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Autore: Elrais    10/01/2016    3 recensioni
Prendete un Ryuzaki refrattario al sapone, un Matsuda desideroso di dare una mano e un Mogi scomparso nel nulla; aggiungete immondizia in grandi quantità e mescolate bene. Servite con scaglie di Watari in una veste insolita e, se volete dare più gusto al tutto, accompagnate con un Light all'aroma di Armani.
Storia partecipante al contest "Death Note Contest LxLight is Justice" indetto da Mirella.EFP e Scintilla19.
Genere: Commedia, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: L, Light/Raito, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Elrais
Titolo storia: Di fate, spirali e acceleratori
Rating: verde
Immagine scelta: L’ora del bagno
Prompt: paperella
Genere: Commedia/parodia
Avvertimenti: nessuno
Note autore: Storia partecipante al contest “Death Note Contest – LxLight is Justice” indetto da Mirella.EFP e Scintilla19. Precisazione: come scritto nelle note, non ci sono coppie (non shippo L e Light, ormai ve l'ho ripetuto fino alla nausea!XD), gli accenni che potreste trovare derivano dal tentativo di parodizzare gli atteggiamenti ambigui che il detective porta avanti per tutto l'anime.

Di fate, spirali e acceleratori


Un altro giorno moriva su Tokyo, un altro giorno illuminato dalla leggendaria opera di Kira. Ormai il suo segno non aveva uguali, il suo giudizio era inappellabile. I piani del dio del nuovo mondo erano chiari, nella sua mente la strada da percorrere si diradava senza intoppi: il castigo divino si sarebbe prima abbattuto sugli ingiusti, risparmiando gli uomini di buon cuore, gli ingenui e i sognatori; quando poi fosse giunto il momento, Kira avrebbe punito anche i sognatori, perché colpevoli di perdersi nel loro mondo risultando inutili alla comunità; quindi sarebbe passato agli ingenui, perché ingenuità fa rima con stupidità e la stupidità non era ammessa nel mondo perfetto.

Nei panni degli uomini di buon cuore, non avrei dormito sonni tranquilli.

Quel giorno, tuttavia, era ancora tra i primi dell’opera di Kira e il sole languente gettava i suoi raggi sulla chioma luminosa di Light Yagami: tale essere dalle divine fattezze si aggirava tra le strade della città con lo sguardo corrucciato, tanto perso nei suoi profondi pensieri da non notare le due ragazzine che, con tanto di cioccolatini a forma di cuore, lo pedinavano da circa venti minuti.

“Forse è ancora presto per sperare in una risposta dal secondo Kira” pensava aggrottando la fronte, col risultato di apparire ancora più affascinante. Una donna in evidente stato interessante, un vetturino con un casco d’insalata e una vecchietta dallo sguardo arzillo si unirono alle due ragazzine.

“Comunque sia, oggi è stata mandata in onda la nostra risposta al suo video: devo assolutamente passare al quartier generale per controllare come vanno le cose.” Light si morse l’interno del labbro. “E poi, ultimamente mi sembra ancora più necessario tener d’occhio Ryuzaki. Le sue stramberie si moltiplicano giorno dopo giorno.”
Con un gesto deciso si sistemò il nodo della cravatta, abbinata alla cintura, abbinata ai lacci delle scarpe, abbinati alla moquette della camera di L. Le due ragazzine morsero le scatole di cioccolatini, rischiando di strozzarsi col cartone, mentre la vecchietta e la donna incinta sfogavano le voglie represse masticando rumorosamente l’insalata del vetturino. «In questi casi io spesso uso i popcorn, ma questa è meglio» confidò la vecchietta con aria saggia, «perché poi, sa, quelli mi si attaccano sempre alle otturazioni…»
“Certo,” continuava Light, perso nel suo monologo interiore, “non posso dire che Ryuzaki sia mai stato un tipo ordinario, ma non mi sento di escludere che questa variazione nel suo comportamento sia legata alle indagini. Senza contare che, francamente, la situazione sta diventando imbarazzante… Forse è così che diventa quando segue una pista valida? O quando si sente tanto vicino alla meta da non vedere altro? Anche se, a dirla tutta, ho sempre avuto l’impressione che non si curi troppo della propria persona… Sembra quasi che abbia bisogno di aiuto in tutto ciò che concerne la vita quotidiana.”
Il ragazzo aumentò il passo, costringendo la donna incinta e la vecchietta ad ansimare per stargli dietro.
“D’altronde, il suo tipo di intelligenza impone un certo distacco dalla realtà. Ma se, invece, fosse semplicemente tanto concentrato da dimenticare la propria igiene personale? Non è detto che debba essere seguito come un bambino… E poi, da chi? Sono abbastanza sicuro che gli altri ‘L’ di cui mi aveva parlato siano un bluff, ma non posso escluderlo con certezza. Comunque, che siano effettivamente investigatori o no, è indubbio che ci siano dei collaboratori che non conosco.”
In un impeto di frustrazione Light si ravviò una ciocca di capelli, che tornò perfettamente al suo posto.
La donna incinta partorì.
Il dio del nuovo mondo, tuttavia, non poteva lasciarsi sconcertare da tali sottigliezze e ignorò la folla che si stava radunando attorno alla puerpera; avanzò veloce schivando le persone, mentre scriveva nomi di criminali su pezzetti del Death Note con una mano nascosta nella tasca destra del cappotto, risolveva i problemi di matematica di Sayu con l’altra mano infilata nella tasca sinistra, e aiutava la vecchietta che lo seguiva ad attraversare la strada.

Quando raggiunse l’albergo in cui alloggiava Ryuzaki, stavano ormai calando le prime luci della sera.
Il ragazzo entrò nella stanza che fungeva da quartier generale e quello che vide gli fece storcere la bocca dal disgusto: L era seduto di fronte al monitor, circondato da cartacce di caramelle, rimasugli di gelati e piatti sporchi di torta; un cumulo di rifiuti ricopriva quasi completamente la postazione del detective, tanto che ormai poteva utilizzare una torre di immondizia come poggiatesta. Considerando che l’investigatore era solito cambiare albergo ogni mattina, produrre una tale quantità di spazzatura poteva essere considerata davvero un’impresa eroica. Ormai questa situazione si protraeva da più di dieci giorni e nessuno, all’interno del quartier generale, sembrava in grado di arginarla.

Light fece qualche passo in direzione di Ryuzaki, rassegnato, quando qualcosa lo fece bloccare di colpo: impallidì, sgranando gli occhi. La sua voce uscì strozzata.
«Ryu… Ryuzaki…»
«Sì?» L’investigatore voltò il capo in direzione del ragazzo. «Tutto bene, Light? Sembri pallido.»
L si alzò dalla sedia su cui era accovacciato, scavalcò una coppa di gelato, una torre di carte di pasticcini,  un acceleratore di particelle e si avvicinò al giovane. «Che ti succede?»
Light deglutì, ma la sua difficoltà era palese. Sembrava che parlare gli costasse un’enorme fatica. «Ecco… Solo…»
«Sì?»
«Come hai…?»
Il detective avvicinò il viso a quello di Light, con il pollice al mento e lo sguardo sgranato. «Come ho cosa?»
«Come… come…»
E all’improvviso, il ragazzo esplose: «Come hai potuto dirmi che la moquette della tua stanza è verde
L lo fissò per qualche istante. Quindi, con lentezza, abbassò lo sguardo fino ai propri piedi. «Beh, perché è verde, Light.»
«No, non lo è! È palesemente turchese! E ora la mia cravatta e la cintura, e i…»
 Light si bloccò, gli occhi sgranati, colpito da un’inaspettata rivelazione. “Ma certo, lo ha fatto apposta: mi sta mettendo alla prova. Forse pensa che Kira, nel suo desiderio di un mondo perfetto, abbia anche la tendenza a curare il suo aspetto in maniera maniacale. Se mi mostrerò agitato o irato, penserà che io sono Kira?” Ridacchiò, a pochi centimetri dal viso del detective. “Non sono certo così stupido. Non raccoglierò la tua provocazione.”
«Light? Sei proprio sicuro di sentirti bene?»
L inclinò la testa di lato, incuriosito, ma il giovane di fronte a lui stava già sfoggiando il suo solito sorriso di classe.
«Sì, certo. Scusami, Ryuzaki, non è niente.» Light si tolse la cravatta sotto lo sguardo perplesso dell’investigatore.
«Sai, c’è una cosa che vorrei dirti» mormorò il detective, pensoso. Fece un altro passo in avanti e il suo naso quasi sfiorò quello del ragazzo. «Ultimamente, indossi davvero una quantità eccessiva di profumo.»
«Ah, sì?» rise l’altro, indietreggiando con la scusa di piegare la cravatta. Si schiarì la gola, lanciando uno sguardo torvo all’investigatore. «In realtà, mi aiuta a non sentire altri odori…»
«Beh, credo sia troppo, Light. È nauseante, si fa fatica a starti vicino. Te lo dico da amico, spero che tu non ti offenda.»
L si voltò flemmaticamente e tornò alla sua postazione, scavalcando l’acceleratore di particelle, la torre di cartacce di pasticcini e le coppe di gelato. «Comunque, credo tu sia arrivato fin qui per avere notizie del secondo Kira, dico bene? Ho controllato che il nostro messaggio fosse trasmesso così come lo abbiamo preparato. Ora dobbiamo aspettare che lui risponda, ma per il momento alla Sakura TV non è arrivato nulla.»

Light si riscosse bruscamente da un momentaneo stato di torpore – essere definito nauseante da un uomo dimentico dell’esistenza del sapone da quasi due settimane può essere troppo anche per il dio del nuovo mondo – e riprese immediatamente il suo tono professionale: «Immaginavo fosse troppo presto perché ci fosse qualche novità, in effetti.»
Il detective si voltò e osservò il ragazzo in silenzio per qualche istante. «Light, posso farti una domanda?»
«Certamente, Ryuzaki.» Sorriso dolce come il miele. «Tutto quello che vuoi.»
«Come mai ti stai togliendo la cintura?»
Light allargò il sorriso. «Vedi, sentirmi a casa, in un ambiente intimo e familiare, mi permette di concentrarmi di più.»
«Oh, capisco.» L rimise velocemente in tasca il vibratore luixluiDeluxe di ultima generazione con videocamera incorporata. «Comunque sia, sicuramente dalla prossima risposta otterremo delle informazioni. Questo tizio non mi sembra sveglio come il primo Kira, farà di certo qualche passo falso.»
«Sì, mi sembra più che probabile» mormorò Light, gli occhi socchiusi in uno sguardo agghiacciante; sguardo che L ignorò, in quanto intento a divorare l’ennesimo piatto di torta.
Il più giovane continuò: «E magari potremmo capire qualcosa che solo loro sanno, ovvero come riescano a uccidere…»
«Noi due siamo davvero sulla stessa lunghezza d’onda, Light» commentò il detective, compiaciuto. «Mi sembrava una cosa elementare, ma nessun altro ha capito le mie intenzioni. Matsuda era convinto che volessi far nascere una relazione sentimentale tra i due…»
«E perché avresti dovuto fare una cosa del genere?»
«È Matsuda, non gliel’ho neanche chiesto.»
«Ho capito» sospirò Light. Squadrò di nuovo il detective, che sedeva beatamente tra il cumulo di rifiuti da lui stesso prodotti. Il ragazzo si chiese per l’ennesima volta se, nella complessa psicologia dell’investigatore, potesse esserci un qualche collegamento tra l’accresciuto disinteresse per la propria igiene personale e le indagini; tuttavia, per quel giorno non sembravano esserci novità e non intendeva restare a lungo all’interno del quartier generale, rischiando di dare l’impressione di voler controllare la situazione.
«Se le cose stanno così, Ryuzaki, direi che per oggi posso tornare a casa. Passerò domani per sapere se si è mosso qualcosa.»
Il ragazzo si voltò verso la porta con gesto fluido. E piombò a terra.
«Light? Posso chiederti come mai ti sei tolto i lacci delle scarpe?»
«… Non sono affari tuoi, Ryuzaki.»
§
 
Il giorno dopo, all’interno del quartier generale si respirava un’aria tesa: non era ancora giunta alcuna risposta dal secondo Kira e nessuno degli agenti era particolarmente bravo ad aspettare. Nessuno a parte Mogi, in realtà, ma proprio lui, che sarebbe stato perfetto e sostanziale in un tale frangente, sembrava essere scomparso.

«Sai, comincio ad essere preoccupato» sussurrò Aizawa a Matsuda, mentre girava il cucchiaino nel caffè. Non c’era granché da fare, in quel momento; non che ciò influisse molto sul consueto atteggiamento degli agenti, in realtà.
«Per Mogi? Starà sfruttando questo tempo morto per aggiudicarsi qualche tazzina da thè vittoriana su quelle aste online. Sai che è davvero fissato con quella roba? Addirittura ne parla! Qualche giorno fa…»
«Non mi riferisco a Mogi!» bofonchiò l’altro a denti stretti. «Sto parlando di questa situazione con il secondo Kira. Voglio dire, e se sospetta qualcosa? Se subodora la trappola?»
«Oh, certo, sono preoccupato anch’io.» Matsuda tacque un istante, portandosi una mano tra i folti capelli scuri. «La tensione ormai si sente bene anche all’interno del quartier generale. Si respira un’aria...»
«Putrida?»
«Stavo per dire tesa, ma anche putrida rende l’idea, in effetti.»
Aizawa prese per il braccio il collega, avvicinandosi alla porta della camera d’albergo. «Andiamo, Matsuda, anche questa situazione ormai è fuori controllo! Non si respira! Finché gli si sta lontani va anche bene, ma non appena ci si avvicina…» L’agente storse il naso. «E poi, Ryuzaki ultimamente produce una quantità di spazzatura impressionante! Prima le cose non erano così catastrofiche; anzi, ho sempre avuto l’impressione che, nonostante qualche problema di igiene personale, fosse una persona ordinata, al limite del maniacale. Invece, guarda! Sembra ci sia addirittura affezionato: hai notato che si porta la vecchia immondizia di albergo in albergo?»
«Ah, ecco perché mi sembrava di aver già visto quella scatola di biscotti…»

I due agenti di polizia si voltarono verso la poltrona su cui il detective era serenamente appollaiato: la maglietta bianca del ragazzo era incrostata in più punti e i jeans sembravano piegarsi a fatica; proprio in quel momento, inoltre, L stava osservando con perplessità una macchia rosata sulla sua manica destra. La portò al naso con circospezione. «Oh, fragola!» esclamò giulivamente, leccandola.

Il rumore della porta che si apriva coprì i versi di disgusto dei due agenti: il sovrintendente Yagami, seguito da suo figlio Light, entrò nella stanza a grandi passi.
«Ci sono novità?» chiese il superiore, volgendo lo sguardo dall’uno all’altro poliziotto. Dal canto suo, Light osservava la moquette della stanza con un sorriso consapevole. “Ci hai provato di nuovo, eh, Ryuzaki? Ma stavolta non mi troverai impreparato.”
Aizawa scosse la testa, impotente.  «Purtroppo ancora nulla, signore.»
Il Sovrintendente sospirò. «Capisco. Comunque sia, propongo di prepararci a qualsiasi eventualità. Ritengo che dovremmo essere pronti nel caso in cui il secondo Kira non reagisse come ci aspettiamo…»
«Stia tranquillo, sovrintendente Yagami. Ho tracciato un profilo psicologico del secondo Kira e posso assicurarle che cadrà nel nostro tranello.»
L si alzò lentamente dalla sedia, non senza qualche difficoltà, in quanto un residuo di marshmallow caramellato si era attaccato tra i jeans e la poltrona. Il detective lo staccò di netto dai pantaloni, tolse i residui di stoffa che erano rimasti incollati e lo portò alle labbra.
«D’altronde,» continuò a bocca piena, «questo criminale venera l’opera di Kira, lo prende ad esempio. Lo idolatra. Se crederà che a parlare sia stato davvero Kira, risponderà. Tutto dipende da quanto siamo stati in gamba nella nostra recita – e poiché il testo è stato scritto da Light e approvato da me, direi che possiamo stare tranquilli.»
Il detective fissò il suo sguardo in quello di Light; il giovane lo sostenne, atteggiando il divino viso a un’espressione rassicurante. «Sono d’accordo con Ryuzaki, papà. Questo soggetto mi sembra facilmente manipolabile, non credo si porrà troppe domande. Se però vi fa stare più tranquilli, possiamo decidere un piano di riserva per muoverci qualora la risposta del secondo Kira non arrivi entro le prossime quarantotto ore.»
«Mi sembra un’idea saggia» commentò Aizawa, annuendo.
«Io avrei una domanda.»
Gli sguardi perplessi degli agenti  si rivolsero a Matsuda: il poliziotto sembrava corrucciato, sul viso era dipinta un’espressione intensa. «C’è una cosa che non mi è chiara, Light.»
«Solo una? Mi sembra un bel passo avanti.»
«Ryuzaki, non essere così sgarbato» intervenne Light, severo; quindi tornò a rivolgersi all’agente, con sguardo incoraggiante.
Questi, tuttavia, sembrava in ambasce: osservava incredulo il figlio del sovrintendente Yagami, quasi si stesse chiedendo se valesse la pena esternare la propria perplessità.
«Vedi, mi sembrava che… Sì, insomma…» Matsuda respirò a fondo e si fece coraggio. «Light, ma tu non indossavi un’altra camicia quando sei entrato nel quartier generale?»
«Si è definitivamente bevuto il cervello» bofonchiò Aizawa, picchiandosi la fronte col palmo della mano.
«Sì! Sono sicuro! Indossavi una camicia azzurra, ma un po’ più chiara di questa.» Matsuda prese a gesticolare freneticamente, avvicinandosi a Light. «Con delle righine bianche…»
Il giovane Yagami rise, argentino. «Matsuda, credo che tu ti stia sbagliando. Indosso questa camicia da stamane, te lo assicuro. E poi, come avrei fatto a cambiarmi?»
Light continuò a ridere, ma lo sguardo che lanciò al miglior detective del mondo era freddo e calcolatore. “Quando mi hai detto che la moquette della nuova stanza era beige, ho preso in considerazione tutte le possibili sfumature, dal tortora al panna. Ho addosso sette camicie per ogni abbinamento e ho passato la notte a provare a vestirmi in velocità sfruttando Ryuk come pubblico. Certo, non posso alzare le braccia né incurvare troppo la schiena… ma ti ho battuto, Ryuzaki. Sono più furbo di te.”

«Insomma!» La voce tonante del sovrintendente Yagami fece scattare sull’attenti i sottoposti. «Matsuda, le pare il caso di interrompere una importante discussione con un’osservazione del genere?»
L’agente si incassò nelle spalle, mortificato. «Mi scusi, signore. È solo che…»
«Qui può andarci di mezzo la nostra vita. Cerchiamo di prendere le cose sul serio! Considerate che… che…»
«Sovrintendente? Va tutto bene?»
Ma il superiore non sembrava più in grado di terminare la frase: con gli occhi sgranati e la bocca aperta nel tentativo di cercare aria, si accasciò lentamente a terra. Light gli corse vicino per sorreggerlo, ma, nel momento stesso in cui gli fu accanto, i conati di vomito lo colpirono con la forza di un pugno.
Ignorando lo stomaco in subbuglio, il giovane si rivolse al padre: «Papà? Papà! Rispondi, cos’hai?»
Aizawa prese velocemente il controllo della situazione. «Corro alla reception e chiedo un’ambulanza. Matsuda, tu avvisa Watari con il pulsante sulla cintura…»
L’agente uscì correndo, mentre Light aiutava il padre a sdraiarsi, allentandogli la camicia.
«Oddio, il Sovrintendente aveva ragione!» esclamò Matsuda, pallido in volto. «Il secondo Kira ha capito che lo stavamo ingannando e si sta vendicando!»
«Non è possibile, non conosce né i nostri volti né i nostri nomi.» Light continuò a rivolgersi al padre, cercando di allentargli la cravatta. «Cerca di respirare…»
«No! No… io…» Il Sovrintendente rantolava, la voce che usciva a fatica. «Non riesco… Mi entra dentro…»
«Cosa, papà? Cosa?»
«Questa… questa… puzza!»

Il silenzio cadde come una coltre di neve sugli agenti del quartier generale, interrotto solo dall’ansimare del Sovrintendente, che giaceva a terra, completamente svuotato. Lentamente i poliziotti si voltarono, individuando l’origine del malore del signor Yagami: mentre gli astanti erano intenti ad ascoltare l’interessante dibattito sulla camicia di Light, Ryuzaki si era avvicinato, appollaiandosi su una sedia a pochi centimetri dal Sovrintendente, e in quel momento era impegnato a mangiucchiare da una scatola di biscotti. Light capì immediatamente da cosa derivassero i conati di vomito che stava sperimentando e impallidì: il suo prezioso profumo, la sua tripla razione di Armani. Quella mattina, nella foga di indossare più camicie e tutto assorto nel tentativo di vestirsi in velocità, se ne era dimenticato.

Il detective restituì lo sguardo agli agenti, perplesso; quindi guardò i biscotti che teneva in mano. «Ne volete un po’?» chiese, sporgendosi verso i colleghi.
Il Sovrintendente rantolò.
«Per l’amor di Dio, Ryuzaki!» esclamò Light, portandosi al naso un fazzoletto di seta ricamato. «Vuoi far morire mio padre?»
Il ragazzo si chinò sull’uomo e lo trascinò lentamente lontano dall’investigatore. A ogni passo, il Sovrintendente sembrava riprendere colorito. «Vieni via, papà. Per oggi torniamo a casa.»
«Grazie, figliolo. Ora va meglio.»

Light aiutò il padre ad alzarsi, passandosi un suo braccio sulle spalle; i due si avviarono verso l’uscita, ancora scossi, evitando accuratamente il perimetro prossimo all’investigatore.
Matsuda si voltò verso Ryuzaki, che osservava la scena sinceramente perplesso. «Sa,» disse infine il detective «forse quel commento sulla camicia di Light ha davvero turbato il Sovrintendente. Da quando ho detto che suo figlio è un sospettato, il signor Yagami sembra molto sensibile all’argomento.»
L’investigatore si alzò, le mani nelle tasche, e si avviò verso il monitor strascicando i piedi. «Ha combinato un bel guaio, Matsuda. Come al solito.»

§
 
Il sentirsi poco apprezzati può essere un grande motore: fa scattare nell’uomo il senso di rivalsa, la voglia di dimostrare il proprio valore. Da una frase poco lusinghiera possono innescarsi meccanismi straordinari.
Proprio questo accadeva a Matsuda mentre, preso da una impressionante frenesia, puliva sistematicamente la camera d’albergo di Ryuzaki.
«E così ho combinato un altro guaio, eh? Come al solito, eh? Bene, vorrà dire che, tanto per cominciare, farò splendere questo quartier generale!» mormorava a denti stretti, armato di grembiule, mascherina anti-contagio e bandana. «L’atmosfera sicuramente migliorerà, saremo tutti più sereni e lavoreremo meglio… E Aizawa sarà così contento! Ultimamente questo caos lo stava davvero facendo impazzire.»

Ryuzaki era sparito da ore nella sua camera da letto, dove teneva alcuni dei documenti sul caso Kira, e Matsuda contava di sorprenderlo. Già immaginava la scena nella sua mente: Ryuzaki si sarebbe avvicinato col suo passo strascicato e si sarebbe trovato di fronte alla più linda camera d’albergo mai vista. E avrebbe detto: «Matsuda, ma ha fatto tutto da solo?» e Matsuda avrebbe risposto: «Certo, non farei mai entrare delle cameriere nel quartier generale, con il rischio che i documenti sul caso Kira diventino di dominio pubblico!» e allora Ryuzaki avrebbe detto: «Non credevo che avesse così tanta iniziativa e forza di volontà»; a quel punto Matsuda avrebbe riso con modestia e…
In quel momento il suo mignolo sinistro andò a sbattere contro lo spigolo di una sedia semi-sepolta dai rifiuti, il che costrinse l’agente a staccarsi dalle sue fantasie e a concentrarsi sulla più fruttifera occupazione di urlare il proprio dolore al mondo. Questo lo mise di fronte a una sconcertante verità: nonostante l’entusiasmo, la quantità di spazzatura sembrava essere aumentata. Il poliziotto si lasciò cadere sulla sedia contro cui aveva appena imprecato e della quale il suo mignolo dolorante gli aveva indicato con certezza la posizione.

«Non ce la farò mai» sospirò Matsuda, stropicciando il grembiule. «Non riesco neppure a mettere in ordine il quartier generale, come posso sperare che Ryuzaki mi affidi degli incarichi più importanti?» Il povero agente poggiò la testa sul palmo della mano. «Quanto vorrei partecipare anche io alle indagini…»
Proprio in quel momento, quasi a rispondere all’angosciata richiesta del poliziotto, in un vortice di cartacce si materializzò un vecchietto dall’aria paterna e rassicurante.
«Dimmi, Matsurentola, cos’è che ti intristisce?»
«Fata Watarina, sei proprio tu?» L’agente di polizia si gettò alle ginocchia dell’anziano. «Sono così infelice! Non riesco a pulire il quartier generale e Ryuzaki non si fida di me! Tutto quel che vorrei è essere più utile nelle indagini.»
Il vecchietto pose dolcemente una mano sul capo del giovane, sorridendogli da dietro gli occhiali. «Non preoccuparti, mio caro Matsurentola, ho la soluzione per entrambi i tuoi guai.»
Detto ciò, l’ometto si avvicinò all’acceleratore di particelle che giaceva, inerme, sotto strati e strati di scatole di gelato.
«Quello?» chiese il poliziotto, perplesso. «Ma Ryuzaki ha detto che accenderlo è molto pericoloso, sei sicuro di poterlo fare?»
«Certo che posso, l’ho inventato io» rispose Watari, maneggiando l’oggetto con tocco esperto. «Oltre ad essere un acceleratore di particelle, questo strumento è un mirabile aspira-tutto. Vedrai.»
E così la stanza fu ripulita velocemente sotto lo sguardo meravigliato di Matsuda: la moquette tornò visibile; le sedie furono nuovamente individuabili senza l’utilizzo di mignoli-detector; un paio di cerbiatti incastrati in due tagliole spiccarono un balzo attraverso la finestra e…
«Mogi! Sei proprio tu?» Matsuda si avvicinò al collega, tendendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi. «Ma cosa ci facevi sotto quella montagna di rifiuti?»
«Era il mio nascondiglio» rispose l’altro, laconico. «Ryuzaki mi ha ordinato di non farmi vedere da Light, così che qualcuno del quartier generale rimanesse al di fuori delle sue conoscenze e potesse pedinarlo.»
«E… ti ha ordinato di nasconderti sotto l’immondizia?»
«No, quello l’ho scelto io. Ho pensato che Light non si sarebbe avvicinato.»
Matsuda sgranò gli occhi, colpito. «Accidenti, che bella idea! In effetti, Light si è sempre tenuto alla larga da tutte quelle cartacce e noi non avremmo mai immaginato una cosa del genere. Sai, credevamo che quella sporcizia fosse di Ryuzaki: cominciavamo anche a pensare che avesse una specie di fissazione per i rifiuti, dato che non li buttava più.»
«No, ero io che me li portavo dietro: ce ne vogliono un bel po’ per coprirmi tutto.»

I due si fissarono per qualche istante: Mogi aveva terminato gli argomenti di conversazione, mentre Matsuda rimuginava sulle nuove informazioni appena ricevute. «Ma certo! Ora è tutto chiaro!» esclamò, battendo le mani l’una contro l’altra. «Da un paio di settimane a questa parte Ryuzaki è particolarmente sporco, e proprio da quel momento tu hai iniziato a nasconderti sotto i rifiuti. Sicuramente ha smesso di lavarsi per portare avanti la tua copertura, così che noi associassimo a lui quella quantità industriale di immondizia!»
«No, Matsuda. Semplicemente, quando si concentra su qualcosa Ryuzaki smette di lavarsi. Sembra che questo lo aiuti a mantenere alta l’attenzione ai dettagli.»
Watari aveva rimesso a posto l’acceleratore/aspira-tutto e osservava i due agenti di polizia da dietro gli occhiali lustri (l’acceleratore fungeva anche da lavavetri). «Tuttavia, signori, ormai la situazione non è più sostenibile e questo mi porta alla realizzazione del tuo secondo desiderio, Matsuda.» L’anziano signore avanzò di un passo, posando la mano sulla spalla del poliziotto. «Ti affido un compito molto importante: trovare un modo per convincere Ryuzaki a lavarsi.»
«Cosa…? Come…?»
«Ti lascio carta bianca.» Watari sorrise. «Mi fido di te.»
«Sono sicuro che tu potresti trovare facilmente un modo!» esclamò l’agente di polizia, angosciato. «Conosci Ryuzaki da più tempo e…»
«Hai ragione, ma i miei movimenti sono limitati: ricorda che Light non mi conosce e non mi ha mai visto, anzi, pensa che io sia un altro investigatore. Mi è difficile convincere Ryuzaki a fare alcunché, finché Light è nei paraggi.»

Matsuda tacque, schiacciato dall’evidenza di quelle parole; nella stanza scese un silenzio attonito, mentre il poliziotto elaborava la portata del compito assegnatogli.
Essere utile alle indagini era quanto desiderasse di più al mondo, ma per la prima volta ebbe paura di non essere abbastanza. Tutte le frustrazioni, le insicurezze e le delusioni della sua carriera gli sfilarono davanti agli occhi, a monito di ciò che non era riuscito a fare fino a quel momento.

Il giovane respirò a fondo e scosse la testa: non si sarebbe tirato indietro. Non era un debole. Poteva farcela.
Guardò Watari negli occhi e gli strinse la mano che l’anziano posava ancora sulla sua spalla. «Non preoccuparti, fata Watarina: renderò Ryuzaki l’investigatore più profumato di Tokyo. Questa è una promessa.»

§
 
Due giorni dopo, Matsuda varcava la soglia del quartier generale con il cuore in gola: se tutto fosse andato come previsto, questa sarebbe stata la sua prima, vera vittoria come agente di polizia. Il primo caso risolto, per così dire. Deglutì e si allentò il nodo della cravatta, cercando di mantenere invariata sul suo viso l’espressione gioviale che lo aveva sempre caratterizzato: nessuno doveva sospettare alcunché. Tuttavia non poté fare a meno di sgranare gli occhi, quando vide Mogi seduto su una delle poltrone della camera d’albergo.
«Mogi! Cosa ci fai qui?»
«Lavoro con voi.»
Matsuda si grattò la testa, perplesso. «Ma mi era parso di capire che Ryuzaki ti avesse detto di non farti vedere da Light… Cos’è cambiato?»
«Non è cambiato nulla» rispose Ryuzaki con il solito tono incurante. «Semplicemente, hai pensato bene di distruggere il nascondiglio che Mogi aveva tanto faticosamente costruito, quindi al momento è impossibilitato a nascondersi.»
Matsuda volse lo sguardo da Ryuzaki a Mogi, poi di nuovo a Ryuzaki, quindi passò ad Aizawa – che osservava la scena con fare accigliato – per poi tornare di nuovo a Ryuzaki. «Temo di non aver capito» mormorò infine. «Non sarebbe bastato non presentarsi al quartier generale? Oppure chiudersi in bagno, tanto per dirne una?»
La proposta fu accolta nel più assoluto silenzio.
«Non presentarsi al quartier generale?» ripeté Aizawa, stupito.
«Sì! Avremmo potuto informarlo noi sugli sviluppi… Oppure avrebbe potuto tenersi in collegamento come fa Watari!»
Matsuda continuò a volgere lo sguardo da Ryuzaki ad Aizawa, che sembrava incapace di comprendere le parole del collega.
«Oppure, non so, potrebbe nascondersi nell’armadio, o sotto il letto di Ryuzaki…»
«Sotto il letto di Ryuzaki?» La voce di Aizawa salì di tono. «Matsuda, ma sei serio?»
«Non ci entrerei, sono troppo robusto» commentò Mogi, laconico
«Ma era solo un’idea, non intendevo davvero…! Perché non capite?» Matsuda si sfregò il viso con le mani, frustrato.

Fortunatamente in quel momento la serratura della camera d’albergo scattò e tutte le perplessità abbandonarono d’improvviso la mente del poliziotto: Light stava entrando a testa alta, portando in mano un piccolo pacchetto rosa decorato con una coccarda argentata. Il giovane e Matsuda si scambiarono un veloce sguardo d’intesa, ma questo passò inosservato ai presenti.
«Benarrivato, Light.» L si voltò verso il ragazzo, lo sguardo acceso. «Finalmente abbiamo la risposta del… Oh! Cos’hai in mano?»
Il ragazzo sorrise dolcemente al detective; il viso perfetto emanava calore, sembrava quasi risplendere di luce propria, brillare nella penombra stanza come se…
«Matsuda, potresti togliermi quella lampada dalla faccia?» chiese Light, tagliente. «Mi stai cuocendo le retine.»
«Oh, scusa.» Il poliziotto spense il riflettore che aveva affittato da una compagnia cinematografica e si portò dietro Light. «Era per creare un po’ d’atmosfera» gli sussurrò.
Il ragazzo fece qualche passo in avanti per avvicinarsi al detective, che osservava incuriosito lo scambio tra i due.
«Vedi, Ryuzaki, in questo periodo ho riflettuto molto.» Light si fermò di fronte all’investigatore, in piedi, lo sguardo fisso negli occhi dell’altro; sovrastava L, che era rannicchiato nella sua solita posizione e sembrava straordinariamente immobile, rapito dal ragazzo che gli stava davanti.
«Ho riflettuto a lungo» riprese Light, «e mi sono finalmente reso conto di quanto siano importanti queste indagini per me. Non solo perché Kira deve essere fermato; certo, questo c’è, ma non è tutto. Vedi, il motivo per cui tengo così tanto a queste indagini è che mi hanno permesso di conoscere te, la prima e unica persona al mondo con cui io senta di potermi confrontare.»
Ryuzaki sembrò stupito solo per una frazione di secondo; poi sorrise, abbracciandosi le ginocchia. «Mi fa piacere sentirtelo dire, Light. Sai, per me è lo stesso. Spero proprio che tu non sia Kira… Anzi, se tu lo fossi sarebbe un bel problema per me, visto che ti considero il mio primo, vero amico.»
«Sei sincero, Ryuzaki?» Light si avvicinò ancora di un passo, la mano che reggeva il pacchetto tesa verso l’investigatore. «Allora, ci terrei che tu avessi questo.»
Il detective ebbe un momento di esitazione, quindi afferrò il pacchetto con la punta delle dita e lo scartò in fretta, visibilmente incuriosito: ne tirò fuori una paperella di plastica, che tenne di fronte agli occhi, più sgranati del solito.
«Light!» Il Sovrintendente guardò il figlio, stupito. «Ma quella è…»
«Sì, è la paperella con cui ero solito fare il bagno da piccolo. Vorrei che la tenessi tu, Ryuzaki.»
L’investigatore volse lo sguardo dall’oggettino di plastica al ragazzo, senza muovere il volto. «Ne sei sicuro, Light? Voglio dire, immagino abbia un valore affettivo molto elevato.»
«Lo ha, infatti.» Il ragazzo sorrise. «Però mi fa piacere pensare che tu la utilizzi, proprio come facevo io. Il pensiero del mio più caro amico che fa il bagno con la paperella della mia infanzia è…» Light si interruppe, sopraffatto dall’emozione. Fece per continuare, ma le parole non volevano venir fuori.
L’investigatore si alzò e mise una mano sulla spalla del più giovane. «Non c’è bisogno che tu continui: capisco benissimo. Nessuno ha mai fatto qualcosa di simile per me. Ti ringrazio. Ti assicuro che la userò.»
«Davvero?» Gli occhi nocciola di Light risplendevano dal piacere.
«Sì, certo. La prossima volta che farò un bagno, mi terrà compagnia.»
«Ryuzaki, perdonami se mi intrometto, ma credo che tu stia mancando di rispetto a Light.»
Il Sovrintendente aveva parlato con voce dura. «Ti è appena stato fatto un regalo dall’enorme importanza – ti assicuro che da piccolo era davvero legato a quella paperella! – e tu ne rimandi l’utilizzo. Non ti rendi conto di quanto ciò possa apparire villano?»
Il detective alzò lo sguardo al soffitto, le mani in tasca: sembrava rimuginare seriamente sul rimprovero che gli era appena stato rivolto. «Beh, immagino che potrei andare ora, se a voi non crea problemi» mormorò infine.
«Ma figurati! Vai pure!»
«Non preoccuparti per noi, lavoreremo per conto nostro.»
«Se vuoi ti preparo la vasca!»
«Il bagnoschiuma alla fragola va bene? Altrimenti ce n’è uno allo zucchero filato!»
«Se le cose stanno così, d’accordo» commentò il detective, avviandosi verso la propria camera da letto con bagno privato. «Ci vediamo tra un po’.»

La porta in noce si chiuse nel silenzio della stanza d’albergo.
Ci fu qualche minuto di immobilità, perché alcuni cambiamenti, soprattutto quando fortemente anelati, devono essere assaporati prima di riuscire a convincersi che siano effettivamente avvenuti; quindi, gli agenti del quartier generale si unirono in un muto abbraccio. Fecero per stringersi attorno a Light, con gli occhi riconoscenti, ma il ragazzo scosse la testa: si volse verso Matsuda, che era rimasto in un angolo, e batté le mani l’una contro l’altra, piano, senza far rumore. «Bravo» gli disse col solo movimento delle labbra.
Gli altri agenti osservarono la scena, stupiti, ma compresero e si unirono all’applauso silenzioso.
Matsuda non riuscì a trattenere le lacrime.

 
§
 
La stanza da bagno era calda e piena di vapori: i fumi salivano a spire dall’acqua odorosa di zucchero filato.
Watari, avvisato da Matsuda che per quel giorno era prevista l’attuazione del piano, si era rifugiato all’interno della camera da letto dell’investigatore con la scusa di effettuare un’analisi statistica sui decessi del caso Kira; Ryuzaki era entrato nella stanza e, con un cenno della testa, aveva invitato l’anziano tuttofare a seguirlo nel bagno privato della suite. Watari aveva osservato per qualche istante il ragazzo spogliarsi, poi aveva vuotato con decisione l’intero flacone di bagnoschiuma all’interno della vasca. L si era lamentato per quello spreco, ma l’altro si era limitato a sorridere in silenzio, continuando a spremere senza pietà le ultime gocce di prodotto.

Rassegnato, il ragazzo si era lasciato calare in acqua, assaporando non con dispiacere la pelle d’oca spandersi sul suo corpo, e si era raggomitolato all’interno della vasca; con gli occhi socchiusi osservava lo sciabordare del liquido insaponato infrangersi contro i bordi, cullato dai movimenti ritmici di Watari. Il suo collaboratore si era rimboccato le maniche e lasciava scorrere l’acqua calda sulla schiena del detective.
«Watari, i miei peli pubici si sono disposti secondo la spirale aurea.»
«Vuoi raccontarmi la vita di Fibonacci, Ryuzaki?»
Il ragazzo si raggomitolò, chiudendo gli occhi. «No. Magari dopo.»

Il bagno della suite era interamente bianco, emblema di candore e pulizia; l’elegante vasca poggiava su piccole zampe intagliate, in stile antico. In realtà l’investigatore prediligeva uno stile più moderno, ma quando ci si trasferisce ogni giorno la scelta si restringe.
Watari aveva impugnato saldamente una spugna e la strofinava con forza, pulendo le incrostazioni con la veemenza di una vecchia massaia; il bagnoschiuma fioccava, producendo una spuma soffice che andava a depositarsi sulla pelle di Ryuzaki.
«Bene, passiamo alla testa.»
I capelli del ragazzo erano in uno stato pietoso: incolti, spettinati e aggrovigliati. L’anziano tuttofare vi rovesciò sopra una discreta quantità di acqua e sapone, strofinandoli con energia.
Ryuzaki aprì gli occhi, mentre la sua mente vagava pigramente. Questo era il motivo per cui odiava fare il bagno durante un caso: lo rilassava, lo rendeva inerme. La sua concentrazione calava a picco e, d’improvviso, il pensiero più intelligente che gli venisse in mente era che quella paperella aveva gli occhi azzurri, il che era biologicamente impossibile.
Sospirò, osservando di nuovo il regalo che galleggiava a qualche centimetro dalle sue gambe. «Certo, non mi sarei mai aspettato un comportamento del genere da parte di Light. Devo ammettere che  mi ha spiazzato.»
«Il fatto che Light Yagami sia in grado di spiazzarti è esattamente il motivo per cui ti concentri tanto su di lui, no?» commentò Watari, sorridendo da dietro gli occhiali.
«Sì, più o meno.»
“Light crede davvero che basti una recita del genere per convincermi?” si chiese l’investigatore, chinandosi in avanti e fissando i suoi occhi in quelli di plastica della paperella. “Che fosse un bravo attore era indubbio, ma non capisco per quale motivo fare una scenata del genere. In questo momento, poi. Cosa vuole ottenere?”
Il ragazzo alzò una mano ricoperta di schiuma, osservando le piccole bollicine che la costituivano; le schiacciò, notando che resistevano molto prima di rompersi. “I saponi di ultima generazione sono potenziati,” pensò. “Chissà quante schifezze chimiche ci mettono dentro, per produrre una tensione superficiale così elevata.”

La paperella continuava a galleggiare, a monito del quesito che ancora non era riuscito a risolvere. Che tutta quella messinscena fosse atta a convincerlo a lavarsi era indubbio – e in realtà avrebbe preferito che gli agenti si concentrassero più sul caso Kira, che non sulla sua igiene personale –, ma addirittura fargli un regalo? L’investigatore non riusciva a smettere di studiare il movimento lento dell’animale di plastica, che oscillava armonicamente con l’acqua agitata da Watari.
«Ryuzaki, per cortesia, abbassa la testa. Devo sciacquarti.»
Il detective obbedì, reclinando il capo, mentre sentiva l’acqua calda scorrergli addosso. “Ha voluto che avessi questa paperella… Ha indubbiamente insistito perché la tenessi con me. Anzi, perché la usassi, che è ben diverso.”
L’acqua calda scendeva a rigagnoli; la sentiva correre sulle spalle, mentre goccioline isolate si muovevano lentamente sulla fronte e sulle guance. “Forse voleva soltanto che mi lavassi” pensava oziosamente. “D’altronde si tratta di un regalo dall’utilizzo piuttosto specifico, di certo resterebbe nella camera da bagno…”

E poi capì. Sgranò gli occhi, si raggomitolò di scatto: la paperella era lì, lo fissava, muta.

«Ryuzaki, ti ho detto di chinare la testa!»

“Ma certo… Light ha voluto che usassi questa paperella, ha voluto che la portassi con me! Considerando le statistiche della popolazione media giapponese, la quantità d’acqua utilizzata  durante un bagno, la massa del sole, gli indici di gradimento dell’ultimo film di Hydeki Ryuga e il fatto che Light in questi giorni indossi più di una camicia… Allora…!”

Il miglior detective del mondo si portò il pollice alla bocca e sorrise; anche la paperella sembrava emettere un’inquietante allegria.

«Watari, ho fame. Vorrei mangiare quei pasticcini che hai comprato l’altro giorno.»
«Sono finiti» rispose l’altro, pazientemente.
«Ricomprali, allora.»
«Adesso? Non posso uscire di qui, dovrai attendere che Light torni a casa.»
«A dire il vero, se ho ragione, potresti anche uscire dalla porta. Ma meglio evitare, rischieremmo di rovinare la sorpresa.»
Watari si accigliò. «Ryuzaki, non ti seguo. Ti spiacerebbe spiegarti meglio?»
«Non ora. Va’ a prendere i biscotti, per cortesia; puoi scendere calandoti dai balconi.»
«Siamo al ventitreesimo piano.»
«Sono sicuro che non sarà un problema per te.»
Watari sospirò, scuotendo leggermente la testa; si alzò e prese uno degli asciugamani puliti. «Torno subito. Non uscire, devo ancora finire di sciacquarti» lo ammonì, voltandosi .
Il detective annuì e rimase ad osservare la porta del bagno chiudersi dietro le spalle del suo fidato braccio destro; quindi si voltò di nuovo verso la paperella. «Bene, Light. Anche io ho un regalo per te.»

§
 
Nel frattempo, nella suite si respirava tutto un altro clima: un po’ per merito di Matsuda, un po’ grazie alla demolizione del nascondiglio di Mogi, l’aria sembrava essersi alleggerita.
Light sedeva in un angolo, i gomiti poggiati sul tavolino di fronte a lui e il mento posto sulle dita intrecciate; tutt’intorno regnava un’atmosfera di festa: Aizawa e il sovrintendente Yagami si erano radunati attorno a un Matsuda ancora incredulo, che faceva fatica a gestire quella improvvisa popolarità. Mogi, dal canto suo, si era seduto davanti a uno dei computer e sembrava non ascoltare.
«E così, ho cominciato a pensare a cosa avrebbe potuto spingere Ryuzaki a lavarsi» stava raccontando l’agente, entusiasta, «e mi è subito venuto in mente Light! È l’unico che Ryuzaki stimi e consideri un suo pari. È per questo, Sovrintendente, che l’altra sera sono venuto a casa sua…»

“Già, e mi hai servito questa opportunità su un piatto d’argento.”

Light sorrise, nascondendo la bocca dietro le dita intrecciate; ma lo sguardo non lasciava dubbi. “Quando quell’idiota di Matsuda mi ha chiesto di convincere Ryuzaki a lavarsi facendo leva sulla stima che prova per me, ho immediatamente colto le potenzialità di questa situazione. Avevo già intenzione di capire chi fosse questo dannato Watari, che è stato nominato quando mio padre si è sentito male. Ho fatto finta di niente, ma ovviamente avevo sentito: Aizawa ha ordinato a Matsuda di ‘avvisare Watari tramite il pulsante sulla cintura’… Avevo già intuito fosse qualcuno di cui Ryuzaki si fida e che è in contatto col quartier generale, tanto che mio padre e gli altri lo conoscono. Sono bastate un paio di domande ben poste per avere un’idea chiara della situazione: Matsuda ha inventato una frottola su una certa fata che gli avrebbe dato quest’incarico, ma non è abbastanza furbo per me. Basandomi sulle sue risposte e sui dubbi che ho sempre avuto riguardo la capacità di Ryuzaki di occuparsi della propria persona, non è stato difficile escogitare il mio piano.”
Il ragazzo sorrise, versandosi un bicchiere d’acqua.
“Un recente studio svolto in Uganda ha dimostrato che si è propensi ad aprirsi in confidenza in ambienti intimi; in particolare, gli elettrodi posti sullo scalpo delle scimmie hanno rivelato un aumento del segnale mentre queste si tolgono i pidocchi a vicenda… Il che è il corrispettivo umano del farsi il bagno. In questo momento, mentre si lava, Ryuzaki è particolarmente vulnerabile. Se dirà qualcosa a Watari – o a chiunque si occupi delle sue esigenze quotidiane – io lo saprò. Ti ho battuto!”
Il giovane sentì nascere nel petto una risata di trionfo: la avvertì spargersi nella gola e formare un’unica e distinta frase di esultanza.

«Sì! Quelle tazzine sono mie! Mie e solo mie! Ti ho battuto, ILoveTheQueenVictoria1968!»

Light sgranò gli occhi: decisamente, quella voce non era la sua.
I poliziotti si volsero verso Mogi, in un silenzio attonito; l’agente di polizia arrossì. «Scusate. Stavo solo controllando una cosa…»
«Visto?» sussurrò Matsuda ad Aizawa. «Per lui è come il gioco d’azzardo! Forse dovremmo farlo aiutare…»
«Sbaglio o avevate detto che avreste lavorato, in mia assenza?»
Ryuzaki stava uscendo dal bagno in una nuvola di vapore; era scalzo, come sempre, ma la maglietta che indossava era davvero bianca e i jeans non erano chiazzati di cibo. Si avvicinò lentamente alla sua solita postazione, accanto a Light, lasciando dietro di sé una scia di aroma allo zucchero filato.
I poliziotti si misero in movimento, mentre il miglior detective del mondo si sporgeva verso il figlio del Sovrintendente; questi ebbe la visuale della finestra completamente oscurata dalla testa di Ryuzaki, proprio mentre Watari passava calandosi con una fune di lenzuola intrecciate.
«Sai, a volte basta chiedere» mormorò l’investigatore, chinandosi a raccogliere un piattino di biscotti; ne prese uno e leccò la glassa superficiale con la punta della lingua. «Tienilo a mente per il futuro.»

§

Light Yagami tornò a casa con l’animo in subbuglio: la frase di Ryuzaki lo aveva stupito e messo in allarme più di quanto non volesse ammettere. Entrò in casa, aiutò la madre a cucinare, corresse i compiti di Sayu e poi, finalmente, poté accendere il pc: sistemò la connessione, si assicurò che fosse ben schermata, quindi diede l’avvio al trasferimento dati.
Le immagini erano chiare, anche se un po’ instabili. L’inquadratura continuava a muoversi a causa dello sciabordio dell’acqua, ma l’audio era perfetto: davanti ai suoi occhi si stagliava il busto nudo di Ryuzaki; tra le bolle di sapone si intravedevano le ginocchia ripiegate al torace e le mani posate su di esse.

«Watari, i miei peli pubici si sono disposti secondo la spirale aurea.»

Light sobbalzò: a lui non era mai capitato. Al massimo, i suoi peli pubici si disponevano secondo una normalissima spirale, ma mai rispettando precisamente le proporzioni richieste dalla sezione aurea.
“Dannato! Ma non importa” pensò, ritrovando il sorriso, “meglio una spirale normale su peli pubici vivi, piuttosto che una sezione aurea su peli pubici morti. E i tuoi peli pubici moriranno a breve, Ryuzaki.”
Appoggiò il mento su una mano e continuò a osservare, mantenendo immutato il suo sorriso: Ryuzaki avrebbe detto o fatto qualcosa di compromettente, e se anche non avesse detto nulla in quel frangente, la paperella sarebbe stata la sua compagna di bagno per molto tempo. Prima o poi si sarebbe tradito.

Il ragazzo stava cominciando ad avvertire dei conati di vomito a causa dell’andamento ondeggiante dell’inquadratura, quando Ryuzaki chiese a Watari di procurargli del cibo; Light sentì distintamente la porta del bagno chiudersi – “Queste piccole telecamere sono davvero di buona qualità!” – e si stava complimentando con se stesso per l’ottima scelta, quando una frase di Ryuzaki lo colse alla sprovvista: «Bene, Light. Anche io ho un regalo per te.»
L’inquadratura cominciò ad alzarsi, fino a raggiungere il viso del detective; l’immagine era sfocata a causa del vapore che si era posato sull’obiettivo della telecamera.
L’investigatore continuò, sussurrando: «Ci sono solo due motivi che possono averti indotto a spiarmi: il primo è che tu sia Kira e voglia ottenere informazioni su di me; il secondo è che tu mi ami alla follia, ma non abbia il coraggio di dirmelo. Personalmente propendo per la prima opzione, ma nella vita non si sa mai.»
Light ascoltava, infastidito: ovviamente aveva inventato una motivazione più che valida per la presenza della telecamera all’interno della paperella, proprio nell’eventualità che Ryuzaki si accorgesse di essere spiato, ma la veloce scoperta del suo stratagemma urtava i suoi nervi tesi.
“E poi, io innamorato di lui?” pensò il ragazzo. “Come può venirgli in mente un’idea tanto… Un momento!  Ma che diamine sta…?”
Il giovane sentì il sangue gelarsi nelle vene, la fronte imperlarsi di sudore freddo: si gettò sulla tastiera del pc, batté freneticamente sui tasti e spense la riproduzione del video. Ma ormai era troppo tardi: nulla sarebbe più stato come prima.
Si mise le mani sul viso, ansimante.
«… E così, era davvero una spirale aurea.»

 
   
 
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