Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |       
Autore: Egomet    13/03/2009    10 recensioni
Lui era solo un ragazzo tranquillo che aspirava ad uscire con la sua bellissima quanto irraggiungibile collega. Lei era solo una ragazza complicata che aveva voglia di divertirsi. Ma insieme a questo, una pancia grande e gonfia, e soprattutto ciò che conteneva, erano il suo problema. Lui cerca di aiutarla, ma non ha fatto i conti con il suo carattere impossibile. Davide prova a capirla, ma Francesca gli nasconde un segreto. -Ascolta, Davide… sicuramente tu mi hai già visto, ma non ti ricordi di me. Sai, io sono incinta- Davide inarcò le sopracciglia scuotendo la testa. “Ma cosa voleva quella da lui?”. -Beh, tanti auguri, mi fa piacere…- stava già per chiudere la conversazione. Lei intuendo ciò che voleva fare si affrettò a vuotare il sacco. -Sono incinta di te-
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Era una splendida mattinata di marzo, e il cielo mostrava in tutto il suo splendore un azzurro magnifico, che ti apriva il sorriso solo ad osservarlo.
La sala d’attesa della clinica era accaldata e resa fastidiosa dall’umidità che regnava sovrana all’interno. Le seggiole celesti poggiate alle pareti erano tutte vuote, eccetto che per l’ultima della fila di sinistra.
Una ragazza era seduta lì, tenendo lo sguardo basso, e sembrava perduta e concentrata nell’osservare le mattonelle del pavimento come se fossero la più bella delle opere d’arte.
Teneva un gomito poggiato sul ginocchio, e nella mano aveva raccolto il mento, pensosa.
Di tanto in tanto, come in preda ad un tic nervoso, si mordicchiava il labbro inferiore.
Aveva i capelli biondo scuro spartiti in due dalla riga, e una frangia le cadeva ordinatamente sulla fronte senza mai sfiorarle gli occhi.
La maglietta che indossava aderiva benissimo al suo corpo, le spalle piccole e la statura non da giocatore dell’NBA. Alla mano destra, le cui dita tamburellavano frenetiche sulla guancia, era infilato un anello argentato.
Passato un quarto d’ora a rigirarsi ansiosa nella stessa posizione, Francesca si alzò con un sospiro seccato, poi cercò nella tasca dei jeans scuri un po’ di monete e si diresse al distributore.
Comprò una barretta al cioccolato, scartata e divorata in brevissimo tempo, poi la porta che stava guardando prima finalmente si aprì.
Ne uscì fuori un dottore vestito con un camice sbottonato, con degli occhiali sul naso e un sorriso sulle labbra.
Francesca sapeva già cosa voleva dirgli.
 
Un ragazzo con un cappello ben calato in testa stava scrivendo sul muro con una bomboletta. La agitò velocemente, impaziente di scrivere, masticando una chewing-gum.
Poi incominciò a tracciare delle parole sul muro.
Francesca, seduta sul muretto di fronte a lui, abbassò lo sguardo per vedere cosa stava facendo.
Compiaciuta che quelle parole fossero per lei.
-Visto come sono bravo?-
Lei sorrise e scese giù con un salto, portandosi accanto a lui.
Guardò la scritta dedicata a lei, colorata e rotonda, saltava subito all’occhio ed era impossibile che passando non si notasse. I colori che lui aveva scelto per scrivere quel ‘Francesca ti amo’, erano vividi impressi nel muro, come la prima pennellata su un quadro, e luccicavano.
La ragazza si morse un labbro, contenta e col cuore che le andava a mille, poi lo abbracciò e gli schioccò un bacio sulla guancia, che ben presto si trasformò in qualcosa di più avventato.
Francesca si staccò, e guardandolo bene negli occhi col sorriso sulle labbra, disse
-Non possiamo più stare insieme-
Quello forse pensò che fosse uno scherzo, perché rise e le diede un bacio sulla testa bionda.
-E perché mai?- chiese, sempre ironico, credendo che facesse finta, che fosse un gioco.
Lei non cambiò il tono, né la voce. Continuò a fissarlo.
-Sono incinta di due mesi-
 
 
Davide indossò velocemente il suo grembiule bianco sul quale era stampato a grandi caratteri il nome di una birra, se lo allacciò in vita e cominciò a lavare i bicchieri sporchi lasciati sul bancone.
Erano le undici meno dieci e la clientela non accennava a diminuire. Un uomo vicino a lui continuava a chiacchierare con quello che stava seduto sullo sgabello dalla parte opposta, un uomo molto mogio e triste.
E quegli uomini, aveva imparato, erano la maggiore fonte di guadagno.
Finiti di sciacquare i boccali, prese subito un taccuino, una penna e oltrepassò il banco per dirigersi ai tavoli.
C’era una coppietta nella zona che doveva servire, e si preoccupò di prendere subito le ordinazioni.
Una ragazza mora gli passò accanto, trascinandolo per un braccio via dal suo tavolo.
-Che fai? Non avevo finito!- domandò.
Lei lo prese per la maglietta e lo tirò nel retro.
Quando furono soli la ragazza, vestita da cameriera, si fermò a parlare.
-Potrei anche pensare male, sai?- commentò lui, ma si era fatto rosso.
Quella alzò un sopracciglio come a dire ‘Ma che diavolo dici?’ e lui smise subito l’espressione che aveva assunto.
-Non posso fare il mio giro di ordinazioni stasera!-
-Perché?-
-Perché la mia zona è presidiata da un sacco di maniaci ubriaconi! Non sono abituata a certi commenti, io!- disse lei, gonfiando il petto con aria di superiorità –sai, sono una ragazza per bene!-
Fu Davide ad alzare il sopracciglio stavolta, ma badò bene di non farsi vedere da lei.
La cameriera sfoderò gli occhi dolci che disponeva per convincerlo.
Lui sbuffò seccato. Poi si rassegnò; non era capace a dire di no alle persone.
-E va bene, va bene…-
Non finì nemmeno di dirlo che lei strillò di gioia e gli saltò al collo dandogli un bacio sulla guancia.
Un uomo alto e muscoloso comparve sulla soglia del retro.
-Niente tresche sul lavoro!- tuonò e prendendo il ragazzo per la maglia lo ributtò fuori a lavorare.
Quella sera sembravano averlo preso tutti per un sacco di patate.
Davide si incamminò verso l’altra parte del locale, dove effettivamente vide un tavolo piano di ragazzi grandi che probabilmente erano i consumatori delle varie bottiglie vuote che giacevano sul legno.
Ignorando i loro volgari commenti, sorrise fra sé. Forse una di quelle sere sarebbe riuscito a convincere Silvia ad uscire con lui; la bella cameriera aveva delle gambe perfette invidiate dalle clienti e generosamente apprezzate dalla fauna maschile che si rifugiava a passare il tempo in quel bar.
Davide sospettava, ma non si azzardava a formulare ipotesi concrete, che anche Bruto si fermasse qualche minuto ad osservare come svolazzava la ragazza fra i tavoli. E il motivo non erano i cocktail che stava servendo.
Bruto era un po’ come un secondo padre per lui: da quando lavorava nel suo locale, ovvero da un anno e mezzo, gli aveva insegnato tutti i segreti per avere successo con quel lavoro. E a lui piaceva molto, si divertiva a farsi trascinare nella mischia eccitata di ragazzi, uomini e donne che si fermavano volentieri a passare la serata nel pub.
Ormai conosceva tutti gli abituali clienti.
Una signora anziana, piccola e composta, che veniva solo la mattina e ordinava abitualmente la colazione; un paio di studenti del liceo a pochi metri, che quando marinavano la scuola portavano lì con loro anche alcune amiche carine.
Un barbone che si faceva vedere solo tardi, e veniva lì a spendere i soldi elemosinati in birre che lo rendevano molto sbronzo.
Non si poteva dire che le cose andassero male.
D’altra parte, aveva già il suo piccolo appartamento ed era certo che Bruto gli avrebbe lasciato continuare il lavoro. Era certo che si fosse affezionato a lui.
E quale cosa migliore se fosse riuscito a mettersi insieme a Silvia?
A dir la verità, era già riuscito ad ottenere un “appuntamento” ben mascherato.
Era una sera, dopo un pomeriggio trascorso all’ospedale per un presunto caso di meningite nella zona e relativo vaccino preventivo.
 
-Che cavolo di pervertiti! Non mi hanno mica solo vaccinato, il mio dottore mi aveva preso per una bambola vodoo!- Silvia esclamò stizzita massaggiandosi il braccio e infilandosi il suo grembiule.
Davide scoppiò a ridere, ma si interruppe quando vide Bruto comparire sulla soglia del retro, le braccia grandi e muscolose incrociate.
-Ancora qua voi due?-
-Beh mica le birre si servono sole- rispose rapido il ragazzo, facendo spallucce.
L’uomo li guardò mentre si preparavano.
Emise un brontolio disinteressato, poi disse con quella voce grossa
-Oh andatevene via! Stasera non ho voglia di vedere le vostre facce tutto il tempo!-
Silvia lo guardò a bocca spalancata. Davide si accigliò.
-Non avete capito?-
Li prese per il colletto delle maglie e li portò all’uscio del locale.
-Fuori!- disse e li spinse.
La ragazza si voltò sorpresa, poi si mise a ridere.
-Ma che culo! Abbiamo la sera libera!-
Ma Davide era certo di aver visto un sorriso spuntare sotto i baffi dell’uomo, poco prima che li gettasse via.
Le parole poi gli erano uscite quasi senza che se ne accorgesse.
-Ti va di andare a ballare?-
Qualche minuto dopo si trovavano chissà come in una discoteca affollata e caotica.
Lui si era seduto impacciato ad uno sgabello, guardando la bella cameriera servire altri ragazzi tutti ammucchiati per sbirciare la sua scollatura. Ma sapeva che faceva tutto parte del gioco.
Silvia lo aveva trascinato a ballare, e non che lui fosse riluttante, tutt’altro, ma non era affatto preparato a quello.
Cercò di non fare la figura dello stupido, ma era comunque difficile trovarsi a stretto contatto con quella ragazza e non essere in imbarazzo.
Ricordava anche di aver visto poi entrare un gruppo di ragazzini nel locale, probabilmente alle prime volte in una discoteca, tutti eccitati ed esaltati.
Poi c’erano stati vari bicchieri vuoti che scorrevano sulla sua parte di banco, e la vista che mano a mano si annebbiava e tutto diventava più confuso.
 
Gli sembrava di aver visto una chioma bionda ballare vicino a lui,ma di quella sera non ricordava null’altro se non che si era svegliato la mattina nella sua macchina, con i muscoli indolenziti e la schiena che minacciava di spezzarsi a metà.
Oltre ovviamente ad un bel mal di testa. Probabilmente, aveva ricostruito, si era ubriacato. Ma non gli sembrava di aver provocato chissà quali danni, e non aveva nessun segno rosso sul collo, o livido, che testimoniasse una notte brava. Dedusse che aveva fatto, anche nell’inconscio, il bravo ragazzo.
 
 
Francesca stava appollaiata sulla sedia accanto al telefono fisso, picchiettando con le dita smaltate col lucido sulla tastiera numerata. Aveva nell’altra mano un foglietto con su scritto un numero di telefono, ma non si azzardava a comporlo.
Il telefonino in tasca le vibrò, era certamente un altro messaggio di quel ragazzo carino, quello di un paio di giorni fa che aveva mollato con quella spiacevole quanto inevitabile verità.
Erano esattamente due giorni che la martellava di sms, domande e parolacce. Lei aveva provato a spiegarsi, a cancellare il suo numero, ma niente. Non ne voleva sapere di sparire. E per lei le persone, quando si mettevano contro di lei, dovevano solo scomparire dalla sua vita per sempre.
Anche con le maniere forti.
Lesse più volte il numero che aveva fra le mani e ricontrollò l’orario. Erano le quattro, e le sembrava abbastanza decente; né troppo presto, né troppo tardi.
Respirò per calmarsi, ripassando a mente tutto il discorso che si era preparata.
Se lo ricordava. L’importante era apparire sicura e non farsi sbattere il telefono in faccia.
Abbassò il copri tasti e iniziò a digitare, le dita che le tremavano per il nervoso.
Finalmente iniziò a squillare.
La porta della stanza era chiusa a chiave, nel caso di ospiti indiscreti. Il respiro pesante contro la cornetta testimoniava quanto era agitata.
 
Davide salì sbadigliando le scale fino ad arrivare al suo appartamento.
Aprì la porta gettando con un colpo secco il mazzo di chiavi sul mobiletto, e appena si tolse la giacca sentì il trillo del telefono.
Scavalcò velocemente il divano con un balzo e allungò una mano per prendere la cornetta. La alzò e la portò all’orecchio.
-Pronto?-
 
La ragazza sobbalzò sentendolo rispondere con voce più grande. Ebbe un attimo di panico e rapidamente chiuse il telefono.
Era diventata tutta rossa e agitata. Riguardò il numero che aveva composto, e lesse il nome sopra scarabocchiato.
“Davide Ferri”.
Provò a farsi nuovamente coraggio.
Riprese in mano la cornetta e fece daccapo il numero. Squillò di nuovo e dopo pochissimo la voce maschile di prima rispose.
-Pronto?-
Lei trasse un respiro.
-Parlo con Davide Ferri?-
Davide, dall’altro capo, ascoltando il tono di voce femminile e il modo formale con cui lo aveva chiamato, si accigliò e si drizzò a sedere.
-Sì, sono io. Cosa è successo?-
Già temeva qualche incidente a persone care.
Francesca mancò la risposta pronta, perché il nervosismo la impallava come un virus col computer.
-Forse tu non ti ricordi di me- esordì mordendosi un labbro preoccupata.
Ma ormai doveva andare avanti.
A questa uscita il ragazzo pensò ad uno scherzo. Cosa significava tutto quello?
-Scusi ma chi parla?- domandò alzando un sopracciglio.
Lei arrossì di più.
-Mi chiamo Francesca Daniele. Io… anzi noi ci siamo già conosciuti-
Le sembrò un pessimo discorso da fare ad uno sconosciuto e pregò che non la prendesse per matta.
Davide, perplesso, scavò nella memoria per trovare un qualcosa che gli ricordasse quel nome. Ma non gli suggeriva nulla.
-Mi spiace, forse ha sbagliato persona- rispose più cortese.
Francesca si animò.
-No no!- si affrettò a dire –ecco… non ho sbagliato persona!-
Sbuffò, capendo che così non avrebbe ottenuto nulla.
-Ascolta, Davide… sicuramente tu mi hai già visto, ma non ti ricordi di me. Sai, io sono incinta-
Davide inarcò le sopracciglia scuotendo la testa. “Ma cosa voleva quella da lui?”.
-Beh, tanti auguri,  mi fa piacere…- stava già per chiudere la conversazione.
Lei intuendo ciò che voleva fare si affrettò a vuotare il sacco.
-Sono incinta di te-
-Cosa?-
Francesca intuì dal suo tono che non le credeva. Incespicò sulle parole.
-Senti… possiamo vederci? Avrei bisogno di parlarti di persona-
Il ragazzo scosse la testa.
-Scusa io non so chi sei, né so di cosa tu stia parlando… perciò…-
Ma la bionda parlò sulle sue parole.
-Sto parlando della sera in discoteca!-
In discoteca?
Davide rifletté lentamente su quella parola. Di quale discoteca stava parlando quella ragazza? Forse di quella serata… no, era impossibile. Così impossibile che poteva essere vero?
Decise di ascoltarla.
-Possiamo vederci?- ripeté quasi con tono di supplica.
La situazione era strana fino all’inverosimile, ma al ragazzo non sembrava tanto una cosa da riderci.
Esitò un momento prima di rispondere e fece un sospiro.
-Mi assicuri che non è uno scherzo? Non è uno stupido scherzo telefonico? Guarda che se è così, rintraccio il numero e ti vengo a cercare-
Non gli piaceva essere preso in giro, e quella gli sembrava una balla bella e buona.
-Sì, ti prometto, giuro, ti faccio un patto col sangue se vuoi-
-Cosa vuoi da me? Seriamente- domandò, stavolta più tranquillo.
Francesca si portò una ciocca bionda dietro l’orecchio.
-Voglio parlare con te, a quattr’occhi. Ti prego- aggiunse.
Se prima lo sembrava, ora ne era certo.
Quella storia era una pazzia.
Ma com’è che aveva letto da qualche parte? È sempre meglio assecondare i pazzi.
-D’accordo, d’accordo…- assentì.
La ragazza sospirò di sollievo.
-Possiamo vederci… che ne dici al bar? Quello dietro il classico-
Che poi sarebbe quello dove lavoro io, aggiunse mentalmente lui.
-Ehm… d’accordo. Domani?-
-Domani all’una e mezza-
-D’accordo-
-Grazie-
-Ma figurati-
Appoggiò la cornetta, chiudendo la conversazione.
Stette un momento sul divano riflettendo. Poi ripensò alle parole della ragazza.
“Sono incinta di te”.
Gli scappò un sorriso che si trasformò in una breve risata.
Ma che stupido scherzo idiota. Si alzò dal divano e andò a farsi una doccia.
Quella sera aveva intenzione di uscire con Silvia.
 
Francesca poggiò il telefono mentre il battito del suo cuore si placava lentamente; non credeva di avere il coraggio di fare una cosa del genere, ma evidentemente si era sottovalutata.
Come era diventata sua abitudine, si strofinò il palmo della mano sulla pancia e la osservò.
Piatta come sempre, o quasi a parte qualche piccola onda che la increspava.
La causa di tutto era stata quella sera.
 
Il ragazzo dai capelli castani infilò le mani sotto la sua maglia, alzandogliela un po’. Francesca sospirò mentre sentiva la sua lingua accarezzarle il collo. Cercò nuovamente la sua bocca e desiderò di sentirlo con un contatto più intimo.
Quella era la sua sera; sapeva che le sue amiche la stavano guardando ballare e baciarsi con quel bel ragazzo; sapeva che la invidiavano.
Voleva sentirsi grande.
Così si staccò e prese una mano al ragazzo, cercando di uscire dalla calca che impazzita affollava la pista.
Uscirono fuori e una volta lì, non aveva idea di cosa fare. Ma il ragazzo non sembrava pensarla allo stesso modo. La attirò a sé e prese possesso delle sue labbra, mentre avanzava verso una macchina.
Si staccò per aprire lo sportello posteriore e la fece sdraiare con malagrazia, quasi di forza.
Francesca cercò di adattarsi ai suoi movimenti, e tutto sommato, a parte il fatto che probabilmente lui non aveva idea di chi lei fosse e di cosa stesse facendo, poteva accontentarsi.
-Silvia…- lo sentì dire mentre scivolava dentro di lei.
Ma nemmeno lo ascoltava più, anche lei in preda al delirio.
Dopodiché fu intenso, rapido e al sapore di alcol.
 
Ricordava le sue mani affannate e impazienti che le scorrevano sulla pelle e il sapore forte di alcol che impastava la sua bocca. Ripensò al suo volto, ai tratti di un paio di mesi fa che riusciva a ricordare, per dare un volto alla voce che aveva appena sentito.
E se lo ricordava bene, eccome. Certo la prima volta poteva andare meglio, ma se la ricordava molto bene.
Quel viso magro, i capelli castani e gli occhi grandi. Grandi, verdi e intensi.
Non provava alcuna attrazione per lui, semplicemente aveva creduto che fosse un bel ragazzo, e una volta che si era spinto troppo in là aveva tanta voglia di crescere che non aveva badato a sciocchezze come il posto, la persona, e se lui fosse realmente cosciente e padrone delle sue azioni.
Aveva parlato con voce adulta. Chissà quanti anni poteva avere?
Più di venti all’incirca. La sua voce era sicura e gentile, mai offensiva.
Aveva avuto la sua prima volta con un ragazzo che non conosceva nemmeno.
E quel ragazzo, alla prima occasione, aveva fatto centro.
 
 
Il bar era gremito di gente, quella sera alle otto. Tanta gente che non si riuscivano a distinguere fra loro e sembravano formare un’unica macchia variopinta e ciarliera. Davide reggendo in alto un vassoio piatto si fece largo sgomitando fra la calca e raggiunse una zona. Aveva da consegnare due birre: una ad un ragazzo seduto con i suoi amici, ed un’altra alla ragazza bionda al tavolo all’angolo.
Stava seduta mogia mogia, con una mano che sorreggeva il mento e girava il cucchiaino nel suo frappé.
Il ragazzo arrivò davanti a lei e le posò la birra sul tavolo di legno.
Notando che non aveva cambiato espressione, e cioè che rimaneva scura in volto, fece un gran sorriso.
-Ehi, sorridi!- le disse.
La ragazza alzò lo sguardo incontrando i suoi occhi e automaticamente stirò le labbra. Ma un secondo dopo sgranò gli occhi, riconoscendo il suo volto.
Lui se n’era già andato.
Francesca era certa di non sbagliarsi. Era il ragazzo con cui aveva parlato al telefono qualche ora prima. Seguì con lo sguardo la sua sagoma che tornava al banco.
Doveva assolutamente parlargli; faccia a faccia gli avrebbe creduto di più.
Intanto lui, tornato dietro il banco, stava riempiendo un boccale con un cocktail ordinato dal signore davanti a lui.
Bruto lo superò reggendo una bottiglia.
-Vai a cercare Silvia- ordinò burbero.
-Aspetta che…-
-Vai a cercarla- scavalcò la sua opposizione con tono fermo e che  non ammetteva repliche.
Allora il ragazzo, servito il cocktail, sgusciò fuori da quella ressa. Probabilmente stava telefonando ad una sua amica o si stava facendo una sigaretta di nascosto da Bruto.
Ma quello che vide quando uscì fuori gli fece più male di uno schiaffo.
Silvia era aggrappata con tutto il suo impegno al maglione di un tizio alto che la sosteneva, ed era impegnata ad allietarlo con la sua bocca. Fu come se gli fosse caduto un mattone sullo stomaco. Davanti a quella scena non poteva fare nulla, e gli sarebbe sembrato da scemi interromperli. Così tornò dentro, rattristato.
Bruto lo vide rientrare, solitario, e lo stette a fissare mentre si impegnava a servire un altro signore. Gli sembrò che fosse successo qualcosa che lo aveva reso triste, e non gli era difficile immaginare cosa.
Pensò di rilanciargli una battuta sarcastica, ma poi la folla di persone che si affannava per ordinare lo fece desistere.
 
Francesca si alzò dal tavolo e si diresse decisa verso il banco. Prese posto su uno sgabello, e decisa aspettò che le rivolgesse attenzione.
Davide osservò rientrare, con un sorriso compiaciuto sul viso, Silvia e prendere servizio; non potendo digerire così presto la scenetta a cui aveva assistito prima, si spostò verso l’altra parte della folla che attendeva.
Così facendo si trovò di fronte a lei. E lei lo riconobbe subito.
Era strano, pensò Francesca, vederlo così tutto preso dalle sue bibite, e ricordarlo mentre sudato ed eccitato provvedeva a farle provare quella che in teoria doveva essere la sensazione più bella di tutte. Lei ancora non conosceva abbastanza quel mondo e le mani del ragazzo erano state la sua guida impacciata.
-Che prendi?- domandò spiccio lui, seccato da qualcosa.
-Non voglio ordinare- rispose la bionda.
-Beh allora libera il posto ad altri che devono consumare- ribatté il ragazzo.
Non c’era dubbio. La voce profonda era quella, non poteva sbagliarsi; la stessa che aveva udito quel pomeriggio attraverso la cornetta. Anche a Davide parve familiare quel tono, ma aveva altro per la testa e non poteva preoccuparsene.
-Voglio parlare con te-
Quella frase gli suonò stranamente familiare, come se l’avesse già sentita. E una volta che ebbe collegato i due momenti, alzò un sopracciglio.
-Tu sei quella di oggi pomeriggio?-
La ragazza annuì.
-Ma cosa cavolo vuoi da me?- domandò stufo.
-Tu mi hai messo incinta, cavolo! Voglio almeno che tu lo sappia!- ribatté irritata lei.
Il ragazzo iniziò a stufarsi davvero di quella storia.
Bruto aveva osservato lo scambio di battute che c’era stato fra i due, e intervenne.
-Se mi permettessi di spiegarmi forse…- insisteva lei.
Bruto afferrò Davide per il laccio del grembiule e lo spinse fuori dal banco a parlare con lei.
-Basta, hai finito stasera. Facciamo lavorare un po’ la ragazzina- borbottò.
Lui si ritrovò scaraventato di lato, e subito dopo una bionda gli si parò contro minacciosa.
Lo afferrò da un polso e se lo trascinò fuori.
 
-D’accordo, è una pazzia. Ora mi dici chi sei- incrociò le braccia, immusonito, con ancora la tenuta di lavoro addosso.
-Te l’ho detto! Mi chiamo Francesca, a proposito… piacere-
Davide non rispose ma la invitò a proseguire.
-Noi ci siamo incontrati due mesi fa, una sera in discoteca-
-In discoteca? E quale?-
-Quella in via Aldo Moro- rispose pronta la ragazza.
Il ragazzo rifletté. Era la stessa, se non sbagliava, dove era andato quella sera con Silvia.
-E che avrei fatto? Io non ricordo nulla-
-Ci credo, eri ubriaco fradicio- commentò lei.
-Abbiamo ballato… tu avevi una maglietta nera, a righe, e un giubbotto pure nero-
Lui ci pensò su, e scavando fra i ricordi ammise a se stesso che le versioni collimavano.
Una stanza illuminata ad intermittenza, tante grida esaltate e una ragazza bionda che lo accompagnava sulla pista. Che avesse ragione lei?
-Sai che forse…? Ma come fai a ricordarti tutte queste cose?- chiese curioso.
Francesca si morse un labbro e arrossì; spostò a terra lo sguardo prima di rispondere con voce flebile e timida.
-Me lo ricordo perché abbiamo fatto l’amore-
Questa risposta fece avvampare anche lui.
-Sei sicura?- chiese esitante
-Sì. Era la mia prima volta- confidò tornando a guardarlo.
A questa uscita Davide si sentì quanto mai imbarazzato; non era certo da lui fare cose del genere, andare a farsi una ragazzina per un rapporto che sarebbe durato solo una notte.
Come se un peso gli gravasse improvvisamente sullo stomaco, aggiunto a quello di prima.
Fu preso dai sensi di colpa.
-Mi dispiace- disse serio.
La guardò, cercando di incrociare i suoi occhi.
Era notevolmente più piccola di lui, e si notava.
-Non devi scusarti, e non è questo il problema- proseguì la ragazza, con tono più deciso.
Prese fiato e si decise a vuotare il sacco.
-Il problema è che sono incinta di due mesi-
 
Un terzo mattone piombò sul suo stomaco. Fu tentato di ridere, e di scuotere la testa. Credeva fosse tutto un terribile scherzo.
-Non è possibile-
-Oh sì che lo è- confermò Francesca.
-Non può essere-
-è da due mesi che non ho più le mestruazioni, e ho fatto pure il test. L’unico ragazzo che può avermi… cioè, l’unico con cui può essere successo sei tu-
D’improvviso Davide ebbe bisogno di sedersi perché la testa gli girava e le gambe minacciavano di cedere.
Così fece, appoggiandosi alla panchina dietro di loro. Subito Francesca si sedette affianco a lui.
-Allora?- domandò.
-Allora che?-
-Allora che ne pensi?-
-Cosa ne penso?- ripeté il ragazzo; sorrise ironico.
-Penso che sia tutta una pazzia. È una cosa troppo impossibile. Io non ci credo se non vedo-
Rispose continuando a tenerla sott’occhio.
 
 
Se anche fosse successo come diceva quella, come poteva essere che lui avesse scordato tutto? Che non ricordasse nemmeno un particolare che potesse confermare le sue parole?
Caspita, e poi possibile che nell’unica serata che aveva deciso di divertirsi un po’ dovesse capitargli quell’intoppo di dimensioni gigantesche?
Se fosse stato così, ne era certo. Era pura sfiga.
Si azzardò a fare una domanda dopo che erano rimasti in silenzio a riflettere ognuno sui suoi pensieri.
-Ma sei sicura che sono proprio io? Che sono io che ti ho messa incinta?-
Forse un po’ spudorato ma che cavolo, meglio essere sicuri, no?
Francesca si mise a giocherellare con un orecchino argentato che aveva attaccato al lobo.
-Non sono mica una che la dà a tutti-
A lui venne voglia di sorridere.
-Scusa eh… ma fartela con uno che manco conosci?- disse come se dovesse spiegare una cosa molto semplice ad un bimbo testardo.
-Ricordo che è stata anche colpa tua. E devi farti un esame-
-Cosa?-
Due erano le cose, a quel punto: o era tutto un enorme scherzo sciocco, oppure quella ragazzina aveva seri problemi al cervello.
-Senti io non ho tempo da perdere con queste sciocchezze….- la liquidò alzandosi.
La bionda saltò su immediatamente mentre il ragazzo si stava allontanando.
Sentì i nervi saltargli e ogni buonsenso andare al diavolo.
Si fece rossa e gli gridò dietro
-E se invece fosse tuo figlio non te ne importerebbe niente? Mi lasceresti così? Rifiuteresti il tuo bambino?-
Davide si voltò di scatto. Quella pazza stava urlando troppo per i suoi gusti, e a quell’ora ne passava ancora di gente, che sentendola si era voltata curiosa nella loro direzione. Tornò da lei, premendole una mano sulle labbra.
-Scema, che cavolo ti urli?- la sgridò. Lei si scrollò la sua mano di dosso e accigliata riprese
-Tu sei solo un egoista. Non ti importa nulla di me, bastardo! Prima ti diverti e poi non accetti le conseguenze! Ma cresci un po’!-
-Ma che cosa stai dicendo?-
-Perché non mi vuoi credere?- all’improvviso lei cambiò tono e passò da carnefice a vittima.
Lui la guardò un po’intimorito.
Forse faceva davvero sul serio.
La ragazza attese una sua risposta con apprensione, evidentemente ci teneva.
Il ragazzo tentennò un po’ sotto il suo sguardo fiducioso. Gli occhi tremendamente azzurri lo fissavano carichi di fiducia e supplica.
Indeciso sbuffò.
-E va bene. Andrò a fare l’esame, se questo può tranquillizzarti- acconsentì stringendosi nelle spalle larghe.
Francesca emise un sospiro di sollievo.
-Ti ringrazio. Che ne dici se andiamo domani? Tanto dopo la scuola io vengo sempre a mangiare qui-
-Non ho il turno all’ora di pranzo- disse lui.
Ecco perché non l’aveva mai vista, pensò fra sé.
Però qualcosa, forse la sua espressione mista alla tenerezza che gli faceva a vederla così bisognosa di una sua risposta, lo indusse ad accontentarla.
-Domani, all’uscita di scuola. Va bene?-
-Va bene-
-Se non fossi io il padre del bambino?- domandò quando stavano per separarsi.
-Mi scuserei tanto per il disturbo- ribatté svelta, e poi si allontanò lungo la via illuminata dalle vetrine e rumorosa per i gruppi di persone che ci passeggiavano.
  
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Egomet