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Autore: Kei_Saiyu    14/03/2009    6 recensioni
Seconda classificata al contest "Kindertotenlieder" di Sasori e Deidara.
I suoi occhi non avrebbero più riflesso il turchese del cielo.
Le sue labbra non sarebbero più state baciate dai caldi raggi solari.
Le sue mani, piccole e calde, non si sarebbero più mosse per salutarlo freneticamente.
Il suo sorriso non gli avrebbe più infuso quella gioia calda nel suo cuore.
Nulla di tutto questo si sarebbe più potuto avverare e lui, uomo di appena vent’anni, piangeva la scomparsa di quello che ormai considerava un figlio.
I suoi occhi non avrebbero più riflesso il colore dell’acqua di fiume.
Le sue labbra non sarebbero più state baciate dalla sabbia che tanto amava.
Le sue mani, piccole ma già sporche di sangue, non si sarebbero più mosse per stringerle impercettibilmente le dita.
Il suo piccolo broncio non le avrebbe più disteso i lineamenti infantili del volto.
Nulla di tutto questo si sarebbe più potuto avverare e lei, bambina di appena undici anni, costretta a diventare donna, piangeva la scomparsa di quello che era il suo fratellino minore e figlio.
{Iruka centric; Temari centric}
Genere: Drammatico, Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sabaku no Gaara , Temari, Iruka Umino, Naruto Uzumaki
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Nick: Kei_Saiyu

Titolo: Heartbeat lost

Disclaimer: I personaggi non sono miei ma di Masashi Kishimoto; la storia non è scritta a scope di lucro e la canzone è degli aventi di diritto.

Personaggi: Iruka Umino, Temari, Naruto Uzumaki, Gaara

Genere: Drammatico; Introspettivo

Raiting: Arancione (Pg-13)

Avvertimenti: Song fic; What if…?; One-shot

Note dell’autrice: Ispirazione malefica venuta all’improvviso e scritta anche abbastanza di getto.

Non so sinceramente come catalogarla, so solo che mi fa stare male dall’inizio alla fine.

Non ho mai trattato né di Iruka, né di Temari, ma li ho adorati. Veramente.

A mio avviso sono anche riuscita a mantenerli abbastanza IC, specialmente Temari.

Non so che altro dire sinceramente. È una storia triste ed è un “What if” riguardante uno pseudo passato dei personaggi. Penso basti.

Note finali dell’autrice: Bene, dopo un mese e più, i risultati sono finalmente usciti.

Non ne sono soddisfatta, ovviamente.

Dannazione Reki! Sempre per mezzo punto mi batti >O<.

Escludendo i miei scleri sulla sua vincita per un dannatissimo mezzo punto, sclero per l’IC dei personaggi. IC. Punto. Per. Me. Lo. Sono. E. Mi. Vanto. Di. Averli. Fatti. Così.

Ora, Iruka è super attaccato a Naruto.

Naruto è un credulone tutto contento che qualcuno lo voglia portare a divertirsi in giro.

Gaara ha il suo orsacchiotto.

Temari è astuta, furba, forte… per me è Temari. È la prima volta che la tratto e forse per gli altri è OOC, ma mi fido del mio giudizio e di quello di Rekichan che conferma che sì, Temari è la più IC qui dentro XD.

Forse qualcuno può dire di no perché si sa che Temari ha un po’ il timore di Gaara, ma c’è un motivo  che spero capirete leggendo.

Spero in un vostro commento ù_ù/

A presto,

Kei

 

 

 

Heartbeat lost

 

 

I suoi occhi non avrebbero più riflesso il turchese del cielo.

Le sue labbra non sarebbero più state baciate dai caldi raggi solari.

La sua pelle non sarebbe più stata illuminata dalla luna.

Le sue mani, piccole e calde, non si sarebbero più mosse per salutarlo freneticamente.

Le sue gambette agili non avrebbero più saltellato sul suolo terrestre.

Il suo sorriso non gli avrebbe più infuso quella gioia calda nel suo cuore.

Nulla di tutto questo si sarebbe più potuto avverare e lui, uomo di appena vent’anni, piangeva la scomparsa di quello che ormai considerava un figlio.

 

I suoi occhi non avrebbero più riflesso il colore dell’acqua di fiume.

Le sue labbra non sarebbero più state baciate dalla sabbia che tanto amava.

La sua pelle non sarebbe più stata illuminata dalla luna.

Le sue mani, piccole ma già sporche di sangue, non si sarebbero più mosse per stringerle impercettibilmente le dita.

Le sue gambette agili non avrebbero più calpestato un sassolino che lo infastidiva.

Il suo piccolo broncio non le avrebbe più disteso i lineamenti infantili del volto.

Nulla di tutto questo si sarebbe più potuto avverare e lei, bambina di appena undici anni, costretta a diventare donna, piangeva la scomparsa di quello che era il suo fratellino minore e figlio.

 

Con questo tempo, in questa bufera,
mai avrei fatto uscire i bambini.
Li hanno portati fuori.
Io non riuscii a dir nulla.

Iruka Umino, ragazzo di vent’anni dai corti capelli castani e dalla strana cicatrice sul naso, fissava con angoscia il cielo plumbeo.

Non un solo raggio di sole,  riusciva a fuoriuscire dalla coltre di nubi nerastre che opprimevano la volta celeste.

Il vento soffiava imperioso ed i corvi gracchiavano in continuazione, rendendo l’aria sempre più soffocante e gelida.

Mordendosi le labbra con forza, resistette alla voglia di entrare in casa a prendere una giacca pesante e rimase lì ad aspettare, pensando che mai avrebbe fatto uscire un bambino con quel tempo, ma non aveva potuto dire niente.

Era rimasto in silenzio ad osservare quei ninja che invitavano il suo piccolo Naruto ad uscire, con la promessa di portarlo con loro a vedere l’accademia.

E non aveva mai visto il volto del bambino così allegro!

Nessuno gli si avvicinava e la popolazione lo denigrava e isolava in continuazione, lasciandolo da solo a giocare al parco, non permettendo ai loro figli di fare amicizia con lui.

Così aveva sempre visto i suoi grandi occhi azzurri adombrarsi per la tristezza, ma mai piangere. Non di fronte a lui, perlomeno.

Quindi, vedendo il suo volto risplendere di gioia alla richiesta di quei ninja, aveva soprasseduto sul tempo che minacciava pioggia e vento fin dai primi minuti dell’alba.

 

Temari, bambina di undici anni dai corti capelli biondo cenere e dai piccoli occhi verdi, fissava ansiosa il cielo plumbeo sopra di lei.

Anche impegnandosi con tutta se stessa, non riusciva a vedere un solo raggio di sole penetrare lo scudo che le nubi avevano creato quel giorno.

Il vento soffiava forte, creando con la sabbia piccoli mulinelli simili a vortici.

Pericolosi.

Non osservata, strinse forte i pugni, reprimendo la voglia di prendere un mantello ed andare alla ricerca di Gaara, il suo fratellino di sette anni, che mai avrebbe lasciato uscire con quel tempo.

Ripensò a quando il loro padre, il Kazegake, era venuto da loro, circa quattro ore prima, per prendere il bambino dicendo che lo avrebbe portato a vedere il loro paese: Suna.

Non aveva detto nulla, limitandosi ad osservare gli occhi spalancati, color verde acqua, del fratellino.

Mai lo aveva visto così… vivo e allora lo aveva lasciato uscire con quel tempo che già dai primi momenti del giorno, sembrava promettere tuoni e fulmini.

 

Con questo tempo, in questo nubifragio,
mai avrei lasciato uscire i bambini:
avrei temuto che si ammalassero.

Ma più il tempo passava e più Iruka era in pensiero.

Erano già trascorse sei ore da quando Naruto era uscito e di lui e dei ninja, nemmeno una piccola traccia.

Una fredda goccia d’acqua, cadutagli proprio sulla punta del naso, lo fece sobbalzare.

Non si era accorto che stava piovendo e questo lo mise ancora più in ansia.

Si strofinò le mani tentando di scaldarsi almeno un poco, ma nulla sembrava donare calore al suo corpo ancora leggermente acerbo e la preoccupazione saliva sempre più.

Tentò di calmarsi ripetendosi che, magari, gli accompagnatori del suo Naruto si erano fermati assieme al bambino a mangiare qualcosa al caldo, aspettando che spiovesse, ma un pensiero continuava a tormentarlo e non poteva far altro che pensare che mai avrebbe lasciato un bambino uscire con quel tempo; si sarebbe potuto ammalare.

 

I minuti scorrevano lenti ed inesorabili, eppure allo stesso tempo correvano veloci, facendole in breve capire che era già passata mezza giornata da quando il padre aveva portato fuori Gaara.

Osservò insofferente le prime gocce di una pioggia  che, ne era sicura, non sarebbe cessata presto.

Il vento continuava a far vorticare la sabbia in un gioco che non capiva pienamente, ma che sapeva essere pericoloso.

Alcuni granelli le entrarono in un occhio, facendola gemere debolmente di dolore.

 Strofinandoselo con vigore, si disse che probabilmente, il padre ed il fratello ora stavano al riparo in qualche piccolo negozietto, magari a bere un tè caldo.

Ma non ci credeva nemmeno lei e si chiese perché, d’un tratto ed in un giorno così brutto, il Kazegake avesse infine deciso di dedicare qualche attenzione al figlio che, lo sentiva nelle piccole ossa, odiava con tutto il cuore.

Sperò che forse si era deciso a volergli bene, o ad accettarlo almeno, ma il presentimento negativo che aveva avvertito quel giorno non l’abbandonava ed un pensiero la martellava incessantemente: mai avrebbe lasciato un bambino uscire con quel tempo; si sarebbe potuto ammalare.


Ma questi ora sono solo pensieri inutili.

Con questo tempo, un tempo spaventoso,
mai avrei lasciato uscire i bambini:
avrei detto: Potrebbero morire!

Ma non vale più darsi pena per questo.

Iruka non sapeva di preciso che ore fossero, aveva smesso già da molto di guardare l’orologio, ma sapeva che era tardi.

Troppo tardi.

Muoveva gli occhi da una parte all’altra per tentare di scorgere, fra le poche persone che ancora si attardavano nel viale, Naruto.

Guardando ancora una volta il cielo, si rese infine conto che la sera aveva preso il posto del giorno. Era difficile in realtà notarlo, con le nubi non si riusciva a vedere la posizione del sole, ma si era fatto più freddo e scuro ed i negozi stavano chiudendo.

Tentò malamente di tranquillizzarsi dicendosi, a voce alta, che magari non era ancora arrivata la sera; che il cielo era così scuro che rendeva tutto buio, ma quando l’occhio gli cadde sull’orologio che portava al polso, quasi urlò.

Non era sera. Era notte e questo era anche peggio.

Entrò come una furia in casa, prendendo due giacche pesanti e dirigendosi velocemente in piazza.

Iruka non sapeva esattamente dove andare a cercarli, ma in quel momento non importava. Doveva trovare Naruto e avrebbe girato tutta Konoha pur di riuscire a trovarlo.

Non lo sfiorò nemmeno per un momento che il bambino si sarebbe potuto trovare in Accademia, a quell’ora era chiusa e nessuno ci poteva entrare, quindi, avrebbe girovagato per i vari negozi e chiesto informazioni.

Nel vederlo correre in quel modo forsennato, la gente si voltava a fissarlo o additarlo, ma non ci faceva caso.

Nessuno gli prestava mai molta attenzione, era solo un uomo come tanti. Senza capacità speciali o altro, ma lo conoscevano bene comunque e non in maniera positiva.

Lui era l’amico del mostro.

Passò in fretta due signore anziane che spettegolavano, ignorando i loro poco carini commenti sul suo stato.

Non doveva essere un bello spettacolo bagnato come un pulcino, col fiatone, che correva come un pazzo con una giacca fra le braccia e con gli occhi spalancati.

Sorpassò due chioschi ancora aperti, guardando velocemente al loro interno per tentare di scorgere i ninja che avevano preso Naruto e fu per fortuna che, mentre osservava un locale di alcolici, andò a sbattere contro uno dei ninja che cercava.

Si piegò ansimante sulle ginocchia, chiedendogli dove fosse Naruto.

E non gli piacque per niente il sorrisetto ironico che quello aveva sulle labbra.

Rimase per qualche istante ad aspettare che rispondesse e si chiese perché quell’uomo continuasse a fissarlo con quell’irritante sorrisino stampato in volto.

Senza aspettare ancora lo domandò di nuovo, supplichevole e quello rispose.

Iruka si raddrizzò debolmente sulla schiena. Gli occhi di un caldo color castagna, si erano misteriosamente trasformati in due polle di vetro marrone.

Le labbra socchiuse non lasciavano andare alcun respiro e le labbra, prima rosse a causa dell’affanno, avevano assunto uno strano colorito cinereo.

La mente era totalmente sgombera da ogni pensiero e fu solo nel sentire la risata stridula dell’uomo che si riprese un poco.

Almeno il tempo di tirargli un pugno in pieno sterno.

Osservandolo con il fiato mozzato di colpo, pensò che non gli importava se lo avesse ucciso.

Che se lo meritava per quello che aveva fatto e questo pensiero gli diede nuova forza.

Lo fissò con rabbia, notando come quello tentasse di non soffocare e allora pensò di nuovo che non avrebbe mai lasciato uscire un bambino con quel tempo così spaventoso.

Che avrebbe dovuto impedire che il suo piccolo Naruto uscisse, gli sarebbe potuto succedere qualcosa… Sarebbe potuto morire!

Corse più in fretta che poté verso la foresta, pregando ogni Kami che conosceva di aiutarlo nella sua ricerca disperata.

Supplicò le gambe di reggerlo ancora un po’, incurante del vento che gli gelava il volto, aprendo di nuovo le ferite che si era fatto mordendosi le labbra.

Pregò che la milza cessasse di fare male, non aveva tempo per riposarsi o per preoccuparsi che la pioggia lo stava rallentando nella sua folle corsa.

Inoltrandosi più profondamente nella foresta, tentò con ogni sua forza di trovare un segno del suo passaggio o di avvertire il chakra del bambino.

Nulla.

Il tempo sembrava essergli sempre più nemico ed infine, quando trovò Naruto sdraiato al suolo, desiderò ardentemente di non averlo lasciato andare.

Ma quelli, capì, ora erano solo pensieri inutili.

Temari non sapeva di preciso che ore fossero.

Non aveva mai prestato attenzione agli orologi, preferiva basarsi sulla posizione degli astri, ma per quella volta, desiderava ardentemente averne uno.

Con falsa noncuranza, osservò gli abitanti di Suna che passavano di fronte a lei, tentando di scorgere sui loro polsi un orologio o qualcosa che le desse una vaga idea di che ore fossero.

Sbuffò infastidita nel notare che nessuno le era d’aiuto e continuò così ad osservare i passanti alternando gli sguardi al cielo scuro.

Stringendo un lembo del vestito che indossava, si accorse che era bagnato, come il resto di sé, ma non se ne curò molto.

Lasciando le dita a giocherellare con la stoffa, si accorse all’improvviso che il chiacchiericcio delle persone era troppo debole.

Volse lo sguardo verso il centro del paese, accorgendosi così che molti negozi erano chiusi.

Assottigliò gli occhi per un breve istante, prestando maggiore attenzione alle voci che le arrivavano.

Aveva sentito qualcosa che non le piaceva.

Facendo finta di sgranchirsi le gambe, si avvicinò maggiormente alle due signore che stavano discutendo in un sussurro e rabbrividì nel sentire cosa si stavano dicendo: suo padre, il Kazegake, era tornato molte ore fa da una “passeggiata” nel deserto ed era così contento che era andato in un chiosco a bere del sakè.

Stringendo spasmodicamente i pugni, si diresse nuovamente alla sua postazione, ma la superò ed entrò in caso, vagando nella sua camera alla ricerca di due mantelli.

Prese un ombrello, qualche kunai, per ogni evenienza, e con eleganza uscì, salutando l’altro fratellino, Kankuro, che stava giocando con la sua marionetta.

Si mise il mantello sulle spalle e aperto l’ombrello viola, si diresse incurante verso il deserto.

Se le voci erano vere, Gaara si trovava per forza lì.

Temari non era mai andata da sola nel deserto, non le piaceva molto e ne aveva anche un po’ paura.

Non sai mai cosa aspettarti dalla sabbia e questo non lo sopportava.

Lei era una persona decisa e sicura di ciò che voleva e non avere qualcosa sottocontrollo la rendeva furiosa e angosciata.

 Pensò che anche su Gaara non aveva controllo e che lui e la sabbia erano molto simili. Troppo.

Per questo lui non le piaceva molto, ne aveva paura, ma gli voleva comunque bene.

E lo aveva dovuto crescere quindi, anche se era ancora una bambina, aveva sviluppato una sorta di protezione materna verso i fratelli.

Attraversò a passo svelto i mulinelli di sabbia e pioggia che sembravano volerla inghiottire, incurante della pioggia che ancora cadeva e del vento gelido che la soffocava.

Doveva trovare Gaara ad ogni costo, perché nonostante tutto, si era ripromessa di crescerlo al meglio delle sue forze.

Di farlo cambiare.

Di fargli capire che il mondo, nonostante facesse schifo, alle volte valeva la pena di viverlo almeno un poco.

Camminò a passo sostenuto per quelle che le sembravano ore, ma non importava, era abituata al movimento fisico e non la infastidiva.

Se non fosse stato per la sabbia.

Quella non le piaceva, se lo era ripetuto tante volte.

Bollente di giorno e gelida di notte.

Veloce come un serpente ed infida come un ragno che tesse la sua tela, pronto a catturare un’ingenua farfalla.

Ma lei non era ingenua né farfalla, era solo Temari.

Solo questo.

Vide in lontananza qualcosa di rosso che veniva sommerso dalla sabbia ed il suo cuore perse un battito.

Tentò di accelerare il passo; non poteva correre o sarebbe incappata in qualche tranello che, sapeva, il deserto tendeva a formare per i poveri sprovveduti.

Si fermò d’improvviso e ciò che vide le fece sgranare gli occhi.

Inginocchiandosi senza forze a terra, pensò che non avrebbe dovuto lasciare andare il suo fratellino.

Che con un tempo così spaventoso sarebbe potuto morire.

Nell’accarezzare la gelida guancia del bambino davanti a sé, si disse che ora, quelli erano pensieri inutili.

Con questo tempo, in questa bufera,
essi riposano a casa, come dalla mamma:
più nessuna tempesta li atterrisce,
e la mano di Dio li protegge.

 

Iruka osservò il corpicino esamine di Naruto davanti a lui.

Gli occhi sgranati non riuscivano a rimanere fermi sul cadavere e quindi si muovevano in ogni direzione, sperando che tutto fosse solo un brutto sogno e che presto si sarebbe svegliato.

Accarezzò titubante le fredde guancie del bambino, non capacitandosi di trovarle così gelide al tatto.

Quasi inconsciamente, mise la giacca che si era portato appresso su Naruto, quasi speranzoso che così si sarebbe svegliato.

Che le sue labbra aperte in quello che sembrava un grido di terrore si schiudessero in un sorriso.

Che i suoi occhi addolorati divenissero pregni di gioia nel vederlo.

Lo prese fra le braccia cullandolo dolcemente, donando a quel piccolo volto contratto tanti piccoli baci, mentre con una mano gli accarezzava i capelli.

Continuò a cullarlo avanti e indietro senza sosta, incapace di accettare che il suo bambino era morto.

Che non sarebbe più tornato da lui.

Che i suoi occhi non avrebbero più riflesso il turchese del cielo.

Che le sue labbra non sarebbero più state baciate dai caldi raggi solari.

Che la sua pelle non sarebbe più stata illuminata dalla luna.

Che le sue mani, piccole e calde, non si sarebbero più mosse per salutarlo freneticamente.

Che le sue gambette agili non avrebbero più saltellato sul suolo terrestre.

Che il suo sorriso non gli avrebbe più infuso quella gioia calda nel suo cuore.

Che nulla di tutto quello si sarebbe più potuto avverare.

Con dita tremanti gli chiuse le palpebre e le labbra, tentando invano di incurvarle in un sorriso.

I singhiozzi, lentamente, iniziarono a scuotere il suo corpo.

Tentò ancora di piegare quelle piccole labbra verso l’alto, ma Naruto non aveva più nulla per cui sorridere.

Abbracciandolo forte, lasciando scorrere le sue lacrime assieme alla pioggia, si ricordò che la vita non aveva dato nulla a quel piccolo bambino che spandeva sorrisi innocenti a tutti, donando alla sua vita quella piccola gioia che ancora non aveva provato.

Se lo strinse forte al petto, desideroso solo di donare un po’ di calore umano che quel bambino non aveva mai conosciuto.

Temari osservò il corpo esanime di Gaara.

Se lo era aspettato.

Il deserto non è magnanimo con nessuno, specialmente di notte.

Seduta elegantemente sulle ginocchia, non sapeva cosa fare.

Non sarebbe mai riuscita a portarlo a Suna, era troppo piccola per fare il tragitto all’indietro, di notte, con un cadavere sulle spalle.

Anche se questo cadavere era un bimbo magrissimo di sette anni.

Temari non sapeva cosa fare e questo la impauriva.

Lei sapeva sempre che cosa fare.

Avrebbe voluto avere vicino qualcuno che le permettesse, almeno per pochi minuti, di mostrarsi la bambina che era.

Ma Temari non era più una bambina e una volta tornata a Suna, avrebbe dovuto occuparsi di Kankuro più di quanto avesse mai fatto.

Osservò titubante gli occhi vuoti di Gaara e le venne da vomitare.

Stranamente, notò, erano tristi.

Temari sapeva che il fratello era sempre stato odiato e che ne soffriva, ma non lo dava a vedere.

Infantilmente, aveva sempre pensato che prima o poi sarebbe riuscita a scorgere nei suoi occhi qualcosa di vivo.

Non avrebbe mai immaginato, però, di vederlo nella morte.

Prese una mano fredda del bambino fra le sue e la strinse forte.

Si pentì quasi subito di averlo fatto, ricordandosi che mai in vita lo aveva stretto.

Qualche volta aveva tentato di abbracciarlo, ma lui l’aveva sempre allontanata.

Pensò che quelle volte avrebbe dovuto insistere maggiormente, non lasciandosi andare all’amarezza di non essere voluta.

Una lacrima superò la difesa delle sue ciglia, infrangendosi sul dorso della mano del fratellino.

Un’altra calda goccia s’infranse invece sul muso di stoffa dell’orsacchiotto che Gaara portava sempre con sé.

Chinando il volto per non mostrare nemmeno al cielo il suo dolore, seppe che almeno non era morto da solo.

Che aveva portato con sé il suo migliore amico in quell’ultimo viaggio.

Con un sorriso amaro in volto, si chinò a dare un bacio sulla fronte del bambino.

Bambino a cui non era mai riuscita dirgli un: ti voglio bene.

Bambino che non avrebbe visto crescere.

Che non avrebbe più potuto accudire.

Che non avrebbe più avuto al suo fianco.

Comprese duramente che i suoi occhi non avrebbero più riflesso il colore dell’acqua di fiume.

Che le sue labbra non sarebbero più state baciate dalla sabbia che tanto amava.

Che la sua pelle non sarebbe più stata illuminata dalla luna.

Che le sue mani, piccole ma già sporche di sangue, non si sarebbero più mosse per stringerle impercettibilmente le dita.

Che le sue gambette agili non avrebbero più calpestato un sassolino che lo infastidiva.

Che il suo piccolo broncio non le avrebbe più disteso i lineamenti infantili del volto.

Che nulla di tutto quello si sarebbe più potuto avverare.

Senza stare ancora a riflettere, decise che gli avrebbe concesso almeno un ultimo regalo d’addio.

Lo avrebbe donato a lui e a se stessa.

Piegandosi con il volto verso il corpo esanime, si accoccolò sul piccolo petto che non si alzava e abbassava più per respirare.

Aumentò la stretta sulla mano di Gaara, concedendosi un unico e basso lamento di dolore che racchiudeva in un sussurro il suo regalo.

Quella sola parola che nessuno gli aveva mai donato, nemmeno lei.

Ti voglio bene.

 

Owary

 

Tanto per, metto il mio risultato:

2° Classificata
Heartbeat lost di Kei_Saiyu

Grammatica e Lessico: 10 punti
IC dei personaggi: 8.5 punti
Originalità: 9 punti
Attinenza al tema dato: 10 punti
Opinione dei Giudici: 5 punti

Totale: 42.545

Questa fict ci è piaciuta particolarmente. Semplice, le descrizioni sono veloci, ma con poche parole sei riuscita a trasmettere benissimo il tuo messaggio. Questi due bambini, mai stati amati, in realtà avevano avuto qualcuno acanto in quel cammino tortuoso che è la vita. È commovente, da leggere tutta d’un fiato. La grammatica è ottima, non abbiamo trovato un’imprecisione né un discorso sconnesso. Si lega tutto perfettamente e perciò è piacevole da leggere. Sei stata assolutamente attinente al tema. Temari era in effetti u po’ OOC, questo l’ha un po’ penalizzata.

 

   
 
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