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Autore: Relie Diadamat    10/01/2016    2 recensioni
Arthur Pendragon crede che, dopo l'arrivo dell'anonima Freya Lake Wood, nulla sia cambiato nella sua vita, ma dovrà presto ricredersi. Studente all'Avalon's, dovrà scontrarsi con Merlin Emrys, suo nuovo docente di Psicologia che sembra subito prenderlo di mira. Arthur crede sia tutto normale ma... che collegamento potrebbe esserci con la scomparsa di Freya Lake Wood e l'azzurro indecifrabile delle iridi del suo insegnante?
Dal prologo:
Poteva sembrare l’uomo meno sospettabile dell’intero Universo, ma quando tamburellava le sue dita sul banco più trascurato e anonimo dell’intero istituto, ad un mero soffio dalle mani di Freya Lake Wood, il lato oscuro del professor Emrys cominciava a riemergere, seppur adombrato dal suo sguardo cristallino e le sue maniere affabili.
Quel qualcosa, che nonostante tutto continuava a sfuggirmi.

*
Quanto a me, posso solo dire che Freya Lake Wood fece parte della mia vita come una stella fa parte del cielo in presenza del Sole: nell’ombra, oscurata dalla luce dei raggi.
*
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[Arthur/Freya] [Morgana/Merlin/Nimueh] [Merlin&Arthur] [POV alternato Merlin/Arthur]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Freya, Merlino, Morgana, Nimueh, Principe Artù | Coppie: Merlino/Morgana
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
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Nda: Buon salve a tutti!
Uhmm, sì... ho iniziato una nuova long ma... fermi tutti! Ho i miei buoni motivi:
a) pochi giorni fa ho visto il film "Città di Carta" e ne sono rimasta dolorosamente delusa;
b) amo la psicologia.
Cosa c'entrano queste due cose messe insieme? Ebbene, eccovi servita una spiegazione: la storia è vagamente ispirata AL FILM 'Città di Carta', ma si baserà tutto sulla psicologia. 
Per comprenderla meglio vi consiglierei vivamente di ascoltare la canzone "Iridescent" dei Linkin Park. Non voglio svelarvi nulla, ma sappiate che è qualcosa di nuovo anche per me.
Spero vi piaccia e, se volete, potrete farmelo sapere ^^
Buona, spero, lettura!

PROLOGO




C’erano delle storie sui suoi passi incerti e furtivi, mille dicerie su quei capelli crespi come stoppa che graffiavano l’aria e quegli occhi, di legna bruciata, impauriti dal mondo. Più o meno tutte rasentavano l’inverosimile.
Non importava quanto affollate fossero le strade inglesi, né tanto meno quanto accecanti potessero essere le luci di città; il silenzio della maledetta era un frastuono che le orecchie del mondo non potevano evitare.
Quanto a me, posso solo dire che Freya Lake Wood fece parte della mia vita come una stella fa parte del cielo in presenza del Sole: nell’ombra, oscurata dalla luce dei raggi.
Le poche volte che i miei occhi ricadevano sulla sua figura avvolta nel mistero, la guardavano. Era strana, Freya Lake Wood. Portava addosso il mantello dell’anonimato riflesso sulla bocca di tutti, un anonimato di cui quasi tutti parlavano senza importanza.
Mi era capitato di guardarla, ma solo una volta la osservai davvero.
 
 
 
 
La prima volta che mise piede nel quartiere, Freya Lake Wood tenne incollato lo sguardo sulle sue scarpe, scendendo dal sedile posteriore della Dacia blu metallico.
Avevo dieci anni e mi sorreggevo la testa con i palmi delle mie mani, annoiato, guardando fuori dalla finestra.
La mia fronte scottava come la lava dell’Etna, ma i miei occhi erano più vivi di mille calciatori grondati di sudore.
I capelli erano banali, di un comune castano spento. Trasandati.
Indossava abiti sobri e scuri, anonimi. I suoi occhi non si sollevarono mai nella mia direzione.
Non c’era proprio niente di speciale in quella ragazzina ordinaria. La prima impressione che ebbi di lei, fu quella di osservare il pennello sporco di un pittore. Un pennello adoperato per creare un capolavoro, ma che rimaneva pur sempre solo un semplicissimo pennello.
Quella mattina il Sole se ne stava nascosto dietro le nuvole, dipingendo il cielo con tratti d’argento e di bianco. La mia fronte pareva una pentola in acciaio dimenticata sul fuoco, Freya Lake Wood era un insignificante pennello, dimenticato accanto alla tela dell’artista.
Fu proprio nel momento in cui decisi che sarebbe stato più emozionante indirizzare lo sguardo sullo schermo spento del mio televisore, che colsi la figura distinta di una donna incappottata. Mi dava le spalle e, nonostante il suo volto mi fosse ignoto, bastarono i suoi capelli a ipnotizzare le mie iridi sul suo corpo eccentrico. Curate, perfette e quasi dipinte, ciocche rosse ricadevano sulla sua schiena.
Portava qualcosa con sé, una forza indecifrabile che mi costrinse a deglutire, impaurito dall’essere scoperto.
Fu in quel momento che la osservai, per la prima volta.
La donna tese la sua mano guantata alla bambina. Freya Lake Wood s’irrigidì sul posto, diventando una statua di marmo. Non seppi dire se tremasse, ma di certo avvertii l’angoscia riecheggiare nella sua immobilità.
Freya Lake Wood si ancorò all’invisibile filo che collegava i suoi occhi alle Hogan consumate che calzava, raggiungendo impotente la mano della donna con la propria.
Prima di scomparire oltre la porta di quella che, da quel momento in poi, sarebbe diventata la sua dimora, Freya Lake Wood sollevò il capo, bloccando i suoi occhi sulle finestre aperte delle case adiacenti.
Uno sguardo, quello di Freya Lake Wood, simile ad una muta supplica al mondo.
Una supplica che, come altri dopo di me, ignorai allontanandomi dalla finestra.
 
 
**


 
Gli anni passarono.
I miei capelli biondi si allungarono di qualche centimetro, i miei muscoli si accentuarono e fumai di nascosto più di trenta sigarette.
Arrivarono i miei diciotto anni e con loro anche un nuovo insegnante di Psicologia: il professor Merlin Emrys. Era più adulto di quanto pensassi, più idiota di quel che il suo completo elegante potesse nascondere.
La barba rasata, lo spirito allegro e la sua passione per la materia, diventarono presto soggetti di mille chiacchiere nei corridoi dell’istituto Avalon’s.
Sembrava un ragazzino appena laureato – e infatti lo era -, e non mancava giorno che non m’infastidisse con le sue stupide frecciatine.
«Qualcuno di voi sa per caso chi sia Anna Freud?», esordì un giorno – uno dei primi -, dando le spalle alla cattedra, poggiandovisi lievemente.
Mi schiarii la voce, guardando verso gli altri banchi.
Guinevere era rimasta in silenzio, indecisa se alzare o meno la mano. Guinevere Greenwood era la studentessa più timida e capace, presente nella nostra aula. Un po’ insicura di sé, teneva i suoi occhi castani fissi sui libri, crespando le labbra screpolate in sorrisi imbarazzati dopo aver ricevuto un complimento di qualsiasi natura.
Quel giorno la Greenwood optò per un silenzio solidare – nei miei confronti, decisi -, sistemandosi la montatura spessa sul naso.
Guinevere non mi era poi così indigesta. Era una ragazza semplice, forse un po’ troppo sognatrice. Non era facile notarla, a differenza del resto delle ragazze truccate e alla moda. La Greenwood aveva una faccia pulita e una strana ossessione per gli animali e l’ambiente.
Vivian Lloyd, invece, era conosciuta in tutto l’Avalon’s per i suoi fianchi provocanti, il suo bel faccino da modella strafottente e la sua bisessualità. Era bella, certo, ma il pensiero di condividere una sola notte con lei mi rendeva insoddisfatto. Quella ragazza era insoddisfacente. O, almeno, quella era la sua maschera.
«Allora?», il professor Emrys ci sorrise con aria amichevole. «Non v’incolperò della sua morte, eh. Uhmm… Signor Foster, vuole essere così gentile da rispondere per la classe?»
«Io?» William s’indicò il petto, metà tra l’interdetto e l’accigliato.
«Conosce altri Foster in questa classe?», gli chiese ironico di rimando il professore, con un’aria piuttosto pacata.
Sbuffai una risata, osservando quell’idiota di Will divenire prima bianco cadavere e poi rosso pomodoro.
Fin dall’inizio, tra me e William Foster era nata un’ostilità reciproca che mai riuscimmo ad acquietare. A William, tutte le partite perse sul campo non gli erano mai bastate per comprendere chi fosse il migliore.
Prima ancora che me ne accorgessi, però, quell’idiota di Emrys si voltò nella mia direzione, inchiodando i suoi occhi azzurri su di me: «Vuole divulgarci il suo sapere, signor Pratdragon?»
«Pendragon», lo corressi, ignorando le stupide risa della classe.
«Suvvia! Cos’è mai un nome?», minimizzò Emrys. «Quella che chiamiamo "rosa" anche con un altro nome avrebbe il suo profumo
Oh, beh, adesso siamo passati a letteratura!
Decisi d’ignorare quel sorriso beota che allargava fastidiosamente le labbra del mio insegnante, assumendo una posa sicura e fiera – come mio padre mi aveva sempre detto -, pronto a far eclissare quella sorta di ghignetto patetico dalla bocca di quel professore da quattro soldi. «Anna Freud, nasce a Vienna il-»
«Questa è la prima cosa che le viene in mente di Anna Freud?», m’interruppe.
Rimasi per un attimo con la bocca semiaperta, domandandomi cosa mai volesse quell’essere privo di educazione e senza alcuna grazia. Feci velocemente mente locale, rispondendo pronto: «Certo che no. Anna Freud fu la figlia di Sigmund Freud-»
«La sua arguzia mi sorprende, signor Pendragon!»
Sentii il mio sopracciglio destro schizzare verso l’alto, la mia mascella serrarsi d’istinto. «Se solo mi lasciasse finire…»
Sorrise, quasi allettato all’idea di vedermi cadere in fallo, congiungendo le mani dietro la schiena, staccandosi dalla cattedra. «Sa elencarmi almeno due maccanismi di difesa?»
«Introiezione, rimozio-»
Ancora prima che potessi accorgermene, Merlin Emrys si avvicinò al mio banco, chiudendo con un gesto secco il libro di psicologia. «Adesso, signor Pendragon, provi a ridere di nuovo».
Lo vidi allontanarsi col suo solito sorriso stampato in volto, prima che interrogasse Guinevere, la quale parlò ininterrottamente per qualche minuto, stoppandosi solo per riprendere fiato.
In un angolo della classe e con lo sguardo perso nel vuoto, Freya Lake Wood restava muta e impassibile dinanzi al movimento del mondo; i suoi capelli crespi erano cresciuti a differenza dei suoi seni, ancora piuttosto acerbi per i suoi diciotto anni. La sua figura esile, ancora una volta, pareva un ninnolo effimero lasciato su un mobile qualsiasi, con l’unico obiettivo di arricchire l’arredamento.
Non prestai attenzione alla screpolatura delle sue labbra secche, né al modo irrazionale con cui il bordeaux della divisa dell’Avalon’s stonasse con la sua anonima essenza.
 
 
**



Il tempo passava, il mio odio nei confronti del professor Emrys accresceva come la media già elevata di Guinevere Greenwood. Freya Lake Wood restava una presenza evanescente dall’altra parte della strada.
La vedevo rintanata nella sua stanza il sabato sera quando, afferrando le chiavi dell’auto, mi capitava di dare un’occhiata fugace alla sua finestra. La intravedevo sul ciglio del marciapiede col capo chino di ritorno da scuola, con la sua felpa grigia tirata fino ai palmi delle mani e il cappuccio calato sul volto.
Passava la maggior parte delle sue giornate – le più uggiose – con le cuffie nelle orecchie ad ascoltare chissà cosa, chissà a che volume. Se ne restava a guardare il prato spento e triste dell’Avalon’s, soffermandosi sull’orizzonte fangoso dei fili d’erba.
Londra non aveva molta luce da offrire, ma donava tonnellate d’argento. Argento passivo.
Era come se tutto quel metallo vaporoso osservasse la città dall’alto, senza mai interagire con tutte quelle persone che sovrastava imponente.
Osservazione passiva.
Quell’idiota del professor Emrys ce ne aveva parlato in classe, durante una delle sue inutilissime lezioni della sua inutilissima materia.
Perché mai studiare la Psicologia? Mi chiedevo.
Mio padre, per il quale sapersi costruire uno sbocco nel mondo del lavoro era tutto, continuava a ripetermi di non perdere tempo dietro a materie insipide e futili come le Scienze Umane e l’Arte ma, piuttosto, mi orientava con fare autoritario verso discipline che mi sarebbero servite per diventare qualcuno degno di rispetto: matematica, scienze, fisica, diritto…
Il mio insegnante non si scomodava nel fingere. Metteva in mostra quel suo sorriso spensierato e quelle due fossette vistose sulle guance, lanciandomi continue provocazioni velate. Sapeva chi fossi, ma quell’insegnante da strapazzo ignorava ciò che miravo di diventare.
Mi domandavo, quando prendeva a camminare per l’aula muovendosi con fare disinvolto tra gli studenti, cosa pensasse di poter ottenere fermandosi ad un millimetro dal mio fianco, poggiando una mano sulla superficie liscia del mio banco. Cosa, quello stupido del professor Emrys, credesse di ottenere inchiodando i suoi occhi azzurri nei miei.
Quell’uomo, che chiunque avrebbe facilmente scambiato per un fenomeno da baraccone, possedeva un lato oscuro nella limpidezza dei suoi occhi: un pezzo mancante di un puzzle, un vetro appannato o un romanzo troncato di netto. Merlin Emrys, diveniva affascinante ed estenuante per quel piccolo e significativo particolare. Un particolare che avevo colto, ma di cui ignoravo la natura.
Poteva sembrare l’uomo meno sospettabile dell’intero Universo, ma quando tamburellava le sue dita sul banco più trascurato e anonimo dell’intero istituto, ad un mero soffio dalle mani di Freya Lake Wood, il lato oscuro del professor Emrys cominciava a riemergere, seppur adombrato dal suo sguardo cristallino e le sue maniere affabili.
Quel qualcosa, che nonostante tutto continuava a sfuggirmi.






 


Relie's corner
Vi informo solo che la figura di Merlin Emrys è stata influenzata molto anche da quella del mio ex professore di psicologia. Il rapporto conflittuale tra Merlin e Arthur è più o meno simile a quello che ho avuto io con il mio docente. NON DIVAGATE CON LA FANTASIA, PLEASE.
La scena dell'interrogazione su A. Freud è un episodio realmente accaduto, ma non alla sottoscritta (ovviamente!): una ragazza durante il compito stava suggerendo alla sua amichetta del cuore tutte le domande; alla fine dell'ora, quando tutti avevano consegnato, il prof le si avvicina e le chiude il libro di scatto, per poi dirle: "Prova a suggerire adesso".
L'ho stimato con tutta l'anima!

Aspetto i vostri pareri sul prologo!
Alla prossima!

 
   
 
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