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Autore: Caterpillarkable    15/01/2016    0 recensioni
[Apocalypse GDR]
[Apocalypse GDR]Oneshot tutte dedicate ai personaggi mossi in tutti i giochi di ruolo di cui faccio parte, ogni capitolo racconterà un momento del passato o del presente del personaggio non descritto o narrato nelle vicende del gioco, pertanto risulteranno racconti unici.
Spero di riuscire a raccontare qualcosa di loro, nonostante non li conosciate.
Buona lettura!
Genere: Angst, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Missing Moments, OOC, Otherverse | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
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È troppo doloroso. 
Le scarlatte iridi di Mnemosyne fissavano il muro di quella gabbia di lavica pietra, con una tale intensità che esse avrebbero potuto forare la parete, ma non guardavano il vuoto. Davanti alle sue nere e dilatate pupille, era in corso un filmato di ricordi, che si susseguivano uno dietro l'altro, come a rincorrersi per acchiapparsi, per poi ricominciare, in un continuo ciclo dolorosamente lancinante. La donna, silenziosamente, nascose quel suo muto spettacolo, come se qualcuno avesse potuto portarle via anche quello, forse l’unica cosa che le era rimasta, oltre alla poca sanità mentale che la rendeva realmente lucida poche volte, durante l’arco di quelle che lei reputava giornate. Lì dentro, aveva perso il conto delle ore che passavano, anche se cercava di contarle e mantenere questa sua abitudine corretta, dormendo, o almeno era quello che lei s’augurava, durante le ore notturne.  
« No. NO. Non ancora! » 
Le sue urla lacerarono il greve e pesante silenzio perenne di quei sudici e puzzolenti posti, dove ella era stata lasciata marcire senza alcuna minima possibilità di fuga, o qualcosa che potesse essere anche solo considerato vagamente utilizzato o microscopicamente utile  per scappare da quelle quattro mura o anche solo per progettare un piano d’evasione. Le affusolate dita bagnate, dalla sua stessa urina, raccolta in olezzanti pozzanghere sul pavimento, e sporche di entrambe le mani penetrarono nei deboli e scompigliati  capelli della donna, d'un rosso un tempo acceso, ma che in quel momento era scolorito, come un vecchio giocattolo lasciato troppo tempo al sole, i quali parevano più un nido d’uccelli od un teatro di un clandestino scontro tra galli. Ella era una bambola rotta, che non vedeva raggi di sole da anni, secoli percepiti da lei, ma solo tetra oscurità. Denso e corposo buio, del quale la donna non provava timore o paura, in nessuna delle sue forme. Ci si immergeva dentro, sentendo la dolce carezza di una coperta calda sulla propria epidermide lezza ed irritata, creando orrende macchie rossastre, talvolta accompagnate da penose bolle dovute al continuo grattarsi della donna, od al semplice sudiciume della sua prigione.  
I suoi capelli erano talmente deboli che le rimasero tra le dita, quando queste lasciarono lo scalpo, graffiato dalle sue unghie rotte e talmente lunghe da essere come artigli di un grande felino selvaggio. Ecco cosa sembrava Mnemosyne i primi tempi della sua prigionia: una tigre in gabbia, ringhiante e famelica, che avrebbe artigliato ed ucciso anche un innocente, pur di avere sangue scorrerle sulle falangi e sotto quelle grinfie. 
Poi arrivarono loro. Una alla volta, ogni nove mesi. 
E come arrivarono, gliele portarono via. 
Nove Muse, nove figlie, nove volte lo stesso dolore, ora diventato insopportabile anche per la Titanide. 
E dopo di esse, solo torture e sadiche attenzione, che tutto di nuovo facevano ripartire, come un malato gioco del gatto con il proprio topolino, destinato a morire sotto i colpi del suo cacciatore, una volta che la preda avesse perso la sua bella attrattiva. 
La madre non ebbe nemmeno il tempo di vedere ed accarezzare le proprie creaturine, cresciute nel suo stanco ventre per tutti quei mesi.  Odiate per tutto quell’interminabile tempo, per poi trovare tanti colpi di fulmini quanti la progenie, appena anche solo la più millimetrica parte delle sue dita, del suo corpo toccava quell'epidermide ancora sporca di sangue e placenta, appena quando i loro primi vagiti accarezzarono e lenirono, quasi, i timpani della donna, irritati dalle proprie grida di dolore durante il travaglio ed il parto. Le doglie sembravano qualcosa di insormontabile, paragonabile ad un dieci pieno, quando i dottori, al pronto soccorso, chiedevano di dare un numero al dolore. E Mnemosyne ne aveva passate tante, di ferite e torture, comprese le violente attenzioni di un Dio mai sazio. 
Eppure i rapimenti delle sue figlie erano pene assai maggiori di quelli del parto. Un dolore non solo fisico, il seno le doleva per averle tolto le poppate, il corpo lasciato sporco ed esanime in quel lugubre posto, ma anche e soprattutto interiore. Se la donna avesse mai avuto un cuore, che esso di ghiaccio o pietra fosse fatto, in quel momento era distrutto e sanguinante, senza possibilità di guarigione. Il danno era fatto e niente avrebbe potuto porre  una soluzione.  
« Ridatemi le mie figlie, luridi e schifosi vermi stronzi! » 
Non aveva le forze per alzarsi, ma la voce per urlare e protestare sì. Menava insulti da giorni, oramai, ma nessuno pareva ascoltarla, o volerla anche solo sentire, ignorandola completamente, abbandonata a sé stessa in quel luogo di desolazione. Sarebbe anche potuta morire per propria mano, a loro avrebbe solo fatto piacere.  
Mi hanno portato via le mie figlie. Non morirò senza prima essermele riprese. 
Non sarebbe arrivata a pensare che le Muse fossero la cosa migliore che avesse mai fatto, come avrebbero potuto esserlo, nate dalle dolorose attenzione di un dio che solo vendetta bramava? Che solo violenza aveva fatto conoscere al corpo della titanica amante? Erano il frutto di innumerevoli stupri ed abusi di una oramai sudicia prigioniera da parte di un carceriere che non voleva ammettere alcuna gentilezza. Come se lei non meritasse nulla, se non ciò che aveva ricevuto da quelle mani. 
Inveiva, Mnemosyne, a gran fiato, contro quella feccia che ancora teneva incollate le proprie divine chiappe su troni che non appartenevano loro né per diritto né per dovere. Nessun pregio o favore avevano loro ricevuto, tale da essere considerato un’abdicazione del titanico e possente regno di Kronos e dei suoi fratelli e sorelle. I figli, come per lui anche per la donna imprigionata, non erano contemplati in futuri piani di gloria. 
Eppure questi si presero tutto ciò che volevano, anche quello che loro non sarebbe mai spettato. 
«Mi avete sentita? Vi ucciderò tutti per quello che mi avete fatto, per averle portate lontano da me. » 
Non era solo aria fritta, quella a cui la Personificazione della Memoria stava dando vita, ma erano minacce, e nel contempo terrificanti promesse, di una donna disperata pronta a tutto e di una madre che si era vista togliere i cuccioli. Se, prima di allora, la maestosa tigre sembrava esser stata domata e retrocessa a grado di innocua gattina, ora ruggiva più forte che mai, pronta a scarnificare e lacerare la gola, e non solo, di chiunque si fosse malauguratamente avventurato in quei cupi posti e si fosse trovato accidentalmente nel raggio di azione della ferita ed offesa Titanide. 
Ella non avrebbe mai scordato. Non voleva trascurare ciò che le avevano fatto passare. Non poteva farlo. 
Mnemosyne era la Memoria, e, dopo aver lentamente consumato la sua fredda e agrodolce vendetta, nessuno mai si sarebbe più dimenticato di ella e della sua furia. 

  
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