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Autore: Ciulla    14/01/2016    7 recensioni
Continuo a ripetermi che dovrei studiare di più e scrivere di meno ma... Eccomi qua di nuovo!
Il piccolo Beerus scrive una lettera ai suoi genitori. (Il linguaggio infantile è voluto! Beerus ha 5 anni).
"Volevo dirvi di non preoccuparvi per me perché sto bene. L’uomo blu si prende cura di me e mi organizza la giornata e mi piace come la organizza, anche se a volte preferirei mi facesse dormire o mangiare un po’ di più."
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lord Bills, Whis
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Un maestro per sempre'
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Cara mamma, caro papà,

Scusate se mi faccio sentire solo ora che sono partito già da nove mesi, ma il Maestro mi ha insegnato a scrivere solo di recente e appena ho imparato gli ho chiesto carta da lettera e penna. Mi ha guardato con sguardo triste, ma mi ha accontentato subito. Il maestro mi accontenta sempre. Mi piace il Maestro, anche se non gliel’ho mai detto perché mi mette un po’ in soggezione.
L’avete conosciuto anche voi. Il Maestro è l’uomo blu che è venuto a prendermi. Quando lo chiamo uomo blu si arrabbia e mi dice di chiamarlo Whis o Maestro, per cui quando verrà a consegnarvi questa mia lettera non ditegli che l’ho chiamato così, per favore.
Volevo dirvi di non preoccuparvi per me perché sto bene. L’uomo blu si prende cura di me e mi organizza la giornata e mi piace come la organizza, anche se a volte preferirei mi facesse dormire o mangiare un po’ di più. Comunque è bravo. Quando mi sveglio la mattina mi prepara la colazione e poi facciamo un po’ di lezioni teoriche, in cui tipo mi insegna a leggere scrivere e contare. Ora so contare fino a trenta ma domani mi ha promesso che imparo a contare fino a cento! Poi il pomeriggio facciamo esercizi di combattimento, però per ora non sono molto bravo... Io gli tiro un sacco di pugni, lui li evita e io mi arrabbio e distruggo qualcosa. Dice che devo imparare a non distruggere le cose quando mi arrabbio però io non lo faccio mica apposta.
Non preoccupatevi del fatto che sono qui da solo senza amici. Anche a lezione quando ero lì a casa alla fine rimanevo sempre solo perché gli altri bambini stavano tutti in gruppetto e io rimanevo fuori... Quindi alla fine non è che cambia molto. Anzi, l’uomo blu è più simpatico della mia vecchia maestra quindi va tutto bene!
Una cosa che però non mi piace dell’uomo blu è che vuole che faccia il bagno tutti i giorni. Tutti i giorni! Dice che dopo i combattimenti puzzo e sono sporco di fango... Se non faccio come dice mi prende di peso e mi costringe con la forza... Però quando succede è più divertente perché entra in acqua con me e io posso fargli i dispetti ai capelli. L’altro giorno li ho bagnati tutti e stavano ancora in piedi! È incredibile! Gli ho detto che voglio avere i capelli come i suoi e lui mi ha risposto che non ho i capelli! È stato cattivo! Una notte glieli taglio tutti così impara.
Ogni tanto il Maestro mi concede un giorno di riposo in cui posso fare quello che voglio e fra qualche settimana mi ha promesso che mi porta al Luna Park Intergalattico! Sono felicissimo e sono sicuro che ci divertiremo un sacco!
Ho scoperto che ho un fratello gemello che è stato portato via appena nato dalla donna blu, la sorella del Maestro. Mi sono chiesto perché non me l’avete mai detto però in fondo non importa perché tanto è antipatico.
Il Maestro ha detto che se volete scrivermi anche voi basta che lo chiamate e lui riceverà il vostro messaggio e verrà a prendere la lettera. Io l’ho preso in giro e gli ho detto che è come un postino e lui mi ha detto di stare zitto e mi ha buttato nella vasca da bagno, però l’ho visto che rideva. Il Maestro ride molto spesso, sapete? Quando è da solo e lo guardo è sempre pensieroso invece quando è con me è sempre felice e ride. Mi piace quando ride perché fa ridere anche me e mi sento contentissimo, più di quando ero a casa. Questo non significa che io non vi voglia bene, anzi ve ne voglio tantissimo e mi mancate un sacco. Spero di mancarvi un po’ anche io!
Spero che mi scriviate presto... Basta poco, una frase, so che siete molto impegnati e non vi chiedo troppo tempo, giusto un po’ per farmi sapere se mi pensate ogni tanto. Io spero di sì.
Faccio ancora un po’ fatica a scrivere e infatti ci sto impiegando un sacco di tempo! Praticamente più di metà del mio giorno di riposo ma mi va bene lo stesso perché voi siete importanti per me e come mi dice il Maestro fare dei sacrifici per le persone importanti è una cosa bella. Lui fa tanti sacrifici per me e dice che io non gli do un attimo di tregua, però io lo so che in realtà mi vuole bene. Anche perchè l’ho sentito parlare con sua sorella una volta e le ha detto che era tanto tempo che non era così felice e che era merito mio. Sono tanto contento di fare felice l’uomo blu anche se gli faccio tanti dispetti.
Ora è tardi. Devo lavarmi i denti e andare a nanna. 
Vi voglio tanto bene mamma e papà,
Beerus


Alzandosi in piedi e massaggiandosi la mano indolenzita per il troppo scrivere, Beerus piegò la lettera e la infilò in una busta bianca, su cui lasciò un’impronta d’inchiostro come firma. Contento per il suo lavoro e ansioso di far avere quelle parole ai suoi genitori corse fino al giardino, dove trovò l’uomo blu sdraiato nella penombra della sera, intento a fissare il cielo e rigirarsi un fiore rosso tra le mani. Zampettandogli vicino con curiosità il gatto si sedette al suo fianco con un sorriso luminoso. “Che fai, Maestro?” Chiese.
Whis piegò leggermente la testa verso di lui e gli sorrise. “Ehi piccolo. Stavo solo... Contemplando. Come è andata la scrittura?”
Il gatto agitò trionfante la mano in cui stringeva la lettera. “Benissimo! Sono stato bravo!”
Con una risata, Whis prese la sua lettera e la mise in tasca. “Questo non spetta a te giudicarlo, giusto? Vuoi che la consegni subito?”
Beerus era in procinto di rispondere di sì, poi cambiò improssivamente idea. “Ti va di stare un pochino qui con me?” Gli chiese invece.
Il Maestro sorrise. Da alcune settimane il gatto ricercava la sua compagnia con più frequenza, gli faceva meno dispetti, gli chiedeva spesso di poter stare seduto, anche in silenzio, accanto a lui. Whis non poteva che esserne felice; Beerus stava imparando a rispettarlo ed apprezzarlo e pian piano la loro buffa accoppiata stava ingranando la marcia giusta per poter lavorare serenamente e vivere in armonia. Quel piccolo gattino era diventato tutto il suo mondo, prendersi cura di lui era il suo compito più faticoso ma più amato, ed ora che l’affetto che Whis provava stava cominciando a venire seriamente compreso e ricambiato l’alieno cominciava a sentirsi felice come non lo era da millenni.
“Certo che mi va”, gli rispose dolcemente. Beerus gli si avvicinò e scrutò piano il fiore che giaceva tra le sue dita. “Cos’è quello?” Chiese.
“È un fiore”, rispose lui. “Un fiore di nome Beerus”.
Il gattino, sentendo il proprio nome, sgranò gli occhi. “Come me!” Esclamò felice. “Perché l’hai chiamato così?”
”Non l’ho chiamato io così, cucciolo. Questo fiore viene dal mio pianeta e si apre solo nelle notti di inverno; per questo viene chiamato Beerus, che dalle mie parti significa “Il Notturno”. Quello che sul tuo pianeta è un nome proprio, sul mio è il nome di un fiore”.
Beerus lo ascoltò a bocca aperta, poi allungò una mano verso il fiore. “Posso?” Chiese.
Il Maestro lo adagiò piano sulla sua manina e gli sorrise. “Non avere paura di rovinarlo. L’ho bloccato nel tempo, in modo tale che non possa appassire né sciuparsi”.
“Posso tenerlo?” Chiese il micio a bruciapelo. I suoi occhi brillavano ipnotizzati dalla bellezza di quel fiore, un fiore incantato che ora sarebbe vissuto per sempre, proprio come lui. Non aveva solo il suo stesso nome, ma anche il suo stesso destino. Più ci pensava, più desiderava correre in camera sua e metterlo in un cassetto, per conservarlo in eterno.
La risposta affermativa del Maestro lo fece gioire. “Certo, piccolo. Corri a metterlo via”.
Obbedendo, il gatto si precipitò nella sua stanza e con un’attenzione quasi maniacale appoggiò il fiore su un ripiano ben visibile da ogni angolazione. Affacciandosi alla finestra per ringraziare Whis vide il Maestro che, stringendo in mano la sua lettera, picchiava il bastone per terra e partiva in volo.
Beerus si sentì improvvisamente solo.


Whis pensava intenerito al suo piccolo gatto mentre attraversava rapidamente la volta celeste diretto al pianeta di Beerus. Era dovuto partire senza dirglielo per far sì che il bambino non gli chiedesse di accompagnarlo; era certo che la visita non sarebbe stata particolarmente gradita e non voleva che Beerus soffrisse.
Effettivamente, quando Whis entrò nella loro casa sfondando il tetto, i genitori del piccolo erano tutt’altro che felici. Gli chiesero in maniera sbrigativa cosa ci facesse lì e reagirono con sollievo quando seppero che il figlio non era con lui. Accettarono la sua lettera, ma senza nemmeno aprirla cercarono di congedare in fretta l’alieno azzurro.
Whis però si trattenne. “È vostro figlio” disse cercando di smuovere i loro cuori ormai freddi. “per qualche strano motivo, nonostante come lo avete trattato, vi vuole bene. Chiede solo una vostra risposta”.
“Ascolti”, gli disse il padre, la coda ritta per l’irritazione. “Siamo contenti che anche lui abbia trovato qualcuno che riesca a prendersi cura di lui, ma noi non ne eravamo in grado. Ci ha dato più problemi che altro, ancora adesso la gente del villaggio non si avvicina a noi perché, visto il destino dei nostri figli, ci considerano maledetti. Ci creda, non siamo cattivi... Ma amarlo era impossibile”.
“Potreste anche solo scrivergli una lettera”, tentò ancora Whis. “Quando l’avete finita verrò io a ritirarla, Beerus sarà felice e voi non avrete problemi...”
“Non avremo problemi?” Chiese ironicamente la madre. “Ma se è già la seconda volta che ci sfonda il tetto!”
“Un figlio dovrebbe valere ben più di un paio di tetti, signora”. 
I tentativi di Whis di strappare loro anche solo una frase per Beerus furono tutti vani; i loro cuori si erano inariditi così tanto che nulla sarebbe stato capace di restituirgli un po’ di umanità. I loro occhi erano vuoti, spenti, selvaggi, così dissimili da quelli di esseri pensanti e capaci di amare, così uguali a quelli di due animali solitari che ricercano esclusivamente ciò che fa loro comodo, che badano esclusivamente alla loro sopravvivenza. 
Whis se ne andò disgustato, premurandosi di sfondare una parete.



Beerus lo aspettava seduto sull’erba, con indosso il suo pigiamino preferito e con la bocca che profumava di dentifricio. “Maestro! Sei tornato! Mi metti a letto?”
Whis scoppiò a ridere. Il piccolo era molto maturo in certe cose, riusciva a seguire attentamente alcuni suoi ragionamenti difficili e a rispondere con intelligenza e raziocinio, mentre in altri ambiti era molto ingenuo e infantile, in un modo che il maestro trovava semplicemente dolcissimo. 
“Ormai sei un gattino grande, Beerus! Dovresti andare a letto da solo!” Gli disse prendendolo in braccio. Non riusciva a capire come un cucciolo tanto amorevole potesse provenire da una famiglia così menefreghista e insensibile.
“Cos’hanno detto i miei genitori, Whis?”
La domanda tanto temuta era arrivata. Senza guardarlo negli occhi, Whis ingoiò il disgusto che provava nei loro confronti e, stringendo forte il piccolo, gli mentì. “Erano felici di sapere che hai scritto, tesoro. Han detto che gli manchi molto”.
Mezzo addormentato, con gli occhi già chiusi, il piccolo sorrise.
   
 
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