Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: Kimmy_90    12/01/2016    3 recensioni
La Regio è salda da millenni, sostenuta da una forte e solida gerarchia meritocratica: in cima, i Philosophi, sotto, la Gens. In mezzo v'è la colla della Regio, i Custodes, a guida delle milizie. Vestiti di nero, hanno il volto scuro e le mani chiarissime. Puliti, alti, statuari.
I bambini li chiamano Ombre.
Le Ombre prendono i bambini.
E mentre la società rimane ferma, inamovibile, la tecnologia avanza – tanto lenta quanto inesorabile, fino al punto di non ritorno.
Il rinculo.
Ecco cosa significava davvero.
La spalla che sussulta. La presa che sembra sfuggire.
L’impulso.
Odore di bruciato, e di metallo rovente.
Saeb lasciò che lo guardassero, mentre si calmavano. Un rumore del genere non lo avevano mai sentito, se non durante un temporale. Ma quella era la natura.
Miran, invece, fra le mani serrava un oggetto puramente umano. Preciso e geometrico come solo l’ingegneria della Regio sapeva fare.
“Questo.” disse poi il Rector, facendosi sentire da ognuno di loro “Era uno sparo.”
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A









I bambini di Shi'ran













Prologo



“Matre – ” sussurrò “ – le Ombre!”

Nere. Scure. 

Più scure di lei, che aveva la pelle color biscotto. Più scure della sua Mater, che veniva dal confine con le terre dei Bianchi. Più scure degli Agricola, e dei mercanti del deserto. Le Ombre, oltre ad avere la carnagione bruna – la pelle come carbone –, vestivano divise nere e lucenti. 

Ed erano alte.

Statuarie e possenti.

Uomini e donne dal passo saldo, i movimenti precisi, il mento sempre alto. 

Le Ombre erano in tre.

Lamaki1, sveglia, lo aveva notato: per quanto fossero rare le volte in cui le incontrava, le Ombre erano sempre in tre. La bambina portò il pugno destro all'altezza del cuore, immobile mentre le guardava, cercandone gli occhi. Accanto a lei, la sua Mater fece lo stesso.

Quelle continuarono a camminare lungo il viottolo polveroso, ignorando le poche persone attorno a loro. Una volta sufficientemente lontane, madre e figlia sciolsero il saluto.

“Non chiamarli Ombre, Lamaki.” la ammonì dolcemente la donna, dandole un colpetto sulla cima della testa con l'indice. “E usa la Lingua.”

“Sì, Matre - sì, Mater.”


Con difficoltà Atro2 non aveva ceduto all'impulso di voltarsi, quando, con la coda dell'occhio, aveva notato le due. In mezzo agli abitanti di quel paese perso nel nulla, popolato solo da Agricolae e Parentes, non era difficile riconoscere Lama3 – e Lamaki, soprattutto. La bambina aveva la stessa, identica espressione del suo sciagurato Pater: neanche cinque anni, e già si poteva intuire la mole di pensieri intricati che le percorrevano la mente. 

Stanno tutti lì, i loro pensieri – si disse l’uomo. Li nascondono dentro i loro maledettissimi occhi.

La genetica non era stata loro amica. Cinque anni prima, Atro aveva osato sperare che quegli occhi non arrivassero a Lamaki, e tutto si risolvesse lì.

E invece no.

Gli stessi occhi, la stessa espressione.

Atro non aveva mai pensato di sapere cosa fosse esattamente l'Odio, né mai aveva pensato di poter odiare. Aveva provato fastidio, era stato scocciato, ben conosceva il disprezzo – ma non l'Odio. Non faceva parte del suo essere. Era un sentimento del tutto inutile e a dir poco controproducente – per quel che lo riguardava, l'Odio non era e mai avrebbe dovuto essere sentimento da Custos. 

Avrebbe.

Da quasi sei anni, ormai, Atro odiava. Odiava Lama con un'energia tale fargli paura – una paura profonda, che divampava quando lo sentiva, l'Odio, il suo Odio, scalciare e dimenarsi nel tentativo di spodestarlo dalla sua stessa coscienza, per agire al posto suo.

L’uomo socchiuse gli occhi, continuando a camminare accompagnato da Jhun4 e A'ni5, lungo il viottolo polveroso. 

Era stato un attimo: l'Odio era salito, pulsandogli nelle vene, poi ritirandosi. Atro lo aveva cacciato, impedendogli d’insinuarglisi nei muscoli e nei nervi, di avvolgergli il cranio e alterargli la vista. Impedendogli di fare quel che era già successo, una volta. Una soltanto. Già un numero eccessivo di eventi.

“L'edificio è quello.” disse A'ni, indicando un casolare a qualche decina di metri da loro.

In un posto del genere, Lama, dovevi venire a crescere Lamaki? 

Davvero in un posto del genere?

Perché?

Varcò la soglia, ricacciando l'ennesima ondata d'Odio nei meandri del suo essere.


L'edificio era in linea con il resto dei ruderi del paese: mattoni di fango tenuti insieme da legno e paglia, grezzo, il tetto piatto tipico di quelle latitudini. Seppur lontani dal confine con il deserto, pareva d'essere in mezzo ad un villaggio dei Bianchi; d'altronde il clima era simile. Atro si sfilò un guanto, tanto bianco da sfiorare l'azzurro, per poter toccare e tastare la consistenza delle pareti. Percorse l'intero perimetro dell'unica ed enorme stanza che componeva il casolare, facendo scivolare la mano lungo le mura – che, a tratti, gli si sgretolavano sotto i polpastrelli. 

Non era abituato a quel tipo di architettura. Era solito abitare luoghi ben diversi: la tenda da campo, durante i periodi sul confine, o le mura di cemento, la vernice, il metallo, i marmi e la plastica, tipici del Ludus e del Globus.

Dovette far mente locale per convincersi che quell'edificio, apparentemente fatiscente, era in realtà un posto molto sicuro: le assi di legno che reggevano il tetto erano elastiche, le pareti leggere, tali da rendere minimo il danno in caso di terremoti. Il fuoco avrebbe fatto fatica ad attecchire a causa del pastone ignifugo – frutto non di ricerche scientifiche, ma di una sana ed antichissima cultura popolare – che permeava la paglia, il fango, e tutto ciò che teneva in piedi quel casolare. Considerato il clima tipico, e la zona, non si sarebbe potuto chiedere di meglio.

“Tu e Souma dovrete stare qua fuori, quindi.” disse poi, volgendosi minimamente verso A'ni.

Il ragazzo, poco più che ventenne, fece un vago cenno d'assenso mentre seguiva i movimenti di Atro. Man mano che questi si spostava, A'ni – e Jhun con lui – muoveva piccoli passi, quasi inconsciamente, in modo da non dargli mai, del tutto, le spalle.

"La rappresentante della comunità non ha altri edifici liberi, al momento. A meno di non erigerne uno ex novo, non c'è alternativa."

Atro si fermò. Levò lo sguardo verso il soffitto, analizzando per l'ennesima volta le travi e dei mucchietti di sterpaglie che davano tutta l'idea d'essere nidi d'uccello. Si pulì il palmo contro la stoffa dei pantaloni – lasciando, inevitabilmente, una manata bianca sul tessuto scuro. Rimettendosi il guanto, si avvicinò ad A'ni: che Atro fosse alto, e grosso, era cosa risaputa – ma quando ti si avvicinava, questo dettaglio diventava predominante. Il ragazzo, poco avvezzo a frequentarlo, ancora faticava a non ritirarsi istintivamente davanti alla massa dell'uomo, di almeno due teste più alto di lui. All'ombra della sua figura, A'ni si ritrovò ad annuire mentre forzatamente si drizzava, stirando più di quanto non facesse abitualmente la colonna vertebrale.

"Tende?" chiese Atro, senza mai smettere del tutto di guardarsi attorno.

"Sì."

"Cosa dice la rappresentante?"

"Nessuna controindicazione."

"Jhun?" chiamò l'altra, intenta a sua volta a rilevare l'edificio con sguardi attenti e clinici.

"Tutto a posto." disse lei, avvicinandosi ai due. "A posto, Atro?"

"Direi di sì."

"E la bambina?"

"Adesso vediamo."


La bambina sussultò quando sentì le Ombre parlar di lei. Si era affacciata al portone rimasto aperto dell'edificio, e da lì aveva osservato i tre perlustrare quel che ai suoi occhi era sempre e solo stato un casolare abbandonato. Non avrebbe dovuto farlo, no. Non avrebbe proprio dovuto. Ma non ci aveva seriamente pensato finché non aveva sentito la donna dire quel ‘la bambina'. E gli altri due non mostrare alcuna sorpresa.

Sapevano benissimo che era lì. Lo avevano sempre saputo.

Erano Ombre.

I tre si voltarono a guardarla. Kumki6 sgranò lentamente gli occhi, mentre il cuore prendeva a pulsarle con una foga mai provata prima. Presa dal panico, strinse le mani sullo stipite da cui aveva fatto capolino, aggrappata.

Quello grosso – quello veramente grosso – serrò le braccia al petto mentre le rivolgeva uno sguardo annoiato. Come tutte le Ombre era nero, nerissimo, di pelle e di vestiti, eccezion fatta per i guanti candidi che indossava e per i capelli corti e brizzolati. Sul suo volto squadrato si potevano intravedere una serie di rughe contrite, una delle quali Kumki non sapeva dire se fosse bene una ruga o una lunga e profonda cicatrice. Qualcosa le suggerì di indietreggiare, ma il suo corpo non rispose.

La donna accanto al colosso era meno imponente, con gli occhi e i capelli scuri. Nonostante il volto rotondo, che forse poteva dirsi dolce, sembrava amichevole tanto quanto l'altro.

Mentre Atro e Jhun rimanevano immobili a guardare, distaccati, la piccola, A'ni le si avvicinò.

"Ascolta." le disse il ragazzo.

Kumki, per un istante, pensò di essere al riparo dalle due Ombre – protetta dalla terza.

"Quello che stai facendo non va bene."

La bambina indietreggiò.

A'ni, dall'alto, la fissava in un modo forse ancor peggiore di quello che poteva essere l'occhiata del colosso. Seppure da lontano poteva sembrare normale, paragonabile a qualsiasi Agricola del paese, una volta avvicinatolesi il ragazzo costrinse Kumki a cambiare rapidamente idea su di lui. Sotto la divisa nera dei Custodes la bambina poteva intravedere i suoi muscoli, tesissimi e compatti, che si muovevano vigorosi per il solo respirare. Aveva fatto un enorme errore di valutazione: quello sì che era il più pericoloso. Pareva normale, e invece – no, non lo era. 

Non sapeva proprio cosa fosse. 

Un'Ombra.

Oh, enorme errore.

Spiare le Ombre.

Avvicinarglisi di soppiatto.

Senza nemmeno aver fatto il saluto!

Kumki indietreggiò di un altro passo, bloccata dal fatto che le sue mani ancora s'aggrappavano allo stipite del portone.

Pensò che forse avrebbe potuto dir qualcosa – qualsiasi cosa, ma le parole non le venivano su. O meglio, le venivano nella lingua sbagliata.

E se non si fosse rivolta alle Ombre nella Lingua, non avrebbe fatto altro che peggiorare la sua situazione.

"Quanti anni hai?" le chiese l'Ombra. La bambina si sarebbe aspettata un tono spazientito, ma non fu così. Non fu nemmeno accondiscendente. 

Le Ombre vivevano in un altro mondo per davvero.

L'indecifrabilità dei loro atteggiamenti, che in fondo aveva attirato Kumki a seguirli, la stava inquietando più che mai.

O si faceva coraggio, o era finita.

"Sei!"

Per non pigolare, aveva finito con l'urlare.

Colta alla sprovvista dalla sua stessa voce, staccò con un sussulto le mani dallo stipite: improvvisamente libera dalla sua stessa catena, fece per scattare a correr via.

"Ferma."

Non poté ignorare l'ordine.

Si voltò, ancor più bianca di quanto già non fosse in volto, i pugni stretti lungo i fianchi e gli occhi ora puntati sull'Ombra. Poi, di colpo, portò il pugno destro al petto – con tanta rapidità da farsi male.

"Ascusaste!" disse, continuando a gridare per l'agitazione. Immediatamente si corresse: "Scusateme!" No, aveva sbagliato di nuovo: "Scusate! Mi!"

"Dimmi chi sei."

"Kumki sono." finalmente aveva regolato il tono di voce. "Filia di Kum7 e Lazari8, Tanki9 e Naa'ski10

"Tornatene a casa. Ci rivedremo."

Kumki guardò le Ombre, una per una, immobile.

"Kumki." la riprese A'ni. "Vai. E che non succeda mai più."

La bambina scappò.


A'ni e Atro si scambiarono una rapidissima occhiata, per poi tornare al proprio lavoro. Verificati i dati del catasto, i tre Custodes si recarono dalla rappresentante di comunità per gli ultimi accordi.

"Inizieremo tra tre giorni." disse A'ni alla donna, un'artigiana che s'era dimostrata ben più sagace dei Bellatores a cui loro erano abituati. C'era sempre da stupirsi, a parlare con la popolazione. A'ni amava farlo, lo considerava parte integrante dell'essere Custos. Studiare da pedagogo era quanto più si confaceva a lui: rimescolarsi alla sua terra, trovarne i semi migliori, farli crescere – questo era il Finis di A'ni. Non se lo era scelto direttamente – nessuno se lo sceglieva mai –, ma, come sempre avveniva, era esattamente quello che voleva fare.

Atro era altro genere di Custos. Stava al confine. Quella era la sua terra, non questa. Questa era la terra da proteggere, quella, quella linea sottile che ogni giorno si modificava leggermente, che un anno avanzava e un altro retrocedeva, che mieteva e faceva nascere guerrieri in continuazione: quella era la terra da abitare.

Era solo di passaggio, al paese.

E su, eccola: l'ennesima ondata d'Odio.

La prese, l'annodò, la strinse, facendola spirare di asfissia. Se ne andò.

Non poteva più permettersela, questa cosa. O gli sarebbe sfuggita di mano.

"Come vi abbiamo già detto, siamo lieti di offrirvi cibo delle nostre dispense e acqua dei nostri pozzi –" insistette, in modo puramente formale, la rappresentante "– ma se avete bisogno di altro, i carri arrivano e partono ad ogni ora. Lasciatemi i vostri comandi e provvederò io a farvi arrivare quanto vi serve."

A'ni annuì. "A te lascio il compito di informare i Parentes che soggiornano qui. Tutti i bambini senza Nomen di almeno quattro anni sono i benvenuti."

"In parte ho già provveduto. Vedrò di finire il lavoro."

"Ci congediamo."

"Arrivederci."


"Le Ombre!"

Kumki giunse alla piazza della fontana rotolando direttamente sopra Lamaki, che tentò di scansare l'altra senza risultato. Ruzzolarono a terra, ritirandosi su: Kumki pareva preda di una risatina isterica, mentre Lamaki la guardava con gli enormi occhi neri, inquieta e affamata di sapere. La risata di Kumki venne interrotta da una sberla.

La bambina si mise a piangere.

"Ahbhrava, cretinotta the, ch'altro non si!" Kum, Mater di Kumki, la prese per le orecchie. "Morire vuoi? Morire? Da le Ombre vai the? Non ci ascolti mai a noialtri? Eh?"

"Ma'so viva me!" grugnì la bambina. "Sana! Forte! Mollami, Matre!"

"Se parli la Lingua ti mollo! O hai parlato così anche a Loro, eh? Ti pare modo?"

"Lasciami!"

Kum la lasciò andare, levando in aria la mano per mimare una seconda sberla incombente: Kumki indietreggiò, senza nemmeno pararsi il volto – lo sapeva di essersela andata a cercare. Strinse forte gli occhi ed aspettò la seconda manata.

Non arrivò.

Kum sbraitò qualcosa di incomprensibile, e si sedette a terra. "Vedi di non traviare Lamaki, pure. Anzi, sai cosa? Poi ti dico."

La donna tacque. Kumki, sua fotocopia in piccolo, con lunghi capelli biondo cenere raccolti in un'alta coda, osservò a lungo la sua Mater per capire cosa stesse tramando. Le due rimasero in un imbronciato silenzio, mentre Lamaki, muta, le osservava.

Lentamente si avvicinò all'amichetta: "Ma le Ombre?" le chiese, sotto voce.

Kumki decise di non dir nulla, inquietata dalla strana minaccia di Kum.

"Tornastenethe dalla Mater tua the." grugnì Kumki.

Lamaki rimase lì impiantata, per nulla disposta a lasciar cadere il discorso in quel modo. Dopo un po', ritentò: "Ma le Ombre, Kumki?"

Kum si avvicinò alla figlia, prendendola in braccio e iniziando a pulirle i capelli e la veste – una larga tunica, come tutti i piccoli lì usavano, fatta d'un continuo susseguirsi di rattoppi e allungamenti dovuti alla crescita.

"Si chiamano Custodes." sillabò Kum, esasperata. Non c'era modo di evitarlo: i bambini le chiamavano Ombre.

Lo avevano sempre fatto, al paese. Sarebbe continuato per sempre.

Non avevano tutti i torti, d'altronde.

"I Custodes?" chiese allora Lamaki.

"Sono enormi." iniziò a proclamare Kumki, scattando in piedi: sfuggita alla madre, con i capelli sciolti prese a muovere le braccia per cercar di mimare quanto grandi fossero a parer suo i Custodes.

Lamaki la guardava senza mutare apparentemente espressione, interamente concentrata a seguire quanto aveva da dire. 

"Ce ne era uno che era alto come una casa –"

"Nun 'sta a dì palle, the!" la rimproverò Kum.

"Giuro! Grosso! Grossissimo era più tutti gli altri messi in impilati! Uno sopra l'altro! Così stavano! Se no non potevano guardare quello negli occhi, dico!"

"Piantala – Lamaki, non ascoltare 'sta cretinotta, the. Zitta, Kumki."

Kum riafferrò la figlia per i capelli, tirandosela addosso per finire di rifarle la coda.

In tutto questo, Lamaki aveva osservato la biondina muoversi e dimenarsi e scalciare mentre cercava di descrivere la grandiosità delle Ombre – dei Custodes, anzi.

Pendeva letteralmente dalle sue labbra: se pur il suo volto non sembrava essere capace di trapelare entusiasmo, sempre serio, Lamaki avrebbe fatto qualsiasi cosa fosse in suo potere per continuare ad ascoltare quanto Kumki aveva da dire.

"E m'han detto, sai, Lamaki, he? Sai che? Eh?"

"Che?"

"Che se da loro torno poi mangianomimi!"

"Mangianotiti?"

"Dico – mph!" Kum decise che l'unico modo per far smette smettere la figlia di dire fesserie era di tapparle direttamente la bocca.

"'n l'ascoltare allei. Prego. Dice solo il falso."

Lamaki soppesò a lungo l'affermazione di Kumki, senza prestar troppa attenzione a quanto Kum diceva: per quel che la riguardava, la donna aveva molta meno voce in capitolo della bambina. Questo non impedì alla piccola, dopo un faticoso rimestare di pensieri, di bollare come poco credibile l'affermazione di Kumki. I Custodes non mangiavano nessuno.

"Ma t'han presa?" chiese allora Lamaki, talmente sottovoce da emettere, più che un suono, un respiro.

"Non ti aspetta a casa, la tua Mater, Lamaki?" domandò Kum, deviando il discorso.


Tutti lo sapevano ma nessuno lo sapeva. Di sicuro, non c'era adulto che mai avesse detto alcunché al riguardo, e mai ci sarebbe stato.

Ma le Ombre – ognuno di loro ne aveva avuto in qualche modo nozione – le Ombre andavano a caccia di bambini.

Ogni tanto qualche fratello o sorella spariva. C'era allora un sussurrare generale: le Ombre – erano state le Ombre.

I più tornavano dopo qualche tempo, ma girava voce di alcuni che erano spariti del tutto. C'era chi, come Kumki, sosteneva venissero mangiati. Ma, se pur Lamaki pendesse sempre e costantemente dalle labbra di Kumki, c'era una persona al paese a cui sempre avrebbe prestato più attenzione che a chiunque altro: Lama, la sua Mater.

E Lama aveva detto, un giorno: "No, Lamaki. I Custodes non mangiano nessuno."

Nient'altro aveva mai detto Lama al riguardo. Quello. Solo quello.

A Lamaki bastava: le Ombre non avrebbero mai mangiato nessuno.









[1] Pronuncia: Lamàki

[2] Pronuncia: Àtro
[3] Pronuncia: Làma

[4] Pronuncia: Giùn

[5] Pronuncia: À-nì (breve stacco)

[6] Pronuncia: Kùmki

[7] Pronuncia: Kùm

[8] Pronuncia: Làzari ( z quasi s, come in spoSa)

[9] Pronuncia: Tànki

[10] Pronuncia: Naa-zki (breve stacco,  z quasi s, come in spoSa)


_____________________________________________________________________________________________________________________




Nota dell’autrice: 


Dopo aver riscritto tutto almeno cinque volte, dopo ottanta inizi, oltre settecento pagine di svarioni, cose, errori – un continuo non finito, un po' causato dall'ansia dell'impresa (mai prendersi troppo sul serio, questo ho imparato) e un po' dalla vita che intanto se ne va avanti per i fatti suoi, come se la persona e la autrice, se tal posso definirmi, fossero scisse, I frutti dell'oblio ritorna.

Ritorna come storia originale che rischia di far concorrenza alla Ruota del Tempo in termini di quantità (non di qualità, scherziamo), dopo che in questi anni (dieci ne sono passati, da quando iniziai a far danzare le idee nella mia testa solleticata da pensieri sul mondo di Naruto) un mondo intero è nato, morto, vissuto, resuscitato.


Questa è la “riscrittura” (se tal si può definire, perché di cambiamenti ne trovate a palate e non certo trascurabili) della mia amata (unica) fanfic finita, che oramai ha messo le sue gambine e si è distaccata dal fandom. Come in molti mi avevano giustamente scritto nelle recensioni della FanFic, molti pg sono diventati OC, indipendenti, e in questi anni ho lavorato in modo da poter del tutto definire il mio mondo, o meglio, quello dei ‘miei’ personaggi, come in fondo mi pare sia il modo più naturale di essere e quello che sentivo loro più proprio. Ho cercato di sviscerare ogni aspetto della vita dei neri e dei bianchi, la storia, l’organizzazione sociale, la loro cultura e le loro usanze.


La storia ha rating rosso perché non voglio risparmiami niente. Voglio insistere sul rating rosso e sul fatto che ci saranno tematiche delicate, che intendo trattare a fondo e spero senza mai abusarne, rendendomi conto che alcuni dei personaggi sono a volte bambini e la cosa potrebbe non essere molto simpatica. Cerco di essere delicata ma salda su alcune questioni, e ho preso questa decisione dopo aver a lungo letto romanzi di ogni genere per capire cosa si possa e non si possa scrivere, e per farlo con il maggior tatto possibile senza però snaturare quello che per me è un concetto che vale la pena di essere approfondito.

A chiunque, per qualsiasi motivo, sia rimasto con me sino ad ora, vi ringrazio e spero che possiate godervi i miei svarioni post-adolescenziali come avete fatto con i miei svarioni adolescenziali.






   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Kimmy_90