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Autore: Shine     13/03/2009    2 recensioni
Spesso si ha la convinzione che il destino non esiste, perchè la vita è quasi sempre condizionata dalle nostre scelte. Tuttavia, esistono delle forze sovrannaturali che sono in grado di controllare determinate situazioni. Per esempio, in un'estate che si prospetta calda e afosa come sempre, può succedere qualcosa che modifichi l'esistenza di una diciottenne come tante. Può presentarsi un'occasione così improvvisa e di tale portata da sconvolgere le basi delle più profonde convinzioni umane. Perchè è solo il destino che ci fa sapere che esiste qualcos'altro, al di là del cielo...
Genere: Romantico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1 Ricordi

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Ricordi

 

“... e mentre fissava l’orizzonte, si rese conto che quei momenti, quei meravigliosi istanti di beatitudine, sarebbero stati splendidi comunque, anche se soltanto nei suoi ricordi. Si può essere felici anche solo nel rammentare la magica poesia del passato? Si a quanto pareva! Lui, infatti, non era affatto triste. Ma come poteva esserlo, se nei suoi pensieri c’era la creatura più bella che avesse mai conosciuto? Ma la rimpiangeva. Mentre l’ammirava avidamente nei suoi ricordi, lui la desiderava. Bramava il suo profumo, il suo tocco, il suo sorriso. Era stata ben più di ciò che pensava di meritare. Era tornato da eroe, ma senza di lei, pensò amaramente. E non se lo sarebbe mai perdonato.”

 

Ormai conoscevo a memoria quelle parole. L’avevo concluso. Era giunto alla fine. Il lavoro di tanto tempo, che avevo letto e riletto, corretto mille volte, scritto con passione, con il desiderio incontrollato di entrare dentro la storia, di farne parte. E mentre la mia penna tracciava quei segni sul foglio, che sarebbero diventate parole, magari anche belle, originali, io guardavo con ansia il giorno in cui avrei scritto la fine. L’ultima parola.  Ma ora, che il mio lungo lavoro era giunto al termine, non godevo della soddisfazione che avevo tanto atteso. Superate le prime tumultuose manifestazioni di gioia, ero passata ad una fase di strana tristezza. Mi sentivo vuota, questa era la verità. Avevo impiegato così tanto tempo a scrivere il mio racconto, che adesso, poiché era finito, sentivo di aver perso una parte di me. Invano cercavo di convincermi che essa sarebbe sempre stata rinchiusa tra quelle pagine. Avevo una strana sensazione, che mi toglieva il respiro. Desideravo che la storia continuasse. Avevo pensato di produrne il seguito, ma non mi sembrava giusto. Era un racconto che era giunto da un ispirazione improvvisa e non volevo che fosse intaccato in alcun modo. Non riuscivo, però, a smettere di sentirmi così, né mi capacitavo di provare un tale senso di vuoto.

Rimasi a fissare l’orizzonte, per ironia come il protagonista della mia storia, piena d’insolvibili interrogativi.

***

2 anni dopo

 

L’eco delle mie risate mi ronzava ancora in testa. Ricordavo quel giorno come se fosse stato solo il precedente. Lui mi abbracciava dolcemente,  mi passava la mano attorno alla vita, mi sorrideva e diceva che non si sarebbe mai stancato di me. Mi sussurrava all’orecchio che mi avrebbe amata per sempre, che non mi avrebbe lasciato mai. Il problema era che quello non era il mio ieri. Era un ricordo, un insulso, falso ricordo, che mi tormentava. Fin da allora sapevo che  non avrei dovuto credere alle sue promesse, perché, in fondo, era solo un ragazzo di 19 anni che diceva di voler donarmi il suo cuore. Ma gli avevo dato fiducia. Grosso errore. Enorme. Due settimane dopo, l’avevo trovato insieme ad un’altra. Era stata una situazione così sconvolgente per me, così penosa, che per alcuni istanti avevo creduto che non potesse essere vero. Avevo creduto che fosse solo un incubo. Ma la verità era che la nostra storia era stata solo un sogno. Solo quello. E la cosa ancor più ironica che potesse succedere, era il fatto che mi era venuto a supplicare in ginocchio di perdonarlo. Ed ancor più ridicolo era  che io mi sentivo anche indecisa se accettare le sue scuse! Sciocca, sciocca, sciocca, mi ripeteva incessantemente quella parte del mio cervello chiamata ragione. Ma sapevo che avrei ceduto. Mi conoscevo troppo bene, per non rendermi conto che l’amavo. Perdutamente, incondizionatamente, ardentemente. Ecco. Quella era le verità. Ero probabilmente vittima del più subdolo dei tranelli, della più terribile delle sofferenze. Di quel che viene definito ‘amore unilaterale’. E, quasi ridevo all’idea: sebbene una parte di me sapesse benissimo che stavo sbagliando, che era un errore, che mi sarei nuovamente illusa, io speravo. Non c’era altra spiegazione. Io l’amavo.

La luce mi abbagliò improvvisamente. Era una calda mattina di luglio, in cui il sole ardeva rovente nel cielo azzurro, senza l’ombra di una nuvola a minacciarlo. I raggi della bionda stella colpivano i rami scuri e i fiori rosa e bianchi, degli alberi al limitare della strada, l’asfalto, grigio e cupo ed il mio corpo, che si trascinava, passo dopo passo, su di esso. Non mi piaceva molto il caldo. Amavo l’aria fresca, il grigiore delle nuvole d’inverno ed il colore arancio delle foglie degli alberi, che si abbandonavano sul terreno, creando un disegno che aveva un suo incantesimo. Gioivo alla sensazione delle gocce d’acqua, della pioggia che mi cadeva sul volto e sui capelli, mi piaceva la nebbia, che rendeva tutto opaco e offuscato. Quasi nessuno, però, condivideva le mie considerazioni. I miei amici si godevano l’estate, che consideravano il periodo più bello dell’anno, anche se per me era la stagione meno gradevole. Sospirai. Sopportavo di malavoglia la calura soffocante, che riusciva a distrarmi persino da quei pensieri che mi ossessionavano. Decisi di tornare a casa, stanca. Affrettai il passo.

Arrivai in pochissimo tempo. Non mi ero allontanata troppo, dopotutto. Sospirai. Non mi allettava l’idea che i miei mi bombardassero di domande, anche se sapevo che erano solo preoccupati per me. Ero stata molto giù, dopo aver scoperto che… Be’, insomma capivo la loro ansia. Ma erano estremamente fastidiosi, a volte, soprattutto quando usavano espedienti degni di un terzo grado. Mi accinsi, di malavoglia, ad entrare, se non altro per sfuggire al caldo soffocante.  Salii piano le scale, riflettendo tra me e me, sui possibili modi di evitare la catasta di domande che mi attendeva. Giunta davanti alla mia porta, però, non ero ancora riuscita a trovare una soluzione ragionevole. Infilai la chiave nella serratura, respirai a fondo, e la girai.

A casa c’erano ospiti. Sarebbe stato un avvenimento che sicuramente non avrebbe mai destato un mia particolare attenzione, se non per il fatto che grazie a loro i miei avrebbero rimandato l’interrogatorio, ma c’era un piccolo dettaglio, non facilmente trascurabile. Le persone in questione erano così sorprendentemente simili a divinità, che mi lasciarono a bocca aperta, non in grado di proferire neanche una parola per attimi interminabili. Entrambi, erano un uomo ed una donna, superavano il mio misero metro e sessantacinque d’altezza, di almeno una quindicina di centimetri, avevano capelli scurissimi, un corpo perfetto ed un viso che senz’ombra di dubbio superava di gran lunga le soglie della normalità, in quanto splendore. Lei aveva gli occhi azzurri, molto chiari, lui li aveva scuri, di un colore che non riuscivo a definire. Insomma, le star di Hollywood, al confronto, sfiguravano.

“Questi sono i signori Elliot, Emily.”, li presentò mia madre, interrompendo le riflessioni che mi turbinavano in testa.

Se non con un certo imbarazzo, risposi al loro saluto, sperando di suonare serena.

I miei genitori mi avevano accennato che sarebbero venuti dei loro amici, ma insomma, mi aspettavo comuni mortali!

“Sei cresciuta moltissimo, dall’ultima volta che ci siamo visti.”, esclamò, sorridendo, l’uomo, squadrandomi con i suoi occhi scuri.

Per un attimo rimasi perplessa. Ci eravamo già conosciuti? Mi ripresi subito, per fortuna e risposi: “ Il tempo passa in fretta.”

Sua moglie sorrise, impercettibilmente divertita.

“Quant’è vero.”, dichiarò, ridente. “Frequenti il Liceo, immagino.” Sembrava come se non fosse una vera domanda, ma un’affermazione.

Annui, imbarazzata dallo sguardo di entrambi, che era fisso su di me.

“Il classico.”, precisai, respirando a fondo, “Quest’anno sarà l’ultimo.”

Lei sorrise, impeccabile. “Progetti per il futuro?”, chiese, sembrando genuinamente curiosa.

Ancora una volta ebbi l’impressione che non me lo stesse domandando davvero, che conoscesse già la risposta, ma m’illuminai ugualmente.

“Farò l’università di medicina”, annunciai decisa.

Suo marito, sorridendo, mi informò che anche lui faceva la stessa professione.

“In che ramo?”, gli domandai, miracolosamente con un tono di voce che pareva adeguatamente tranquillo.

“Pediatria.”, rispose, divertito per qualcosa che non riuscivo a comprendere. “E tu?”

Attendendo una risposta, mi fissò intensamente. Quando i miei occhi incontrarono i suoi, così decisi e belli, meravigliosamente ardenti di sincerità, arrossi, sentendomi smarrita.

“Credo... che farò ginecologia.”, risposi, cercando di rilassarmi, peraltro invano.

“Ottima scelta.”, approvò la signora Elliot, guardandomi allegra.

Io sorrisi, poi, quando i miei genitori si decisero finalmente a riprendere parte alla conversazione, li salutai educatamente e mi diressi in camera, sollevata.

Chiusi piano la porta e mi abbandonai sul letto, riflettendo. Era stato un incontro a dir poco sorprendente. Ma, aldilà dell’aspetto fisico, a colpirmi in modo particolare, era stato il loro affiatamento. Sembrava, infatti, che ogni sguardo che i due si scambiavano, fosse come una parola o una frase detta. Si comprendevano così, almeno mi era parso, solo per un’occhiata. Era un caratteristica singolare e molto bella. Una volta anch’io avevo sognato un tipo di rapporto simile,ma mi rendevo conto di aver lavorato molto di fantasia. Quando avevo conosciuto Robert, mi ero innamorata di lui quasi subito. La mia migliore amica, nonché grande cospiratrice, aveva fatto in modo che ci conoscessimo. Lui mi aveva chiesto di stare con lui poco tempo dopo. Era l’unica storia che avevo avuto, almeno fin a quel momento. Ma tra noi le cose non erano state rosee come nei miei sogni, neanche vagamente. Naturalmente ero stata molto felice con lui, ma forse mi aspettavo qualcosa di più. Lo avevo comunque messo in conto, come uno dei sicuri svantaggi del passare l’adolescenza immersa in sogni e fantasie. Anzi, fino a quel giorno avevo creduto impossibile che ci fosse una sinergia del genere tra due persone. Be’, a quanto pare sbagliavo. Sospirai. Robert mi mancava moltissimo. Mi mancava la sua allegria, il suo modo spensierato di vedere le cose, i suoi scherzi, le sue risate. Mi mancava il suo profumo, i suoi abbracci, le sue mani sul mio corpo, possenti, calde, rassicuranti, mi mancavano terribilmente i suoi baci,le sue carezze. Desideravo il suo viso vicino al mio, i suoi occhi nei miei. Ecco. Era quella speranza insostenibile che mi avrebbe fatto, ne ero sicura, ignorare la mia ragione e perdonarlo. Mi chiesi se, quando un giorno l’avrei trovato con qualcun’altra, perché ne ero sicura, avrei saputo accettare il sentimento come giustificazione sufficiente per la mia scelta. Forse, poiché ormai la mia fiducia nei suoi confronti era in viaggio, a godersi la neve in montagna, magari, avrei dovuto rifiutare di continuare la nostra storia. Ma l’idea di perderlo mi uccideva. Ero terribilmente confusa.

Il trillo del telefono mi feci sobbalzare.

Presi il portatile dal comodino e, dopo aver guardato il numero, sorrisi e risposi.

“Ciao, Emily!”, esclamò una voce allegra, dall’altra parte della cornetta.

“Ciao, Lizzy.”, salutai, sorridendo.

“Che stavi facendo?”, mi chiese la mia amica, con un tono curioso e vivace.

Mi distesi sul letto, tenendo il telefono accostato all’orecchio, e le dissi: “Niente. Solita roba. E tu?”

“Mi preparo ad uscire.”, annunciò, tutta contenta, “Ti chiamavo appunto per invitarti stasera, con il gruppo. Andiamo in discoteca!”

Io sospirai. La mia vita sociale era molto precaria da quando io e Robert c’eravamo lasciati. Era da tantissimo che non uscivo, ma d’altronde non ne avevo voglia.

“Senti, non vorrai mica stare a casa tutta la sera e deprimerti?”, domandò, contrariata, interpretando bene il mio silenzio.

“Be’, diciamo che avevo dei mezzi progetti…”

“Non ci pensare nemmeno!”, proruppe, facendomi sobbalzare, Elizabeth. “Stasera esci con noi. Fine della storia.”

“Ho possibilità di scelta?”, chiesi, alzando gli occhi al cielo. Era una domanda retorica, ovviamente.

“Assolutamente no.”

Sospirai, ma poi sorrisi.

“D’accordo.”, dichiarai, arrendendomi.

“Bene!”, esclamò, soddisfatta. “Senti, non è che potresti darmi una mano?”

“A fare cosa?”, le domandai, sorpresa.

“Stasera mi metto il completo nero o la mini viola e la maglia bianca?”,  mi domandò, con tono incerto.

Io scoppiai a ridere.

“Direi il completo nero.”, le consigliai, dopo essermi ripresa.

“Perfetto!”, disse esultante. “Ci vediamo al solito posto alle 20:30?”

“Ok”, assentii.

“A più tardi, Emily.”

“Ciao”, risposi, allegra.

Chiusa la conversazione, rimasi ancora un istante a fissare il soffitto, poi mi diressi in salotto, per avvisare i miei. Ero, o almeno così credevo, sufficientemente pronta per l’interrogatorio.

Ma salve, miei numerosi (eheh... naturalmente era una fantasticheria) lettori! Mi sono decisa a pubblicare il primo capitolo di questa storia, che ho iniziato a scrivere da un po' e che avevo voglia di sottoporre ai pareri di altre persone. Con questa storia mi piacerebbe esprimere la mia perenne convinzione che i sogni non siano solo mere illusioni, ma che abbiano il potere di cambiare la vita! In ogni caso, questo capitolo è solo d'introduzione alla protagonista, con qualche accenno alla trama dell'intera storia. Fatemi sapere cosa ne pensate, anche pareri negativi... mi aiuteranno a migliorare! Grazie in anticipo,

Shine

  
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