Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Feynman    13/01/2016    4 recensioni
La Stazione Flaminio, a Roma, dista quattro fermate dalla stazione Termini, il centro nevralgico della mobilità sotterranea e non dell'Urbe. Erica Leone, la prima volta che vi mette piede, a Flaminio, ha dieci anni ed è sempre stata accompagnata da sua madre; ma, quel giorno, è un giorno diverso. Erica, in quel suo primo giorno di scuola, deve diventare grande e fare quelle quattro fermate senza il calore rassicurante di sua madre.
Anche il 17 ottobre di cinque anni dopo sarà ugualmente diverso, per lei.
Nella vita di Erica, entra Michela Morente e niente, da quel giorno, sarà più uguale a qualcosa.
***
Avevi gli occhi verdi.
Li ho ancora, gli occhi verdi.
Ma non verdi come quel giorno.
Genere: Angst, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

V.

 

 

Michela le aveva mandato un paio di messaggi da che era partita da casa sua per accertarsi che Erica non avesse avvisato i suoi genitori, ma Erica lo sapeva che non avrebbe dovuto farlo e aveva preferito seguire il suo istinto, lasciando dormire gli affittuari del 13/B. Era uscita in fretta, un’ora dopo la chiamata di Michela, e aveva preso la prima corsa della metropolitana da Flaminio, per raggiungere la stazione Termini. Erica aveva preso la patente con fatica, ma non aveva più guidato da allora perché aveva il terrore delle strade romane, della gente, del traffico e dell’imprevedibilità del guidatore medio.

Era salita sulla metro, quindi, ricordandosi che Roma, quel giorno, cambiava faccia perché sarebbe iniziato il dannato Giubileo che le impediva di viaggiare tranquilla con tutti quei militari che avevano l’effetto contrario su di lei, quella sicurezza ostentata, quel leggero sentore di panico che accumunava i più sensibili che si ritrovavano a guardarsi ogni volta che incrociavano lo sguardo di uno di quei militari col fucile spianato.

Aveva deciso di vestirsi solo perché avrebbe dovuto attraversare mezza stazione per rivedere Michela, ma aveva ancora i capelli devastati da due giorni di incuria e le occhiaie viola per quelle nottate di studio senza sosta. Ma per Michela questo e altro, e lo sapeva.

Non aveva mai visto la stazione così vuota. Alle sei della mattina non c’era davvero nessuno e dire che i treni non avevano smesso un attimo di arrivare e ripartire sempre con qualche viaggiatore a bordo. Se lo doveva aspettare che la fuga di Michela non sarebbe durata in eterno. Michela non era fatta per i “per sempre”. Michela era incline ai “per un po’ di tempo”, “prendiamoci una pausa”, “la prossima volta andrà meglio”. Perché Michela ha paura di chiudere. Ha paura di chiudere qualsiasi cosa; che siano relazioni umane, un libro appena finito, una conversazione. Michela ha il terrore di apparire scortese, finendo di sua sponte qualcosa. Michela vive nel terrore degli sbagli e nemmeno questa sua nuova partenza verso Roma durerà in eterno, Erica lo sa mentre fissa il tabellone degli arrivi e vede comparire il treno da Milano. E allora Erica non corre, perché sa che non durerà affatto. Erica non corre perché è cresciuta e sa che verrà delusa di nuovo, solo perché ha allungato la mano verso Michela, di nuovo.

Storia vecchia.

Capitoli già letti.

Trama desueta.

 

Michela, probabilmente, si era cambiata nel bagno del treno perché non sarebbe mai andata in discoteca con una tuta sformata e il trucco sbavato. Aveva pianto sul treno, in quelle tre ore di vuoto e silenzio mentre tornava alle origini e sapeva di aver sbagliato ancora una volta. Lo sa anche Michela, Erica glielo legge negli occhi, che è solo provvisorio, momentaneo.

Michela era provvisoria e momentanea.

Michela ed Erica erano provvisorie e momentanee.

Erica alza un mano e l’agita, per farsi vedere ma Michela l’ha già vista, la sta guardando, ma non l’ha ancora salutata perché vuole godersi la visione di Erica con quei capelli color noce moscata/marroni/rossicci, quell’aria da menefreghista sociale e quel corpo da ragazzina cresciuta troppo in fretta. Michela ama la figura di Erica. Michela ama Erica ed essere scesa a patti con questa cosa, nel momento stesso in cui l’ha vista di nuovo dopo un anno e un mese di distanza, non le fa più trattenere il fiato e sobbalzare lo stomaco.

È rassicurante sapere di amare Erica.

 

È rassicurante sapere di non amare più Michela; lo realizza nell’attimo stesso in cui alza la mano e l’agita per salutarla. Michela continua ad essere bella, come lo è sempre stata con i suoi capelli neri come l’inchiostro e gli occhi verdi come il veleno. Stretta in quella tuta da ginnastica che comunque le mette in risalto le forme, il trucco sbavato e rovinato, gli occhi lucidi di pianto e il naso rosso per lo sbalzo termico, Michela è comunque bellissima ma Erica crede di non amarla più come prima.

Erica non sente più quel fuoco prepotente e distruttivo dentro che le impediva di stare nella stessa stanza di Michela e non guardarla mentre arrotolava una ciocca di capelli attorno all’indice.

«Non sei cambiata per niente» le sussurra Michela, a poca distanza dal suo naso. Ha il respiro freddo.

«È passato solo un anno» le risponde Erica, trattenendosi dal toccarla. Michela lo nota e prende la mano di Erica abbandonata lungo il fianco e la stringe forte, le bacia il dorso ed Erica si costringe a non baciarla, a non saltarle addosso per sentire il corpo nervoso di Michela contro il suo.

«Ti si legge ancora tutto in faccia, Erica».

«Puoi biasimarmi, forse?».

«No. Non stavolta».

E quando è Michela a baciare Erica, il mondo sembra fermarsi ed Erica realizza che erano tutte cazzate perché Michela non è provvisoria.

Lei accanto a Michela è per sempre. Questo loro contatto nuovo e vecchio come il mondo, come l’uomo, come la vita, come la religione, come Dio è incredibilmente giusto perché, altrimenti, gli uomini non ci avrebbero pensato a baciarsi e a trovarlo fottutamente giusto ed eccitante. La lingua di Michela contro il suo palato, le sue mani che stringono il maglione e se le sente sulla pelle della schiena. Il respiro irregolare nella bocca, contro gli zigomi e poi sugli occhi, quando glieli bacia e le chiede perdono in quella stazione Termini mezza vuota.

E quando è Erica a staccarsi da Michela, a riprendere fiato per prima, vede solo le verdi paludi profonde che sono gli occhi dell’altra e si chiede come abbia fatto a raccontarsi tante cazzate durante quell’anno passato a sentirsi incompleta e infelice. Quando vede la sua bocca tumida e si chiede come cazzo hanno fatto a finire in quella situazione, di nuovo. E improvvisamente hanno senso anche i pomeriggi interi passati in facoltà a studiare senza capire, ad ammazzarsi per rincorrere autobus e farsi spintonare sulla metropolitana. Con Michela tutto acquista senso ed Erica si maledice e si benedice, si uccide e risorge fra le braccia esili ancora strette attorno alla sua vita.

«Parlami» la implora Michela, rincorrendo il suo sguardo di corteccia e terre umide. Ed Erica rimane in silenzio, le accarezza la linea della mascella e va a morire nella piega del collo, dietro l’orecchio, fra i capelli neri legati di fretta. La guarda negli occhi e vede la tristezza, la gioia e l’infinito nelle iridi di veleno.

«Lo sento che vuoi chiedermi qualcosa, Erica».

Abbassa lo sguardo e guarda il loro abbraccio, senza parlare, per paura che possa finire tutto, che possa svegliarsi da un momento all’altro e rendersi conto che quello è stato solo un incubo bellissimo che le avvelenerà la mente perché ha il colore degli occhi di Michela.

«Perché?».

 

Perché sei andata via. Perché sei tornata. Perché vuoi farmi del male. Perché vuoi farmi sperare. Perché mi abbracci. Perché mi baci.

Perché adesso e non quando ne avevo bisogno.

Perché Michela.

 

«Perché no».

 

Perché non dovrei farti del male. Perché non dovrei farti bene. Perché non dovrei baciarti. Perché non dovrei abbracciarti e sentirti dentro, fuori, ovunque.

Perché non adesso.

Perché no, Erica.

 

«Andiamo a casa, Michela».

«Sì. A casa».

 

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Feynman