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Autore: Merkelig    13/01/2016    2 recensioni
La notte può essere talvolta la culla degli incubi peggiori o dei sogni più audaci, dei nostri ricordi più preziosi, dei nostri progetti più ambiziosi, di storie bellissime e terrificanti...
può la notte inghiottire gli uomini e restituirli mutati? Può offrire rifugio a chi, arrivato alla fine, sente di aver compiuto un atto di compassione?
[...] - Una volta mi hai chiesto da dove vengo. Io non ricordo molto, possiedo solo frammenti confusi di memoria, che roteano furiosamente nella mia testa come un grande vortice di terrore e dolore. Ricordo di essermi svegliato in un luogo buio, e l'odore della morte mi ha assalito le narici e la bocca nauseandomi. Mi sentivo bruciare dentro, come se le mie ossa e i miei muscoli fossero in fiamme. Mi sembrava che la mia carne fosse dilaniata da mille uncini roventi. Questo, vecchio, è l'effetto che fa essere risputati fuori dalla bocca dell'inferno. [...]
Genere: Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Merkelig - Entall
Titolo: Ghoul
Genere: malinconico soprannaturale
Avvertimenti:
Sezione scelta: fantasy
Riassunto: Dal passato un'ombra dalle sembianze ferine giunge per far rivivere una vecchia storia ormai dimenticata, solo per quella singola notte.

 

Ghoul

 

Le notti invernali a Praga sapevano essere davvero micidiali. La pioggia cadeva fitta e pesante intirizzendo fino all'osso i pochi sfortunati che ancora arrancavano per le strade a quell'ora tarda. Tutta la città – le case, le piazze, i viali – sembrava essere scomparsa sotto una spessa coltre di nuvoloni plumbei. Gli specchi delle pozze d'acqua, continuamente infranti da sempre nuove e nuove gocce di pioggia, riflettevano tremolando le luci e gli edifici dando loro un aspetto fragile, come se da un momento all'altro la realtà avesse potuto spezzarsi.

I lampioni, che di quando in quando bucavano l'oscurità, rischiaravano coraggiosamente un tratto di strada sottraendolo così alle tenebre. Il loro alone si spandeva nello spazio posandosi sul marciapiede, sulla serranda di un negozio o sui gradini di un monumento, illuminandoli a giorno con una spietata luce artificiale.

L'atmosfera era tetra, greve, entrava nelle ossa insieme all'umidità lasciando un vago senso di disagio, come un presagio di sventura.

La creatura si alzò di scatto il bavero del cappotto rubato e si affrettò per la sua strada. Gli occhi ferini scintillarono per un momento, prima di scomparire sotto la tesa del cappello. Abbassò la testa per nascondere le zanne simili a quelle di un cinghiale nel collo della mantella e infilò una viuzza laterale, larga appena da far passare due uomini affiancati.

Quando spalancò la porta a vetri i campanelli appesi sopra di essa trillarono allegramente, con una festosità adatta alle mattine di sole e alla gioia di ricevere un regalo. Alle sue orecchie suonarono piuttosto fuori luogo per il fine e la presenza di chi avevano annunciato.

- È chiuso. - si udì infatti provenire dal retro del piccolo negozio di liuti.

L'essere non si mosse, attendendo paziente là dov'era entrato.

Le lampade alogene all'interno coloravano l'ambiente con una calda luce dorata. Gli strumenti occhieggiavano dai numerosi scaffali su cui erano stati pazientemente ordinati. Su un alto tavolo di solido legno scuro stavano allineate decine di corde e diversi barattoli di lucido, accompagnati da un grosso pennello con le setole impastate. Tutto il locale era permeato da un dolce odore di cera misto ad una traccia pungente di disinfettante.

Non udendo nuovamente il suono dei campanelli, il vecchio proprietario emerse dall'antiquato laboratorio in cui lavorava fino a tarda ora. Quando vide chi l'attendeva, la smorfia di stizza si stemperò in cupa consapevolezza.

- Infine sei venuto ad uccidermi? - chiese all'ombra che sostava immobile nell' ingresso.

La creatura, con infinita lentezza, si tolse il cappello e il lungo cappotto. Alla luce bassa del negozio si rivelò un corpo scarno, vestito solo di un paio di calzoni stracciati, con la pelle grigiastra e completamente glabra.

- No. - pronunciò alla fine con una cupa voce gutturale. - Sono venuto a concludere la storia.

Il vecchio si tolse i piccoli occhiali malridotti che portava sulla punta del naso, li chiuse e li posò sul bancone, accanto alla lampada antiquata. Poggiò i gomiti sullo scuro ripiano di legno e incrociò le braccia, assumendo inconsapevolmente una posizione abituale.

- C'era un giovane praghese, - iniziò la creatura – nato nel sobborgo di Karlín nel 1829. Era un periodo di grande prosperità per la città, palazzi e monumenti venivano costruiti apparentemente da un giorno all'altro, la cultura praghese fioriva e la popolazione cresceva. Un imponente sviluppo industriale prese vita sulle fondamenta delle numerose miniere di carbone e metallo della zona.

Il ragazzo di questa storia viveva con il padre minatore, la madre e i suoi tre fratelli maggiori. Il padre soleva dirgli che quando da grande avesse preso il suo posto avrebbe contribuito anche lui nel suo piccolo al miracoloso sviluppo della città.

Poco distante dalla sua casa c'era un negozio di liuti. Tutte le mattine, quando ci passava davanti per accompagnare il padre in miniera, il ragazzino si fermava estasiato per ammirare gli strumenti allineati con cura lungo le pareti. Il luccichio del legno lucidato di fresco, il modo in cui i primi raggi mattutini scivolavano lievi su di esso come un'onda fatta di luce, sembrava ai suoi occhi una magia, un miracolo. E in quella che doveva essere solo una mattinata fra tante ma che non sbiadì mai dalla sua memoria, udì una melodia provenire dal piccolo negozio di liuti.

Una bambina, che appariva poco più grande di lui, stava pizzicando lievemente le corde di un liuto leggermente più piccolo del desueto.

Il modo in cui un tenue raggio di sole accarezzava le sue gote e faceva scintillare i suoi grandi occhi color dell'oro, i lievi capelli biondi raccolti in due trecce che le circondavano il viso e le piccole mani che si muovevano consapevoli sulle corde dello strumento, traendone una musica incredibilmente lieve e felice, lo incantarono profondamente.

Da quel momento, come per magia, il ragazzino seppe di aver trovato l'amore della sua vita.

La bambina si chiamava Ljuba ed era la figlia del proprietario del negozio. Era nata e cresciuta a Praga, senza fratelli né sorelle. La madre era morta dandola alla luce, così il padre l'aveva allevata da solo. Aveva un talento incredibile per la musica, sembrava che dialogasse con il suo strumento invece di suonarlo, e lui le rispondeva come un amico devoto, vibrando, tintinnando, scandendo ogni nota al meglio per compiacerla. Suonava tutti i giorni, e tutti i giorni il ragazzino si fermava fuori dal negozio per ascoltarla. Piano piano si conobbero, lui andava spesso a trovarla per aiutarla quando realizzava nuovi liuti insieme al padre, e lei, di carattere riservato e impacciato, poco a poco si aprì a lui e alla vita. La bambina gli insegnò persino a prendersi cura di quegli strumenti così particolari, diceva sempre che le stavano simpatici con quel pancione rotondo e il manico così magrolino, proprio come un cigno grassottello che si da delle arie.

I due crebbero insieme e insieme si affacciarono all'età adulta. L'amicizia che li aveva uniti nell'infanzia mutò timidamente in amore. Parlando di matrimonio spesso le gote di lei si infiammavano e lui amava accarezzarle e baciarle ridendo teneramente del suo imbarazzo.

Nel 1848 un'ondata di moti rivoluzionari sconvolse l'Europa. Ideali pacifici, come l'uguaglianza sociale e l'identità nazionale, divennero i dogmi del movimento di ribellione. Si mossero a migliaia, guidati e allo stesso tempo accecati dalla luce che emanavano quelle semplici parole, come un faro nella notte.

Anche il giovane protagonista della nostra storia era uno di loro. Spinto da una sicurezza tutta estranea, come una pecora fra le sue simili, si convinse sempre di più della necessità di militare fianco a fianco dei suoi coetanei per portare quella “rivoluzione borghese” che tanto avrebbe migliorato la loro vita.

Fu uno sciocco illuso.

I moti rivoluzionari furono repressi prontamente. I soldati boemi, ancora fedeli all'imperatore, marciarono su Praga e fecero strage dei giovani riunitisi nelle piazze e nelle strade. Quando riecheggiarono i primi spari scoppiò un pandemonio infernale. Preda dello spavento la folla fuggì disordinatamente cercando scampo, calpestando gli sfortunati che non fecero in tempo a salvarsi.

Il giovane era sgomento, confuso, non capiva ciò che gli stava capitando, aveva solo sue pensieri in testa: la fuga e Ljuba. L'idea di non riuscire a rivederla, a chiederle perdono per essere stato tanto ingenuo, lo faceva impazzire.

Andò a finire in un vecchio edificio abbandonato. L'aveva intravisto mentre correva lungo una strada lastricata e aveva deciso di cercarvi rifugio. Si sarebbe nascosto là, in attesa che i soldati si ritirassero e poi sarebbe tornato a casa. Da Ljuba.

Varcò la soglia della casa e si nascose nell'ombra, con il cuore in gola. Un suo compagno lo seguì, forse l'aveva visto ed aveva escogitato il suo stesso stratagemma. Lo fissò con gli occhi spalancati per la paura, come un bambino davanti ad una belva con i denti snudati, dall'altra parte dell'uscio. Lui gli fece cenno di rimanere in silenzio, ed entrambi attesero immobili che i soldati passassero. -

La creatura si interruppe improvvisamente. Ad un tratto parve confusa, il suo viso scarno e cinereo assunse un'espressione disorientata.

- Non fu certo di come accadde... forse aveva toccato qualcosa, una trave di sostegno erosa dal tempo e dalle intemperie. Forse fu colpa dell'altro ragazzo, che magari si era appoggiato ad un punto fatiscente della parete. Quasi non se ne accorsero. In un istante l'intero piano superiore crollò loro addosso. Le travi marce avrebbero potuto impalarli ma fortunatamente si limitarono a bloccare l'entrata, annaffiandoli di polvere e schegge e nulla più. Fortunatamente o sfortunatamente? È mia opinione che la definizione dell'evento è una questione di punti di vista. Comunque sia i due giovani rimasero bloccati in quel vecchio edificio. -

La creatura tacque. L'unico suono udibile era lo sfrigolare delle vecchie lampade. Le immagini che il suo racconto aveva evocato nell'immaginazione del vecchio stinsero fino a spegnersi.

- E dopo? - chiese suo malgrado con impazienza - Cosa successe? Si salvarono? E il ragazzo rivide la sua fidanzata?

La creatura si prese un lungo momento prima di rispondere. Quando parlò i suoi occhi presero a rilucere come due inquietanti fuochi fatui, gli spiriti che guidano gli uomini sul sentiero della perdizione e della follia.

- Una volta mi hai chiesto da dove vengo. Io non ricordo molto, possiedo solo frammenti confusi di memoria, che roteano furiosamente nella mia testa come un grande vortice di terrore e dolore. Ricordo di essermi svegliato in un luogo buio, e l'odore della morte mi ha assalito le narici e la bocca nauseandomi. Mi sentivo bruciare dentro, come se le mie ossa e i miei muscoli fossero in fiamme. Mi sembrava che la mia carne fosse dilaniata da mille uncini roventi. Questo, vecchio, è l'effetto che fa essere risputati fuori dalla bocca dell'inferno. L'inferno stesso mi ha generato, mi ha preso com'ero e mi ha torturato, finché non è nata nel grembo del peccato la creatura che oggi vedi davanti ai tuoi occhi. -

Si batté con forza la mano sul petto scarno, lacerandosi la pelle con gli artigli ferini.

- Cosa hai fatto per finire all'Inferno? - gli chiese il vecchio appoggiando i palmi sul bancone.

La creatura lo guardò negli occhi. La luce soprannaturale in essi contenuta si spense, e per la prima volta il suo viso rivelò un uomo stanco.

- Io volevo solo tornare a casa. - confessò. - Avrei dato qualunque cosa per continuare a vivere. Così, sotto le macerie, in quel luogo dimenticato da Dio, quando il cuore del mio compagno smise di battere io glielo estrassi dal petto. Mi nutrii di lui per giorni, sperando che arrivasse qualcuno a tirarmi fuori da lì. Ma non arrivò nessuno. E, alla fine, anche il mio cuore tacque. -

Il vecchio lasciò andare il fiato che non si era reso conto di aver trattenuto.

- Sono venuto qui per cercare Ljuba. - disse la creatura con semplicità. - Ma sembra che io sia arrivato tardi.

- Sai... - esalò il vecchio. - Mia nonna spesso mi raccontava la storia di sua madre. Di come si fosse innamorata del mio bisnonno e di come ne fu abbandonata. Mi diceva che l'aveva cresciuta da sola, che l'amava moltissimo e che spesso suonava per lei. Mi descriveva quale musicista straordinaria fosse sua madre Ljuba.

- Già. - mormorò la creatura fra sé e sé. - Lo era davvero.

- Ma se tu sei venuto qui per cercare lei e non l'hai trovata...

- Perché sono tornato? - completò lui.

Il vecchio assentì senza dire una parola. La creatura inclinò la testa di lato.

- Perché sei un rabbino. Tu e i tuoi simili conoscete bene il tessuto soprannaturale di Praga. Quelli come te custodiscono il segreto del Golem, il gigante di argilla creato artificialmente seguendo la matrice divina della modellazione di Adamo dalla terra. E sai anche cosa sono io, non è vero?

Il vecchio assentì lentamente.

- La vostra specie ha molti nomi, alcuni arabi, altri indiani o africani. Noi vi chiamiamo Ghoul. I Ghoul viaggiano di notte attraverso i luoghi tormentati, come i cimiteri o i campi di battaglia, aggrediscono i viaggiatori, li uccidono e se ne nutrono. Si racconta che siano anime macchiatesi di tale peccato mentre erano in vita, rinate nei loro stessi corpi e destinate a ripetere, e quindi a ricordare, il loro peccato finché il loro corpo non si sia consumato del tutto. Possono vivere centinaia di anni nutrendosi in quel modo, pagando tale immoralità con l'oblio della loro passata condizione umana. -

Il vecchio tacque. Il suo interlocutore alzò lo sguardo su di lui. Ad un tratto i suoi occhi parvero quelli di un morto e nulla più.

- Tu vuoi che io ti liberi.

Un' affermazione, non una domanda. La creatura assentì una volta sola.

 

 

 

 

Il vecchio si riparò velocemente sotto il profilo scuro di un balcone, per sfuggire alle gocce di pioggia che, traditrici, gli pungevano il collo.

Rimase a guardare le fiamme che lambivano il suo negozio, tanto alte e fitte da sfidare noncuranti la pioggia battente, nel tentativo di lambire la volta celeste.

Il fuoco che purifica.

Oltre il vetro annerito di una finestra riuscì a scorgere, in mezzo alle lingue di fuoco, il profilo della creatura che lo osservava. In mano stringeva uno degli strumenti, uno stranamente piccolo e usurato. Gli sembrò che sorridesse mentre ne accarezzava il profilo panciuto e le corde sottili.

<< Sta pensando a lei. >> intuì il vecchio rabbino. Improvvisamente si sentì un intruso a stare lì a guardare il suo bisnonno in un momento di intimità con il ricordo della sua innamorata.

Calzò il vecchio cappello logoro e, a passi pesanti, si allontanò nella notte, sotto la pioggia che via via si faceva sempre più fitta.

  
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