Ben decisa a
portare a termine la mia opera di trituramento-palline, rieccomi
qui con una nuova serie di vaneggiamenti sui due G&G. Starebbe per Golden Gay, ma scritto così fa tanto D&G
e il paragone calza a pennello xD
Allora, io sono masochista, è
risaputo.
Quindi, ho
pensato di inaugurare una specie di raccolta di brevi racconti, denominati
“Stage” perché in inglese fa più fico.
Tali “Stage” si prefiggono il
prevedibile obiettivo di raccontare alcuni passaggi della loro storia d’ammmore (la tripla “m” è d’obbligo), ed ognuno sarà
composto da un numero variabile di drabble
(anche se il mio intento sarebbe quello di non superare mai le tredici),
ciascuna rigorosamente da 100 parole l’una.
Pena il taglio delle dita della
sottoscritta.
Il genere di questi raccontini
potrebbe spaziare dalla commediola demenziale
all’introspettivo con la stessa facilità con cui io sto perdendo diottrie
davanti allo schermo di un pc. Sul serio, è già la
seconda volta che cambio gradazione alle lenti nel giro di un anno. Mi sa che morirò
cecata (e con la tendinite
cronica alla mano destra, di cui abuso senza pietà per disegnare ad oltranza xD)
A proposito, è inutile dire che le fanart su questo pairing si
sprecheranno, nei prossimi giorni. Siccome ho più idee che tempo (anche se non
si direbbe vista la frequenza dei miei aggiornamenti, LOL), forse ci vorrà un
po’, ma giuro che presto o tardi le pubblicherò (intanto ecco qualche disegnuzzo tratto da “Rock, Paper, Scissors”,
lo metto anche qui per
sopperire alla mancanza momentanea di altri relativi a questi racconti).
Dimenticavo, il titolo della
raccolta è provvisorio, per il momento non lo posso ritenere definitivo
ma è un buon candidato. Vedremo quando avrò finito di scrivere gli altri
capitoli.
Ultimissima cosa. Se non capite di
che cipparola stia parlando in questo agglutinato di drabble, QUI e QUI ci
sono le mie altre shot, che potrebbero chiarire le
idee sulla visione distorta che ho in merito allo shippaggio di
questo pairing canon.
Un bacio in fronte a tutti quelli che continuano a seguirmi e a commentare, ed un grazie di cuore a chi avrà la
pazienza di leggere quest’ennesima bakaboiata xD
Bene, detto questo diamo il via alle danze!
~Stage 1
“Living Contradiction” featuring Sanae Nakazawa
-Rispondimi sinceramente: mi hai
mai tradito?
Gli era andata di traverso l’acqua
che stava bevendo, a pranzo con lei.
I primi colpi di tosse furono la
reazione naturale del suo corpo per evitare il soffocamento, i successivi
cinque o sei furono invece un suo espediente per temporeggiare un altro po’.
L’aveva preso in contropiede.
Eccheccacchio, aveva bisogno di concentrarsi un
minimo prima di riuscire a dare risposte del genere senza perdere di credibilità, lui.
Sanae aveva osservato quella finta
agonia con un sopracciglio alzato ed un’aria vagamente insofferente, intuendo la
sceneggiata.
Adesso era proprio curiosa di
sentire la sua risposta.
Non era un attore consumato come Tarō, ma finora gli era sempre andata bene.
Forse perché il suo amante non era
una donna.
E quindi nessuna
traccia di rossetto sui colletti da dover occultare, nessun capello lungo sulla
giacca da far sparire, nessuna reminiscenza sulla pelle di qualche profumo
femminile da cancellare.
E per di più, era il suo
insospettabile amico d’infanzia.
E quindi nessun alibi da dover
montare. Nessuno aveva mai niente da ridire quando era
con lui.
Era tutto molto più semplice.
Ma sì, doveva riacquistare la calma.
Sospirò.
-Certo che no, ma come ti viene in
mente?
Attimi di suspense.
Aspettando che lei replicasse,
svelando il motivo di quella domanda scottante.
Scansionò rapidamente il cervello, facendo
mente locale.
Possibile che avesse compiuto
qualche passo falso?
-Ieri, quando sono venuta a casa
tua, ricordi che sei dovuto andare in bagno?
Tsubasa annuì, non capendo dove volesse andare a parare. Sì, c’era andato dopo che avevano
fatto l’amore, per darsi una rinfrescata. E allora?
-Ricordi anche che non indossavi i
pantaloni in quel momento?
Altro cenno di assenso
perplesso.
-E cosa tieni nei pantaloni di
solito?
Improvvisamente, realizzò.
Oh, cazzo.
Ma certo.
Il fottuto
cellulare.
Iniziò a sudare freddo.
-Si era messo a suonare, e l’ho
tirato fuori dalla tasca per rispondere. Però era un messaggio.
Sbiancò.
La pressione gli calò di schianto
e deglutì rumorosamente.
Adesso capiva perché il giorno
precedente gli avesse piantato su un mezzo muso, e senza dare troppe
spiegazioni avesse voluto tornarsene a casa prima.
Resistette all’impulso di estrarre
il cellulare e controllare la posta, fremente di sapere che cazzarola
avesse visto.
Perché lui, quel messaggio, mica l’aveva
letto.
Essendo stato già aperto da lei,
non gli era figurato nell’elenco di quelli appena ricevuti, e doveva essere
finito direttamente nella cartella di quelli vecchi.
-Bè, e cos’aveva questo messaggio di
tanto strano?- Esclamò, cercando di essere disinvolto
e abbozzando un sorrisetto tirato.
Infima recitazione.
E a proposito di
attori, non vedeva l’ora di staccargli la testa dal collo con le sue
stesse mani, non appena l’avesse avuto a portata di tiro.
Evidentemente parlava arabo.
Quante volte gli aveva detto di
NON scrivergli roba compromettente.
-Assolutamente nulla. Era di tua
madre.
Per poco non gli cadde la mascella
e strabuzzò gli occhi, guardandola come se si fosse improvvisamente
rincretinita.
A che pro inscenare la Sacra
Inquisizione? Per chiedergli delucidazioni su un messaggino
di sua madre?
-Non ho mai detto che fosse quello
il problema.
Occhiata gelida.
Pausa.
-Allora cosa…?-
Incalzò lui spazientito, incrociando le braccia.
Prima si era quasi preso un
infarto secco per un’emerita scemenza.
Cominciava ad averne abbastanza.
Poi, la rivelazione.
Che lo colpì tra capo e collo.
E non solo in senso metaforico.
Nel pronunciare il funesto
proclama, Sanae lo omaggiò
di uno sganassone sulla nuca, accompagnato da un affettuoso appellativo.
-Quello a cui mi riferisco si
trova nella cartella dei messaggi inviati, scimunito.
Tsubasa per poco non cadde dalla sedia, e
non per la sua sberla.
Per la seconda volta, realizzò.
Porca puttana.
Si era dimenticato di cancellarlo.
Aveva da poco cambiato modello di
cellulare e non aveva ancora imparato come si abilitava la rimozione automatica
dei messaggi spediti.
Ignorò l’impulso
di alzarsi per andare a sbattere la testa contro il muro finchè
non avesse
perso conoscenza.
-Spiegami perché dovresti scrivere
delle cose del genere a Misaki.
-Di cosa parli?-
Tentò lui, facendo lo gnorri.
Pessima performance, lo sapeva.
Perché si ricordava a menadito cosa gli
aveva scritto, e non c’era certo andato leggero.
Qualcosa tipo “Mi manchi. Ho bisogno di scoparti fino al
giorno del giudizio.”
Che continuava ancora peggio.
“Ma
purtroppo non riuscirò a liberarmi di lei ancora per un po’. Che
palle.”
Con quella frase aveva firmato la
sua condanna a morte.
Se la prima avrebbe anche potuto
farla passare per una sorta di fraseggio goliardico fra compagni di squadra,
sulla seconda c’era ben poco da disquisire.
Unica nota positiva:
almeno non aveva fatto il suo nome.
Doveva essere quella l’unica
ragione per cui era ancora in vita, magari inventandosi qualcosa di verosimile
l’avrebbe fatta franca.
La scusa del cameratismo però era
scontata, lei avrebbe dovuto pensarci subito.
Non l’aveva fatto.
Altrimenti l’avrebbe buttata sul
ridere fin dall’inizio.
-Sto parlando di
un messaggio che definire ambiguo mi pare un eufemismo.
Idiota. Un idiota fatto e finito.
Era lui l’unico che doveva
ringraziare, se adesso si trovava in quella situazione.
Si era fregato con le sue stesse
mani.
Quella pulce nell’orecchio non ci
voleva.
Forse, dopo tanti anni, aveva
fatto due più due.
E aveva capito tutto.
Preso alla sprovvista, il suo
cervello negava di collaborare, e fece un disperato tentativo per guadagnare
tempo.
-E come mai sei andata a
controllare quella cartella?
Fuori luogo.
Era inutile fare i sostenuti, con
quella chilometrica coda di paglia che si ritrovava.
Se continuava a tirarsi la zappa
sui piedi in quel modo, Sanae presto o tardi lo
avrebbe spellato e messo sotto sale, come lasciavano presagire le occhiate
omicide che gli stava lanciando e la vena sulla sua
fronte, che pulsava a tal punto da dargli l’impressione di stare per esplodere.
-Ci sono capitata per caso, mentre
smanettavo per cercare di non cancellare inavvertitamente il messaggio di tua
madre. Non è stato nulla di premeditato.
Dunque era andata così.
Sì, era plausibile.
E comunque,
era stupito dal fatto che non l’avesse ancora sbranato, si era trattenuta anche
fin troppo a lungo.
Difatti, conoscendo il suo temperamento
battagliero, si sarebbe aspettato di cadere vittima di una spietata vendetta
molto prima.
Invece, calò una pesante cortina
di gelo carica di tensione.
Avrebbe
preferito di gran lunga una delle sue sfuriate al
posto di quel silenzio opprimente ma, dopo alcuni tragici e lunghissimi istanti
in cui Tsubasa meditò il suicidio, Sanae allungò una mano verso di lui, esclamando in tono
perentorio:
-Dammi quel cellulare.
Con la fronte imperlata di sudore,
eseguì l’ordine che gli aveva imperiosamente impartito.
D’altra parte, non era certo nella
posizione giusta per mettersi a sindacare, farneticando di privacy et similia.
La guardò atterrito
mentre trafficava col suo telefonino, con un’espressione che non
prometteva nulla di buono.
Che avesse in mente di fare non avrebbe saputo dirlo.
Si spremette le meningi alla
ricerca di una risposta che non trovò, perché ormai aveva tabula rasa nella testa e perfino i suoi due neuroni preferiti
sembravano averlo abbandonato.
Però, quando la vide accostare
l’oggetto della discordia all’orecchio, un orrendo sospetto si fece largo nella
sua mente. C’era arrivato, alla buon’ora.
Oddio, voleva chiamarlo.
Fu pervaso da un panico
totalizzante.
-Misaki? Sei tu?- Il
suo tono di voce aveva un che di sollevato.
Sollevato?
Conversarono per un po’ di
scempiaggini varie.
Quando riattaccò, gli prese le mani fra
le sue chiedendogli di perdonarla per aver dubitato di lui.
Dopo aver rischiato due o tre
colpi apoplettici nel giro di appena cinque minuti, Tsubasa
non credeva alle proprie orecchie.
Era semplicemente attonito.
Poi lei, finalmente, spiegò.
-Credevo che avessi sostituito il
nome della tua amante con quello di Misaki per non
farti sgamare.
Era ufficiale,
si era bevuta
la palla del cameratismo.
Lui gridò silenziosamente al
miracolo.
E ringraziò che la psiche
femminile per certi versi fosse così contorta ma, per
altri, assai poco lungimirante.
~Stage 1 - END~
…e vissero
tutti cornuti e contenti (oddio, tutti…solo la povera Sanae
che, per inciso, è la “contraddizione vivente” a cui si riferisce il titolo.
Come molte donne, ed io mi ci metto in mezzo, è capace
di tirarsi delle seghe mentali facendosi trip allucinogeni che a confronto Dante Alighieri è un novellino,
ma non vede ciò che ha lampante giusto sotto il naso xD)
E via, la prima stage-bakata
da tredici drabbline da cento parole cento è andata xD
Mi piace comporne
di tassative, è come se auto-imponessi dei paletti alla mia follia
grafomane. Penso sia un buon espediente per arginare i fiumi di parole di chi,
come me, ha la tendenza ad essere prolissa.
Bè, l’ho pur detto che sono
masochista xD
Orsù, non siate timidi! Fatemi sapere che ne pensate, e se
sia il caso che mi dia o meno all’ippica xD