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Autore: LisaBagli    12/01/2016    22 recensioni
Verona. Simone Rovere e Lisa Bagli si conoscono grazie a una singolare professoressa di Lettere. Una penna, un violino, qualche citazione. Il resto dovrete leggervelo.
[Storia scritta per il contest "Galeotto fu il prof - Ecco perché andare a scuola è utile!"]
Genere: Comico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Prologo


La penna strisciò sul foglio lasciandolo bianco. Lisa Bagli ripeté l’operazione cercando di far uscire quel poco inchiostro rimanente, ma ciò che ottenne fu solo il suono ripetuto di qualcosa che raschiava contro il banco. Assuntina Montessoro, professoressa di Lettere presso il Liceo Scientifico Leonardo Da Vinci, alzò impercettibilmente gli occhi dal libro e con un leggero tocco delle dita si avvicinò gli occhiali al viso. Fissò la ragazza, ancora intenta a cercare di resuscitare la penna, e, quando il resto della classe se ne accorse, Giuseppe Poggio smise di leggere ad alta voce il brano e calò il silenzio.
“Qualcosa non va, Bagli?"
“Mi si è scaricata la penna.” Rispose Lisa, indugiando.
La Montessoro frugò per qualche istante nel proprio astuccio ed estrasse un’elegante e piccola biro. Si alzò dalla sedia dietro la cattedra e andò a posarla sul banco della giovane.
“Grazie.” Disse Lisa con tono incerto.
“Continuate a leggere.”
Lisa fissò la penna e poi la donna.


Quando anche l’ultima campanella fu suonata, Assuntina Montessoro ripose libri e quaderni nella propria borsa e s’incamminò verso l’aula di musica. Rappresentava quel genere d’insegnante di cui potevi pensare che la vita terminasse tra le mura della scuola: rigida, severa, ironica, ma con una mente che nessun altro avrebbe potuto eguagliare. Per questo Simone Rovere, inizialmente, aveva stentato a credere che suonasse uno strumento tanto giovanile quanto la chitarra elettrica. Glielo aveva detto il pomeriggio stesso in cui l’aveva sentito dilettarsi con il violino elettrico, quando si era recata nell’aula per parlare con il professor Saccardi.
Assuntina spinse decisa la porta e trovò Simone seduto al solito posto.
“Ciao.”
“Buongiorno, prof.”
“Che suoniamo oggi?”
Simone sorrise. “Quello che preferisce.”



*
1. Aula di musica


“Quindi, per Aristotele la Metafisica, o filosofia prima, studia l’essere in quanto essere, la sostanza, le cause e i principi primi, Dio e la sostanza immobile, tra queste affermazioni la più importante è probabilmente la prima, in quanto significa che la filosofia prima non studia una particolare qualità dell’essere ma -" Il professor Ballini chiuse gli occhi sconsolato: la campanella dell’ultima ora doveva necessariamente guastare, sempre, la festa.-

Lisa si affrettò a rimettere le sue cose nell’ampio zaino blu.
Molti dei suoi compagni erano già usciti dall’aula e il professore si apprestava a spegnere il computer, avanzato fratello minore dell’affidabilissimo e caro registro cartaceo.
Lisa chiuse la zip, si alzò, e, dopo aver sistemato la sedia, si mosse verso la porta.
“Bagli, guarda che ti è caduta una penna.”
Ballini la fermò e lei si girò educatamente, seguendo la direzione indicata dal dito del professore e notando la piccola ed elegante penna.
Imprecò tra i denti, tornò sui suoi passi e chinandosi prese il malefico oggetto.
“Grazie prof, arrivederci.” Salutò garbatamente fiondandosi verso la porta. Neppure sentì la risposta del professore.
Stringeva tra le mani la maledetta penna a sfera che le aveva prestato la Montessoro alcune ore addietro. Era in ritardo e rischiava di perdere il pullman per tornare a casa, ma prima di lasciare l’istituto doveva ritrovare la professoressa d’italiano e restituirle il piccolo e freddo prestito.
Si avvicinò a Carlo, il bidello che, con un occhio chiuso e la mano a reggersi la guancia, sonnecchiava stanco.
“Scusi," Lisa cercò l’attenzione dell’altro - sa dove posso trovare la professoressa Montessoro?”
L’addetto a qualcosa, Lisa non aveva mai ben capito cosa, alzò lo sguardo seccato.
“No.” E tornò a oziare.
Lisa fece passare un secondo.
“Bene, sa almeno se è già uscita?”
L’altro grugnì. “No, signorina, ora mi lasci fare il mio lavoro.”
Questa volta Carlo non si prese neppure la briga di guardarla in faccia.
Quale lavoro? Pensò lei.
“Va bene, se la vede potrebbe darle questa penna?”
La ragazza sperò in una risposta positiva che, puntualmente, non arrivò.
“Ma non vedi che sono impegnato?”
In realtà no.
“Certo, mi scusi, ha molto da fare veramente, allora andrò a cercarla, arrivederci e buon fine settimana anche a lei.” Lisa si allontanò seccata, maledicendolo.
Preoccupata per il ritardo che stava accumulando, velocemente entrò in alcune classi completamente vuote, cercò anche nei bagni, negli stanzini, chiese ad altri professori, ma l’austera professoressa di Lettere sembrava essersi smaterializzata e intanto i minuti passavano.
Scese al piano terra con scarse speranze, eppure, mentre saltava le scale a tre a tre, sentì uno strano rumore raggiungerla.
Perplessa, si diresse verso esso, arrivando sino ad un ampia porta verde. Lesse il cartello a fianco: ‘Aula di musica
“Addirittura un’aula di musica, questa scuola non smetterà mai di stupirmi.” Sentì il telefono vibrarle nella tasca, aprendo la porta, e prendendolo lesse velocemente il messaggio: Ma dove sei? Siamo già partiti.” Era la sua compagna di viaggio, Rebecca.
“Cazzo!” Esclamò prima di alzare lo sguardo.
“Signorina Bagli, ti sembra il modo?”

“Professoressa.” Lisa si bloccò di colpo. La Montessoro reggeva tra le braccia quella che aveva tutta l’aria di essere una chitarra elettrica. Questa scuola non smetterà mai di stupirmi, sì. Avanzò verso la donna.“Ero venuta a riportarle la penna.” Tese una mano, porgendogliela. La Montessoro si alzò lentamente, come se non ci fosse nulla di strano in quella situazione, e appoggiò delicatamente lo strumento a un gambo della sedia. Prese la penna senza proferire verbo e la ripose nell’astuccio che si portava sempre appresso.
“Quindi lei… suona?” Lisa si maledì mentalmente per la stupidità della propria domanda. Adesso l’insegnante l'avrebbe uccisa, poco ma sicuro. Una morte lenta e atroce.
La Montessoro alzò un sopracciglio. “Così sembra.”
“Bello.”
L'insegnante tornò a sedersi e solo a quel punto Lisa si accorse che non erano sole. Vicino a lei, un ragazzo teneva in mano un violino. Osservando bene lo strumento, Lisa si accorse che il violino non era propriamente normale, anzi. Era completamente nero e lucido e la ragazza aveva unicamente visto violini color legno, ma questa non era la sola stranezza. Infatti il corpo non era completo, anzi, a tratti mancavano dei pezzi. Lisa si sentì in dovere di analizzare, seppur da lontano, lo strumento.
“C’è qualche problema?” Il ragazzo la guardava con un sorriso sarcastico a increspargli le labbra.
“No, scusa.” Lisa spostò la sua attenzione su di lui.
Non era troppo alto e neppure basso, i capelli ricci gli ricadevano morbidamente sulla fronte, una barba incolta nascondeva il rossore delle sue guance. Aveva una camicia in flanella a scacchi blu e rossa, dei jeans scoloriti e degli scarponcini gialli. A Lisa sembrava tanto un boscaiolo e sorrise al pensiero.
“Ah, sì.” La Montessoro notò la danza di sguardi dei due. “Simone Rovere, Lisa Bagli.” Li presentò velocemente.
Lui accennò un gesto con la testa e lei sorrise in risposta.
“Scusate, non volevo disturbarvi.” Fece per andarsene.
“Puoi rimanere ad ascoltarci, se vuoi.” La Montessoro si strinse nelle spalle.
Ci pensò su un attimo. “Va bene, grazie, tanto il pullman ormai l’ho perso.” Si sedette di fronte a loro. “Sentiamo.” Al massimo, sarebbe riuscita a estorcere un passaggio.



*
2. Verona


Lisa applaudì, sinceramente colpita dal risultato che due strumenti - e due persone - apparentemente così diversi erano riusciti a ottenere combinandosi tra loro. C’era qualcosa di affascinante e ipnotico nella precisione con cui l’archetto e le dita scorrevano veloci sulle corde del violino e della chitarra. Simone simulò un piccolo inchino e la Montessoro si affrettò ad aprire la custodia del proprio strumento. Lisa raccolse la giacca, indecisa sul da farsi. Erano le tre del pomeriggio, se fosse tornata a piedi sarebbe arrivata verso le quattro meno venti.
“Io vado, arrivederci.” L’insegnante indossò la tracolla del sacco e uscì dall’aula. Chissà dove la tiene, rifletté distrattamente Lisa, mentre fa lezione.
“Vai a casa?” Domandò il ragazzo.
“Sì.”
“Dove abiti?”
“Via Baldo. Come il cane.”
Simone sorrise. “Io vivo lì vicino. Se vuoi, ti do un passaggio.”
“Accordato. Come il violino.” Che battuta squallida.


“No.”
“Perché no?”
“Perché non mi piace andare in bici.”
“Tanto pedalo io.”
Lisa alzò gli occhi al cielo.
“Ovvio che pedaleresti tu, però niente bici lo stesso. E poi come pensi che ci staremmo, in due?”
Questa volta fu Simone ad alzare gli occhi. “Io in piedi, tu seduta. Chi è a abile, come il sottoscritto, certe cose riesce a farle senza problemi.”
“Così poi, magari, ti dimentichi che ci sono anche io, ti siedi su di me, mi schiacci e muoio.”
Il ragazzo le lanciò un’occhiata ammiccante. “Oppure svieni.”
Senza degnarlo di uno sguardo, Lisa s’incamminò.
“Va bene, va bene, andiamo a piedi.” Simone afferrò il manubrio della bicicletta. “Ti seguo a ruota.”
“Come battuta fa schifo. E non ho bisogno di essere scortata.”
“Mai quanto le sue, milady. E il mio orgoglio di gentiluomo m’impone di accompagnarla fino alla di lei abitazione.”
Lisa si girò di scatto. “Ma come cazzo parli?”
“Dovrei chiederti lo stesso.”
“Sì, certo, però adesso stai zitto finché non arriviamo, ok?”
Simone sorrise. “Te lo scordi. Che classe frequenti?”
“Terza.”
Un’espressione di disgusto comparve sul volto del giovane. “Sei praticamente una bambina.”
“Mi scusi, Signor Gray, se i miei genitori hanno deciso di copulare in un momento a lei non gradito. Lei, piuttosto, a che anno scolastico appartiene?”
“Quinto.”
Lisa annuì. “Ovviamente. Senza dubbio, è anche - Lisa cercò velocemente un termine più ricercato di “secchione” - l’intellettuale della classe e l’enfant prodige di ciascun professore. Per tale motivo, orsù, si diletta a strimpellare quel violino con la Signora Montessoro.”
Il tono del ragazzo divenne improvvisamente serio. “È un violino elettrico, non un violino classico.”
Lisa sbuffò. “Sai che differenza.”
“Il violino elettrico è un violino con amplificazione elettronica del suono. Il termine si riferisce propriamente a uno strumento appositamente realizzato per essere elettrificato tramite pick-up integrati e solitamente con il corpo solido. Può anche riferirsi a violini classici adattati tramite pick-up elettrici, nonostante sia più corretto parlare di violini amplificati o elettro-acustici, in questo caso.” Tossicchiò. “A differenza del violino classico, il violino elettrico non utilizza una gamma di frequenze date unicamente dalla cassa di risonanza del violino acustico.”
La ragazza simulò uno sbadiglio e intravide un luccichio negli occhi dell’altro. Emozione? Istinto omicida?
“Le hanno mai detto che è intollerabile, milady?”
Istinto omicida, senza dubbio. “In molti. A lei?”
“Io preferisco definire la mia persona come indifferente al giudizio altrui. Vede quelle mura alla sua sinistra?” Chiese, indicandole col braccio libero.
Lisa si voltò verso l’ammasso di pietre.
“Sono cinte murarie di epoca romana imperiale. Durante la dominazione romana a Verona furono costruite due cinte murarie: una di epoca tardo repubblicana e meno famosa e una maggiormente conservata e conosciuta, le cosiddette mura di Gallieno; costruite su ordine dell'imperatore Gallieno nel duecentosessantacinque, per difendere la città dagli Alemanni. Belle, vero?”
Lisa tacque, scossa da quel flusso di parole. In effetti era tutto molto affascinante, così come lo era vivere in una delle più belle città del Veneto. Ogni tanto, quando tornava a casa senza la compagnia di SimoneWikipedia - cioè sempre, di sicuro non sarebbe mai più successo- immaginava come sarebbe stato trovarsi lì qualche migliaio di anni prima. Ma a Wikipedia non era lecito saperlo.
Senza aspettare una risposta, Simone continuò. “Conosci Le quattro stagioni di Vivaldi?”
“Ovviamente.”
“La mia preferita è la Primavera.” Mentre lo diceva, passò distrattamente una mano tra i petali dei fiori appena sbocciati. “Filosofia.” Aggiunse.
“Cosa?”
“Cartesio. L'hai studiato?”
“Ancora no.”
Il ragazzo scosse la testa. “Infatti si fa in quarta.”
Lisa lo fulminò con lo sguardo, “Allora perché diavolo me lo chiedi?”
Simone eluse la domanda. “Cogito ergo sum. Penso dunque sono. In un mondo di carta, Cartesio rifiuta tutte le nozioni che gli vengono imposte e dice:” Pausa a effetto. “io esisto.”
Per quanto potesse essere pedante, Lisa dovette comunque ammettere che con le parole ci sapeva fare. Avrebbe potuto vendere ghiaccio agli eschimesi semplicemente schioccando le dita. Chiuse gli occhi e si concentrò. Poteva sentire le carezze del vento scompigliarle delicatamente i lunghi capelli neri e il profumo dei fiori inebriarle le narici. Poi cadde.
Simone rise, di nuovo. Quando riacquistò la sua consueta calma porse la mano libera a Lisa, ancora per terra. La ragazza finse di non vederla e si tirò su di peso, pulendosi i pantaloni sporchi di terra.
“Ti sei fatta male?” La voce del giovane sembrava preoccupata.
“Il dolore è provvisorio, se persiste ci si abitua.”
“Epicuro.” Simone annuì. “Non male. Ma puoi fare di meglio.”
“Sicuro, ma siamo arrivati, quindi bye bye.” Lisa raggiunse un cancello ed estrasse delle chiavi dallo zaino,
“Tu vivi qui?”
Lisa lanciò un’occhiata al suo palazzo. Non era propriamente bello, era un palazzo della fine del ventesimo secolo. Lo considerava noioso: sei piani di architettura semplice e scarna, l’intonaco giallo spento, le ringhiere dei balconi nere, il portone marrone scuro ed il cancelletto verde. In pratica, un'accozzaglia di colori senza senso.
“No, in realtà vivo su una nuvola dorata e questo è solo il portale d’accesso, una copertura contro voi poveri mortali.” Il cancello sì aprì e Lisa si voltò. “Guarda che puoi andartene, non mi offendo. Anzi.”
Simone sorrise, per la terza volta, e montò sulla bicicletta. “Au revoir, enfant.”
“Aspetta, ma enfant non significa bambina? Io non sono una bambina!”
“Mi hai definito un mortale, sicura di non essere infantile?”
Simone si allontanò lasciando Lisa sola, con la bocca socchiusa e gli occhi strizzati pieni di rabbia.

 

 

*
3. Caffè Mercutio


Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende-”
“Attenzione al gatto!” Bisbigliò qualcuno dal fondo dell’aula, provocando uno scoppio di risa.
Assuntina Montessoro distolse per un momento lo sguardo dal libro e lo spostò verso Marco Padoni, il colpevole. “che, onde evitare disguidi, non significa che un ratto si appende al cuore. Semmai, l’espressione ratto sta per veloce. L’amore si accende veloce nel cuore.”
L'eco di risa creatosi si spense non appena l’insegnante tornò a leggere le pagine ingiallite della propria Divina Commedia.
“- prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.-” La Montessoro si fermò, interrotta dal bussare di qualcuno. “Avanti”. Disse mestamente. Il bidello Carlo, Carletto per gli amici, fece il suo ingresso nella piccola aula della 3ªD e lasciò cadere varie circolari sulla cattedra. La Montessoro, sconsolata, osservò l'orologio e chiuse di botto il grosso volume. “La lezione è finita.”


Lisa non era quel che si suol dire una ragazza socievole. Preferiva trascorrere il proprio tempo con una cerchia di persone accuratamente da lei selezionate, i cosiddetti amici. Dunque, quando la campanella delle dodici e quaranta segnò la fine dell’ora, uscì a passo lento e si preparò a trascorrere i dieci minuti seguenti parlando di calcio. Poi lo vide.
“Eccola qui, la nostra piccola enfant.”
Lisa sfoderò un sarcastico sorriso a trentadue denti. “Sua Eccellenza Wikipedia, che piacere rivederla. Qual buon vento la porta qui?”
Vento dell’est, milady. Wikipedia? No, preferirei Treccani. Wikipedia non è sempre preciso. ”
Li raggiunse sulla porta la Montessoro e Simone sorrise, ma col suo tipico sorriso da dandy inglese e che la donna ricambiò.
“Quindi, per stasera è tutto a posto, prof?”
Le orecchie di Lisa si rizzarono alla parola stasera. Oddio, che avessero una relazione? Raccapricciante.
“Cosa c'è stasera?”
“Io e Simone che suoniamo al Caffè Mercutio.” Per un attimo alla ragazza parve di vedere, negli occhi della donna, uno sprizzo di euforia mista a tenerezza. “Vuoi venire anche tu?”


Non si poteva propriamente dire che facesse freddo quella sera, però il vento secco sferzava il volto della ragazza facendola rabbrividire. Si maledisse per aver optato per quel vestiario e, alzando lo sguardo, lesse l’insegna del bar: Caffè Mercutio
Sentiva le note di una dolce melodia classica venire dall’interno e si risolse di entrare.

Disagio.
Fu questa la prima cosa che provò mentre osservava l’interno del locale e le persone che, stipate, si accalcavano verso qualcosa che Lisa non poteva vedere ma che, ben presto, capì essere il palco dove professoressa e alunno si stavano esibendo.
Talmente tanto disagio che le sue guance divennero talmente tanto rosse da far invidia a un semaforo. Vedeva ovunque jeans strappati, borchie, maglie nere con sopra nomi di band rock o metal e si sentì morire nel suo vestitino elegante. E pensare che ho perso un’ora della mia vita per scegliere cosa mettere. Mentre si sfilava il cappotto, qualcuno la osservò incuriosito. Lei prese una coca cola alla cassa e cercò un posto dove vivere la sua agonia in solitudine. Si fece spazio tra il nero dei metallari finché non trovò un angolo scuro e vuoto, lontano da occhi indiscreti. Neppure a dirlo, lo elesse suo compagno d’avventura.
Decise di concentrarsi sulla musica e, spostando lo sguardo verso l’origine di essa, notò di trovarsi in un punto ottimale per vedere il palco, in quel momento occupato dal solo Simone con un violino classico in mano mentre si esibiva facendo volare l’archetto sulle corde ben tese.
Il ragazzo era concentrato, gli occhi chiusi e le labbra semi aperte. Sembrava vivere un idillio e, probabilmente, anche il resto del pubblico se ne accorse. Improvvisamente, l'unico suono percepibile divenne quello emanato dal violino e a Lisa mancò un battito. Dovette stringere forte i pugni per non urlare dalla gioia del momento. Non ci volle molto prima che sulla scena facess il suo ingresso anche la Montessoro che, con la chitarra elettrica salda tra le mani, sovrastò il dolce suono del violino. Dalla folla si alzò un boato d’assenso. Uno sguardo d’intesa e Simone lasciò il violino classico per prendere quello elettrico: il concerto, a tutti gli effetti, iniziò.

Due ore dopo, Lisa era fuori di sé. Aveva le lacrime agli occhi a causa della bellezza di ciò che era avvenuto sul palco.

L’archetto intraprese ancora una volta acrobazie sulle corde, le dita della professoressa si mossero veloci e le ultime note di quella meravigliosa serata riempirono il cuore della ragazza.  Alla fine, i due musicisti fecero un inchino e Lisa esplose insieme al resto della folla.


“Se spostiamo l’amplificatore della chitarra nel cofano, dovresti riuscire ad entrare.”
“Ma non si preoccupi, posso farmela a piedi.”
La Montessoro la guardò per un lungo istante. “No, non posso lasciarti andare da sola, farti perdere e darti un motivo per non venire a scuola domani.”
Lisa scoppiò in una risatina nervosa. Scherza, vero?
Non era passato neppure un minuto che Lisa si ritrovò sul sedile posteriore della piccola Punto verde - ma il verde per un automobile è davvero terribile - con la portiera semi distrutta.  Davanti a lei la Montessoro aveva preso il volante, mentre Simone, seduto di fianco alla professoressa, teneva tra le braccia i due violini nelle loro rispettive custodie.
“Se adesso sono in questa situazione, è colpa tua.” Proferì infastidito dal peso degli strumenti.
“Come mai sua signoria utilizza tale gergo proprio della plebe, stasera?”
“Ah, ah, ah.”
“Ha anche perso il suo solito sarcasmo, o sbaglio?”
“È vero.” rispose la Montessoro. “Dice di aver sbagliato l’assolo in mi minore a metà concerto.”
“Ma a me sembrava fossi andato abbastanza bene... Certo, non sei un genio del violino, però diciamo che con un altro paio d’anni di studio potresti diventare un discreto musicista.”
“E pensare che mi era sembrato di vederti applaudire con estrema foga, alla fine dell’esibizione.” Il ragazzo sorrise.
“Era per la professoressa.” Lisa incrociò le braccia sul petto, mentre lo sguardo, fiero, rimaneva fisso sulla nuca del diciottenne.
Il sorriso di Simone non si spense.
“Bene, siamo arrivati!” Esclamò Assuntina felice. “Non devo più sentire i vostri litigi da giovani infatuati.” Sorrise, abbassando di due toni la voce.
“Io infatuato di lei? Si sbaglia, professoressa, mai in tutte le vite che mi restano da vivere.”
Fortunatamente, i due non poterono vedere le guance di Lisa divenire rosse ancora una volta.
Dopo essere sceso, Simone aprì la portiera posteriore. “Passami l’amplificatore piccolo, quello del violino.”
Lisa gli lanciò uno sguardo truce. “Non sono il tuo elfo domestico.”
“Il mio cosa?”
Lisa scosse la testa sconsolata. “Lascia stare, Babbano.” Rispose passandogli l’amplificatore.
Simone alzò gli occhi. “Buonanotte, professoressa, a domani.”
“A domani, Simone.”
La portiera venne chiusa e Lisa vide il ragazzo allontanarsi verso un grande palazzo antico. “Buonanotte anche a te, eh.” Sussurrò infastidita. Osservando il paesaggio, Lisa non lo riconobbe. “Ma dove siamo, prof?”
“Mm, in via Conte Capuleti.”
Cosa? “Ma casa mia è dalla parte opposta della città!”
“Esattamente.”
E menomale che abitavamo vicino.
L’auto scivolò in silenzio nella notte veronese.

 

 

*

4. Macchina di Assuntina Montessoro


“Da quanto tempoi suona insieme a Simone?” Dopo alcuni minuti di silenzio, Lisa riprese a parlare.
“Circa un anno.” Assuntina Montessoro guardò la giovane nello specchietto retrovisore, cogliendone l'imbarazzo per la situazione apparentemente assurda.
“E come mai proprio questi strumenti particolari?”
“Io suono la chitarra da quando avevo circa la tua età.” Stralci di ricordi le invasero per un attimo la mente. Che bello essere giovani. “Simone, invece, ha iniziato a cinque anni con il violino: sua madre è una professoressa di musica al conservatorio qui a Verona, così come, prima di lei, lo sono stati i suoi genitori, e, a quanto ne so, tutti i suoi antenati. Quindi ha, praticamente, sempre vissuto nella musica classica. Circa un anno fa, appunto, l’ho erroneamente sentito suonare. Inutile dirlo, mi ha emozionata, come fa con tutti. Abbiamo iniziato a parlare, ho pensato che sarebbe stato bello unire il mio strumento con il suo. In quel momento è iniziata la nostra avventura musicale.”
“Capisco.” Lisa guardò fuori dal finestrino. “Siete molto bravi.”
“Grazie.” Assuntina cambiò marcia. “Perché non resti ad ascoltarci, qualche volta? Abbiamo bisogno di un orecchio esterno che ci giudichi.” Per quanto ciò potesse essere vero, Lisa centrò il reale motivo del nuovo invito.
“Ehm, in realtà non credo che Simone vorrebbe che io rimanessi.”
“Dici? Invece secondo me ne sarebbe molto felice.” Calò il silenzio per un attimo, poi la professoressa spostò ancora lo sguardo nello specchietto retrovisore, incontrando quello di Lisa. “E anche tu ne saresti felice, no?”
La ragazza arrossì ancora. “Felice come qualcuno che sta precipitando nel vuoto. Non ha visto come mi odia?”
Beata ingenuità, si disse. “Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior.”
“Ma la situazione di Catullo e Lesbia era un po’ differente.”
“Ti piace rovinare i momenti, Bagli?”
“Scusi, professoressa.” Arrossì ancora.
“Almeno hai studiato.” La Montessoro sorrise. A volte, sfruttare la propria autorità era uno spasso.“Comunque, siamo arrivate.”
Lisa guardò ancora una volta fuori dal finestrino. “Ah.”
“Cosa c’è, Bagli, ti dispiace che la conversazione sul tuo amore nascosto sia giunta al termine?” Fece uno sforzo per non scoppiare a ridere.
Lisa questa volta, uscendo dall’auto, avvampò inciampando sul marciapiede.
“Non ne sono innamorata, professoressa.” Disse risoluta.
“E perché sei tutta rossa?” Ribatté con finta ingenuità la Montessoro.
Lisa digrignò i denti. “Buonanotte.”
“Buonanotte anche a te.” La professoressa sorrise, sinceramente divertita. “Ah, e, Lisa,” La donna si fece seria. “osserva bene dove metti i piedi.” E ripartì, lasciando la giovane sola e infastidita.

 


*
5. Libreria


Lisa aveva gli occhi fissi su un grande volume. Sulla copertina si poteva leggere il nome del tomo: Notre Dame de Paris. Le cuffie la isolavano dal resto. Mi uccide chi ti guarda già, con strategia, con voluttà.” Cantava sottovoce sulle note del musical Romeo e Giulietta - Ama e cambia il mondo. Chiuse gli occhi, concentrandosi sulle parole della canzone. Avere te è un crimine, dove chi ha colpa, è chi subì, bambina mia, rimani quiQuando la canzone finì, riaprì gli occhi pieni di commozione.
“Sei stonata.” Proferì qualcuno dietro di lei.
Dannazione.
Si voltò piano, sperando di aver sentito male. “Cazzo.” Sussurrò tra i denti osservando l’altro.
Simone aveva gli occhi bassi, che, svelti, volavano sul dietro della copertina di uno dei tanti libri della libreria.  Lisa interruppe la musica, ripartita nel frattempo, e con un gesto secco si tolse le due cuffiette bianche.
“Felice di vederla, gentil donzella.” Alzò lo sguardo. “Ma non di sentirla cantare.” Sorrise sarcastico. “O imprecare.” Poi, i suoi occhi andarono verso le mani della ragazza. “Oh, non dirmi, sai anche leggere?”
“Così pare.” Lisa incastrò il suo sguardo con quello del ragazzo.
E per un attimo, entrambi non videro niente se non l’altro. Poi Simone guardò altrove, tossicchiando imbarazzato.
“Bene, Treccani, io vado a pagare. Au revoir.” Lisa si voltò, rossa in volto, avvicinandosi alla cassa.


“Dieci e cinquanta.”
Lisa prese i soldi dal portafoglio e li consegnò al cassiere.
“Grazie e arrivederci.” Sorrise l’altro, consegnando la piccola busta e lo scontrino.
“Arrivederci.” Salutò uscendo dal negozio.
Simone chiamò dietro di lei. “Aspettami!”
Lisa velocizzò il passo, mettendo nuovamente una delle cuffiette nell’orecchio destro e facendo ripartire la musica.
Simone la raggiunse poco dopo. “Donzella, giuro che non la mangerò per pranzo.”
Lisa roteò gli occhi infastidita. Perché mi perseguita?
“Forse per cena.” Continuò l’altro.
A Lisa sfuggì un sorriso.
“Riesco a far ridere la gente, magari dovrei diventare un comico.” Simone finse di riflettere su ciò. Poi tornò serio. “Ti accompagno a casa. Tanto dobbiamo fare la stessa strada.”
“Casa tua è dall’altra parte.”
“Odi così tanto i gentiluomini?”
“Non tutti.”
“Dovrei offendermi?”
“Se vuoi.” Lisa aumentò il volume della musica.
“Milady, guardi che la musica così alta potrebbe provocarle danni permanenti all’udito.”
“Così dopo non ti sento più.” Lisa sorrise.
“Poi rimarresti ignorante sulle cose del mondo, senza il tuo caro Treccani vivente.”
“Ah, e questo dovrebbe essere negativo?” La ragazza abbassò il volume.
“Hai diminuito il volume, ho vinto io.” Simone rise.
“E poi sarei io l’infantile.” Lisa lo guardò storto.
“Volevo solo farti sentire a tuo agio, enfant.” Simone rise di nuovo, e per un attimo nessuno dei due parlò. Poi il ragazzo cercò di sbirciare il contenuto della busta. “Cosa hai comprato?”
Lisa seguì lo sguardo del giovane. “Notre Dame de Paris, di Victor Hugo.”
“Bello.”
“Lo hai letto?”
“Assolutamente no, odio leggere.”
Lisa lo guardò scandalizzata. “E precisamente, di cosa vivi?”
“Uhm. Aria, cibo, acqua, sì, insomma, tutte quelle cose che ti mantengono in forma.”
“E cosa cazzo ci facevi in una libreria?”
“Ti seguivo, ovvio.” Simone la scrutò serio.
Scherza, vero? “Scherzi, vero?”
“Ti sembra la faccia di uno che scherza?”
Lisa scosse le testa preoccupata.
“Ovvio che scherzo, cercavo un libro per mio padre.” Lisa tirò un sospiro di sollievo. “Potresti consigliarmi qualcosa?”
“Dipende.” Lisa tornò a togliersi la cuffietta, fermando ancora la musica. “Cosa legge?”
“Un po’ di tutto.”
“Stephen King?”
“Letti tutti.”
“Dan Brown?”
“Lo stesso.”
“Coelho?”
“Non gli fa impazzire.”
“Libri sulla filosofia?”
“Guarda che sono io l’Aristotele della famiglia.”
“Bene, allora potresti provare con La collina del vento di Carmine Abate. Un autore calabrese davvero molto bravo. Tra le altre cose, lo ha dedicato proprio al padre.”
“Vada per La collina del vento. Se poi non gli piace, la colpa ricadrà su di te.”
Lisa sospirò. Poi alzò lo sguardo. “Arrivata.” Disse cercando le chiavi nella borsa. Si voltò un secondo per salutarlo. “Ciao.” Dopo alcuni secondi il cancello verde si stava già richiudendo e Lisa attraversava il cortile.
“Milady,” Simone la richiamò. “comunque giovedì prossimo sei occupata all’Open Day della scuola. La Montessoro ha richiesto la tua presenza.”
“E con chi sono in coppia?” Lisa si voltò ancora.
“Évidemment, moi.” Simone ammiccò.
Cazzo!
“Au revoir, ma petit enfant.”



*
6. Liceo Scientifico Leonardo Da Vinci 


Per me si va nella città dolente, per me si va nell’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente-” Il monologo di Simone Rovere venne interrotto da una gomitata di Lisa Bagli.
“Piantala, idiota, così li spaventi.” Il suo sguardo si posò sulle facce stranite dei ragazzi partecipanti all’Open Day. Sorrise incoraggiante. “Io sono Lisa, lui è Trec- Simone. Saremo i vostri cicerone.”
Una voce si alzò tra la folla. “I nostri che?”
Simone colse la palla al balzo. “L’uso comune del termine, inteso come guida turistica, si riferisce all’antico oratore Marco Tul-" altra gomitata e nuovi sguardi perplessi.
“Non diventerete tutti così, tranquilli.” Afferrò il ragazzo per una manica. “Adesso andiamo.”


“... e questa, - Lisa tacque un attimo, poi aprì la porta - questa, ragazzi, è l’aula di musica.” Gli angoli della propria bocca si alzarono impercettibilmente.
Mormorii di assenso si dispersero per la classe e i due giovani rimasero soli.
Lisa guardò il collega. “Piaciuto il libro?”
“L'ha finito in due giorni, complimentandosi con il sottoscritto per l'ottima scelta.”
La ragazza assunse un’espressione esasperata. “E immagino che tu non gli abbia detto che è merito mio, vero?”
Simone sorrise, poggiando un braccio sulle spalle dell’altra. “Ovviamente no.” Il ragazzo aumentò la stretta. “Oggi pomeriggio vieni a sentirci?”
“Solo se togli quel braccio.”



Quattro mesi dopo


“Non posso, devo studiare.”
Lisa sbatté il piede contro la superficie del corridoio, frustrata.“Cazzo, Simone, ancora con ‘sti esami, basta!”
“Voglio prendere almeno cento, lo sai.”
La ragazza sbuffò. “Se ti aspetti che io dica che puoi benissimo farcela, scordatelo.”
“É sempre così amorevole che a starle vicino rischio il diabete.”
Il tono di voce di Lisa si fece più cupo. “Non ho voglia di scherzare.” Poi spostò l’attenzione dal basso agli occhi del ragazzo. “Dai, Simone, per favore.”
Simone fece scivolare la mano destra su quella sinistra della ragazza. “Lo sai che se potessi verrei volentieri, Lisa. Quando gli esami saranno finiti-”
Lisa scostò bruscamente la mano da quella di Simone. “Fa’ come ti pare, non me ne frega niente né di te né dei tuoi fottuti esami.”
“Ma mi hai promesso che ci sarai.”
“Le promesse sono fatte per essere infrante.” Lisa sorrise, sarcastica. “Penso che tu lo sappia bene. Divertiti a studiare.” Un minuto dopo era già sparita tra la folla.


“...perché un principe che può fare quello che vuole è un pazzo; un popolo che può fare ciò che vuole non è savio. Ci sono domande?”
Stefano Rontone alzò un braccio. “Che significa?”
Lisa alzò la testa dal libro e guardò il compagno. “Che chi crede che il fine giustifichi i mezzi, è pazzo.”
Assuntina Montessoro levò un sopracciglio, stupita dall’improvvisa partecipazione dell’alunna. “Sì, esatto. Brava, Bagli.”
Il suono dell’ultima campanella pose fine al dibattito e Lisa iniziò a riporre le proprie cose nello zaino, mentre il resto della classe si accalcava per uscire. L’insegnante si avvicinò alla ragazza. “Qualcosa non va?”
“No, prof, è tutto a posto.” La ragazza prese una giacca dall’attaccapanni lì vicino.
“Ti va un caffè?”



*
7. Bar della piazza


Lisa mescolò per l’ennesima volta la poltiglia marrone, anche se dubitava che ce ne fosse ancora bisogno. La Montessoro sorseggiava lentamente il proprio caffè, nella poltrona di fronte. Quando nella tazzina non rimase nemmeno una goccia, la donna decise che era giunto il momento di rompere il silenzio. “Racconta.”
Lisa la fissò, scocciata. “Cosa?”
“Perché sprizzi gioia da ogni poro.”
“Io non sprizzo mai gioia, prof.” Bevve un sorso del caffè, ormai freddo.
“L’avevo notato. Quindi?”
“Quindi cosa?”
L’insegnante alzò gli occhi al cielo. “Se non vuoi parlarne basta dirlo, ma non fingere di non capire quello che intendo. Non ci casco.”
Lisa abbozzò un sorriso, “Se lo chiede non lo saprà mai, se lo sa deve solo chiedere.”
“Inizia con la esse?”
“Può essere.” Lisa sospirò. “Non fa che studiare per gli esami, ma tanto lei è una prof. Non può dirmi niente.”
La Montessoro accavallò le gambe, imbarazzata. “Deve imparare a conciliare lo studio con lo svago.”
“E come si fa?”
La donna scrollò le spalle. “Ci si riesce e basta.”
“Ok.” Lisa finì la brodaglia. “A lei non da fastidio? Cioè, non suonate neanche più.”
“Come hai detto tu, sono una professoressa. Il mio dovere è accertarmi che i miei alunni studino quello che spiego.” La voce si fece seria e severa. “Non posso e non devo pensare nulla al riguardo.”
“Scusi.”
“Però,” continuò Assuntina Montessoro “puoi parlarne con lui.”
“Impossibile.”
“Allora puoi continuare a lamentarti, come stai facendo.”
Lisa alzò la testa di scatto, offesa, appena in tempo per vedere la professoressa alzarsi per pagare. “Aspetti. Non volevo essere scortese, scusi.”
“Non è a me che devi chiedere scusa, Bagli.” Finì di pagare e uscì dal locale, raggiunta un minuto dopo dalla giovane.
“Perché devo chiedere scusa io a Simone?”
“Bagli… Lisa.” La Montessoro si fermò e Lisa barcollò. “Devi imparare a metterti nei panni degli altri. Vuole solo dare il massimo, come sempre. E tu dovresti stargli vicino, non essere un ostacolo.”
“Ma io gli sto vicino, è lui che non mi vuole tra i piedi.”
Assuntina Montessoro riprese a camminare. “A buon intenditor, poche parole. Vuoi un passaggio?”
Lisa si fermò, imitata dall’insegnante. “No, grazie, torno a piedi. Ciao.”
La Montessoro guardò la ragazza allontanarsi. Oh, essere giovani, e sentire il morso pungente dell'amore, pensò mettendo in moto l’auto.


*
8. Verona
(parte II)

Rovere Simone. Aula 51; piano terra. 07/07/15. Ore 16:30.


Lisa rilesse almeno tre volte prima di tornare indietro sui suoi passi. Simone avrebbe tenuto l’esame il settimo giorno di luglio, ergo esattamente il giorno dopo. La ragazza aveva aspettato prima di conoscere le date degli esami orali, sperando di venirne a parte troppo tardi, così da non essere costretta dai suoi stessi sensi di colpa a presenziare al colloquio dell’amico. Eppure qualcosa, forse il Karma o forse Dio, si era intromesso nel suo splendido piano mandandolo a monte. E adesso si sentiva in dovere di assistere all’esame, anche se i rapporti con l’altro erano ormai finiti da tempo. Si maledisse per non aver aspettato ancora un po’. Certo, non poteva pensare che Trecc-cioè, Simone, fosse uno degli ultimi.
“Quindi, adesso cosa farai?” Disse Rebecca, scrutandola divertita.
“Ci vado, ovvio.” Rispose Lisa serafica.
“Pensavo non volessi.”
Lisa si soffermò a riflettere, scrutando l’amica. Conosceva Rebecca da sempre, eppure erano così diverse. Scosse la testa. “Non voglio, ma devo. Dopotutto, gliel’ho promesso.”
“Capirai, saranno passati cinque mesi, se lo sarà anche dimenticato.”
“Ma io non l’ho fatto.” Lisa abbassò lo sguardo, mentre l’amica sospirava.
Ritornando verso casa, a piedi, distrattamente osservò le rovine delle antiche cinte murarie. “Le vedi quelle?” Lisa le indicò. “Sono dell’epoca imperiale romana. Due cinte murarie: una tardo repubblicana e meno famosa, mentre le altre sono le mura di Gallieno, un imperatore che le fece costruire per difendere la città dagli Alemanni.”
Rebecca la osservò stranita. “Bene, maestrina, e questo dove lo hai letto?”
Lisa rise nervosa. “In realtà non l’ho letto.” Arrossì.
“Treccani?”
“Treccani.”
“Pensavo non lo considerassi più.” Rebecca sospirò ancora.
“Infatti non lo considero più.”
“Vai al suo esame, e non ti ha neppure invitata, lo citi, ci manca solo che decidi di andare in bicicletta.”
“Forse dovrei pensarci davvero… Insomma, mi farebbe bene un po’ di sport.”
Rebecca sbatté un piede per terra, nervosa. “Sì, e dovresti anche imparare a suonare il violino e iniziare a esprimerti come una dama dell’ottocento.” L’amica si voltò seria. “Devi parlare con lui, mettere in chiaro questa situazione. Magari potresti ascoltare la Montessoro.”
“Ma se la Montessoro pensa che io sia infatuata di lui.” Lisa si voltò irritata. “Simone è solo un amico. Cercate di mettervelo bene nella testa.”
Rebecca alzò le mani. “Come vuoi, solo che…”
“Solo che, cosa?”
Rebecca scosse la testa. “No, niente. A buon intenditor, poche parole.” Poi rise. “Comunque hai usato il presente.”
Lisa la guardò confusa e si salutarono all’angolo della strada.
Il telefono squillò e il suono di un violino elettrico arrivò alle orecchie di Lisa. Senza neppure vedere chi era, rifiutò la chiamata.

 

 


*
9. Aula 51; piano terra


Era irritata. Per la seconda volta, a causa di Simone, si era trovata costretta a cercare un angolo buio, lontano da occhi indiscreti. Sperava che nessuno la vedesse, dietro la colonna, seduta su una sedia instabile, perché nessuno, appunto, doveva sapere che lei era lì in quel momento. Soprattutto Mr. Sapientino. Il suo orgoglio doveva rimanere intatto. La posizione in cui si trovava era perfetta: vedeva fuori dalle finestre il sole alto in cielo, ma non poteva, così come non voleva, vedere ciò che avveniva intorno alla cattedra. Un solo movimento e si sarebbe trovata scoperta e troppo visibile.
“Dunque, Rovere.” Qualcuno - un professore, meditò Lisa - iniziò a parlare. “Cosa ci ha portato di interessante?”
Ci fu un attimo di silenzio.
“I limiti, signore.” Lisa poté percepire il sorriso da dandy di Simone nella sua voce.
“Bene, prego.” L’altro diede il permesso di iniziare.
E Simone cominciò a parlare, catturando l’attenzione di tutti i presenti neppure fosse stato un grande filosofo greco.
Lisa se ne stava sulla punta della sedia, rigida e protesa verso l’origine della voce. Dopo neanche cinque minuti l’aula era stipata di gente.
“Se la sta cavando bene, non trovi?”
Lisa alzò lo sguardo. La Montessoro troneggiava su di lei, pensierosa.
“Più o meno.” Scrollò le spalle, poi entrambe tornarono ad ascoltare il ragazzo.
Le parole del diciottenne erano come acqua limpida di sorgente, e volavano veloci nella stanza. A un certo punto Lisa sentì spostare qualcosa, e poi il rumore del violino elettrico di Simone riempì la stanza. Lisa cercò lo sguardo della Montessoro, per avere spiegazioni.
“È una parte della sua tesina, si è registrato mentre suonava.”
Lisa sorrise, quel ragazzo non avrebbe mai finito di stupirla.
Dopo poco la Montessoro la richiamò ancora. “Potrei sedermi?”
Lisa si alzò, senza neppure pensarci, ancora impegnata ad ascoltare il colloquio. La Montessoro ghignò, ma Lisa non poté notarla.
“In matematica, il concetto di limite è tanto oscuro all'inizio quanto utile una volta compreso-” Simone venne interrotto con un gesto da uno degli insegnanti seduti al tavolo.
“Posso farle una domanda, signor Rovere?”
“Certamente.”
“Vorrei che mi dicesse perché ha scelto di portare questo argomento.”
Simone tacque per qualche secondo. Poi continuò. “Einstein diceva che due cose sono senza limiti: l'universo e la stupidità umana. Io penso che siano due fattori strettamente collegati tra di loro. Una mente stupida e chiusa non puó accettare l’idea che l'uomo altro non è se non un piccolo granello, contro l’infinita vastità dell’universo. Eppure anche una mente aperta, razionale, colta, si sentirà sempre a disagio nella propria persona, anche se non lo mostra apertamente. Fa parte dell’animo umano, nella mia modesta opinione, cercare di superare i propri limiti per affermare la propria esistenza. Reputo ciò estremamente affascinante.”
L’insegnante annuì, soddisfatto, e incitò il ragazzo a proseguire da dov’era stato interrotto. Lisa non lo ascoltava più, colpita per l’ennesima volta dalla potenza delle sue parole. Salutò velocemente la Montessoro e si apprestò a uscire, sperando di non essere notata dal candidato. Appena mosse il primo passo, però, Simone si alzò e iniziò a stringere le mani della commissione.
Era davanti alla porta quando sentì una voce dietro le proprie spalle. “Lisa?”
La ragazza aprì senza girarsi e uscì dall’aula. Dietro di lei qualcuno si complimentò con Simone e lui ringraziò distaccato.
Era quasi al cancello del cortile della scuola quando qualcuno la tirò per la mano. “Sono libero!” Simone le sorrise. “Abbiamo un’estate da vivere, dove andiamo?”
“Cosa?” Lisa lo guardò confusa.
“Ti ho chiesto dove volessi andare. La bici è dietro l’angolo. Dì un luogo e ti ci porto.” Felice le strinse leggermente il polso.
“No, forse non ti è chiaro. Non m’importa niente di te.”
“Ma, petit enfant, sei venuta.”
“Ho mantenuto la mia promessa. Solo questo. E adesso vado via. Au revoir.” Tornò verso il cancello.
“Madamigella, la prego di sentir ragione, il suo umile amico vuole solo farsi perdonare.”
Lisa si voltò infuriata. “Dovevi pensarci prima. E smettila di parlare così, ha smesso di essere divertente da tempo, buffone.” Sentenziò serafica, con lo sguardo fiero e glaciale.
Simone indietreggiò, i suoi occhi si spensero. “È questo che pensi?” Strinse i pugni. “Se è così, non credo che abbiamo più molto da dirci, noi due.”
“Concordo.” Lisa si voltò per l’ultima volta e, con passo fermo, si allontanò. Era già quasi arrivata a casa quando sentì il telefono squillare. Montessoro. “Professoressa.” Seccata, la ragazza rispose.
“Bagli... Lisa, sei scomparsa. È successo qualcosa?”
“Forse.”
“Simone?”
Lisa chiuse gli occhi, scacciando le lacrime.“Probabile.”
“Dove sei?”
Via Fancini, quasi a casa.”
“Ok, non muoverti, passo a prenderti.” Senza attendere risposta, la Montessoro chiuse la chiamata. Lisa si sedette su un muretto e aspettò. Dopo nemmeno dieci minuti, la punto verde della Montessoro accostò vicino al marciapiede. Lisa salì, senza proferire verbo.

 


*
10. Casa di Assuntina Montessoro


La donna pigiò sull’acceleratore e imboccò la strada opposta.
“Ma casa mia è dall’altra parte.” Borbottò Lisa.
“Lo so.”
“Dove mi sta portando?”
“Vedrai.”
“É sequestro di persona, questo.”
“Già.”
Lisa tacque e appoggiò la testa al finestrino. Dopo un tempo che sembrò infinito, la Montessoro accostò l’auto e fece segno alla ragazza di scendere. Si trovavano in un piccolo borgo rinascimentale, con piccole case accostate diligentemente l’una vicina all’altra e qualche prato a dividerle. L’insegnante si diresse verso una di esse e Lisa la seguì.
“Lei abita qui?”
“Sì.”
“Oh.” Lisa si guardò nuovamente intorno. “È un quartiere molto bello.”
La porta si aprì su una sala quadrata e dai colori chiari. Un grosso divano beige circondava un tavolino in vetro nella parte alta a destra, di fronte a un televisore, mentre sul lato sinistro e su quello destro inferiore si estendevano due corridoi. La giovane rimase con i piedi inchiodati sulla soglia finché la Montessoro non la invitò a raggiungerla in cucina. Era una piccola stanza non troppo diversa dalla sala, con un tavolo appoggiato alla parete e i mobili a delineare il perimetro del locale. Lisa rimase un attimo a osservare le numerose calamite attaccate al frigorifero, mentre la Montessoro versava qualcosa in due bicchieri.
“Puoi sederti.”
La ragazza si ridestò, imbarazzata, e fece come le era stato detto. Notò con piacere che la professoressa aveva scelto un semplice succo e, come se le avesse letto nel pensiero, la Montessoro commentò. “Ho visto che non sei una grande amante del caffè.”
Lisa abbozzò un piccolo sorriso e bevve un sorso. “Ha davvero una bella casa.”
Assuntina sorrise. “Grazie.”
Nessuna delle due parlò per i successivi dieci minuti, e a Lisa andava bene così. Era brutto cercare a tutti i costi un argomento per colmare il silenzio, ma non sembrava che l’altra volesse provarci. Si limitò a osservarla, muta, e Lisa sorresse lo sguardo. Alla fine, la Montessoro parlò. “Mi assomigli, lo sai?”
Oddio, lei simile alla Montessoro, l'ultima persona al mondo con la quale potesse avere dei tratti in comune? Forse era giunto il momento di cambiare gli occhiali da vista. La donna continuò.”Alla tua età ero come te: così testarda, orgogliosa, irascibile... La voglia di cambiare il mondo, di diventare qualcuno.” La Montessoro rise. “Una smodata passione per i libri.” Annuì. “Sì.”
Lisa tacque.
“Ti piace Romeo e Giulietta?”
“No.”
“Perché?”
“È una storia stupida.” Scrollò le spalle. “Dopo neanche un’ora sono già innamorati e si comportano da stupidi. Infatti alla fine muoiono.”
L’insegnante sorrise. “Tutte le grandi coppie della letteratura hanno un finale tragico. Pensa ad Anna Karenina.”
“In Orgoglio e pregiudizio non muore nessuno.”
La Montessoro schioccò le dita. “Hai ragione. Ci sono delle eccezioni, è vero.”
“Perché mi ha portata qui?” Domandò Lisa bruscamente.
“Volevo trascorrere un po' di tempo con te.”
“Tanto non parlerò di Simone”
L'insegnante tornò seria. “Non era mia intenzione farlo. Mi dispiace che tu abbia pensato diversamente.”
Lisa non rispose. La Montessoro aveva iniziato a sparecchiare, quando la ragazza esordì. “Perché fa tutto questo?”
La professoressa si voltò e fissò l’alunna negli occhi. “Perché mi fa piacere.” Tornò a darle di spalle. “Evidentemente non sono il mostro che credete. O perlomeno, non del tutto.”
Lisa si sentì morire. “Io non l'ho mai pensato, prof.”
“Davvero?” La donna guardò Lisa con scetticismo. “Beh, male. Ho una reputazione da mantenere.”
Lisa rise, sollevata. Poi sospirò. “Cosa devo fare?”
“Per iniziare, potresti passarmi la bottiglia di succo. Come la prendi, la pizza?”


“... quindi mi ha detto che non avevamo più niente da dirci e me ne sono andata.” Lisa ingoiò una fetta di pizza, senza curarsi della regola che mentre si mangia non si parla.
La Montessoro scosse la testa. “Sei stata davvero stupida.”
Lisa sorrise. “Grazie mille.”
“Non c'è di che.” Assuntina trafisse un’oliva con la forchetta. “Non vi siete più sentiti?”
“No. Il resto lo sai.” Le guance si tinsero di rosso. “Cioè, no, il resto lo sa.”
La Montessoro rise. “Ti stai prendendo troppe libertà, ragazzina.”
Lisa si morse il labbro. “Scusi.”
“Dovresti chiamarlo.”
“Non se ne parla neanche. Perché devo essere sempre io a fare il primo passo?”
“A volte bisogna mettere da parte l'orgoglio, quando si tiene davvero a qualcuno.”
“Tanto non mi risponderebbe.” La ragazza fissò il proprio piatto, ormai vuoto. “Sarà sicuramente arrabbiato con me.”
La Montessoro si alzò e prese qualcosa da una mensola. “Usa il mio.” Disse porgendole un telefono.
Lisa sospirò e compose lentamente il numero.

 


*
11. Arena di Verona


“Professoressa, buonasera. Sa dov’è Lisa? La sto chiamando da ore e non risponde. Non è neppure tornata a casa per quanto ne so, sono stato lì sotto da dopo l’esame sino a pochi minuti fa. Sono seriamente preoccupato.” Quando rispose al telefono, il tono di Simone Rovere era alterato da una punta di preoccupazione.
Lisa strinse gli occhi, leggermente confusa. Pensò un attimo prima di rispondere. “Simone.”
“Lisa.” Disse serafico l’altro.
Intanto la Montessoro alternava, sul suo volto, espressioni confuse alla solita serietà che la contraddistingueva.
“Lisa, senti,” Riprese il ragazzo dopo alcuni secondi. “devo dirti qualcosa di importante.”
La giovane sussultò. “Dove sei?”
Lisa lesse sulle labbra della Montessoro un “Che succede?” e alzò le spalle.
“Quasi davanti all’Arena. Ti raggiungo? Dove sei?”
“No, no, vengo io. Aspettami lì.” Non attese neppure la sua risposta e riattaccò, dirigendo uno sguardo estremamente serio alla professoressa. “Vuole dirmi qualcosa di importante.”
Assuntina quasi si lasciò sfuggire un sorriso divertito, ma riuscì a trattenerlo riprendendo il suo caratteristico sguardo autorevole e annuì. “Dov’è?” Disse poi semplicemente.
“All’Arena. Se mi indica la strada, vado a piedi.”
“Devo rispiegarti come non desidero che i miei alunni abbiano scuse per non venire a scuola?”
“Ma siamo a luglio.”
“Se muori, sei morta anche a settembre.”
Lisa raggelò. Ditemi che scherza. “Va bene.” Rispose infine.


Pochi minuti dopo si ritrovò ancora sulla Punto verde con la portiera quasi distrutta. L’auto sgusciò nel silenzio sino al maestoso edificio romano. “Arrivati”. La Montessoro accostò a Piazza Brà, facendo scendere l’alunna.
“Grazie.” Lisa Bagli si girò, con un sorriso nervoso a contrargli il volto.
La Montessoro scrollò le spalle. “Ti ricordo che morire, sia fisicamente che moralmente, non è una giustificazione accettabile per non aver fatto i compiti che ti sono stati assegnati.” Rispose la Montessoro semplicemente. “Ma se dovessi morire davvero, allora tranquilla che non sarai tenuta a consegnarli.”
“Ah, grazie di nuovo.” Qualcuno mi aiuti, pensò Lisa strizzando gli occhi. Sorrise, avvicinandosi alla donna, per poi circondarla con le braccia. La Montessoro si irrigidì. “Dico davvero, professoressa, grazie.”
“Sì, Bagli, ci credevo già la prima volta.”
Lisa rise, allontanandosi dalla donna.
“E, Bagli, se provi a rifarlo puoi considerarti bocciata.” La Montessoro ghignò.
“Arrivederci, professoressa.” Sorrise in risposta l’altra,  richiudendo la portiera e muovendosi verso l’Arena.

Trovò Simone seduto su una delle panchine, con lo sguardo assorto nel contemplare la costruzione. Decise di sedersi di fianco a lui.
“Sai che l’Arena è uno dei grandi fabbricati che hanno caratterizzato l'architettura ludica romana ed è l'anfiteatro antico con il miglior grado di conservazione, grazie ai sistematici restauri realizzati fin dal seicento? La mancanza di fonti scritte circa l'inaugurazione dell'anfiteatro rende molto difficile fornire una cronologia sicura, tanto che in passato, da diversi studi, sono emerse date molto differenti: un periodo di tempo che va dal primo al terzo secolo, anche se ormai è dimostrato che non può essere stato costruito dopo il primo secolo, quindi è stata costruita tra l'imperatore Augusto e l'imperatore Claudio.” Simone sentì arrivare la ragazza, ma non si girò verso di lei.
“Cosa dovevi dirmi?” Lisa lo fermò, e fu a quel punto che il diciottenne decise di voltarsi e guardarla negli occhi.
“Ma chére, odi così tanto l’architettura?”
“In questo momento neppure t’immagini quanto.”
Simone sorrise, poi tornò serio. “E così sia, senza preamboli: credo di provare qualcosa per te.”
Lisa avvampò allarmata. “Simone, io non-”
“Se devi dirmi che non provi niente per me, allora stai zitta e vattene semplicemente. Altrimenti, taci comunque e fammi finire.”
Lisa si contorse le mani, poi annuì.
“Bene, sai come la penso. Non ho mai creduto alla sciocchezza dell’amore. Eppure devo ammettere che, per la prima e unica volta nella mia vita, credo di essermi sbagliato. Sono ancora troppo giovane per definire con esattezza ciò che provo, ma non posso certo essere così sciocco da non rendermi conto che sento qualcosa per te. Non credo nell'anima gemella, ma credo nelle anime che sono in sincronia, anime che si rispecchiano.. Sono calcolatore e perfezionista, dovresti averlo capito, e credo che, probabilmente, noi due ci rispecchiamo. Senza, ovviamente, contare gli infiniti vantaggi che ti porterebbe avere un Treccani vivente come fidanzato. Questo è quanto, mademoiselle, tocca a lei decidere.”
Lisa rise, facendo volare via il senso di imbarazzo e la tensione accumulata. La Luna era alta nel cielo e sembrava sorriderle.



*
Epilogo


Erano le due del pomeriggio. Il sole doveva essere alto in cielo, ma quel preciso giorno d'estate era coperto da nuvole grigie. Un silenzio sonnacchioso si estendeva per la campagna e nell'aria governava l'odore delle tipiche piogge estive. Nel prato fiorito, ridente e ancora bagnato dalla pioggia precedentemente caduta, seduti su una pulita tovaglia a quadroni stavano due giovani.
Tutt'intorno, una folta boscaglia piena degli animali più vari. I due, nel loro silenzio reverenziale, assorti nei propri pensieri, celebravano la bellezza del paesaggio come se stessero osservando un quadro di prestigiosa fattura.
"Sei grasso." La ragazza mise fine al silenzio.
"E tu sei sciocca." Rispose l'altro pacatamente, voltando lo sguardo verso la ragazza.
"Ma tu rimani basso." Continuò lei con una parvenza di sorriso sulle labbra.
"Rovini sempre i momenti migliori." Fece ancora lui, ritornando a osservare la bellezza incontaminata della natura.
"Effettivamente me lo dicono in molti." Riprese la giovane portandosi i capelli all'indietro, "Hai visto quanto è bello qui?" continuò dopo.
"Già, non credevo esistessero posti così." Sentenziò il ragazzo.
Erano strani loro due, diversi. Erano particolari. Lui non era alto, i capelli erano corti, ricci e castani come gli occhi grandi. Il naso era dritto e piccolo e le labbra sottili. Una barbetta incolta nasceva sulle guance e gli conferiva una certa maturità che altrimenti non avrebbe dimostrato. Lei era, invece, poco più bassa di lui. I capelli, lunghi e mossi, le ricadevano morbidamente sulle spalle incorniciando un viso piccolo e colorito. Gli occhi gioiosi e nascosti da un’ampia montatura nera erano scuri, le labbra piene e rosse come le guance.
"Quasi mi dispiace star qui, sembra che stiamo contaminando la verginità di questo luogo con la nostra presenza." Disse lei facendo vagare lo sguardo da una parte all'altra.
"Già, è troppo bello per noi, forse."
"Per te sicuramente." Attaccò ancora una volta lei.
"Oh, mi scusi, non credevo di trovarmi di fronte alla dea Venere in persona."
"Stupido beota."
"Sciocca immatura."
"Cretino egocentrico."
"Piccola ingrata." Smise di ascoltare gli insulti di lei quasi da subito. Il loro era un gioco di provocazioni, chi avrebbe ceduto per primo non si sapeva. Lei iniziava e lui continuava, si entrava in un circolo e non si usciva più. Ricominciò ad ascoltarla solo quando gli parve di sentire qualcosa di interessante, simile a delle scuse.
"Come?" Fece prontamente lui.
"Scusa," Lei prese un respiro profondo e continuò, "lo sai che certe cose le dico senza pensarci e che dunque non le penso veramente." Si mordicchiò le labbra in un gesto infantile, che sottolineò la sua innocenza.
I loro sguardi si incrociarono e, per quanto cercarono di farlo, non riuscirono a distoglierli, quasi come se fossero intrappolati.
"Sì, insomma, lo sai," Riprese lei cercando di soffocare l'imbarazzo: non amava scusarsi, "lo sai che alla fine ti voglio bene."
Una delle sopracciglia del ragazzo si precipitò verso l'alto, la curiosità dipinta sul volto. Si avvicinò alla ragazza, lentamente. "E dunque mi vuoi bene?" Un sorriso beffardo a contrargli il volto.
"No." Lei trattenne il respiro mentre ancora una volta lui si avvicinava.
Troppo.
Si avvicinava davvero troppo. Talmente tanto che lei poté sentire il fiato caldo sul suo collo. E poi le labbra di lui sulle sue.
"Non mi vuoi bene." Sussurrò ancora lui lentamente, mentre ricominciava a cadere una pioggia leggera.
“Affatto.” Rise lei, mentre l’altro si avvicinava di nuovo per approfondire il bacio.
Intanto, alla guida della sua punto verde, Assuntina Montessoro passava dalla stradina di campagna che costeggiava il boschetto mentre, di gusto, rideva.



Fine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Note delle autrici


Ed eccoci qua, alla fine di questa storia a quattro mani! 

Un grazie in particolare, oltre a tutti voi che l'avete letta, recensita, messa tra le preferite/da ricordare/seguite, va a HermioneJeanGranger [http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=558550] per averla corretta.

Alla prossima,

Ausel e Simposio

   
 
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