riuscivo a scorgere da nessuna parte il volto di quel ragazzo insopportabile e odioso.

Avevi gli occhi lucidi.

A parte quando ero una bambina, non avevo mai pianto. Almeno, nessun ragazzo mi aveva mai vista piangere, è per questo motivo che molti mi scambiavano per un'insensibile stronza.

A essere sincera credo di esserlo sempre stata, ma all'epoca un pensiero del genere non mi passava minimamente per la mente.

Dopo tre minuti abbondanti spesi per recuperare le forze e la stabilità della mente, ritornai in classe: non guardai nessuno, avanzai senza fretta verso il mio banco e mi sedetti senza far caso a ciò che mi circondava.

Quei sessanta minuti trascorsero lentamente, come se il tempo volesse farmi pesare quelle emozioni e timori che lentamente mi stavano divorando l'anima.

 

 

“Quindi che materie pensi di portare all'AS-level?” chiese Lucy ad Anne. Cercava di evitare il mio sguardo per timore di svegliare la mia collera: Lucy è una di quelle ragazze che non vogliono immischiarsi nelle litigate degli altri, non ha mai espresso una sua opinione durante i momenti di dibattito, nemmeno per gli argomenti importanti e interessanti. Preferiva restare in silenzio e tenere le sue riflessioni per sé.

“A me non serve a niente questo esame del cavolo! Ho la mia carriera da stabilire!” affermò Anne“Ma ormai non posso tirarmi indietro, perciò ho scelto Musica, Letteratura e Drammaturgia!”

“Letteratura?” chiesi stupita. Fu la mia prima frase dopo la mia fuga dalla classe e per questo Anne e Lucy si sentirono sollevate di sentirmi parlare di nuovo.

“Di certo Arte non la porto, l'avevo scelta solo perché i miei genitori mi hanno costretta. In letteratura me la cavo abbastanza ma conto di fare bene Musica!” sorrise, come se non fosse successo niente. E questa sua caratteristica mi dava sui nervi, Anne sorvolava sempre ogni fatto e lo ignorava. A mio parere non bisogna comportarsi così, non potrai scappare per sempre. A quel punto conviene affrontare il problema subito.

“E te Lucy?” rigirò la domanda Anne mentre scendeva le scale danzando e scuotendo la testa.

“Ho scelto Letteratura, Storia e Biologia” rispose lei, ma nelle sue parole percepii un'insolita malinconia.

Anne sgranò gli occhi, notando che tra le scelte di Lucy non era elencata Storia dell'Arte.

“Perché hai scartato Arte? Scusa, tuo padre lavora al Museo di Londra, potresti lavorare una volta ottenuto il diploma! Perché non cogliere l'occasione?”

“Mio padre vuole essere sicuro che abbia una seconda strada. E poi ho capito che non potrò contare sempre sui miei genitori, perciò voglio impegnarmi in questo esame per poter specializzarmi in qualcosa di nuovo. Voglio creare da sola la mia strada, senza l'aiuto di nessuno.”

“E brava la nostra saputella!” canticchiò Anne abbracciando l'amica. “Ora però smettiamola di parlare di questo fottuto esame e pensiamo a distrarci un attimo. Che ne dite di andare a prenderci qualcosa?”
“Dobbiamo studiare Anne, non possiamo perdere tempo” puntualizzò Lucy mentre si sistemò la giacca.

“Riformulo... che ne dite di studiare insieme davanti a un bel bicchiere di birra? Anche se abbiamo materie diverse possiamo aiutarci e ripetere gli argomenti tra di noi”.

“Io passo” mi allontanai senza dire più nulla. “Ci vediamo domani”
“Avanti Fence, non fare l'offesa! Guarda che se continui a comportarti così poi resterai da sola e vedrai...” scherzò Anne anche se percepii nel suo tono un lieve accento di cattiveria. Non feci più caso alle sue parole, me ne andai prima che potesse continuare.

Lasciai l'edificio con un unico pensiero: alla fine anche le mie amiche avevano deciso di affrontare l'A-level con il massimo impegno. In quel momento mi sentii stupida e provai un forte senso di colpa. Ero stata egoista, non mi ero accorta della preoccupazione delle mie amiche per il loro futuro, il mio stupido ideale mi aveva spinto a ignorarle, a dimenticarmi di loro. Ripensai a tutte le occasioni in cui avremmo potuto aiutarci, consolarci e motivarci a vicenda; eppure non era mai accaduto.

Evidentemente la nostra era un'amicizia con dei limiti che non si potevano superare.

Non appena raggiunsi la fermata dell'autobus inciampai nella voce della persona che mai avrei pensato di vedere in quel momento. E, sinceramente, era l'ultima con cui volevo parlare.

“Dove te ne scappi Haunt?”

Jason si piazzò nel mio campo visivo e mi mostrò un sorriso sadico, quasi altezzoso.

“Non sono affari tuoi” risposi fredda cercando di distogliere lo sguardo verso un'altra parte, tuttavia lui si spostò e finii ritrovarmi ancora una volta il suo volto di fronte al mio, era così vicino che riuscii a distinguere il colore dei suoi occhi: non avevo mai notato che fossero di un castano chiaro, quasi simile all'ambra. Di solito evito sempre di incrociare lo sguardo di altre persone, è difficile per me stabilire un contatto visivo con una persona, tendo sempre a guardarmi attorno o a concentrarmi su punti del volto che non siano gli occhi. È una cosa che mi viene naturale.

“Adesso voglio sapere perché hai fatto quella scenata” iniziò lui prima di estrarre un sigaretta dal suo pacchetto. La accese e mi buttò addosso una folata di fumo: aveva puntato a una semplice sigaretta alla menta.

Alla fine ero diventata un'esperta dei vari tipi di sigarette, ne fumavo sempre di diversi gusti.

“Non sono affari tuoi” dissi nuovamente e lui tossì.

“Possibile che nel tuo copione ci siano sempre le stesse battute? Avrai pur qualcosa da raccontarmi”

“Niente che ti possa interessare” risposi. Aspirai un po' del suo fumo cosa che non passò inosservata dato che un istante dopo mi offrì di fare un tiro. Rifiutai scuotendo il capo, senza dire nulla.

“Io non credo..” sorrise e mordicchiò la canna. “Secondo me nascondi segreti interessanti e a me piacciono i segreti”.

“Perché non te ne torni da Anne? Sono sicura che ti divertiresti molto di più a discutere con lei, potreste andare a fare qualche scherzo” c'era acidità nelle mie parole ma non se ne accorse, anzi sembrò piacevolmente sorpreso della mia proposta.

“Sei gelosa Fence?”

“Di Anne?” Feci una breve pausa di riflessione. “Forse sì.”

Rimase colpito dalla mia risposta, probabilmente non se lo aspettava. Non disse nulla, così ripresi il discorso ignorando la sua reazione.

“Sa quello che vuole e lo ottiene senza problemi. E anche Lucy. Persino uno come te...”

“Uno come me?” ripeté lui, con un tono seccato.

“Lo sanno tutti che sei un calciatore provetto e che entrerai nella squadra regionale. Non capisco perché tu abbia sprecato il tuo tempo a fare questi anni di scuola quando potevi già...” non riuscii a concludere che lui sbuffò di colpo, gettò la sigaretta a terra e la schiacciò con violenza. Poi mi guardò, aveva un'aria piuttosto abbattuta.
“Credevo che tu fossi diversa... invece sei come tutti gli altri”.

Alzai lo sguardo verso di lui e notai un cambio di espressione: aveva uno sguardo atroce, quasi provasse disgusto nei miei confronti:

“Ti lamenti se non vieni capita degli altri, ma sei tu la prima a non capire...”

Quell'ultima frase fece scattare la rabbia in me repressa e contrattaccai subito:
“Cosa dovrei capire? Spiegamelo dato che sembri sapere tutto!” gli urlai furiosa.

Mi guardò e restò in silenzio mentre cercai di mantenere l'aria da dura per riuscire a intimidirlo.

Era uno scontro di sguardi mentre i nostri respiri tesi e svelti erano le nostre armi.

“Niente... lascia perdere” pronunciò mentre si allontanò “È inutile perdere tempo con te”.

Non lo seguii con lo sguardo, avrebbe solo aumentato la mia collera.

In una sola giornata provai così tante emozione di rabbia, confusione e disprezzo che smisi di ragionare e mi lasciai guidare dai muscoli delle gambe: senza rendermene conto stavo camminando per le vie di Londra così mi toccò tornare a casa a piedi. Questo però significò più di cinquanta minuti di percorso.

Maledizione...

 

Dopo aver raggiunto il centro cambiai idea all'improvviso: persino casa mia era diventata un luogo da cui fuggire. Inoltre era una giornata così bella che starsene chiusi in camera sarebbe stato un insulto a quel cielo vaporoso e a quel piacevole venticello estivo.

Tuttavia preferii evitare di entrare in un bar, come ero solita fare, ma scelsi di restare all'aperto: raggiunsi così il parco più vicino. Vi erano tantissimi bambini che si rincorrevano sull'erba, a vederli mi salì una certa malinconia: mi mancava provare quella spensieratezza, ignorare i problemi e godermi soltanto il meglio della vita. Notai inoltre che quel giorno vi erano molti artisti di strada perciò era difficile trovare un angolo silenzioso del parco. Musicisti, artisti, cantanti e persino maghi intrattenevano i passanti con esibizioni mozzafiato e originali.

Dopo varie ricerche individuai una panchina libera e isolata dalle altre: non vi era tanta gente attorno a quella zona perciò era il posto perfetto per starsene per conto proprio. Doveva essere mia.

Feci uno scatto verso la mia futura zona ristoro e, una volta raggiunta, appoggiai lo zaino e mi sdraiai sulla panca con lo sguardo rivolto verso il cielo.

Nonostante l'atmosfera fosse calma e colma di pace, non riuscii a concentrarmi e nuovamente mi persi nelle mie riflessioni: da quando avevo smesso di scrivere come Ice la mia vita sembrava aver preso una brutta piega.

Non riuscivo più a vedere il mondo come un meraviglioso dipinto da contemplare per ore e ore e analizzarne con dedizione ogni tocco di colore, ogni ombra e ogni soggetto rappresentato.

Vedevo solo una tela bianca, un vuoto maledettamente irritante che non riuscivo a colmare con i colori o anche solo una delicata traccia di inchiostro. Ogni cosa era diventata noiosa, lontana dalla mia portata.

Con Ice era sparita anche la mia curiosità e la mia voglia di scrivere.

Era una sensazione schifosa.

E di certo quell'umore non aiutava a placare le mie incertezze. Da parecchio tempo davo spazio a considerazioni sul mio carattere: ero diventata insopportabile ed egoista. Credo di essere l'unica in famiglia con queste tratti caratteriali: mio padre è sempre stato un uomo socievole e dalle idee brillanti, anche se a volte testardo, mentre mia madre è timida ma altruista e rispettosa con tutte le persone, avrei tanto voluto possedere almeno una delle sue qualità; mio fratello invece è il classico ragazzo che preferisce mangiare una pizza con gli amici e andare in discoteca piuttosto che tormentarsi sui problemi e sulle incertezze della vita.

Sono sempre stata una ragazza orgogliosa e con in testa un solo obiettivo: essere brava in qualcosa per poter essere migliore di altri. Tuttavia è un ideale estenuante, soprattutto quando ti rendi conto che non hai alcuna qualità, che sei esattamente come tutti gli altri..

Alzai gli occhi verso il cielo, rincorrevo con lo sguardo qualche nuvola ribelle che metteva in risalto il Big Ben, che si innalzava poco distante dal parco.

Mi alzai di scatto e mi posizionai a gambe incrociate mentre cercai nella borsa il mio pacchetto di sigarette.

Chinai il capo per accenderla poi alzai lo sguardo per poter perdermi nel cielo ma mi accorsi di una presenza familiare che cambiò i miei piani. Sgranai gli occhi, quasi furiosa.

“Ehi”

Era apparso nel momento meno opportuno e il mio sesto senso mi stava indicando che la sua presenza avrebbe creato non pochi problemi. In quel preciso istante paragonai Daniel Smith a una tempesta: indesiderato e vorticoso.

Quegli occhi chiari puntati su di me... diamine quanto erano fastidiosi. Possibile che tanto splendore potesse innescare le mie emozioni più distruttive? Assolutamente sì.

“Se sei venuto per litigare sappi che sono dell'umore adatto” ringhiai per poi sbuffargli addosso un po' di fumo.
“Perché pensi questo? Potrei essere solo di passaggio... “ si difese lui, alzando le mani verso l'alto. Evidentemente si sentì minacciato dalle mie parole, quasi fossero state armi da fuoco. “Oppure potrei averti cercata in questi piatti giorni per tutta Londra nella speranza di incontrarti e parlare con te” continuò mentre le sue labbra si aprirono in un sorriso ironico.

Inarcai il sopracciglio e dischiusi leggermente le labbra cercando di mimare un'espressione scettica: mi stava provocando?

“Posso sedermi accanto a te oppure rischio di risvegliare la folle Miss Hyde?”

Non dissi nulla né tanto meno lo guardai. Lui si prese la libertà di sedersi accanto a me, o forse dovrei dire dietro di me dato che eravamo schiena a schiena.

Quello è stato il nostro primo contatto fisico.

Non so perché do tanto caso a quel particolare, forse perché dopo tutto quello che ci è successo lo considero un punto importante, potrei definirlo come “l'inizio” di tutto.

“Ammettilo” dopo qualche minuto di silenzio fui io la prima a parlare, senza però voltarmi “Stai ricavando un sadico divertimento a tormentarmi non è vero?”

“Non potrei mai” rispose basito “Se devo essere sincero non so nemmeno io perché sia seduto qui vicino a te a indagare le persone”

Volsi il capo verso di lui: quella sua risposta mi aveva lasciata stupita e anche curiosa, non tanto per il fatto che fosse ignaro del motivo per cui mi avesse cercata ma più per il suo interesse nel voler “indagare le persone”.

“Sei proprio strano. Mi spieghi cosa trovi di interessante nelle persone sconosciute?”
Scoppiò a ridere: aveva una risata, come potrei dire... viva. Sì, viva. Perché era fresca, melodica e sincera.

Poco dopo allungò il braccio e indicò un punto non tanto distante da noi.

“Lo vedi quell'anziano signore? Ogni giovedì, verso le quattro del pomeriggio, viene qua al parco a suonare la fisarmonica, proprio vicino a quell'albero. Sai perché?”

Non risposi ma dentro di me mi chiesi come facesse a sapere tutti quei dettagli su un comune vecchio.

“Perché proprio in quel punto ha confessato di essere innamorato di sua moglie, che è morta tre anni fa. Per onorare la sua memoria ogni giovedì si reca al parco e suona un brano diverso, lei amava sentirlo suonare la fisarmonica” sorrise. “È una cosa bellissima”

“Ma...”

Non riuscii a concludere la frase che Daniel riprese a parlare, come se si fosse ricordato all'improvviso di un altro particolare.

“Oppure quel bambino! Ogni volta lo vedo con un giocattolo diverso e tutte le volte lo regala ad altri suoi coetanei, può capitare di vederlo dividere la sua merenda con i mendicanti che si esibiscono nella via adiacente al parco. Mai vista tanta generosità. È proprio vero che i bambini vedono il mondo con altri occhi...”

Una strana sensazione riempì il mio cuore: Daniel riusciva a trovare interessanti le persone e la loro natura, pensiero che non mi era mai passato minimamente per la mente. Mi concentravo sempre sui fatti, sui significati e sulle scenografie, non mi ero mai preoccupata più di tanto dei personaggi di quella grande rappresentazione chiamata vita.

“È per questo che guardo le persone: storie” rispose infine suscitandomi stupore “Ogni persona ha in sé una storia che è orgoglioso di chiamarla sua. È spaventoso il fatto che molte di queste vengano celate o addirittura dimenticate...”

Diedi due colpetti alla sigaretta facendo scendere la cenere:

““Quindi... sei una sorta di stalker?” gli chiesi nascondendo la mia invidia dietro a uno sospiro.

Si voltò e mi guardò divertito.

“Può darsi... dici che mi dovrebbero arrestare?”
Annuii e poi soffiai il fumo in alto: seguendo quelle spirali di aria aromatica levarsi verso il cielo mi persi nuovamente in quelle nuvole tinte di un grigio pallido impastato al rosa della sera.

“Invece tu?” mi chiese abbassando il tono della voce. La mia fu una risposta rapida e precisa.

“Io non ho mai guardato le persone in quel modo. Anzi, ho sempre evitato contatti con la gente...” Quella sua conversazione mi aveva talmente presa che mi ritrovai costretta a rispondere senza restrizioni né menzogne.

“Non intendevo questo. Perché guardi sempre il cielo?”

Rimasi completamente spiazzata da quella nuova domanda.

Perché?

Strinsi la sigaretta tra i denti, aspirai e trattenni per un attimo il respiro, lasciando che l'aroma della sigaretta si gonfiasse nel mio petto.

“Perché in quello che fai deve esserci sempre un motivo? Una persona non può contemplare il cielo senza una ragione particolare o logica?”

“Ogni cosa, anche quella che appare superficiale, si fa per un motivo, Allyson. Anche se a volte ci sfugge quale esso sia...” sibilò. Aveva assunto un tono così serio che quasi non lo riconobbi. Si appoggiò sulla mia schiena facendo ancora più pressione.

Feci una breve pausa per riflettere: “In questo caso... io guardo il cielo per dimenticarmi ogni motivo che mi spinge a fare le cose.” risposi infine gettando lo sguardo verso terra.

Restammo in silenzio mentre il sole iniziò a nascondersi dietro alle nuvole da me tanto ammirate in precedenza. Rimbombava il suono delle campane: cinque tocchi di bronzo simili alle grida degli angeli annunciavano l'addio alla vecchia ora e accoglievano con pacata tristezza la diciassettesima ora.

“Già così tardi?” Daniel si alzò di scatto dalla panchina e si avviò verso una meta sconosciuta. Poi si voltò verso di me e inarcò un sopracciglio “Che fai? Non vieni?”

“Dove?”

“Tu dove vorresti andare?” domandò nuovamente, sorridendo.

Mimai con il volto l'espressione più interrogativa che riuscissi a presentare. Ammetto che in quel momento avrei voluto prenderlo a sberle.

Daniel scosse il capo divertito e poi riprese il discorso.

“Ti va di prendere un tè con me?”

“Divertente” scoppiai a ridere altezzosamente ma lui sgranò gli occhi, quasi colpito dalla mia reazione. “Spero che tu stia scherzando...”

“Spero che tu stia scherzando! Il tè delle cinque è un rito per noi inglesi. Bisogna rispettare certe tradizioni!”

“Ti rendi conto che siamo quasi in estate?! E perché vuoi invitare proprio me a seguire questa tradizione?” chiesi curiosa mentre buttai la sigaretta per terra e la schiacciai con il piede.

“Perché vorrei scusarmi per essermi comportato da perfetto cretino...” Si avvicinò e infine mi dedicò parole sussurrate “...e perché vorrei chiacchierare ancora un po' con te”

Non so come né perché... ma mi ritrovai ad accettare quella sua richiesta alquanto improvvisa. Forse perché vederlo in colpa mi faceva sentire superiore, come se avessi vinto una battaglia. E poi era soltanto un tè, pensai.

Ma non sapevo che in poco tempo sarei stata testimone di una importante decisione di quel matto frontman...

 

 

 

 

 

Entrammo in un bar molto suggestivo: le pareti erano state dipinte con un brillante oro e decorate da molte fotografie d'epoca e da specchi circolari ed eleganti. Guardando il mio riflesso mi accorsi che ero veramente impresentabile: l'elastico aveva ceduto alla forza dei miei capelli mossi e crespi permettendo così ad alcune ciocche di alzarsi disordinati per varie direzione mentre il trucco si era sbiadito e avevo un piccolo graffio sulla guancia sinistra, probabilmente causato dagli schiaffi che mi ero inflitta la mattina.

Inizia così a sistemarmi i capelli e il volto quando l'accensione delle luci mi distrasse e mi obbligò a guardarmi intorno: la luce rendeva quel locale ancora più luminoso e caldo, sembrava di essere in un palazzo dorato e scintillante.

Mentre continuavo la mia visita notai che Daniel si era seduto ad un tavolo vicino a una grande dispensa di legno piena di leccornie e oggetti d'epoca. Quando mi accomodai lui mi sorrise e prese i vari menù lasciati dalla cameriera.

“Vediamo un po'... cosa vuoi prendere?” mi chiese mentre adocchiava la lista.

“Non sono molto esperta nel campo dei “té”, di solito a quest'ora bevo un bel bicchiere di limonata ghiacciata. Perciò dovrai consigliarmi tu, mister patriottico” gli risposi sinceramente. Non bevevo tè da molto tempo; da piccola ero solita prendere un semplice Earl Grey ma parliamo di quando avevo sei anni.

“Ecco...” Daniel trattenne per qualche secondo il respiro e serrò i denti, non riuscivo a capire come mai quell'espressione stesse consumando il suo volto “Diciamo che non ho mai preso un té particolare, prendo sempre l'Earl Grey o al massimo un tè verde. Quindi siamo sulla stessa barca” scoppiò a ridere e io lo guardai senza trovare le parole adatte per insultarlo e maledirlo allo stesso tempo.

“Ho appena fatto una figura di merda?” mi chiese senza però togliersi quel sorriso imbarazzato dalla bocca.

“Direi proprio di sì” gli dissi io, non nascondendo divertimento.

La cameriera si avvicinò pronta per ordinare, io e Daniel ci guardammo spaventati e ancora indecisi.

La ragazza scoppiò a ridere e ci rassicurò affermando che sarebbe passata più tardi.

Restammo per tre minuti a leggere tutti i tipi di bevande e a litigare su quale fosse la pronuncia corretta per quelli orientali o indiani. Alla fine prendemmo due tazze di Earl Grey e un piatto di biscotti al limone.

Risultato: eravamo in un bar molto raffinato e avevamo preso il tè più semplice.

 

 

Avvolsi il bordo della tazza con le mani lasciando che il suo tepore mi scaldasse i palmi, mentre il vapore della bevanda raggiunse le mie narici viziandole con il suo aroma raffinato.

“Allora hai capito?” chiese Daniel all'improvviso mentre mescolava la bevanda.

“Cosa?”

“Quando ci siamo incontrati”

Se fino a quel momento pensai che quel ragazzo fosse semplicemente un tipo particolare, non appena concluse quella frase cambiai opinione e affermai ancora una volta che fosse un perfetto cretino.

Di nuovo quella sensazione, quella maledettissima sensazione di debolezza.

“No. Non ne ho idea e non voglio saperlo”

“Perché?” chiese lui sorpreso, poi bevve un sorso del tè.

“Sinceramente? Non piango spesso e, se capita, non lo faccio mai in pubblico. Quindi dubito che...”

Accade all'improvviso, in un istante ogni cosa divenne chiara: non avevo mai pianto, questo era vero. Ma c'è stata quella volta, quando dovevo presentare la mia sceneggiatura. Quella fottuta volta in cui cedetti alle mie emozioni, al mio lato fragile.

Daniel mi guardò e a giudicare dalla sua espressione capì che mi ricordai.

“Tu eri là?” chiesi quasi sconvolta.

“Sì, ti sei scontrata contro un mio amico mentre scendevi le scale... E non ho potuto evitare di guardarti, di notare le tue lacrime invisibili”

Abbassai lo sguardo, mi concentrai sulla mia immagine riflessa nel miscuglio scuro. Mai avrei pensato che in un posto di gente indaffarata ci potesse essere qualcuno preoccupato per una persona qualunque come me, in quel casino era riuscito a trovare interesse nei confronti di una ragazzina. Non riuscivo a crederci.

“Ho avuto un'allergia che mi ha fatto lacrimare gli occhi, per questo ho lasciato l'edificio.” mi giustificai. Ero troppo orgogliosa per ammettere che le mie erano lacrime di tristezza e di mancanza di fiducia.

“Come vuoi” sorrise.

“Daniel...” balbettai io.

“Ti prego, chiamami Dan” disse lui sorridendo.

“Dan... ti chiedo scusa.”

Non capì e si passò una mano in quei capelli così voluminosi da sembrare una creatura vivente.

“Ti ho accusato e rimproverato per una cosa di cui non avevo il diritto di parlare. Ho pensato a ciò che mi stava accadendo e ho approfittato della tua situazione per rimproverare me stessa. Ti chiedo scusa”

Mi sentii una stupida... anzi, la mia debolezza si era fatta più evidente. Ero come esposta.

“Sai, anche io devo chiederti scusa” chiuse per un attimo gli occhi e prese fiato. “Non so perché abbia insistito in quel modo, però volevo capire che tipo di ragazza sei. Volevo leggere la tua storia perché dal primo istante ho capito che tu hai qualcosa che mi affascina”

Arrossii di colpo. La sua era una frase totalmente imbarazzante.

“N-Non pensiamoci più, okay?” balbettai e poi ripresi a bere il tè cercando di non pensare alle sue parole.

Il calore della bevanda mi stava troppo addosso, come se mi stesse soffocando, e provai un certo disagio a incrociare il suo sguardo, così inizia a guardami intorno e la mia attenzione ricadde su una locandina in bella vista da una dispensa poco distante da noi.

Rappresentava “La Libertà che guida il popolo” di Eugene Delacroix, un famoso pittore francese del Romanticismo, e vi erano segnate alcune date per la Festa della Bastiglia.

Scoppiai a ridere, attirando l'attenzione di Dan.

“Che c'è?” chiese lui divertito.

Indicai la locandina e dopo aver finito il té gli dissi:
“Una festa francese che viene ricordata in Inghilterra e una locandina del genere esposta in un locale dove servono tutti i tipi di tè. È proprio comico non credi?”

Mi voltai verso Dan e notai una certa luce nei suoi occhi. Stava sorridendo.

Si alzò di scatto e si avvicinò a quella dispensa, accarezzandone il vetro.

“La presa della Bastiglia...” sussurrò.

Non capii perché fosse così tanto preso da quella festa.

“Il 14 luglio...” scoppiò a ridere. “Come ho fatto a non pensarci?”

Nuovamente credetti che fosse un perfetto cretino.

“Dobbiamo andare” riuscì finalmente a degnarmi di una frase, anche se mi lasciò spiazzata.

“Andare? Dove?”

Ma lui non mi sentì, si avvicinò alla cassa e dopo aver pagato il conto fece cenno con la testa di seguirlo.

Incredula, e leggermente nervosa, lo raggiunsi. Quando uscimmo dal bar erano già le sei passate, eppure ci riservammo una passeggiata per il centro di Londra.

“Dove stiamo andando?” chiesi dopo che Dan mi ignorò per parecchi minuti.

“Bisogna raggiungere gli altri” mi disse continuando a camminare; aveva un'andatura molto veloce, non riuscivo a stargli dietro.

“Per altri intendi i membri della band?”

Lui annuì e non capii come c'entrassi in quella storia.

“Ci aspettano davanti a...”

“Come “ci”? Perché comprendi anche me?”
“Perché sei ben voluta nel nostro gruppo.” mi confessò senza farsi troppo problemi.

“Quattro ragazzi che hanno più di vent'anni che accettano nella loro compagnia una ragazzina di diciotto... per caso sono finita in una sit-com?”

“Chissà... Guarda il lato positivo. È divertente!”.

 

 

 

“Eccoti finalmente! Oh, ciao Allyson! Che bello vederti!”

Chris mosse le braccia per salutarci mentre Will si limitò a un cenno del capo.

Kyle invece si avvicinò a me e mostrò un raggiante sorriso:
“Sono contento di vederti in forma! L'ultima volta mi sembravi giù di morale e dopo tutta quella faccenda credevo non volessi più vederci”

“Fidati, vi avrei già evitati la sera stessa se proprio vi avessi odiati. A volte mi basta solo guardare le persone per capire che non voglio avere a che fare con loro” Credo di essere stata troppa diretta e sincera con quella risposta, ma Kyle le diede poca importanza e non smise di sorridere. Era sempre un piacere parlare con lui.

“Allora dobbiamo ritenerci fortunati! Tranne te Will, secondo me tra te e Allyson potrebbero nascere delle liti”

L'interessato si voltò e fulminò Kyle con lo sguardo.

“Però non capisco perché debba restare, non c'entro niente con la band” confessai.

Kyle mi abbracciò, gesto che mi lasciò completamente spiazzata. Non ero una ragazza che amava i contatti fisici, non ero abituata ai baci sulla guancia da parte di Anne figuriamoci a un abbraccio dato da un ragazzo che conoscevo da poco tempo.

“E invece sei importante!” esclamò, senza smettere di stringermi “Possiamo considerarti come un portafortuna dato che ci hai incontrati tutti poco prima che diventassimo una band. Deve essere un segno del destino!” concluse mentre mi scompigliò i capelli.
“Ancora con questa storia? Non sono un oggetto!” gonfiai le guance e incrociai le braccia, fingendomi offesa.

Scoppiammo a ridere.

Poi, come colpita da una scossa, mi bloccai: non mi ero mai comportata così. Restai sorpresa e anche spaventata da me stessa.

“Ascoltatemi” Dan prese parola e attirò l'attenzione di tutti.

In quel momento mi sentii un pesce fuor d'acqua. Che diavolo c'entravo io in quella compagnia? Continuavo a ripetermi. Non riuscivo proprio a spiegarmelo.

“Dicci capo!” esclamò Kyle alzando la mano.

“Posso annunciare con grande orgoglio che ho scelto il nome della nostra band” annunciò Dan alzando il mento verso l'alto, con aria quasi strafottente.

“Era ora! Cominciavo a pensare che saremmo rimasti per tutta la vita i “Dan Smith” o “La Band senza nome!” lo schernì Will.

“Ma credevo che il nome lo avreste scelto tutti insieme. Di solito si fa così.” chiesi a Woody.

“Diciamo che abbiamo voluto lasciare questo compito a Dan essendo il nostro leader e colui che ci ha formati”
“Primo, non sono il vostro leader” si difese Dan “Siamo una squadra!”
“E per questo abbiamo bisogno di un capitano” precisò Will annuendo.

Dan sbuffò, arrendendosi all'idea di essere il pilastro portante di quel gruppo.

“Secondo... Promettete di non ridere” supplicò il leader ai suoi compagni che sgranarono gli occhi, preoccupati.

“Fantastico... ci è toccato un nome imbarazzante” bisbigliò Woody a Will.

Dan prese un bel respiro poi sorrise.

“Ci chiameremo Bastiglia*!”

Per un attimo vi furono solo silenzio, bocche spalancate e risate trattenute.

“Bastiglia?” chiesi. Capii il motivo del suo interesse verso quella locandina. Ma non mi era chiaro come mai si fosse ispirato a quello.

“Posso dire una cosa?” chiese Will alzando la mano come se fossimo a scuola. “Sei proprio un egocentrico di merda” concluse il più anziano del gruppo facendo ridere tutti gli altri.

“Perché?” chiesi, non capendo la sua allusione.

“Non lo sai? Dan è nato il 14 luglio, il giorno della presa della Bastiglia” mi disse Woody.

Sgranai gli occhi e guardai Dan che mi sorrise imbarazzato.

“Dici di non voler essere al centro dell'attenzione e chiami la tua band con la festività che ricade il giorno del tuo compleanno?!” esclamai.

Non potevo crederci.

“Non ho altre idee” confessò lui grattandosi i capelli “E poi suona bene!”

“Sempre meglio di Dan Smith” borbottò Will, poi sorrise “E Bastiglia sia” concluse mostrando un sorriso quasi compiaciuto.

“Ora che abbiamo un nome possiamo cominciare a lavorare seriamente!” affermò Woody. Non appena vidi i suoi occhi brillare sorrisi, in fondo non era cambiato più di tanto. Era sempre il solito ambizioso e appassionato Chris.

Dan annuì, poi si voltò verso di me e sorrise.

Era un sorriso diverso rispetto a quelli mostrati in precedenza: se fossi stata una persona più matura avrei tradotto quell'espressione in tutt'altro modo e gli avvenimenti successivi mi sarebbero apparsi più chiari.

Ma in quel momento il sorriso Dan mi sembrò solo la dimostrazione del suo sollievo per aver trovato il nome della band.

“Ci impegneremo per accontentare la nostra fan preferita”

Kyle aveva interrotto il corso dei miei pensieri e si era letteralmente buttato su di me e mi aveva accarezzato la testa sempre sorridendo.

“Fan?” balbettai io, imbarazzata da quel suo gesto.

“Certo! Tu sei la nostra fan oltre che il nostro portafortuna!”

“Per giudicare la vostra musica e diventare una vostra seguace dovrei prima sentirvi suonare qualcosa di vostro invece che delle cover, non credi?”

Non appena conclusi la frase mi bloccai, presa da un attacco di ansia: avevo detto una grande cazzata, per un attimo credetti di aver ferito i sentimenti di Kyle e di aver rovinato quell'atmosfera così intima e calorosa creatasi.

Tuttavia la reazione fu del tutto diversa dalle mie supposizioni.

“Hai ragione. Aspetta e vedrai, ti stupiremo.” Kyle mi fece l'occhiolino “Magari diventi la nostra groupie!”

“Ci manca solo questa...” esclamò Will incrociando le braccia.

“Non ti piacciono le ragazze che mostrano le tette durante i concerti Will?” gli chiesi sarcastica.

“Non ho detto questo... Solo che non vorrei averti come nostra grupie, anche perché credo che nelle tue condizioni non riusciresti ad attirare la nostra attenzione” sorrise maliziosamente indicando le mie “gemelle”.

Spalancai la bocca indignata e offesa.

“Ma... ma come ti permetti?!” gli urlai e di istinto mi coprii il petto con le braccia. Woody cercò di trattenere le risate mentre Kyle sgranò gli occhi cercando di evitare il peggio.

“Ecco... Allyson non fare caso a lui. Sono sicuro che saresti una groupie meravigliosa anche nelle tue curve limitate”

Stavo per esplodere.

“Limitate?!” ruggii, fulminandolo con lo sguardo.

“No! Non intendevo...”

“Aiuto... avete risvegliato la bestia” sussurrò Woody ai suoi due compagni che si spaventarono non appena videro il mio volto.

Quando mi arrabbio tendo a sgranare gli occhi e arrossisco velocemente, inoltre le narici si dilatano perché tendo a fare respiri brevi ma densi; è un tic che ho sin da quando ero bambina, perciò chi mi conosce bene sa quando sto per perdere la testa.

“Altro che fan, portafortuna... Vi siete appena guadagnati la prima antifan. Mostrerò al mondo la vostra vera faccia: ragazzi pervertiti, maleducati e barbosi, nel vero senso del termine! Sarò la vostra gatta nera, la sfortuna si abbatterà sulla band Bastiglia!”

Pronunciai io agitando le mani come se fossi stata una strega mentre Kyle si buttò, letteralmente, tra le braccia di Will che prontamente lo prese al volo; non so come ci sia riuscito, deve aver avuto dei riflessi incredibili... o probabilmente era abituato a simile azioni da parte di Kyle.

Tentai di restare seria ma una risata mi sfuggi così cercai di mantenere il controllo della situazione continuando a far danzare le mani in movimenti circolari improvvisati.

“Allyson”

Daniel, che era rimasto in silenzio per tutta la discussione, prese parola e, prendendomi per il braccio, mi costrinse a voltarmi verso di lui, a incrociare quello sguardo che tanto mi turbava.

“Anche sei vieni frenata da certe circostanze non vuol dire che tu non sia una persona meravigliosa...” mi sussurrò. Mai mi sarei aspettata una simile affermazione, non ero pronta ad un simile complimento. E non finì lì. “E poi sei bella quando sorridi. Vorrei vederti così più spesso”

Ero rossa quanto il colore dei miei capelli. Mai avrei pensato di cedere al piacere di un complimento così particolare.

Will lanciò una fischiatina mentre Woody sorrise nel vedermi arrossire. Kyle si avvicinò e nuovamente passò una mano tra i miei capelli.

“Dan ha ragione. Cerca di non abbatterti per delle stupide cadute o per l'esame! Ricordati, il sorriso è la parte più bella di una persona... insieme ai capelli ovviamente”

“I capelli?” chiese Will divertito.

“Certo! I capelli rendono una persona affascinante! Guarda quelli di Allyson per esempio!” esclamò prendendo una ciocca tra le dita e esaminandola con cura “Così setosi, profumati e di un brillante rosso tiziano... sono bellissimi!”

In quel momento credetti di morire di imbarazzo. Il mio cuore prese a battere ancora più veloce e per poco non balbettai frasi insensate per fortuna Will riprese parola e mi salvò da un'epocale figura di merda.
“Io credo che la bellezza stia in tutt'altro”

“Per forza, tu hai pochissimi capelli” affermai indicando la sua testa e lui sobbalzò e si passò una mano tra i corti ciuffi castani.

“Non è affatto vero! Li ho solo tagliati più del solito!” borbottò.

“Wow, Will che fa il permaloso!” lo schernì Dan ma si pentì un istante dopo, quando Will minacciò di colpirlo.

“Ora siamo pari, William” lo provocai alzando il mento vittoriosa.

“Ti preferivo silenziosa e depressa... adesso ti stai montando troppo la testa, ragazzina” disse Will puntandomi contro il dito.

Restammo a chiacchierare del più e del meno per altri venti minuti, il tempo non mi era mai sembrato così egoista nel suo andare. Per la prima volta trascorsi momenti piacevoli senza provare pena né invidia per le persone che mi circondavano. Dimenticai ogni cosa, mi sentii così leggera e naturale che per un attimo credetti di stare per spiccare il volo verso il cielo.

E tutto era nato da una discussione su una festività francese... Chi lo avrebbe mai detto?

 

 

 

Tornai a casa per le sette, giusto in tempo per la cena.

Mi beccai una bella ramanzina da parte di mia madre dato che avevo perso un pomeriggio di studio: era preoccupata che stessi per prendere una brutta abitudine. Se solo avesse saputo che quel pomeriggio perso a procrastinare era stato catartico e più istruttivo di un libro credo si sarebbe congratulata con me e mi avrebbe adulata.

Dopo un bel piatto di pasta e un'abbondante insalata la tensione creatasi tra me e i miei genitori svanì del tutto e ci godemmo una normale cena in famiglia.

Mentre mangiavo non riuscivo a togliermi dalla testa lo scorrere delle immagini che avevo visto e vissuto in quella giornata particolare, pensate che sentivo ancora, stampato sulle labbra, il gusto dell'Earl Grey del pomeriggio.

Dopo cena andai direttamente in camera: mi tolsi i vestiti e mi sdrai sul letto, ero così esausta che non ebbi la forza di mettermi il pigiama così restai in biancheria intima.

Mille pensieri affiorarono nella mia mente eppure non erano per niente fastidiosi. Avevo provato così tante emozioni che il mio cuore sembrava esplodere.

La vita è imprevedibile, puoi aspettarti di tutto, anche se si tratta di una sola giornata. Il tuo punto di vista può variare anche solo per una stupidaggine, puoi maturare anche per una cosa semplice come prendere il tè.

Queste erano le frasi che continuavo a ripetere, come se fossero state la morale di una favoletta durata un giorno.

Successivamente mi resi conto di non aver dato il mio numero ai ragazzi così presi il cellulare, quasi d'istinto, e mi accorsi di tre messaggi da parte di Anne. Non ricordo tutto il messaggio, però il senso dei tre messaggi era lo stesso: “ti stai allontanando da noi, Allyson. Dovresti essere meno distaccata con le tue amiche”.

Fu in quel preciso istante che avvenne il cambiamento...

Mi alzai di scatto e in un attimo le mie difficoltà, i miei dubbi e il mio dolore riemersero...

Se continui a comportarti così poi resterai da sola”

Ricordai le parole di Anne, sentivo perfettamente la sua voce, era come se fosse piombata nella mia stanza e mi stesse punzecchiano con quelle parole affilate e quel tono cattivo.

Poi pensai ai ragazzi: per un attimo credetti davvero di contare qualcosa per loro...

Per un misero secondo nel mio cuore si accese la speranza di aver trovato degli amici veri, come quelli dei libri o delle fiction.

Invece no... In quel momento paragonai quel pomeriggio come un sogno: era stato tutto un intermezzo dove provai allegria e distrazione, ma poi mi ero svegliata e tutto era rimasto come prima.

L'indecisione, la mancanza di fiducia, l'assenza di Ice... non era cambiato nulla.

Era stato un sogno, meraviglioso... ma pur sempre un sogno.

Mi sentii se avessi avuto una scheggia conficcata nel mio spirito: ebbi l'impressione che presto essa sarebbe penetrata in profondità portando a sgretolarmi in mille e insignificanti frantumi.

Poi la vibrazione del mio cellulare attirò la mia attenzione. Convinta che fosse Anne, aveva la tendenza di mandarmi messaggi verso tarda sera, lo afferrai e aprii il messaggio.

Ma nuovamente venni travolta dalla sorpresa.

“Pronta per assaltare la Bastiglia?”

 

 

 






* Ho voluto mettere il nome tradotto, perché per gli inglesi il nome risulterebbe “Bastiglia”.

Dai prossimi capitoli tuttavia lascerò Bastille




La Tana del Sogno
Ciao a tutti!

Eccomi con il nuovo capitolo, spero vi sia piaciuto! Sono stata più attenta nella revisione perciò spero non ci siano errori!

Forse sto andando un po' lenta con la trama (… anche con la pubblicazione, ora che ci faccio caso) perciò dai prossimi capitoli cercherò di “accelerare le cose” e andare subito alle questioni interessanti (o almeno, spero siano interessanti).

Anche perché ormai vi sarete stufati di sentirvi tutte le paturnie mentali che si fa Allyson ^^''.

Ringrazio i lettori, silenziosi e non, e gli amici che recensiscono.

Grazie per il supporto che mi date e per la pazienza che portate, vi adoro.

Avrei voluto pubblicare un mese fa ma la scuola si sta rivelando molto impegnativa e gli esercizi che mi danno occupano tanto tempo. Perciò fino a maggio l'aggiornamento non sarà frequente (salvo casi eccezionali). Mi sento uno schifo, vorrei tanto essere più ordinata e concentrata.

Però ammetto che, tra tutte le storie che ho in cantiere, questa è quella a cui tengo di più perciò avrà la precedenza ^_^

Curiosità: il titolo, a chi interessa, è un gioco di parole nato dal detto “a storm in a teacup” che significa “un litigio di poco conto, che si risolve subito”.

Auguri a tutti di un felice anno nuovo! Dai che il 2016 è l'anno del secondo album!

Io sono già in estasi per le nuove canzoni (sono in fissa con Send Them Off, la adoro)

Grazie ancora, un bacio e buona fortuna per tutto!
Yume

 

   
 
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