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Autore: Allie_Mayniac    15/01/2016    1 recensioni
[Urban Strangers.]
"Il dolore la prima volta non è arrivato subito, ma è arrivato assieme alla consapevolezza di ciò che è successo dopo ore e ore di apatia e movimenti meccanici dettati dalla paura di pensare a ciò che comportavano gli eventi di quel giorno.
Colui che era diventato ormai un, il compagno di vita ha deciso che non avremmo mai più avuto niente in comune e ciò ha portato in un primo momento solo tanta rabbia, una rabbia animalesca."
Una serie di giornate difficili per Gennaro in cui i flashback lo tengono in vita e lo annientano contemporaneamente.
Potrebbe presentarsi un alto tasso di Gennex.
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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"Now I need someone to breath me back to life."



 

16 Aprile 2014 17:07 
 

-Gennaro alzati. Devi reagire.-

Tiro ancora più sulla testa uno dei tre plaid, come se non fossi già completamente coperto.

-Gennaro Raia! Ti do tre secondi per uscire da questo ammasso di stracci puzzolenti che chiami letto.-

Biascico con voce roca un –cinque minuti...-

-Cinque minuti un cazzo, ti ho già dato tre giorni in cui sei uscito dal letto tipo due volte e solo per andare in bagno, almeno fatti una doccia e mangia qualcosa sennò diventi trasparente.-

In un'altra situazione avrei risposto con un "sei solo gelosa perché sono più in linea di te" ma il solo sforzo di aver detto due parole poco prima mi ha totalmente prosciugato la gola quindi mi limito ad aspettare in silenzio che Maria se ne vada per poter riprendere il mio letargo.

Proprio quando mi convinco che se ne sia andata sento un'improvvisa ondata di freddo e la luce del sole mi investe violentemente anche attraverso le palpebre chiuse. Sento gli occhi bruciare troppo così perdo l'occasione di riprendermi la coperta preferendo coprire il volto con entrambe le braccia.

Maledetti occhi azzurri, sempre troppo delicati.

-Sei l'unico uomo al mondo che usa un pigiama, io non so come tu faccia a definirti normale. Ora alza il culo e non costringermi a usare l'arma del solletico che stai puzzando e mi fa schifo toccarti.-

"Tu starai puzzando, stronza".

Per la seconda volta stamattina (è mattina??) rinuncio a parlare per evitare di peggiorare la situazione a livello di corde vocali. E pur di zittire quella rottura di palle della mia coinquilina forzata accumulo tutta l'energia che trovo, che per inciso è davvero poca non ostante i tre giorni passati a non fare il minimo movimento se non necessario, cerco un cambio pulito e scappo in bagno. "Scappo"...mi avvicino a un passo tale che anche un bradipo sotto effetto di Xanax potrebbe superarmi senza problemi. Ma non importa, non mi importa neanche dei milioni di dolori che sento spargersi per il corpo perché non sono neanche paragonabili a quello che mi porto nel petto da giorni.

Mi dispiacerebbe ammettere che Maria non si sbagliava, una doccia è stata rigenerante, ma in ogni caso non le dirò che aveva ragione. Mai nella vita.

A differenza dell'effetto di momentaneo sollievo donato dalla doccia, quando trovo finalmente la forza di provare a mangiare mi devo limitare a un pezzo di pane prima che la nausea abbia il sopravento sulle buone intenzioni che mi sono autoimposto. Okay... Quasi autoimposto, perché, nuovamente, se non fosse per l'infinita determinazione di quella psicopatica di mia sorella starei ancora aspettando di morire nel sonno controllando continuamente quel cellulare in attesa di un miracolo.

Ma non voglio un miracolo grande.

Me ne basta uno piccolino.

Un sms sarebbe fantastico per esempio.

Mi arrendo alla realtà e provo a fare una lista mentale delle cose che potrei fare per evadere un po' dalle mie prigioni mentali prima che torni l'oscurità.

Ovviamente fallisco e ritorno per l'ennesima volta a quell'ammasso di ricordi ancora così chiari e vivi.

Il dolore la prima volta non è arrivato subito, ma è arrivato assieme alla consapevolezza di ciò che è successo dopo ore e ore di apatia e movimenti meccanici dettati dalla paura di pensare a ciò che comportavano gli eventi di quel giorno.

Colui che era diventato ormai un, il compagno di vita ha deciso che non avremmo mai più avuto niente in comune e ciò ha portato in un primo momento solo tanta rabbia, una rabbia animalesca.

Ho urlato, l'ho insultato, ho solo puntato ad essere tagliente e fargli tutto il male che potevo.

E a ripensarci non so cosa sarebbe stato meglio fare.

Mi sembrava che tutto andasse per il meglio: i locali sempre più conosciuti che accettavano le nostre richieste di suonare qualche sera al mese per pochissimo denaro, la sincronizzazione naturale tra le nostre voci, i sempre meno comuni problemi, l'"effetto urban" che si tramutava in una sempre maggiore capacità di nascondere subito gli errori. Alessio non si era nemmeno incazzato quando lo avevo lasciato cantare in italiano da solo anzi, nelle ultime settimane era stato molto disponibile, forse anche più del solito.

Durante l'ultimo concerto invece successe qualcosa di inaspettato. Dopo l'ultimo brano in scaletta al posto che salutare e ringraziare il piccolo pubblico con me mi zittii, staccò il mio microfono e cogliendomi di sorpresa decise di cantare un pezzo da solo, senza nessun mio intervento. Non riuscii a reagire mentre mi staccava l'attrezzatura e prendeva quella Gibson, con cui aveva passato ore e ore della sua vita a migliorare le sue tecniche per me impeccabili, iniziando subito a cantare quelle parole così familiari di quella canzone che avevamo scritto assieme in una notte un po' strana diversi mesi prima.

Mimò quasi ogni frase con quegli occhi che avevano perso la solita venatura di dolcezza e lasciavano spazio solo alla determinazione, tradita però dal tremolio alla fine della prima frase.

Don't look at me again this way

I can't hold the breath

Don't hold me tight, a tear from my eyes

Una lacrima minacciava davvero di uscire ma nessuno oltre me l'aveva notata, non ostante il locale fosse pieno, nessuno oltre me poteva riconoscere la lucentezza di quello sguardo

You don't have to wait, your hand tremble on my face

Di nuovo un piccolo quasi impercettibile tremolio.

A part of me wants to love you the other one, wants to burn you alive.

Eppure "love" non sarebbe dovuto essere cantato con una nota così alta.

A distrarmi dalla confusione ancora presente dovuta a quell'iniziativa e alla scelta della canzone, fu il ricordo dei biscotti che avevo fatto per mesi fino a farli odiare ad Alessio perché lo costringevo ad assaggiarli per dirmi se stavo migliorando o facevano sempre cagare. Inutile sottolineare come lui dicesse sempre che erano buonissimi non ostante imperterrito non gli credessi, non erano davvero buoni era lui che era davvero gentile.

Continuò la canzone fino alla fine, ripetendo meno ritornelli del dovuto, decisione dovuta probabilmente al fatto che mancassi io a fare il canone.

-Grazie mille, siete stati gentilissimi, ora andate a prendervi un Sex on the beach che qui sono i migliori di tutta la Campania!-

Non parlammo dopo il concerto, non subito per lo meno. Quando gli chiesi perché aveva cantato da solo mi liquidò con una di quelle lente e tenere alzate di spalle che mi facevano sempre sorridere e intenerire così mi dimenticai di tutto per un po' nuotando nell'inibizione dovuta ai suoi gesti e a quel paio di birre che avevo bevuto durante la serata, a stomaco vuoto.

Solo la mattina dopo ( e con mattina intendo le 14.30) decisi di volere una risposta, così andai a casa sua senza neanche avvisarlo e quando arrivai ad aprirmi la porta fu il fratello.

-Eih Genn, Alessio non c'è, pensavo fosse da te a dire il vero, non lo so prova a cercarlo.-

Dopo aver ringraziato quel ragazzo che ormai vedevo puntualmente da un anno a quella parte decisi di fare mente locale, nella mia piuttosto disordinata mente, per poter fare una lista dei posti in cui avrei potuto il mio partner.

Partner.

Cercai al parco centrale, nel nostro solito bar, addirittura a casa di sua nonna ma, ovviamente, come avrei dovuto capire dall'inizio era proprio nel primo posto in cui ero andato: a casa sua, sul tetto.

Lo raggiungo e mi siedo al suo fianco prendendogli dalle dita la sigaretta e facendo un paio di tiri. Sigaretta in mano ad Alessio vuol dire solo una cosa: guai.

-Alè ti ho cercato ovunque, perché non sei sceso quando mi hai visto arrivare?-

-Scusami.-

-Non sono arrabbiato dai, sono solo curioso riguardo ieri sera, perché hai cantato Frame da solo?-

Il moro mi rivolge uno sguardo smarrito e mi ricorda una di quelle gazzelle inseguite dal leone nel documentario che ci siamo guardati una sera, fatti, alla tv.

-Genn dobbiamo devo parlare.-

-Lo stiamo facendo, dimmi.-

-Due mesi fa ho fatto un paio di test per l'università.-

Università? Alessio? Quell'Alessio che sta puntando al 60?

-E..?-

-Non ho ancora gli esiti e non son o neanche sicuro del motivo per cui li ho fatti, ma con frame volevo solo dirti addio.-

-No, aspetta. Nonono. Alé dimmi che scherzi e che non stai davvero rinunciando agli Urban, a Londra, al nostro sogno.-

-Non sono sicuro di voler vivere senza nessuna certezza. Così, senza un posto fisso, uno scopo visibile dal presente.-

-Nessuna certezza?-

-Ho paura Genn.-

E credi che io non ne abbia brutto stupido? Credi che io sia sempre sicuro di poter sopportare tutto? E' per questo che io ho te e tu hai me.

-Potremmo farcela noi due, non siamo per niente male assieme, siamo due amici, siamo una band. Non ti basta più tutto questo?-

Lo vedo sussultare e puntare lo sguardo insistentemente sulle sue mani e dentro di me sento la rabbia prendere il sopravvento.

-No, non mi basta. Ho bisogno di sicurezza, di certezze e tu... E tu e le tue paranoie di sicuro non siete una buona base su cui costruire il mio futuro, non abbiamo neanche i biglietti per Londra, nessuna casa, nessun lavoro. Nessuna certezza. Tu hai lasciato la scuola e rispetto la tua scelta ma sai che voglio diplomarmi e prendere il diploma senza andare all'università è inutile, non ho nessuna possibilità...-

-Credevo che gli Urban Strangers fossero la certezza, la sicurezza ma a questo punto è ovvio, non ti importa, non più. Probabilmente dovresti tornare da quella ragazza schifosa che ti ostini ad ascoltare come un cagnolino obbediente, dovresti seguire lei nella sua cazzo di città di merda per la sua cazzo di università che ti porterà a vivere infelice e senza arte a studiare qualcosa che non ti interessa per fare un lavoro che ti farà cagare. Spero tu sia felice nella tua vita da sfigato frustrato.-

Alessio mi guardava con un'espressione indecifrabile persino per me, la stessa che ogni tanto era spuntata negli ultimi tempi nei silenzi che partivano tra una canzone e l'altra che ascoltavamo i vecchi 50giri dal vecchio giradischi della cantina, quello che mi aveva regalato mio nonno anni prima.

Non mi rispose, non spiccicò parola per quei cinque secondi che mi sembrarono ore.

Senza più fiato e con la voce prossima allo sparire decisi di saltare subito giù nel balcone della camera che probabilmente non avrei rivisto presto e uscire da casa sua rapidamente senza salutare le persone al suo interno, incazzato e deluso come mai prima nella vita.




 

Spazio Autrice

Non scrivevo una fanfiction da secoli e spero vivamente che non faccia troppo cagare.

Allora, è una sorta di What if? in cui gli Urban si separano. Per sempre? Per poco? Per molto? Non si sa. Davvero, non lo so ancora nemmeno io.

Ho preferito evitare di usare i nomi veri delle sorelle di Gennaro perché comunque non so se gli farebbe piacere o meno.

Genn ha solo una sorella: Maria e, Alex un solo fratello, cui nome non credo sarà rilevante (Nando tvb).

La frase a inizio capitolo è Stitches di Shawn Mendes mentre il titolo del capitolo e la canzone "Frame" cantata da Alex è ovviamene Empty bed degli Urban Strangers.

Se avete dubbi o semplicemente  voglia di parlare su twitter sono @skillzasdonuts.

* abbraccione grande grande *

Alex

  
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