Un saluto a tutti, gente! Come
anticipato nella descrizione, questa fanfiction vuole essere un po’ come un
esperimento, in cui prenderò una delle scene più conosciute ed epiche di Shingeki
no Kyojin, provando a riscriverla con personaggi diversi, come se il loro ruolo
nella storia fosse stato “scambiato”, facendo ovviamente dei dovuti
adattamenti. Con il trio dei titani ho un rapporto diciamo di odio e amore, li
trovo fantastici e odiosi insieme: un bel giorno mi sono reso conto del
possibile parallelismo col trio dei protagonisti, e da lì è nata questa idea,
grazie alla quale (incredibile ma vero), quei tre potevano diventare i “buoni”
della storia! Non penso ovviamente di riscriverla tutta in tal senso, ma
quantomeno vorrei presentarvi questa scena, in cui al posto di Mikasa ho
inserito Annie: spero che la troverete una trasposizione interessante ed
originale! Per l’occasione userò anche un personaggio poco conosciuto, Berik,
che per chi non ha idea di chi sia, sarebbe il compagno di Reiner e Berthold
che viene divorato dal titano che diverrà Ymir (piccolo memo per non lasciarvi
spiazzati XD).
Detto ciò, buona lettura!
Così finisce dunque, pensava, ascoltando
il sibilo senza fiato della sua manovra tridimensionale, rimasta completamente
a secco di gas.
Non che le importasse poi molto a quel
punto. Quel suo bel discorso di poco prima, la sua carica forsennata verso il
castello, non erano stati che una mera recita, per sé stessa e i suoi compagni
condannati: doveva aver già deciso di farla finita nel momento stesso in cui
l’aveva saputo.
Reiner e Berthold erano morti.
Divorati, con tantissimi altri in barba
di ogni pretesa di riscatto con cui l’umanità, in quelle ore, si era levata per
respingere quella nuova invasione, probabilmente l’ultima e definitiva.
Persone, inghiottite in gigantesche, ingorde gole, insieme ai ricordi del
passato, le speranze del presente, i sogni per il futuro. Amici, che non
avrebbe mai più avuto al suo fianco.
E non valeva affatto la pena di
continuare trascinarsi in quel mondo tetro e violento senza di loro. Un mondo
senza quei due non valeva la pena di essere vissuto.
Buttò a terra le spade, e lasciò le
ginocchia si piegassero stanche per sedersi.
Non ne valeva proprio la pena: la
crudeltà imperava in ogni dove, fuori come dentro le mura, la sopraffazione del
debole era la norma per giganti come per uomini, ipocrisia ovunque voltasse lo
sguardo, valori illusori dietro cui affannarsi, comunque incapaci di offrire
consolo. E l’unica cosa bella, degna di fiducia, ammirazione, affetto, i suoi
unici veri amici, portata via proprio da quel mondo che tanto avevano bramato
di migliorare, questa la sua risposta, questo il suo ringraziamento.
Le persone si chiedevano come mai Annie
Leonhart fosse sempre così distaccata: forse era proprio un riflesso del suo
distacco da una realtà da lei attentamente osservata, meditata nei suoi
silenzi, e per la quale non era riuscita a provare che un freddo disincanto.
Chissà come era stata la loro fine.
Chissà se avevano sofferto molto.
Smosse le ciocche bionde dal volto e
guardò per aria, affondando gli occhi nelle nuvole grigie come si affonda in un
cuscino per riposare.
Quanta stanchezza sentiva, come fosse
venuta fuori tutta di colpo, ammassatasi per anni nel fondo del suo animo
tormentato. Era stanca di sentirsi animale in gabbia, stanca di vedere gente
morire, stanca di lasciarsi illudere dall’entusiasmo e dagli sforzi altrui,
stanca di osar sperare che possa valerne la pena in fondo.
Ma forse era il dolore della perdita a
pensare per lei in quel momento: dopotutto, non poteva neanche dire che non vi
fossero stati momenti per cui la sua vita si sarebbe potuta definire bella,
difficile, ma anche bella.
Prese un bel respiro e si immerse, tra i
flutti dei suoi ricordi, nella sua infanzia di bambina funestata da un padre
ossessivo e violento. Quando sua madre aveva provato a scappare di casa con
lei, lui l’aveva uccisa davanti i suoi occhi, e poi aveva riso, fiero del suo
atto d’amore nei suoi confronti, di aver eliminato chi cercava di separarli,
quell’amorevole papà e il suo biondo angioletto adorato.
Prima di quel giorno, non sapeva molto
dei due figli adottivi di quel boscaiolo che viveva vicino la loro fattoria sui
monti, bambini come tanti altri alla scuola del villaggio con cui, col suo
carattere chiuso, non aveva mai legato.
Li avevano inseguiti nella loro fuga, e
da soli, quei due moscerini si erano buttati addosso a quell’adulto senza un
briciolo di paura, come fosse niente più che uno dei loro giochi,
aggrappandosi, mordendo, pizzicando, colpendo.
“LEVATEVI
DI DOSSO!”
“Dacci
una mano!”
“Reagisci!”
Acquattata
dietro l’albero, paralizzata dal terrore, sarebbe rimasta lì a guardarli
combattere quel “gigante” finché questi non fosse riuscito a tirar fuori dalla
tasca il coltello, se le loro parole non fossero risuonate in lei come un eco,
un eco proveniente da lei stessa, la voce del suo coraggio, della sua volontà,
del suo spirito che in quel momento si incarnava e combatteva in quei due
bambini.
“Lui
ha ucciso la tua mamma! Vuoi davvero che la passi liscia?” –quel tipetto dai
capelli neri sottile e deboluccio.
“Vuoi
davvero che ti porti via con sé dopo quello che ti ha fatto? Devi fermarlo!” –e
il suo amichetto tarchiato dagli ispidi capelli biondi.
“Combatti con noi!”
“Combatti!”
Si
scagliò su suo padre, ben sapendo a quale tasca puntare…
Che piccole pesti che erano allora,
sorrise. Reiner molto di più per la verità, Berthold, per carattere, era invece
sempre stato il tipo obbediente e ragionevole dei due, tranquillo per timidezza
come lei lo era per maturità, precoce fin da piccola.
Eppure, anche Berthold a volte era
capace di prendere l’iniziativa, e non era qualcosa che aveva scoperto man mano
negli anni vissuti insieme, ma da subito, uno dei più antichi e più importanti
dei suoi ricordi.
“Ehi!
Che ti prende?” –fece Reiner, deluso dal non vederla gioire e saltellare
insieme a loro dopo aver vinto alla grande contro quel cattivone, essere
riusciti a farlo scappare, ed essere tornati sani e salvi da Berik che li stava
cercando nella foresta.
Purtroppo
per lui, la Annie di allora non aveva che voglia di piangere: “La mia mamma è
morta, il mio papà è fuggito via… Non c’è più nessuno!” –singhiozzò
asciugandosi con la manica del vestitino- “Sono rimasta tutta da sola!”
Il
tipetto biondo si era morso la lingua: già allora iniziava a fare i conti con
l’avere più muscoli e coraggio che cervello.
“A-allora…”
–balbettò a bassa voce il piccolo Bert, per poi parlare forte e deciso- “Allora
vieni a stare con noi!”
“Cosa?”
–chiese incredula la bimba.
“Così
non sarai sola!”
“Wow!” –strinse i pugni Reiner- “Berthold, hai avuto un ideona!”
“Ehi,
un attimo, ragazzi! Non potete decidere una cosa del genere così su due…”
“Andiamo, Berik!” –lo rimbeccò subito il bambino biondo, già allora con quel
forte orgoglio e senso di responsabilità che l’avrebbe sempre contraddistinto-
“Non possiamo lasciarla sola dopo che ci ha aiutati a sconfiggere quel
farabutto! È una di noi!”
“Una…
di voi?”
Solo
l’innocente, rassicurante sorriso di Berthold poté sciogliere in un tenue
rossore di guance la sua confusione.
“Vuoi?”
–le domandò.
Quel
sorriso le disse, quel giorno triste e poi bellissimo, che le cose orribili
appena successe non avrebbero distrutto per sempre la sua vita, che poteva
continuare, e non da sola.
“…
S-si.”
“Abbraccio
di gruppo!” –aveva urlato subito dopo Reiner. Ci rimase male quando la
commozione le giocò un brutto scherzo facendola scoppiare a piangere nella loro
stretta, ma il trio nato quel giorno ne avrebbe avute di chance per rifarsi di
quell’imbarazzo!
Quante cose erano successe da allora,
prese a sfogliare la sua mente, mentre la terra tremava dei passi di un grasso,
sghignazzante titano che si stava avvicinando pigramente verso di lei.
I giochi, le avventure, le cadute, i
combattimenti coi bulli che tormentavano Berthold, le prime cotte di Reiner.
Poi l’apparizione del Gigante Colossale e lo sconvolgimento delle loro vite: la
distruzione del villaggio, la morte di Berik sotto i loro occhi, la promessa di
Reiner di sterminare i giganti dal primo all’ultimo.
In un baleno eccoli, inseparabili come sempre, arruolarsi nell’esercito, e
venire alle prese con lo sfiancante addestramento di Keith Shadis, il suo combattimento
con Mikasa Ackerman durante la pratica di corpo a corpo, finito in parità, il
giro di scommesse sulla posizione di Berthold al suo risveglio, Reiner che si
carica sulle spalle quel pappamolla di Armin durante il percorso nel fango
nella foresta, e tanto altro ancora.
Sembrava un eternità fa che venivano
presentati, tutti e tre, tra i migliori dieci del 104°esimo corso, un istante
prima che Trost venisse attaccata, e che i due che le avevano ridato la vita,
offrendole un posto accanto alle loro, morissero lontani da lei, dopo la
reciproca, infranta promessa di ritrovarsi, al termine di quella giornata. Il
trio era stato spezzato, e lei ne avrebbe condiviso le sorti.
Guardò il gigante avvicinarsi dalla sua
destra: qualche passo ancora e sarebbe stato tutto finito, libera dai brutti
pensieri, dal dolore e dalla violenza, da quel brutto mondo in cui suo malgrado
era nata e che comunque le aveva regalato dei momenti felici.
Perché avere dei rimpianti dunque? Non
era certo mai stato in potere suo cambiare le cose, né avrebbero potuto riuscirci quei
due coi loro sogni strampalati di sterminare i titani, liberare il Corpo di
Gendarmeria dalla corruzione, andare un giorno tutti e tre ad ammirare le
distese infinite di acqua e di sabbia di cui Berthold aveva letto esistere là
fuori su da un libro fuorilegge.
Quante volte quei due dovevano averle
sognate ad occhi aperti, quando si sedevano vicini sul ciglio delle mura. Ma
lei no, lei era la razionalità nel loro trio, il disincanto, l’amarezza delle
cose così come sono, non aveva mai sognato tanto in là, né ci sarebbe riuscita
ora per distrarsi da quell’enorme mano che si stendeva verso di lei, coprendola
e offuscandola nella sua ombra.
Non l’aveva mai fatto.
Ma quanto era stata felice di star lì al
loro fianco. Le era bastato quello.
Certo che quel titano ce ne stava
mettendo di tempo per lasciarla pensare così tanto. Era così lento che avrebbe
potuto prendere da terra la spada e tranciargli di netto tutte le dita.
SLASH!
L’essere mostruoso retrasse la mano e ne
guardò, inespressivo, i moncherini sanguinanti.
<< Perché l’ho fatto? >>
L’altra mano del titano provò ad
abbattersi su di lei, ma con un agile capriola si sottrasse a quella morsa
famelica, di cui poi provvide a tranciare nuovamente le dita, come disgustosi
lombrichi.
<<
Che mi prende adesso? >>
Il gigante perse l’appoggio e cadde
faccia a terra, dandole il tempo di recuperare anche l’altra spada e
allontanarsi di qualche passo.
<< Io ho rinunciato ormai a questa vita. Non ho rimpianti. >>
Colei che seduta bramava la propria
fine, ora si ergeva fiera al proprio posto, scrutando il nemico, le spade
tenute salde e pronte, i muscoli tesi e pronti a scattare.
<< Senza Berthold e Reiner… che senso ha andare avanti? >>
Il sole fece breccia tra le nubi,
illuminando il muro alla sua sinistra, e lei strinse gli occhi abbagliata,
mentre dall’ombra del cielo scuro, il titano tornava a puntarla dall’alto della
sua primordiale brama divoratrice con le sue iridi spente.
<< Perché sto continuando a combattere se penso che non valga la pena di
vivere? >>
“Reiner,
tutti ti danno del visionario. Pensano che sei fuori di testa.”
“Perché? Perché dico che i titani vanno sterminati tutti? Al diavolo! Se è così
mi sta bene essere deriso! Quelli non capiscono niente! Non lo capiscono di
essere delle bestie in gabbia! Ma io cambierò le cose.”
Sospirò: “Reiner, sei soltanto un umano.”
La spiazzò ridacchiando: “Forse, ma sono un umano bello tosto!” –si batté i
pugni sul petto solido come ferro- “Se do l’esempio, anche quelle pecore si
smuoveranno! La natura mi ha dato questo corpo forte e una testaccia dura, e
non bisogna lasciare che i propri doni vengano sprecati: ho deciso di
utilizzarli per lottare contro quei mostri assassini, e anche se so che non
basteranno, non mi tirerò indietro, mai! Annie, immagina per un istante se
nessuno di noi si tirasse indietro: altro che sterminare i titani, chissà che
cosa l’umanità potrebbe essere in grado di fare!”
Scosse
il capo: quella testaccia era troppo dura e piena di stupida buona fede per
continuare a mortificarlo coi suoi commenti da guastafeste. L’avrebbe lasciato
stare per quella volta, e che non provassero a dubitare del bene che gli
voleva!
<<
Questo mondo è senza speranza, e uccide chi prova a cambiarlo! >>
“Ma
chi diavolo si credono di essere quelli?” –sbraitò Connie, aiutando Sasha a
rialzarsi da terra dopo un alterco con quelli del Corpo di Gendarmeria, i quali
non se ne erano andati senza insegnare alle reclute, ultime ruote del carro,
come funzionano le gerarchie.
“Non
dovrebbero comportarsi così.“ –commentò Berthold, storcendo la bocca per
l’indignazione.
“Invece
è esattamente così che vanno le cose, Berthold.” –gli aveva risposto senza
esitare- “Puoi disgustarti quanto ti pare, ma la realtà è che chi sta in alto
può spazzare via i deboli a suo piacimento, forse non ne avranno il diritto, ma
sicuramente ne hanno il potere. Non farti il sangue amaro, è così che va.
Almeno tu sei una brava persona.”
“Beh,
anche se va così non è così che deve andare!” –ribatté sordo alla saggezza
delle sue considerazioni- “Proprio perché sono “una brava persona” è mio dovere
disgustarmi, e mostrare a tutti che può andare diversamente!”
“Sempre
convinto di voler entrare nella Gendarmeria quindi.”
“Convintissimo!”
<<
E le persone buone muoiono ogni giorno spazzate via dai forti e dagli
oppressori! >>
“Ehi,
Annie, facciamo uno scherzo a Berthold! Aspettiamo che dorma, poi lo solleviamo
col materasso e lo portiamo fuori nella foresta! Chissà che faccia farà quando
si sveglia!”
“Reiner,
questo farà infuriare sia Berthold sia quelli che hanno scommesso di ritrovarlo
a testa in giù domattina e che non potranno accertarsene.”
“Proprio
questo è il bello, gli roviniamo la festa!”
“Che
devo dirti, se vuoi fai pure.”
“Dai,
non fare la solita disinteressata, pure perché hai di che farti perdonare: puoi
dire in tutta sincerità di non aver mai scommesso?”
“……
Foresta sia!”
“Ah ah ah!”
<<
Si, loro lo hanno reso più bello ma… Adesso sono di nuovo sola. >>
“Reiner,
che diavolo stai facendo?” –mugugnò, con tono da omicidio, mentre il biondo le
stirava su gli angoli della bocca in una sorta di strano sorriso.
“Io
e Reiner ci stiamo solo assicurando che i tuoi muscoli facciali non siano
rotti!”-spiegò l’altro, pure lui in vena di scherzi.
“Filatevela
tutti o due, o farò di quei tuoi inutili pettorali bistecche e userò Bert come
spiedino!” –cercò di liberarsi smanacciando.
“Sentito,
Berthold? Il suo senso dell’umorismo è catalettico ma ogni tanto ci sa fare!”
“Ve
lo do io l’umorismo!” –ne volarono di calci e risate quella sera.
<<
E i bei ricordi non cambiano certo le cose. >>
“Su,
impegnati, Annie! Attaccami con tutto quel che hai!”
Reiner
non volle far pausa dall’addestramento di lotta neanche mentre Shadis
trascinava in punizione quei soliti lavativi di Sasha e Connie.
“Mi
raccomando, non lasciarti intimidire dalla mia mole… ?!?!?”
Due
secondi dopo, il suo zigomo dava un saluto molto ravvicinato al terreno
polveroso: non avrebbe saputo dire in tutta onestà come aveva fatto a ritrovarsi
lì e con tanta rapidità.
“Beh…
Non male direi…”
Ecco
apparirgli davanti gli occhi gli stivali di Berthold: “Direi che ora sei tu
quello un po’ intimidito, eh Reiner?”
“Bah!”
“Annie,
hai davvero una tecnica straordinaria!” –si stava complimentando intanto Eren.
Aveva
sempre etichettato le sue tecniche come “niente di speciale”, nulla che potesse
fare la differenza. Ma l’ammirazione nello sguardo di Eren la lasciava
tutt’altro che indifferente, scaldandole piacevolmente il petto.
“Forse…
potrei insegnartela?”
<<
Che ne è di loro ora che non ci sono più? Che ne è di tutto ciò in cui
credevano? >>
“Annie,
a questo mondo ci sono tante cose per cui vale la pena di vivere, per cui vale
la pena di lottare! Non per forza grandi ideali o obiettivi, anche cose
piccole, sciocche, ci fanno sentire felici di essere al mondo, e non c’è niente
di stupido in questo, perché è la felicità che proviamo che conta, non importa
quanto grande.”
“Mi
sta venendo in mente Sasha e il suo cibo…” –aveva commentato, immaginandola
addentare una salsiccia col trasporto che solo lei poteva metterci.
Berthold
rise e poi, fissando il tramonto all’orizzonte, proseguì.
“Annie,
il mondo è bello. So che farai fatica ad essere d’accordo con tutto quello che
ti è successo… ma io nel profondo sono convinto che sia così. Si può mangiare e bere in compagnia, fare pisolini all’ombra, ammirare i panorami, superare difficoltà al
fianco dei propri amici, innamorarsi…”
I
loro sguardi si incrociarono.
“Non
essere così dura e indifferente a tutto, Annie, dagli un po’ di fiducia. Sono
sicuro anche tu prima o poi troverai qualcosa di importante, per cui valga
davvero la pena di andare avanti.”
“Io…
penso ci siano cose per cui valga la pena di andare avanti.”
Sorrise: “Mi fa piacere sentirlo!”
Sgranò gli occhi, come le porte sbarrate
dietro cui si era rinchiusa fossero state spalancate di botto dinanzi a lei.
<< Perdonatemi… >>
Lacrime improvvise presero a grondarle
lungo le guance.
<< Perdonatemi, amici miei, vi ho
molto deluso… >>
Strinse i denti.
<< Io… non mi arrenderò mai più! >>
Neanche ora che un secondo titano stava
scavalcando il muro alle sue spalle, chiudendo, insieme all’altro, ogni via di
fuga.
<< Se mi arrendessi, vi mancherei di rispetto, mancherei di rispetto a tutto
ciò in cui avete creduto… >>
“Annie,
essere realistici è un pregio, ma non puoi dare sempre tutto per scontato,
accidenti!” -aveva sbraitato Reiner una sera che aveva esagerato con la sua
apatia- “Se le cose non vanno bene, devi semplicemente impegnarti a cambiarle,
usando tutte le tue forze! È così che bisogna vivere!”
<< A tutto quello che siete stati per me... >>
Mentre
sorseggiava l’insipida zuppa, avvertì sul braccio un colpetto di gomito che
prometteva di dare un po’ di sapore in più alla serata.
“Ehi,
Annie, guarda questa!” –gli bisbigliò Berthold all’orecchio.
Fece
finta di guardarsi intorno e poi agitò una mano verso le spalle di Reiner, che
cenava seduto di fronte a loro: “Ciao, Christa! Vuoi sederti qui?”
Veloce
come si scatta sull’attenti davanti un superiore, Reiner saltò dal posto come
una molla: “Prego, qui c’è pos…”
Ovviamente
di Christa non c’era traccia…
“…
Divertente, molto divertente, Bert!”
Lo
spilungone si coprì la bocca con una mano per non far notare troppo le risate.
Lei invece, con più discrezione, si era girata da un’altra parte per nascondere
il suo sorrisetto.
<<
Mi avete sempre spronata a vivere appieno la mia vita: mi avete fatto capire che può continuare nonostante tutto, che
posso combattere, che posso avere dei sogni, che posso essere felice! >>
“Berthold,
perché mi fissi sempre?” –si era azzardata a chiedergli direttamente.
“EH?!
I-io? F-fissarti? N-no, io… Cioè, perché… M-ma no, sarà una tua impressione!”
Che
libro aperto, anche senza notare Reiner assistere da dietro un angolo
passarsi sconsolato una mano sulla faccia.
Guardò il gigante dinanzi a sé con occhi
di sfida e tese i muscoli, pronta a farsi largo anche circondata da quelle due
montagne!
<< Per il bene che vi ho voluto, per rispetto alla vostra memoria, io non
morirò qui! Resterò viva! Non mi arrenderò e troverò la mia strada nella vita!
Sopravvivrò, a qualsiasi costo! >>
Lancio un grido battagliero, ma questo
fu mozzato da un forte rumore, come di un tuono, e si ritrovò sbalzata per
aria.
L’altro gigante, quello alle sue spalle,
doveva aver fatto un balzo in avanti, e la scossa prodotta dal suo passo e lo
spostamento d’aria l’avevano spazzata via come un fuscello.
Annie si ritrovò rannicchiata a terra,
certa che fosse solo questione di attimi prima di sentirsi ghermire.
Invece niente. Come se la scena fosse
andata avanti anche senza di lei.
“Che cosa…”
Spalancò gli occhi e questi dovettero
salire parecchio in alto, trovandosi al cospetto del gigante più alto che
avesse mai visto, all’infuori del Colossale. Quella cosa la lasciava a bocca
aperta: raffrontandolo con gli edifici, era sicuramente più alto di un titano
della classe dei quindici metri: vedendolo di spalle, non riusciva ad
apprezzarne il volto, celato da una chioma di lunghi e ribelli capelli corvini.
Curioso anche il fatto che mentre il suo corpo, snello e sinuoso, fosse coperto
dalla pelle, i suoi lunghissimi arti ne fossero invece sprovvisti, sicché ai
suoi occhi appariva la rossa trama di fibre muscolari, solcate dai tendini e
dai legamenti, bianchi come avorio.
Ancor più di stucco la lasciò lo spettacolo
ad alcuni metri più in là: il primo titano era riverso a terra, la faccia
gonfia e deformata, come devastata da un colpo tremendo. E non v’erano dubbi su
chi glielo avesse inferto.
D’un tratto, il Titano Longilineo, levò
la testa al cielo ed emise un grido, serrando i pugni con fare nervoso. Annie,
tappatesi le orecchie, lo vide prendere la rincorsa contro l’altro gigante,
fare perno sul piede sinistro e assestargli un calcio tremendo in pieno volto,
con una violenza immane, tale da decapitarlo e far volare la testa oltre le
case oltre di essi.
<< Questo… è assurdo… >>
Come a prendersi gioco dei suoi
pensieri, il misterioso gigante, anomalo persino per quei titani che definivano
così, prese a ruggire e schiacciare col tallone il moncone del collo dell’altro
mostro, più e più volte, come non gli bastasse assicurarsi di averlo ucciso
davvero.
<< Un titano… che ammazza un altro titano?! >>
Come lo odiasse, con tutto il cuore, e
volesse oltraggiarne il cadavere sfogandovi la propria rabbia.
<<
Non è possibile una cosa del genere! >>
In cento e passa anni di guerra contro i
titani, una cosa del genere non era mai stata riportata. Stava assistendo ad un
evento più che raro, unico nel suo genere.
“Ma… Ma…”
Un forte rumore preannunciò l’arrivo di
altri titani: due, che sotto gli attoniti occhi azzurro chiaro di Annie si
scagliarono inferociti contro l’”assassino” di uno del loro genere,
afferrandogli le braccia e provando ad azzannarlo.
Il Gigante Longilineo, di cui ora
riusciva a vedere il viso, allungato e dal naso ricurvo, urlò sofferente, ma
riuscì a reagire: fece forza sul braccio sinistro e lo usò per sbattere contro
l’edificio alle sue spalle il gigante che lo addentava, sfracellandogli la
faccia con un pugno, mentre l’altro gigante, un quindici metri, continuava
imperterrito a divorargli l’altra spalla, incapace di raggiungergli la testa
per il paio di metri di differenza tra i due.
“Giganti che… lottano tra loro… Ma
perché?”
Aveva sempre pensato fossero gli umani
la razza più spietata nei confronti dei propri simili.
Mentre ancora stava elaborando il tutto,
il quindici metri, sussultò improvvisamente, ed Annie se lo vide letteralmente
arrivare addosso.
“!!!”
Con un salto e una capriola, riuscì ad
evitare di restare schiacciata; si voltò, e la scena che le si presentò
raddoppiava l’assurdità di quanto stava accadendo.
Il quindici metri che aveva aggredito di
Titano Longilineo si trovava schienato al suolo, e su di esso incombeva la
spaventosa mole di un altro titano. Tozzo e robusto, non riusciva ad identificarne
per certo l’altezza, seduto com’era a cavalcioni del corpo del suo avversario,
ma dava un inquietante sensazione di potenza, con le spalle e il torace larghi
e muscolosissimi.
Anche quest’ultimo emise un ruggito, più
profondo e gutturale di quello del Longilineo, ancora più spaventoso, per poi
abbattere il proprio pugno destro sul muso del gigante sotto di lui, più e più
volte, fino a scavarne la faccia, fino a raggiungerne il punto debole, e
strapparlo a mani nude con un ruggito di trionfo.
In tutto ciò lei era rimasta lì, ai
margini di quella scena, completamente ignorata, a guardare i titani scannarsi
tra loro. Si sarebbe aspettata a quel punto anche un combattimento tra il
Possente e il Longilineo, ma invece questi si ruggirono a vicenda per poi
allontanarsi insieme. Dunque la sua impressione era corretta: era intervenuto
per aiutarlo.
Si riscosse dal torpore della sorpresa,
rendendosi conto dell’importanza di quanto tutto ciò implicasse: “Ehi!
Fermatevi!”
“ANNIE!”
Alzò gli occhi, e sul tetto
dell’edificio accanto a sé, vide Connie Springer agitare un braccio.
“Annie, stai bene? Hai visto anche tu
QUEI COSI?”
“Si, sto bene… E si, li ho visti…”
“Hai finito il gas, vero? Ora vengo a
prenderti!”
Tratta in salvo, si affrettò a suggerire
a Connie, per meglio dire costringere, ad inseguire immediatamente quei due
titani anomali: fortunatamente, data l’altezza spropositata di uno dei due
sarebbe stata impresa facile. Dopo una veloce corsa, balzarono entrambi sul
tetto di un edificio vicino, fermandosi sul ciglio di esso ad osservare un
nuovo combattimento che stava avendo luogo.
I due strani titani erano al centro di
un ampio viale, dalle cui direzioni stavano sopraggiungendo altri titani, due
da un lato e uno dall’altro, tutti dall’aria minacciosa.
“Guarda!” –esclamò guardandoli mettersi
spalla contro spalla, come compagni d’arme abituati a lottare insieme. Non
aveva mai visto dei titani tanto… umani.
Il gigante che fronteggiava il
Longilineo si lanciò di botto alla carica, ma lo “spilungone” rimase ad
attenderlo fino all’ultimo, per poi abbassarsi di scatto. Allora il suo robusto
compagno roteò su sé stesso allargando il pugno sinistro, fino a far impattare
le proprie nocche sull’attaccante, decapitandolo. A quel punto, dopo aver fatto
tremare la terra con le loro grida, si scagliarono insieme sui due che ancora
arrivavano dall’altra direzione.
Il Possente afferrò la faccia di uno di essi, spappolandogliela con la sola
forza della mano, prima di schiantargli la testa sul tetto di una casa; il
Longilineo, sfruttando la lunghezza delle sue gambe, tenne a bada l’altro con
un calcio nello stomaco che lo scagliò a terra decine di metri più in là, prima
di spiccare un salto ed abbattersi con tutto il suo peso dritto sul suo collo.
Nel frattempo, il compagno finiva senza pietà il titano decapitato prima che
finisse di rigenerarsi.
“Cavolo…” –commentò l’imbambolato
Connie- “Brutale ma… Dannatamente figo…”
Annie inarcò un sopracciglio.
Connie era il solito sempliciotto, quel
che avevano appena visto era ben più che semplicemente “figo”: se avessero
trovato un modo di indirizzare quei due inarrestabili bestioni verso il
castello con i rifornimenti, di certo avrebbero spazzato via tutti i giganti
che lo assediavano e loro avrebbero potuto ricaricarsi di gas e riparare sani e
salvi alle mura.
L’unica cosa più sbalorditiva della loro
stessa apparizione, era quanto familiari le sembrassero quei due…
Li conosci molto bene infatti, cara
Annie! ^__°
Questa fanfic è proprio come piace a me,
poiché spazia tra i vari generi: l’introspezione e la riflessione nella prima
fase, azione e combattimenti “titanici” nella seconda, con i ricordi capaci di
offrire momenti di tenerezza e anche di divertimento! Credo proprio di aver
costruito un bel mix e mi auguro vi sia risultato gradito! Ho cercato di far
quadrare il più possibile questo “scambio”, giocando in particolare sul
rapporto tra i membri del “Titan Trio”, in particolare su Annie, la
protagonista, persona fredda e impassibile, ma nel cui ghiaccio i suoi amici
sono riusciti a far breccia e fare in modo di farle vivere la vita con
pienezza.
Mi sono concesso qui e là anche qualche
licenza narrativa (i titani misteriosi sono due anziché uno solo, la storia del
padre di Annie), che nel complesso ritengo coerente.
Spero di ricevere molti commenti ^__^
Grazie della lettura, a presto!