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Autore: MisakiChibi_tan    16/01/2016    1 recensioni
Ci siamo conosciute il 20 luglio del 1962.
Fu un attimo.
Quello è l’esatto momento in cui mi sono follemente, irrimediabilmente innamorata di lei.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia la scrissi l'anno scorso per partecipare ad un concorso letterario del mio paese che aveva come tema la diversità. Non doveva contenere più di 4.000 bettute, per questo è molto corto. Avevo pensato di trasformarlo in una vera e propria storia, magari una long, ma poi ho deciso di pubblicarlo così com'è. Forse, in futuro, scriverò anche del loro passato, ma per ora vorrei che leggeste questa storia per quello che è: il pensiero di una ragazza distrutta dal dolore. Spero di essere riuscita in queste poche righe a trasmettervi qualcosa.
Buona lettura.


 
Anche la felicità ha un prezzo
 
Ci siamo conosciute il 20 luglio del 1962.
Era una giornata calda e l’aria afosa del centro città di Milano mi faceva girare la testa; per questo, ora che finalmente avevo 18 anni, avevo deciso che avrei passato le restanti vacanze estive in Liguria, tra spiaggia, mare e una montagna di libri a tenermi compagnia.
Fu lì che la vidi per la prima volta.
Era bella come il sole, tanto bella da obbligarmi a distogliere l’attenzione dal romanzo che stavo leggendo e concentrarmi unicamente su di lei.
Aveva lunghissimi capelli neri come l’ebano e la pelle color cioccolato. E il suo corpo… Dio, il suo corpo! Poteva esistere qualcosa di più perfetto?
Continuai ad osservarla mentre, seduta sulla sabbia dorata, si spalmava la crema dappertutto; ero come ipnotizzata.
Poi fu un attimo.
Si girò, mi vide e sorrise, quasi imbarazzata dal mio sguardo insistente.
Quello è l’esatto momento in cui mi sono follemente, irrimediabilmente innamorata di lei.
Ed ora sono qui, in piedi, a disagio nel mio completo nero che ho sempre odiato, e mi sento fuori posto; vorrei poter scappare via da tutte queste persone che mi guardano con sufficienza, chiedendosi chi io sia e che cosa ci faccio qui.
Vorrei poterlo gridare al mondo quanto grande fosse il mio amore per quella donna che ormai mi ha abbandonato.
Invece sto ferma qui, in disparte, a stringere le mani di persone sconosciute distrutte dal dolore, ma che non perdono comunque occasione di chiedermi chi io sia. Dopotutto le capisco, deve essere quantomeno insolito vedere una donna bianca all’interno di un tempio induista. Rispondo a tutti, uno ad uno, con la solita frase: “eravamo compagne all’università”; mi impongo di non piangere mentre pronuncio queste parole, anche se vorrei solo urlare fino a non avere più voce, perchè tutto questo è troppo per me.
Queste persone cosa ne sanno del vero dolore? Sono qui a piangere una donna di cui non sapevano altro che bugie.
Ma i miei tentativi sono completamente vani quando è sua madre a porsi dinanzi a me; le lacrime scendono sulle mie guance senza che io possa fare nulla per fermarle.
“So che le volevi molto bene” mi dice con la voce rotta dai singhiozzi.
“No signora, io la amavo. E sua figlia amava me. Siamo state insieme per più di 20 anni, vivendo sotto lo stesso tetto, dormendo nello stesso letto, amandoci come nessun altro prima di noi. Anche se eravamo entrambe donne, anche se sua figlia era indiana e induista e io italiana e cristiana, non esiste nulla più forte dell’amore che unisce due persone che si completano a vicenda; io e sua figlia eravamo una cosa sola, un’anima in due diversi corpi, due facce della stessa medaglia. Il mio amore per lei era infinito e lo sarà per sempre.”.
È questo ciò che vorrei dire, ma mi limito ad annuire. Dire tutte queste cose proprio ora, alimenterebbe un odio e una delusione ormai inutili, perchè non è rimasto più nessuno per combattere. Ci sono solo io, ma non sono abbastanza forte, non lo sono mai stata.
Abbiamo vissuto in segreto e in silenzio la nostra storia per tutti questi anni, posso continuare a farlo.
Aspetto pazientemente che tutti siano presi a consolarsi a vicenda e mi avvicino lentamente alla bara, lasciata aperta davanti all’altare.
Lei è lì.
Le carezzo piano una guancia: è fredda nella sue bellezza immortale, rimasta immutata anche dopo mesi e mesi di lotta contro la malattia che me l’ha portata via.
Prendo quella lettera che avevo scritto la sera prima, in modo che abbia per sempre con sé una parte del mio cuore, e la nascondo sotto il suo bellissimo vestito rosso in stile indiano, mentre continuo ad osservare attentamente il suo splendido viso per quella che so essere l’ultima volta.
“Ti amo” sussurro piano, sicura che nessuno in questo momento possa sentirmi.
E mentre esco dalla moschea, allontanandomi per sempre dal grande amore della mia vita, non posso che domandarmi se questa non sia stata la punizione di Dio per aver amato una donna.
È quindi questo il prezzo della felicità?





Grazie per aver letto questo breve racconto, spero vi sia piaciuto.
Questa per me è una tematica molto importante e anche molto delicata, una cosa che mi tocca molto da vicino.
Non ho mai scritto niente di simile prima, o meglio, non l'ho mai pubblicato, mi farebbe quindi molto piacere sapere cosa ne pensate.
Alla prossima storia.

-Misaki :3

 
  
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