Film > Star Wars
Segui la storia  |       
Autore: thebrightstarofthewest    13/01/2016    1 recensioni
Nella mia follia di fangirl, ho immaginato la mia versione della galassia lontana lontana trent'anni dopo gli avvenimenti narrati ne Il Ritorno dello Jedi. Questa è completamente diversa da Il Risveglio della Forza, senza quei personaggi, e con altri da me creati. Dal prologo:
"Trent’anni dopo la caduta dell’Impero, la Pace regna sulla galassia.
La Repubblica è rinata, nuovamente con sede su Coruscant, e grazie all’impegno dei suoi funzionari i pianeti vivono in una quiete e prosperità che da decenni non era che un miraggio.
Luke Skywalker, con l’aiuto della sorella Leia, decide di rifondare l’Ordine dei Jedi, nel quale decine di nuovi allievi si allenano per mantenere la giustizia nella galassia.
In questo clima di gioia, tutto sembra andare per il meglio… Eppure non tutti la pensano allo stesso modo. Tim, giovane Cavaliere Jedi, ha ragione di credere che qualcosa di oscuro si celi sotto il velo di tranquillità creatosi, e si reca nei bassifondi di Galactic City in cerca di risposte…"
Spero di avervi almeno incuriosito!
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Han Solo, Luke Skywalker, Nuovo personaggio, Principessa Leia Organa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO III - Attacco al Palazzo

Erano passati cinque giorni dall’incidente nello sprinter e Meera ancora non era stata rilasciata dal Palazzo del Senato, sebbene non le fosse esattamente chiaro il perché. Ogni volta che un’infermiera veniva a consegnarle il pranzo o un dottore giungeva per controllare che la guarigione procedesse secondo i piani, la ragazza tentava sempre di fare qualche domanda, apparendo il più disinteressata possibile: perché non poteva andarsene? Cosa stava succedendo? Inutile dire che la maggior parte dei quesiti veniva liquidata da una scrollata di spalle ed un sorriso, lasciando Meera corrucciata e sempre più perplessa.
Perlomeno le era stato concesso di passeggiare per i corridoi dell’immenso edificio, sebbene tale permesso fosse vincolato alla presenza, con lei, di un droide che la “tenesse a bada”. Quella affermazione in particolare l’aveva decisamente turbata: perché necessitava di una stupida macchina che la seguisse in ogni dove? Era per caso diventata una prigioniera? Nessuno si era premurato di spiegarglielo.
Fatto sta che la compagnia di tale C-3PO, droide protocollare completamente dorato, si era rivelata più una benedizione che altro: il robot aveva un animo buono, sebbene spesso malinconico e pessimista, e tendeva ad acconsentire alle richieste della ragazza, anche se i suoi ordini non glielo avrebbero permesso. Era l’unico, poi, con cui Meera riusciva ad avere un minimo di dialogo: Tim sembrava completamente scomparso e Leia ancora non si era fatta rivedere, nonostante il giovane Jedi le avesse assicurato che prima o poi l’avrebbe convocata per un colloquio.
Quel giorno in particolare, la giovane donna si sentiva giù di corda come non mai. Si era svegliata con un dolore lancinante alla spalla, cosa che, a detta dello staff medico, indicava che la ferita stava faticando un po’ a rimarginarsi del tutto. Significava forse che si sarebbe trattenuta nell’infermeria altri giorni? Nessuno si preoccupò di farglielo sapere.
Si vestì in fretta, indossando i pantaloni e la larga maglia color cachi che le erano state fornite da Bata, poi consumò la colazione in silenzio, fino all’arrivo di C-3PO, che entrò cigolando a piccoli passi dalla porta scorrevole.
“Signorina”, la salutò, piegando meccanicamente la testa metallica, “Ha dormito bene?”.
“Dormito bene, sì”, considerò lei, mettendo l’ultimo boccone di cibo in bocca, con aria mesta, “E’ stato il risveglio a non essere molto piacevole”.
“Oh”, esclamò con voce acuta il droide, gli occhi gialli perennemente spalancati, quasi in un’espressione di stupore, “E’ forse colpa mia? Lo sapevo che non sarei dovuto venire così…”.
Meera sorrise, poi lo bloccò con un gesto della mano. “No, C-3PO, non è colpa tua”, lo rassicurò, “Anzi, sei l’unico qui che sembra darmi un minimo di relazione. Vorrei sapere perché mi trattengono, come sto davvero, perché Tim e la Senatrice non sono tornati a farmi visita… Ma nessuno sembra intenzionato a darmi risposte”. Alzò gli occhi, fissando un punto imprecisato fuori dalla grande finestra.
C-3PO rimase immobile qualche secondo, come se stesse riflettendo su cosa dire. “Beh, signorina”, constatò lui, vagamente amareggiato, “Vorrei esserti di aiuto, ma non sono che un povero droide. Temo che i suoi interrogativi non troverebbero risposte in me”.
Quella sua diffusa e perenne malinconia, spesso portata all’eccesso ed al vittimismo, non poteva che divertire la giovane, che si alzò in piedi e lo affiancò, prendendolo a braccetto. “Su, C-3PO, non piangerti addosso. Sei il migliore amico che ho trovato, qua”.
“Oh”, esclamò nuovamente lui, con fare perplesso, poi parve ritrovare animo, “Allora… facciamo la passeggiata di tutti i giorni, signorina?”.
Meera annuì ed i due si avviarono per i corridoi del palazzo. Il droide era piuttosto lento nel camminare e spesso si dilungava in monologhi sulla Ribellione e la Nuova Repubblica, per cui la ragazza smetteva di ascoltarlo e si perdeva nei propri pensieri. Che erano, tra l’altro, a bizzeffe: certe volte, scrutando i volti dei vari funzionari che incrociavano per il percorso, si domandava come stessero i suoi genitori. Non poteva dire che propriamente le mancassero, ma temeva che fossero in pensiero per lei… E poi c’era l’incognita di suo fratello. Con la confusione che si era creata quella sera all’underworld, Julian poteva benissimo essere stato beccato con i suoi “amici”. Ogni volta che rifletteva a riguardo, un brivido le percorreva la schiena.
Mentre ancora era del tutto immersa nelle proprie elucubrazioni, si rese conto che C-3PO si era fermato, e sembrava star osservando un punto fisso di fronte a sé. Alzando entrambe le sopracciglia si girò verso di lui e gli sventolò una mano davanti agli occhi luminosi, per attirare la sua attenzione. “Ehi”, mormorò, stupita da quel comportamento, “Sei ancora con me?”.
Dopo qualche istante il droide si risvegliò con un sussulto. “Oh, cielo”, disse, con voce mortificata, “Sono ancora qui, signorina, ma temo che la nostra girata si dovrà concludere adesso”. E prima che Meera potesse porre una qualsiasi domanda, allungò il braccio metallico di fronte a sé, che la giovane seguì con lo sguardo: non molto lontani stavano giungendo la Senatrice Organa Solo, tallonata dal figlio, che sembrava piuttosto contrariato.
Staranno discutendo… Sai che novità, non riuscì a fare a meno di pensare.
“Dici che stanno venendo proprio nella nostra direzione, C-3PO? Cioè, pensi vogliano parlare con noi?”, chiese, senza staccare gli occhi dalle due figure in avvicinamento.
“Mi stupirei del contrario, signorina: il padroncino Timothy e la Senatrice Organa Solo hanno parlato molto di lei, negli ultimi giorni”, rispose pacatamente il droide. La reazione di Meera, però, non fu affatto altrettanto pacata: sentì la rabbia crescerle dentro, e in un attimo si girò verso robot.
Hanno parlato di me?!”, esclamò, digrignando i denti, “Tu sei al loro servizio e non mi hai…”.
Non fece in tempo a finire la frase, perché Leia e Tim Solo le si pararono dinnanzi. D’istinto, abbassò gli occhi, per poi rialzarli, tentando di apparire il più tranquilla possibile.
“Meera”, la salutò il ragazzo, sfiorandosi la corta barba, “Mi hanno detto che stai meglio”.
“Davvero? A me no”, controbatté lei. Decisamente non era riuscita a contenere la propria furia: la consapevolezza del ‘doppiogioco’ compiuto da C-3PO l’aveva davvero spiazzata.
“Qualcosa non va, cara?”, le domandò la Senatrice, prendendole una mano. Quel gesto, così spontaneo e accorato, aiutò decisamene a calmarla. “So che sei stata trattenuta qui per più tempo di quanto ti saresti aspettata e comprendo tu possa essere adirata. Saremmo dovuti venire a parlarti prima, ma tra i… diverbi con mio figlio e il contattare i tuoi genitori per un colloquio, le cose sono andate per le lunghe. Più del previsto, perlomeno”.
“I miei genitori?”, chiese Meera, con gli occhi spalancati, “Li ha chiamati qua? Perché?”.
Leia sospirò, lanciando uno sguardo a Tim, che appariva piuttosto soddisfatto e baldanzoso. “Presto ti verrà chiarito tutto. Vieni, seguici”.
E così si misero in cammino, deviando dai corridoi che ormai la ragazza era solita percorrere, per imboccare un’ampia scalinata bianca come nubi contro il cielo azzurro. Nell’ascesa le tempie le pulsavano appena, ma non certo per la fatica: no, era la preoccupazione a farla da padrona in lei. Ogni scalino le sembrava un ostacolo immenso da superare, finché non arrivò in cima e, seguendo i passi della Senatrice, si diresse sulla destra, dove una larga porta scorrevole le si spalancò davanti: conduceva ad un enorme ufficio di forma semisferica, con una grande scrivania color argento dagli angoli squadrati. Leia si diresse verso il tavolo metallico a piccoli passi decisi e vi si sedette, squadrandoli da dietro di esso.
“Meera? Sei tu?”, si sentì chiamare le ragazza, che ancora stava ammirando quella splendida stanza. Riconoscendo la voce femminile che l’aveva nominata, con dolcezza, si girò di scatto: i suoi genitori erano seduti su un divanetto poco distante, che dava le spalle alla porta. Ebbe un tuffo al cuore e, con uno slancio, si gettò tra le loro braccia, ignorando l’insistente dolore alla spalla.
“Mamma! Papà!”, esclamò, abbracciandoli. Loro ricambiarono la sua stretta, sebbene sembrassero piuttosto imbarazzati da quelle effusioni in presenza di un funzionario del calibro della Senatrice Organa Solo. Suo padre in particolare le scompigliò i capelli con fare leggermente impacciato, poi, con un leggero gesto della mano la rimise in piedi. Stupita da quella freddezza, cercò di ricomporsi, di non prendersela, ma non era facile: forse era assurdo, perché era stata lì solo cinque giorni, eppure sentiva il bisogni di affetto e vedersi così respinta le appariva del tutto innaturale. Sospirò, posando gli occhi su Leia, che le fece cenno di sedersi in una sedia accanto alla scrivania. Per un solo istante, il suo sguardo si intrecciò con quello di Tim, eretto in piedi accanto alla scrivania, e le parve di leggervi comprensione.
“Meera, non devi preoccuparti”, le disse la Senatrice, con quel solito tono sincero che ogni volta la spiazzava, “Adesso ti spiegherò perché ho chiamato qui la tua famiglia e il perché di questa tua permanenza qui”. Si protese verso di lei, seria, ma non ostile e proseguì. “Come ormai penso tu abbia capito, mio figlio spesso esagera nelle proprie azioni e per questo non ci troviamo d’accordo”. Timothy abbassò il capo, trattenendo a stento una risata.
“Eppure, il giorno in cui sei stata ricoverata, ha portato alla mia attenzione dei dati interessanti che hanno risvegliato la mia attenzione… e non solo la mia, in verità”.
Meera era spaesata: di che diamine stavano parlando? In quel momento, prese parola Tim: “Ti è mai capitato, in passato, di prevedere qualcosa prima che accadesse? O, comunque, di avere slanci istintivi di gran lunga superiori alla media?”. La ragazza, sempre più confusa, boccheggiò e guardò i suoi genitori, in cerca di aiuto. Tutto ciò che ricevette fu un’occhiata indecifrabile.
“Non ne sono sicura”, rispose, asciutta. Il giovane Jedi storse le labbra in una smorfia pensierosa, poi scosse il capo.
“E’ strano, molto strano”, commentò, più rivolto a sua madre che a Meera stessa.
Leia rimase immobile. “Spesso i tratti si mostrano più avanti, o non sono concretamente percepiti da chi li possiede. Anche io fino a circa vent’anni non…”.
Meera alzò la mano, timidamente, interrompendola a metà discorso. “Scusi, Senatrice”, balbettò, abbassando immediatamente il braccio, e occhieggiando a intervalli regolari lei ed il figlio, “Non voglio essere scortese, ma mi sento al centro di una grande conversazione di cui neppure comprendo la ragione. Non potrebbe dirmi qual è il problema?”.
Le sottili labbra di Leia si spalancarono in un sorriso, che le illuminò il volto saggio e bello. “Mia cara, ma non c’è alcun problema”, rise, “Al contrario, devi sapere che… No, come hai detto, la farò breve, non ha senso tenerti sulle spine. Ho chiamato qua i tuoi genitori perché mio figlio ha scoperto che il livello di midi-chlorian nel tuo sangue è molto alto, dunque volevamo chiedere loro il permesso per poterti addestrare all’Accademia”.
Probabilmente vedendo che il volto di Meera era sempre una maschera di profonda perplessità, Tim si intromise nel discorso con una scrollata di spalle. “In poche parole”, esclamò, sornione, “Hai le potenzialità per diventare uno Jedi”.
Le parve di essere stata catapultata in un’altra dimensione, dove il pulsare delle sue tempie ed il battito furioso del suo cuore erano gli unici suoni udibili. Aprì le labbra per dire qualcosa, ma non ne uscì niente. E, dopotutto, cosa avrebbe potuto dire? Di tutte le notizie che avrebbero potuto darle, quella era sicuramente la più inaspettata. Uno Jedi? Lei? Com’era possibile? La mente, quasi automaticamente, la trasportò indietro nel tempo a quella sera, quella nell’underworld, quando aveva incontrato Tim: il suo primo istinto, quando aveva visto qualcuno in difficoltà, era stato quello di andarsene, di chiudere gli occhi e fare finta di nulla. Solo quando si era rivelato un Cavaliere, aveva deciso di aiutarlo… Ma perché? Per egocentrismo? Per dimostrare di essere coraggiosa? No, non lo era. Non lo era mai stata.
“Ma non è possibile”, riuscì a sillabare, in un soffio.
Tim e Leia si scambiarono uno sguardo ricolmo di sottintesi e poi il ragazzo le si avvicinò, circondandole le spalle con un braccio. Quel tocco le parve strano, eppure la situazione era già di per sé abbastanza inconsueta perché a malapena se ne rendesse conto. “Meera”, mormorò lui, cercando un contatto visivo, “Quanto sono entrato nella tua mente, quella sera, ho percepito qualcosa, di potente e conciliante. Erano i midi-chlorian che mi parlavano; non sto dicendo che tu sia lo Jedi più potente mai esistito, ma la Forza è in te… lascia che fluisca”.
Non replicò. Non sapeva cosa avrebbe potuto dire. Da un lato, era ciò che aveva sempre desiderato… Essere qualcuno e non un nessuno. Ma anche soltanto quel sogno ambizioso e egoistico non era forse la prova che non era adatta ad essere uno Jedi?
“Io…”, biascicò, ma fu interrotta dal suono dei suoi genitori che, contemporaneamente si alzavano dal divanetto, per pararsi dinnanzi a lei.
“Meera, è un’occasione che non puoi perdere”, esclamò sua madre, allontanando Tim e prendendole il volto tra le mani, “Io e tuo padre abbiamo già acconsentito. Non vorrai deluderci?”.
Ecco, la solita tattica dei suoi: giocare sul senso di colpa. Erano affettuosi, certo, ma sapevano anche farsi furbi. Chinò il capo e fece per rispondere, quando un tremore profondo ed inquietante le fece morire le parole a fior di labbra.
Si guardò intorno, confusa, e notò lo specchio delle sue emozioni anche nei volti altrui. L’edificio stava letteralmente oscillando. Scattò in piedi, preoccupata, ed afferrò il braccio di Timothy, facendo per chiedergli qualcosa, ma l’ennesimo scossone la fece cadere all’indietro. Strinse i denti nel percepire una fitta di dolore alla spalla.
“Che diamine sta succedendo?”, domandò in un grido Tim a sua madre, mentre aiutava Meera a rimettersi in piedi, “E’ qualche sorta di esercitazione?”.
“Non ne so nulla”, rispose Leia, corrucciata. Estrasse la spada laser, che con un sibilo rivelò essere verde, “Dobbiamo uscire di qua. Stiamo uniti, ho un brutto presentimento*”.
“Oh, cielo”, esclamò C-3PO, che finora aveva assistito in completo silenzio alla conversazione, ed aprì la porta con un tonfo sordo. Nei corridoi era il panico: ogni sorta di umano ed alieno correva e si guardava intorno, spaurito.
“Ma che cosa…”, fece per imprecare Tim, ma si interruppe, quando un altro schianto mosse l’intera struttura, con un rumore lugubre e metallico. Tutti si trovarono sbalzati contro pareti e pavimento ed attesero qualche istante prima di rialzarsi. In quell’istante, una figura familiare gli si avvicinò, correndo a grandi falcate e faticando a mantenere l’equilibrio.
Leia! Timothy!”, urlò Han Solo, fermandosi loro davanti.“State tutti bene?”, domandò il Generale Solo, anche se in realtà era chiaramente più preoccupato per sua moglie e suo figlio. La Senatrice gli si avvicinò, sfiorandogli il volto con la mano libera. “Sai cosa sta succedendo?”, domandò al marito, cercando di mantenere la calma
Han si fece scuro in volto. “Io, Grym e Chewie eravamo fuori a dare un’occhiata al Falcon prima di farlo ripartire, quando un rombo ci ha riempito le orecchie: ci siamo girati ed abbiamo visto un’enorme nave grigia e nera dal modello sconosciuto che era riuscita a superare i nostri scudi. Sotto i nostri occhi ha cominciato a sparare sul Palazzo e…”. Un’altra botta, un altro terribile tremore lo costrinse a tacere. “Dobbiamo filarcela”, borbottò, con occhi sospettosi, prendendo la mano della moglie, ed impugnando il blaster con l’altra, “Il Falcon è pronto”.
“No!”, controbatté Leia, “Prima dobbiamo scoprire cosa sta succedendo, aiutare le persone a…”. Puntuale, giunse un altro tonfo. Ormai era diventato come il ticchettare preciso e periodico di un orologio, forte, gutturale e tremendo.
“Non aiuteremo nessuno, da morti”, borbottò con ironia piuttosto oscura Han. Tutti apparvero tacitamente d’accordo, sebbene negli occhi della Senatrice vi fosse del risentimento. Con il fragore della battaglia che nascondeva il rumore dei loro passi si incamminarono dietro al Generale Solo. Meera si guardava intorno, vedendo il Palazzo in fermento come non mai: interi plotoni di soldati marciavano nella loro stessa direzione, probabilmente per fronteggiare il nemico. Le salì un groppo in gola al pensiero di trovarsi nel cuore di una battaglia, ma proseguì, al fianco dei suoi genitori. Ogni tanto il povero C-3PO rimaneva indietro e lanciava acuti urli di paura.
I corridoi erano sviluppati in un labirinto che sembrava non avere mai fine, ma più andava avanti, più Meera capiva che si stavano avvicinando agli hangar dove erano tenute le astronavi… O forse alle rampe di lancio, non ne era ben sicura, ma l’odore di carburante che aleggiava nell’aria le rivelava molto, sebbene la sua mente fosse un subbuglio confuso di paura e dubbi.
Ad un tratto, un uomo alto con le spalle larghe si avvicinò alla Senatrice, con un inchino frettoloso. Indossava una divisa della Nuova Repubblica, le cui medaglie applicate all’altezza del cuore rivelavano un alto rango. “Senatrice Organa Solo”, la salutò, la voce ferma, ma in cui serpeggiava malcelato un certo timore.
“Capitano!”, esclamò la donna in risposta, fermandosi di scatto per parlare con lui. Tutto il gruppo, come fosse una sola cosa, si bloccò a sua volta, in fervida attesa di udire quel che Leia aveva da dire: era una donna saggia, Meera ne era sicura, e si rese conto di pendere dalle sue labbra in quel momento. I due uomini Solo, dal canto loro, reagirono entrambi col medesimo atteggiamento: alzarono gli occhi al cielo, leggermente irati, e, sollevando le braccia al cielo, si lanciarono un tacito sguardo di intesa. Avevano fretta, era evidente.
“Cosa succede?”, continuò la Senatrice, velocemente, “Abbiamo udito tonfi e rumori metallici. Mio marito mi ha detto che…”. Un tremito della struttura non le permise di continuare.
“Senatrice”, la esortò il capitano, “Non può restare qui, stiamo evacuando l’intero Palazzo. Qualunque cosa o persona ci stia attaccando, è riuscita a superare gli scudi e a bypassare i sistemi di sicurezza del nostro computer centrale, per cui gli hangar dove sono custodite le navi della Flotta della Repubblica sono bloccati. Stiamo cercando di risolvere il problema, ma temo non sarà così banale”. Fece una pausa. “Quella nave non sembra interessata a seminare panico nella città. No, sta sparando solo sul Palazzo. Vada con suo marito, raggiunga suo fratello all’Ordine dei Jedi e…”.
“Sì, vieni con tuo marito”, lo interruppe Timothy, prendendo la madre per il braccio e trascinandosela dietro non con troppa grazia.
“Per una volta sono d’accordo con te”, borbottò Han, rimettendosi a fare strada. Leia tentò di ribellarsi, ma la fermezza di suo marito e suo figlio non le lasciarono molte possibilità. “Forza, andiamo”, esclamò ancora il Generale Solo, seguendo le parole con un ampio gesto del braccio, “Ormai ci siamo quasi”.
Le ultime parole famose. Stavolta, oltre ad un botto lugubre e profondo, si sentì il chiaro sibilo di un cannone laser: la parete metallica si inclinò pericolosamente sotto la potenza del colpo e una placca del soffitto, ampia e pesante, si staccò. Tutto accadde in fretta, troppo in fretta: tutto ciò che Meera seppe è che qualcuno le si gettò contro, per farla chinare. Un salto. La polvere che si alzava. La ferita alla spalla che si riapriva, con uno strappo. Il clangore del pezzo di soffitto che si schiantava contro il pavimento. Poi, un innaturale silenzio.
La ragazza, che aveva tenuto gli occhi serrati al punto che quasi le dolevano, li riaprì, lentamente: Tim le era accanto, le mani posate sulla sua schiena. Più avanti, Han Solo teneva Leia tra le braccia, con fare protettivo, e vociava qualcosa ad un comlink che teneva stretto in pugno. Le pareva di non poter udire più nulla, come se un’indistinta foschia aleggiasse attorno a lei, ricolma di detriti, annebbiandole i sensi. Percepiva solo il battito del suo cuore ed il sapore ferreo del sangue sulla lingua. Eppure, qualcosa non andava… Qualcosa…
Impiegò qualche istante a realizzarlo. Poi, quando comprese, fu come se un pugnale le avesse squarciato il petto, troncandole il respiro: ovunque guardasse, non v’era traccia dei suoi genitori. Non c’erano.
 Tentò di urlare, ma il grido le morì in gola. Tentò disperatamente di alzarsi, finendo per annaspare, squarciandosi ancora di più la ferita riaperta. Cadde supina a terra, il calore delle lacrime che le rigavano il viso e la schiuma che le fuoriusciva dalle labbra.
Qualcuno la girò, delicatamente, e lei tentò di ribellarsi, ma senza risultato: davanti a lei c’era Tim. Le stava parlando, ma non sentiva ancora nulla. Si concentrò sulle sue labbra, provando a leggerne il labiale. Inizialmente, la sua vista la ingannò, poi comprese.
Sono ancora vivi, Meera, diceva Timothy, serio in volto, I tuoi genitori sono ancora vivi. Sono là, dall’altra parte della placca. Sono con il capitano, sono al sicuro. Verranno evacuati, come tutti gli altri. Guarda dentro di te, tu sai che sono ancora vivi.
E come un’astronave che si lancia nell’iperspazio, la consapevolezza la investì: non sapeva come, né perché, ma lo percepiva, riusciva a vederlo come attraverso di un velo.... Mya e Raymond Russell erano ancora vivi. E ce l’avrebbero fatta, dovevano farcela.
Si rimise in piedi, sbandando. Leia le si avvicinò, con sguardo preoccupato, ma Meera le rivolse l’ombra di un sorriso. Non stava bene, ma si sentiva rinvigorita. Han Solo le porse la mano e si avviarono, veloci quanto più possibile, verso il Falcon. Continuarono a marciare, finché non si trovarono davanti ad una grande scalinata, seguita da una porta spalancata che dava sull’esterno: la luce del mattino penetrava da essa, illuminando l’intero corridoio. Quella luce le scaldò il cuore.
I momenti che seguirono parvero ore, come se il mondo andasse a rilento: salirono ed attraversarono l’uscio, per trovarsi su una larga piattaforma di lancio, dove un vecchio modello di nave mercantile li attendeva, con il portello aperto.
“Sia lodato il mio creatore!”, strillò 3PO, che con uno slancio improbabile per un droide protocollare si scapicollò verso l’entrata, scomparendo nella pancia del mezzo di trasporto. Gli altri, però, si fermarono, come ipnotizzati: poco distante da loro, una nave grigia e nera da guerra fluttuava in aria, colpendo ripetutamente il fianco dell’edificio. Era semplicemente mastodontica.
“Non possiamo fermarci qui”, sbottò Han, lanciando un’occhiata nervosa a quella mostruosa macchina, “Leia, dobbiamo andare. Chewie e Grym hanno già messo in moto”.
Riscossi da quelle parole, seguirono le orme di C-3PO e si addentrarono nel cargo che, in un tempo infinitamente breve, scattò in alto, fuggendo dalle polveri della battaglia.

***

“Leia?”, si sentì chiamare da una voce profonda e familiare.
Con gli occhi chiusi, Leia non disse nulla, né si alzò dalla propria poltrona, ma allungò appena il braccio, in attesa di quel tocco che conosceva tanto bene: delle dita ruvide, ma calde e stranamente confortevoli, avvolsero la sua piccola mano in una stretta dolce e, al tempo stesso, decisa. Pian piano, la Senatrice aprì le palpebre pesanti, per trovarsi dinnanzi i lineamenti ben squadrati di suo marito, che la guardava con i grandi occhi color nocciola, ricolmi di amore ed apprensione. “Tutto bene?”, le domandò, con tono appena preoccupato.
“Han”, mormorò lei, accarezzandogli la guancia leggermente ispida, “Tienimi stretta**”. Con quelle poche parole, si lasciò andare tra le sue braccia.
Seguirono diversi secondi, forse addirittura minuti, di assoluto silenzio, che infine lui interruppe. “Mi sa che non va tutto bene, quindi”, biascicò, staccandosi da lei lentamente, “I ragazzi sono in pensiero per te, dolcezza. Da quando siamo decollati –e ormai sono passate delle ore, nel caso i tuoi poteri Jedi ti avessero fatto perdere la cognizione del tempo- sei rimasta chiusa nella mia cabina tutto il tempo, senza nemmeno dare un segno di vita. La piccoletta là ha perso un sacco di sangue ed è ancora sotto shock per essersi lasciata dietro i genitori, avresti potuto…”.
“Potuto cosa?”, lo rimbeccò lei, pacata, inarcando le sopracciglia scure. Sulle sue labbra sottili si dipinse un sorriso amaro. “Stavo cercando, attraverso la Forza, di capire come vanno le cose a Galactic City…”. Si interruppe, pensierosa.
Han, che aveva sempre avuto ben poca pazienza per la Forza e qualsiasi cosa non capisse, spalancò le braccia con aria scettica. “E…?”, la incoraggiò.
Leia sospirò. “La nave se n’è andata come un’ombra non appena la Flotta è riuscita a uscire dagli hangar, veloce e invisibile, proprio come era venuta”. Guardò il marito negli occhi, con aria delusa. “Quando eravamo lì, di fronte ad essa, ho tentato di sondarla, di capirla, di percepire chi vi fosse all’interno e quali fossero le loro intenzioni, ma… ma non ci sono riuscita”.
Han scrollò le spalle. “Capita”, sentenziò.
Capita?!”, sbottò lei, istintivamente, “Ma come puoi…”.
“Ehi, piccioncini”. Tim apparve sulla soglia della porta circolare della cabina, con un sorriso ironico stampato sul volto. Da un lato, Leia fu contenta di vederlo felice nonostante ciò che avevano appena passato, dall’altro, temeva che dietro a quell’espressione sarcastica si celasse qualcosa. Scacciò quel pensiero. “C’è qualcuno che vuole parlarti, mamma”, soggiunse, guardandosi alle spalle dove, lentamente, apparve una figura minuta che si muoveva con un po’ di difficoltà: Meera, con la spalla fasciata ed il volto emaciato.
“Senatrice”, esordì, con voce sottile, guardandosi intorno timidamente. Eppure, attraverso la Forza, Leia poteva percepire nella ragazza molto decisione… Più di quanta ne avesse mai avuta prima. “Sono passate poche ore dalla nostra partenza…”.
“Beh, non proprio poche…”, la interruppe Han, storcendo il naso. Leia lo fulminò con lo sguardo.
“Dicevo”, continuò Meera, vagamente imbarazzata, “Ci ho pensato un po’. A questa questione di avere sangue Jedi, intendo. Finora non mi sentivo pronta o adatta perché… Beh, perché non ritengo di essere molto atletica, né, soprattutto, coraggiosa. Non sono speciale e non so se potrò mai esserlo. Eppure, oggi ho conosciuto la paura, quella vera, quando ho creduto di aver perso i miei genitori e questo mi ha fatto riflettere: forse sono codarda, ma voglio almeno provare ad essere migliore. Perché i Jedi portano giustizia e pace, no? E in tempi di pace nessuno può provare il terrore che ho percepito io. Nella pace c’è gioia”. Si interruppe un secondo, leccandosi le labbra. “Voglio essere addestrata”, concluse, cercando un contatto visivo.
Al tempo stesso, Leia e Tim sorrisero, guardandosi. “E lo sarai”, mormorò la Senatrice, “Lo sarai”.


* Famosa frase ricorrente nella saga cinematografica, tale 'I have a bad feeling about this'. Potevo non includerla?
** Citazione da "Il Ritorno dello Jedi". Mi piace pensare che, nonostante tutto, il rapporto di Leia e Han abbia sempre la dolcezza e profondità vista in quel film.


 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Star Wars / Vai alla pagina dell'autore: thebrightstarofthewest