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Autore: shane_lilith_riddle    17/01/2016    4 recensioni
I mostri possono avere molte forme.
Non è detto che il mostro sotto al letto sia orrendo, viscido e spaventoso.
Qualche volta è un vecchietto che ti offre una caramella, qualche volta una amica dai falsi sorrisi, a volte può essere un tuo parente.
I mostri hanno molti volti.
Qualche volta, hanno pelle di pesca, occhi dolci e fragili e una voce vellutata, ma tutti hanno una cosa in comune: percepiscono le debolezze dell' animo umano, i suoi peccati, e si ergono a giudici delle proprie prede.
Qualche volta, i mostri sono dentro di noi.
Nathan e Michael, coinquilini, l'uno l'opposto dell' altro.
Se Nathan esce da un passato difficile e combattuto, è schivo ed associale, Michael è solare, popolare, sorridente, gentile.
Ma cosa si nasconde dietro a quegli (apparentemente) innocenti sorrisi?
Una piccola one shot con finale a sorpresa, che scava all' interno dell' animo umano.
QUINTA CLASSIFICATA AL CONTEST: "Malia: il canto delle sirene" indetto da Yuko Chan sul forum di EFP
Genere: Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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“ Se guarderai a lungo nell' abisso, l'abisso guarderà dentro di te. 
-Nietzsche.
 
 
 
DISTURBED MIND
 
 
 

É il dolce profumo dei pancakes caldi a destarlo dal suo torpore, lo stomaco che brontola in immediata reazione, mentre gli occhi si schiudono al mondo, malvolentieri.
"Che ore sono?" lo sguardo cade sulla sveglia nel comodino, i numeri fosforescenti che brillano nel buio.
Le sei meno dieci.
-Maledizione.-
Ritardo.
Il che implica che gli restano dieci scarsi minuti prima di uscire di casa.
Calcia via le coperte, imponendosi con tutta la forza di cui è capace di alzarsi, di farsi forza, nonostante sia pienamente consapevole della pessima giornata che lo attende.
Una giornata come mille altre.
Una giornata che inizia alle sei del mattino e finisce alle tre di notte.
Scosta infastidito i capelli dal viso, bagnati di sudore e affanno, e si stringe appena nel pigiama umido.
Come nella migliore tradizione, anche quella notte gli incubi lo hanno visitato, lasciandogli il solito sapore amaro in bocca e pessima voglia di affrontare il mondo.
Apre la porta della sua camera, mentre l'odore della colazione lo investe.
-Buongiorno, Nathan!- la voce calda del sorridente Michael, il suo coinquilino, lo rasserena immediatamente.
É già abbigliato di tutto punto, pronto per uscire come se dovesse già essere in Università.
I capelli castani appena mossi, il sorriso gentile e gli arnesi da cucina in mano.
Anche Nathan sorride mentre si tuffa in doccia.
Sorride perché sa bene che il suo coinquilino si è alzato presto solo per lui.
Solo per poterlo sollevare d'umore, consapevole di quanto sia goloso, perché è un amico attento e perché gli vuole bene.
Si sente confortato, intorpidito dal tepore rassicurante dell’ acqua calda che pare lavare via le sue inquietudini.
Rimane lui, i suoi capelli cremisi come sangue vivo, gli occhi di un celeste quasi albino, resta il suo disgustoso passato e il suo pietoso presente.
 Resta il fatto che è in ritardo e che sarà una pessima giornata.
Però, improvvisamente le cose sono più accettabili.
Se non altro, dice a sé stesso, non è da solo.
Per qualche strano motivo ha un amico.
Un vero amico.
Dopo tanti dolori.
 
Il piatto fumante viene porto orgogliosamente e l'espressione di Michael lo fa sorridere.
-Mangia, ne va della tua salute.- gli mormora serio.
Nathan si abbuffa mentre allaccia le scarpe, trafelato come al solito, mentre l'amico scuote la testa rassegnato senza mai perdere il sorriso.
-Tra quanto, in Università?-  lo provoca, scherzoso.
-Alle otto, lo sai.- Michael guarda altrove imbarazzato.
-Solo che mi andava di svegliarmi presto.- si giustifica, borbottando.
Nathan vorrebbe ringraziarlo, perché è un atteggiamento da vero amico, perché nessuno si è mai comportato a quel modo con lui, eppure tace. Tace e sorride, sinceramente grato.
-Torno forse più tardi stasera, non aspettarmi.-
-Dio, non sarà il caso di lavorare meno?-
-Non tutti possiamo permetterci l'Università e la mia parte di affitto non si paga da sola.- gli ricorda.
-Sì, dico solo.. Che forse potresti mollarne almeno uno.. Insomma..
Tutto il giorno in giro, stacchi da una parte, inizi altrove..-
Sa bene di lavorare troppo. Sa bene che il suo unico amico è preoccupato.
Ma sa anche di saper badare a sé stesso.
Lo ha fatto per anni.
Guarda il colletto inamidato di Michael e lo ammira.
Si costruisce un bel futuro, ha parenti che lo sostengono e una grande cerchia di amici, per non parlare delle sconfinate risorse economiche.
Eppure si preoccupa di un orfano scapestrato che per mantenersi lavora in nero.
-So badare a me stesso, Michi.- gli mormora.
"Però grazie davvero per tutto."
Non lo dice, non è da lui. Però lo pensa, ed è già molto dati gli schiaffi che la vita gli ha dato.
Poi richiude la porta dietro di lui.
 
 
 
L'appartamento è già immerso nella penombra quando Nathan rientra con passo felpato.
Il solo desiderio è gettarsi nel letto e abbandonarsi al sonno, per poi svegliarsi e farsi di nuovo una bella doccia calda, giusto per togliersi di dosso quel senso di sporco che da sempre lo pervade.
Come si sia ritrovato in un appartamento rispettabile, piuttosto che in una casa di tossici, spesso ancora se lo chiede.
Lui cercava un posticino per sé, sperando di uscire da certi giri, e Michael doveva iniziare l'Università.
Aveva visitato l'appartamento trovandosi di fronte a quel ragazzo perfettamente vestito, sempre in abiti formali, ai suoi genitori e alla sorella maggiore.
Rigidi, altezzosi, sprezzanti, questo gli era parso.
Lo avevano squadrato dall'altro in basso, come il peggiore degli insetti, rivolgendogli sguardi affilati e sorrisi affettati, come tutti nella sua vita.
 Le domande su come vivesse e se sarebbe stato in Grado di pagarsi l'affitto e le spese si erano susseguite, implacabili, tanto che non rispondere a tono aveva implicato uno sforzo decisamente notevole.
Poi Michael gli aveva stretto la mano, di slancio.
Stupendo tutti e lui per primo.
-Accetto.-  gli aveva detto. -Saremo coinquilini.-
Poi tra lo sgomento generale gli aveva rivolto uno di quei suoi sorrisi rassicuranti, scuotendo le spalle.
Soprattutto, un sorriso sincero.
Così la nuova vita di Nathan Briefwitch era iniziata.


Mentre si spoglia del cappotto cercando di fare il meno rumore possibile, si sente tranquillo e rilassato: è finalmente in un posto degno di essere chiamato "casa" pensa, col sorriso sulle labbra.
Sfila le scarpe piano, poi passa ai pantaloni.
É allora che la spiacevole sensazione di essere osservato gli provoca un brivido freddo lungo la schiena. Improvvisamente, tutto il calore provato poco prima sembra svanire, risucchiato da un buco nero.
La sagoma perfetta di Michael è lì, nella penombra del corridoio, lo fissa ad occhi sbarrati.
Nathan  trasale.
-Cazzo Michi! Ho perso almeno dieci anni di vita!!-
L'altro gli rivolge una risatina nervosa.
-Scusa è solo che.. Sei tornato prima del solito.-
Questa volta, sul volto di Nathan si dipinge un’espressione confusa.
-E quindi?-
-Nulla.- risponde l'amico con una scrollata di spalle.
-Ma tu non dovresti essere già a letto, a quest'ora?-
Michael gli da le spalle, avviandosi verso la cucina.
-Avevo sete.- mormora semplicemente, aprendo il rubinetto del lavello per riempire un bicchiere che Nathan non aveva neppure notato avesse in mano.
"Strano."
Ma ciò che davvero vorrebbe ammettere con sé stesso è: "inquietante."
Tutta colpa del tono casuale, troppo casuale, che utilizza l'altro.
Un tono che non ha mai sentito su di lui. Gli sta stretto addosso, come un abito nuovo.
"Sarà perché sono tornato prima?"
Effettivamente non capita molto spesso.
Mentre si avvia verso la sua stanza, lo sguardo cade inevitabilmente verso quella dell'amico, da cui proviene la tenue luce della lampada.
Gli pare quasi, attraverso la porta dischiusa, di intravedere un rapido movimento dentro la stanza.
"Ma no" si dice. "Se avesse invitato qualcuno, di certo me lo avrebbe detto."
Eppure affretta il passo richiudendosi la porta alle spalle, stranamente sollevato di ritrovarsi nella sua stanzetta.
L'impulso assurdo e irrazionale di chiudere anche la porta a doppia mandata lo tenta per un secondo.
É una sensazione strana, incomprensibile, che lo coglie alla bocca dello stomaco e comprime fino a far male.
"Non fare lo scemo" si dice buttandosi a letto.
Finché il languore delle coperte non gli riscalda le membra, trascinandolo con sé in un sonno rilassante.
 
 
 
 

La sveglia suona, questa volta costringendolo ad alzarsi.
Fissa la stanza vuota, mentre il baluginio di un sogno sfuocato gli ritorna alla mente.
Un volto che lo fissa nel buio della sua stanza.
Probabilmente l'eco dell' ennesimo strano incubo.
Non ci pensa Nathan, si stiracchia i muscoli atrofizzati preparandosi mentalmente ad un' altra stancante giornata.
"Forse dovrei davvero lasciare uno dei lavori che faccio.."
Quando spalanca la porta, stavolta, nessun profumo.
Il salone è avvolto dentro al più completo e totale silenzio, Michael, nella sua stanza, russa sonoramente.
"Proprio come se avesse fatto le ore piccole, la scorsa notte."
E il baluginare di quella strana ombra nella stanza appena illuminata lo colpisce con la forza di uno schiaffo.
E se davvero gli nascondesse qualcosa?


Infila gli anfibi e una maglia pesante, il suo giubbotto nero e la sciarpa di lana.
Non se la sente di buttarsi in doccia, né di fare colazione.
Un mal di testa pulsante lo assale, gli occhi che si aprono e chiudono a fatica.
Tutte le ore arretrate si fanno sentire con prepotente chiarezza.
"Tesoro, ti sforzi troppo." gli avrebbe detto sua madre.
Ma sua madre è sparita da un pezzo, scappata con un drogato quando lui era un ragazzino, e quelle frasi che spesso gli diceva probabilmente erano solo bugie ben recitate.
Anche lei come tutti quelli che conosce, ha colto l'occasione al volo quando si è trattato di liberarsi di lui.
L'idea gli fa nuovamente volgere lo sguardo verso la stanza di Michael, mentre imbocca la porta cercando di non pensarci.
É solo che si sente debole, è solo lo stress dato dal troppo lavoro, è solo la solitudine.
Non è nient' altro.



Non sa esattamente che cosa lo abbia spinto a farlo, ma lo ha fatto.
 Lo ha davvero fatto!!
L'idea gli provoca un'euforia provata poche volte prima.
Niente più lavoro fino alle tre, si è licenziato, licenziato!!
Non sa che cosa sia stato esattamente.
Forse la stanchezza data dall'aver concluso gli altri due lavori, forse lo stress, forse semplicemente il fatto che senta la testa bruciare e il corpo formicolare, perché di sicuro ha la febbre.
Quello, unito alle parole di Michael che gli dice "Lavori troppo", è riuscito a fargli prendere finalmente la decisione definitiva.
Essere a casa per cena, dormire per un tempo decente!
Non riesce a credere di averlo fatto.
 "Michi ne sarà davvero felice" Sorride, tra sé e sé.
Anche se in fondo al cuore di Nathan, un dubbio ha già germogliato, mietendo i suoi veleniferi semi.
La voglia di arrivare a casa prima del previsto e scoprire se finalmente i suoi sospetti hanno un fondamento è persino maggiore della felicità, tanto che arrivato alla porta di casa non rimane nulla della gioia provata prima.
Un sinistro presentimento, invece, lo costringe a restare impalato sull'atrio, le mani strette sulla maniglia, ora scivolosa.
Quel portone potrebbe dividerlo da ciò che sospetta e non è certo di voler scoprire la verità.
É una scena che ha già vissuto in passato, la prima ed ultima volta che ha visto sua madre.
Di ritorno da scuola, con lo stomaco chiuso lungo il tragitto da un tremendo presagio.
 Anche lì la scelta é stata semplice:  aprire o no la porta.
 Restare tra il "prima" e il "dopo".
 Ma Nathan, col cuore in gola, aveva aperto piano il portone cigolante.
É sempre stato un bambino curioso.
 Ed eccola lì, sua madre, fare in fretta le valigie per andarsene, per abbandonarlo, per non dover incontrare i suoi occhi.
Stavolta invece mentre apre la porta con gli occhi colmi di ricordi solo il corridoio buio gli restituisce lo sguardo.
Per un singolo meraviglioso istante il sollievo lo assale in modo quasi doloroso.
Poi arrivano i gemiti.
Gemiti femminili, non di piacere, di dolore.
-Zitta, troia.- La voce di Michael è rotta dal piacere, è stravolta dalla rabbia.
Un tono tremendo che Nathan non ha mai sentito prima e che lo immobilizza sul posto.
 Dopo un istante che pare infinito, la porta si spalanca rivelando il suo coinquilino vestito solo di un paio di boxer e Nathan è costretto a nascondersi nell'oscurità del corridoio, per sfuggire alla luce crudele.
Il ragazzo si dirige tranquillo verso il bagno mentre i lamenti femminili si fanno più acuti.
Neppure lo nota, perché Nathan non dovrebbe nemmeno essere lì.
Incredibile come la gente non veda ciò che non vuole vedere.
Ma lui vuole vedere, lui si arrischia ad avvicinarsi alla stanza illuminata, si arrischia a sbirciare dentro con il cuore in gola, con la testa che gli lancia stilettate dolorose, con la gola chiusa.
 E ciò che vede lo lascia sconvolto, se possibile, persino di più.
É una donna, una bellissima donna, dai tratti orientali.
 I capelli una cascata d'ebano che pare infinita, la pelle pare di porcellana viva, di un bianco latteo che rende il contrasto con il cremisi sul suo corpo ancor più tremendo.
Il corpo snello e voluttuoso è seminudo, coperto appena da una sorta di corto kimono, anch'esso macchiato rosso.
 Rosso sulle lenzuola, rosso persino sulle piccole labbra distorte in una smorfia di dolore.
 Nathan porta un pugno alla bocca, cercando di reprimere un violento singulto.
 La ragazza spalanca gli occhi trasalendo, se possibile pare ancora più in ansia.
Eppure, nonostante sia cosparsa di ferite, non riesce ad impedirsi di guardarla.
I tratti sono magnifici, perfetti, dolci ma al contempo pervasi di una sorta di severità che stona con i lineamenti esili e sortiscono su di lui un effetto inaspettato, tanto che la pressione al basso ventre si fa sentire immediata, facendolo vergonare.
-Vattene.- sussurra lei, in una voce musicale e strascicata che gli causa una stilettata al petto.
 -Se ti trova qui sarà la fine per entrambi!-
-..Sono.. Il suo coniquilino..- mormora lui, quasi per dare una spiegazione a sé stesso, più che a lei. -So benissimo chi sei.- sibila, incatenandolo con quegli occhi di onice.
"Le ha parlato di me?"
Solo in quell'istante si accorge che un polso della donna è bloccato alla spalliera del letto da una stretta corda di velluto.
 -Vattene via, torna stasera.- gli intima -Ti prego! Abbiamo poco tempo!-
A conferma del fatto, lo sciacquone tirato del bagno.
-Ma tu..- sussurra, senza sapere bene cosa fare.
 -Domani, alla stessa ora. Prometti.-
Rimane a fissarla, bloccato. Stordito dalla febbre e dalla situazione assurda.
Come è possibile che stia succedendo davvero??
 -Prometti!- La vocetta squillante della ragazza riesce a riscuoterlo, mentre quella deformata del coinquilino gli raggela le vene.
-Akemiii! Sto arrivando!-
É quel tono cantilenante che gli fa venire voglia di strapparsi le orecchie e il cuore.
É l'idea di Michael, nel suo sorriso dolce, della figura di studente modello e figlio amorevole.
 Sono le camicie stirate, e tutte le mattinate con i pancakes.
É questo che gli fotte il cervello. Questo.
-Lo prometto.- sibila, fissando la ragazza come uno spiraglio di luce nel baratro.
-Tornerò da te.-
Dopo si fionda fuori dalla stanza, gettandosi nel solito angolo in ombra.
Ed eccolo di nuovo passare, quella sorta di crudele alieno con le sembianze del suo amico.
Eccolo chiudere la porta. Ecco i gemiti strazianti ricominciare.
Strizza gli occhi fino a farsi male, per cancellare quelle dolorose immagini ormai impresse a sangue sulla retina.
 Dopo, con tutto il coraggio di cui è capace, scosta piano la porta, per richiudersela alle spalle.
 
 
Rientra venti minuti prima stavolta.
I nervi saldi e in testa una nuova risoluzione.
Tutto si può dire di Nathan, tranne che sia un codardo.
Non lo è stato mai.
Il silenzio lo avvolge mentre chiude il portone facendo rumore di proposito.
Stavolta, quando la sensazione di essere fissato nel buio si fa pressante, si volta con tranquillità.
Michael è lì, come al solito.
La stessa camicia bianca stirata di fresco, i soliti pantaloni eleganti, neppure un capello fuori posto.
A ben pensarci è assurdo come il ragazzo resti sempre ben vestito.
Persino a casa sua, quasi che fosse importante.
Quasi che le apparenze fossero importanti.
Sorride dolce, accendendo la luce.
-Sei tornato prima anche stasera.- mormora, e il suo ha un ché di sinistro sotto la luce ancora fioca della lampada.
"Bugiardo." una fitta dolorosa gli attraversa la testa.
In quell'istante l'immagine di sua madre che col suo miglior sorriso finto si volta verso di lui, le valigie strette tra le mani, senza aspettarsi di trovarselo di fronte, si sovrappone a quella dell'amico.
"Proprio come lei."
Ferito, distrutto, Nathan si rintana in camera con un gemito.
Forse la febbre è aumentata.
Forse vuole liberarsi di lui.
"Ti preparo i pancake, Nathan?"
La ragazza insanguinata, i suoi occhi color onice.
Il corpo niveo, perfetto.
"Domani alla stessa ora. Prometti."
Nathan fa appena in tempo a infilare la chiave nella toppa, per far scattare la serratura.
-Nathan? Tutto bene?-
La voce preoccupata del coinquilino é attutita ma assume tutto un altro significato alla luce dei fatti.
 -Sono solo stanco. Per favore..-  le palpebre che si fanno pesanti.
"Prometti!"
É quella voce acuta.
Gli perfora la testa, nonostante la febbre, nonostante il suo mondo sia caduto a pezzi.
-Prometto.- sussurra, tra i denti.
Dopo c'è solo il buio.



Il suono vibrante della sveglia spezza il silenzio.
A fatica, una palpebra dietro l'altra, Nathan apre gli occhi.
Con un gemito soffocato il ragazzo si alza in piedi, i capelli cremisi che ricadono voluttuosi sul volto contratto.
Il primo, confuso pensiero è: "Quando ho impostato la sveglia?"
Dopo, il profumo dolciastro dei pancakes.
Nathan apre la porta, accorgendosi con sorpresa che non pare chiusa a chiave.
"Ma cosa..?"
In cucina, Michael è di spalle, intento a chiudere i fornelli.
-Ben alzato!- sorride.
-Come ti senti?-
Nathan lo fissa, cercando nel suo volto un singolo elemento che possa farlo apparire poco sincero.
-Ho la testa pesante.- sussurra, stringendo appena gli occhi, feriti dalla luce.
-Dovresti prendere un antibiotico.- recita l'altro.
Poi gli porge un piatto, sorridendo.
-Fare una buona colazione ti farà stare meglio.-  sembrano tutte parole scadenti di un brutto copione.
Nathan annuisce, senza staccare gli occhi cerulei da quelli castani del ragazzo.
Eppure è bellissimo, perfetto.
Nathan lo ha sempre invidiato per quella sua aria imperturbabile e sempre distaccata, per la sua famiglia così unita, per la possibilità di avere un roseo futuro e il mondo ai suoi piedi.
Perché Michael dovrebbe condurre una doppia vita?
-Mangia tutto, mi raccomando!- lo incalza l'amico, trasmettendogli uno strano senso d'urgenza.
"Ti preparo i pancake?"

-Devo andare...- sibila, alzandosi tanto repentinamente da ribaltare la sedia.
L’altro gli appunta lo sguardo addosso, occhi che paiono spilli, quasi volesse leggergli nel pensiero.
-Sono in ritardo Michi, scusa..-
Sforza un sorriso che è più simile ad una smorfia mentre l'occhiata che gli restituisce il ragazzo è indecifrabile.
Afferra in fretta il cambio d'abiti, spogliandosi con urgenza, la sensazione bruciante di pericolo che pizzica la pelle.
Quando finalmente esce all'aria aperta respirando a pieni polmoni, il vento freddo sulle guance bollenti lo riscuote con doloroso sollievo.
"Mangia tutto, mi raccomando!"
Nathan si piega infilando due dita in gola e gli pare che sia la sua vita intera a riversarsi sull'asfalto.
Se solo potesse farlo anche lui..
Eppure, deve andare al lavoro.
Non può permettersi di restare anche senza un soldo.
Con la gola che brucia e gli occhi che pizzicano, continua il suo cammino.
La sola cosa che riesce a calmarlo un poco, a donargli la forza per resistere un po, é la ragazza dal corpo latteo.
La ragazza dai capelli d'ebano.
La ragazza che può donargli risposte.


Michael distoglie lo sguardo dalla finestra, laddove si specchia sul ciglio della strada sottostante.
L'immagine di Nathan piegato sul marciapiede lo perseguita, impressa a fuoco nella testa.
Piegato sul tavolo della cucina, in solitudine, si concede una misera lacrima.
 
 
 
Rientra un'ora prima stavolta, distrutto ma anche determinato.
Lui è sempre stato così, sempre.
Dopotutto, come avrebbe potuto sopravvivere altrimenti?
Anche quando tutto va in pezzi, Nathan morde e colpisce come un cane ferito.
Per lui questa è la sola vita possibile, la sola che conosca. É sopravvivenza.
L'appartamento è gelido e buio, tanto da consentirgli di confondersi con le ombre.
Nessuna voce stavolta, nessun gemito, solo la fioca luce della stanza di Michael.
E a ben sentire, un lieve pianto.
Si avvicina piano, le orecchie tese, i nervi allo spasmo, controllando prima il bagno, poi la cucina. Nessuno.
Infine, con la gola contratta raggiunge la stanza, accostando un orecchio alla porta.
Di voci maschili neppure l'ombra, solo lievi singulti.
Dolci, quasi musicali.
La stretta al cuore gli arriva repentina, così come la voglia di rivedere lei.
Non ha pensato ad altro in effetti se non a rivederla.
Alla morbidezza di quella pelle, alla dolcezza di quelle labbra.
Apre la porta con foga, dimentico della prudenza, come è sempre stato tipico di lui.
Ed eccola, stavolta con indosso un kimono nero, il bel volto nascosto tra le dita affusolate, i capelli liscissimi raccolti in una coda alta, costellazioni di lividi ad incrinare l'incanto di quel corpo androgino.
La scuote appena, stregato, finché finalmente lei non gli rivela il volto.
Tumefatto, le labbra spaccate, un occhio pesto, le guance rigate di lacrime.
Non ci sono parole, non esistono parole, semplicemente la stringe, la culla.
-Se mi muovo da qui.. ha detto che mi ucciderà..- singhiozza, con quella sua adorabile voce flautata.
E tutti i dubbi svaniscono.
D'improvviso, il corpo stretto a quello della fragile ragazza, non sembra più così assurdo credere che Michael abbia una doppia vita.
-Akemi..- le sussurra, ricordando il nome cantilenato dall'amico.
-Come sei arrivata qui?-
L'occhio sano lo fissa, colmo di vergogna.
-Ero ancora una bambina. Pensavo di andare a stare meglio, e invece..-
-Prostituzione?- sussurra, e lei annuisce piano.
Quel corpo tanto bello, costretto a subire indicibili cose.
-Mi avevano promesso una nuova vita.. E invece sono stata venduta.-
Le carezza la testa, piano, incapace di risponderle.
-E Michael? Come lo hai conosciuto?-
Lei alza le spalle, scossa da un fremito.
-É ricco, é annoiato.. Fa cose che.. Nessuno immaginerebbe mai.-
Nathan si blocca un attimo, sovrappensiero.
-Non hai mai notato nulla di strano? I suoi occhi, quel sorriso? Sempre così perfetto.. Come se.. Nascondesse qualcosa..?-
Gli sussurra lei all'orecchio, é proprio come se i timori che si celano in fondo al suo cuore avessero trovato una voce propria.
Tutti quei pensieri, repressi a forza nel fondo del cuore, degnati di poco peso, si stanno rivelando reali, concreti.
-Devi stare attento.- lo mette in guardia. -Lui sa che tu sospetti. Se capisce, ti ucciderà.-
La nausea lo colpisce forte alla bocca dello stomaco, segno del malessere che da un po lo perseguita.
-E se lo avesse già capito?- sussurra, a sé stesso. -Devi andartene di qui.- decide poi, rivolto a lei.
Ma Akemi gli regala un sorriso triste, gli occhi dolci imperlati di lacrime.
É di una tale, struggente bellezza che guardarla fa male.
-Lui ha soldi e conoscenze adatti per ritrovarmi e per finirmi senza lasciare tracce.- mormora.
 -Tu non sai di cosa è capace. Chi sono io di fronte a lui? Chi sei tu?-
 Annuisce, Nathan. Ancora una volta, le riflessioni della ragazza sono perfettamente speculari alle sue.
 -Ora devi andartene.- Gli sussurra, carezzandogli una guancia con quelle sue piccole dita fredde. Una sensazione che per un attimo gli reca sollievo.
 -Lui tornerà tra poco.-
-Dove è andato?- gli tremano le labbra.
 -A prendere i...- non termina la frase ma Nathan non è un ingenuo. Ne ha vissute troppe per essere ingenuo.
Un senso di impotenza mista a desiderio si impossessa di lui.
Gli occhi corrono bramosi verso il corpo seminudo di Akemi e lui non è capace di fermarli.
Quella ragazza gli ha fottuto corpo e mente, con i suoi tratti così perfetti, con i trascorsi e i pensieri che lui trova così maledettamente simili ai suoi.
"Perché lui deve avere sempre tutto?"
É una domanda che è sempre rimasta lì, latente, in un angolino buio della sua testa, in attesa di trovare voce.
"Perché lui ha tutto e io niente?"
Le labbra schiuse di Akemi, anche se sporcate da un rivolo di sangue, sono troppo invitanti.
Si trova a baciarle, a scoprirle più morbide di quanto avesse osato immaginare, il sangue gli va alla testa e il respiro aumenta quasi si fosse fatto dritto in vena.
Akemi ricambia con dolcezza, gli sfiora le labbra con la piccola lingua, sorride contro il suo viso.
 E il pensiero di lasciarla lì, a farsi fottere da un altro, lo spinge a stringerla con foga contro di sé, senza volerla lasciare andare.
 -Vai.-
È lei a interrompere l'incanto, gli occhi mortalmente seri.
 -Lui non mi lascerà mai in pace.-
 Le dita di Nathan sfiorano tremanti l'ematoma sull'occhio, si poggiano su un tatuaggio cremisi in idioma che pare giapponese, impresso sulla nivea spalla di lei.
-É solo un marchio.- mormora. -Come quello di qualsiasi altra schiava..-
Con il cuore stretto in una gelida morsa, Nathan si alza da quel letto dissacrato.
 -Prega per lui, che non ti tocchi ancora. O giuro che lo ammazzo.- sibila, gelido.
 
 Akemi sorride, distendendo le piccole labbra rosse.
 -Allora,- sussurra -Io non pregherò.-
 
 
 
La sveglia suona, l’ ennesima dolorosa volta.
Nathan si sveglia pronto stavolta, quasi non attendesse altro.
L'espressione soddisfatta di Michael la sera prima una volta tornato a casa per la notte, é sufficiente a farlo scattare sul letto, determinato.
"Stronzo infame."
É rimasto a guardarlo come nulla fosse, l' amico, chiedendogli persino come andasse la salute. Nathan non è però riuscito a celare il suo disprezzo, si è limitato a rinchiudersi dietro un muro di mutismo e indifferenza, per poi infilarsi in camera sua.
Akemi e le sue morbide labbra continuano a tormentarlo.
 Il viola sulla pelle candida, il rosso sul bianco del suo corpo.
 Insopportabile. Intollerabile.
Di colpo, ogni cosa assume il suo posto, come un insano puzzle dove ogni pezzo, una volta composto, forma una figura.
 "Sei tornato presto."
 "Mangia tutto, ne va della tua salute."

 Sorrisi sinistri nel buio.
 Porta chiusa, ritrovata aperta.
 La sensazione di essere fissato, nella notte.
"Ero venuto solo a prendere un bicchiere d'acqua."
Da quanto lo osservava? Da quanto lo studiava? Quando aveva iniziato a fingersi suo amico? Probabilmente, un segreto come il suo, nell' élite in cui si trovava Michael ma anche i suoi genitori, avrebbe potuto distruggere la sua immagine, compromettere le sue amicizie e il suo futuro.
 Ad un certo punto, il coinquilino sfigato era diventato un peso, un problema.
Meglio toglierlo di mezzo, piuttosto che correre il rischio di venire scoperto.
E Akemi? Quanto ancora sarebbe sopravvissuta, a tutte quelle percosse?
 Apre la porta, Nathan.
Nessun odore di pancake.
Michael se ne sta seduto composto in cucina sorseggiando un caffè, gli occhi si appuntano su di lui gelidi, fissi.
"Niente più maschere."
Non lo saluta, non gli sorride. Si limita semplicemente a fissarlo.
-Nathan, dobbiamo parlare.- sibila gelido ma Nathan lo ferma, deve prendere tempo, deve arrivare almeno fino alla sera, non è certo di riuscire a mentire in faccia a quello che è stato il suo migliore amico nonostante tutto e non vuole correre il rischio di rivelare di Akemi.
-Stasera.- mormora, con un sorriso tirato. -Mi racconti tutto stasera.-
Poi raccoglie la sacca da lavoro, allaccia in fretta le scarpe e spalanca il portone, incapace persino di guardarlo.
-Stasera potrebbe essere tardi.- sibila Michael, prima che la porta si chiuda.
 E quelle parole lo perseguitano tutto il giorno.
 
 
Le nove di sera. Questa volta, Nathan è tornato molto prima.
Non gli importa se Michael scoprirà che ha lasciato il suo terzo lavoro, non importa più di nulla. Deve vedere Akemi, devono andarsene.. anche a costo di scoprire il ragazzo sul fatto, anche a costo di affrontarlo, non importa dove, non importa come.
 Quelle parole gli vibrano in testa come una maledizione.
 "Potrebbe essere tardi."
 Tardi. TARDI.
Stavolta l'appartamento è illuminato e Michael se ne sta lì, al centro dello stanzone, a trascinare un sacco nero.
 Si volta a fissarlo, sorridente.
Un sorriso che gli pare disgustoso, sinistro.
-Che ci fai già qui?- gli chiede, senza smettere di sorridere.
Ma Nathan si avvicina a lui, incurante, un presagio raccapricciante gli attraversa i pensieri.
Quanto è alta Akemi? Abbastanza minuta, a ben pensarci.
 Abbastanza minuta da entrare in un sacco.
-Che stai facendo?- ringhia, sbattendo il ragazzo violentemente contro il muro.
 Michael lo guarda sbigottito, gli occhi che si fanno grandi di stupore mentre lascia cadere l'enorme sacco.
"Potrebbe essere tardi."
Quando Nathan si volta, furioso, le sue più grandi paure hanno preso forma proprio sotto i suoi occhi: un braccio sottile, niveo, penzola immobile dal sacco nero.
-Che cosa hai fatto!!- urla stavolta, il volto trasfigurato dalla rabbia, da una sorta di lucida follia.
-Buttavo la spazzatura.- risponde l'altro, sorridendo. -Ma che ti prende?-
Nathan si lancia verso il sacco, aprendolo incurante delle conseguenze.
 E lei è lì, bellissima, nuda, il respiro debolissimo, gli occhi socchiusi.
 -Uccidilo.- sussurra. -Uccidilo. Uccidilo. Uccidilo.-
E quelle parole solo legge, sono profezia. Sono tatuaggi nel suo cervello.
Sfila il lungo coltello da cucina Nathan, quello con cui tante volte ha tagliato le montagne di pancake.
-Ma cosa..?-
Non fa nemmeno in tempo a finire la frase, che Nathan colpisce con forza.
Una volta, due, cinque, dieci, venti.
Il rosso prende veloce il dominio della stanza, nella testa di Nathan una sola voce.
-UCCIDILO.-
Una voce che da prima è quella candida di Akemi ma che aumenta di intensità fino a sdoppiarsi, impedendogli di riconoscere il timbro, snaturandosi in un urlo disumano.
Dopo, lo accoglie semplicemente il nero.
 
 
 
La scrivania è di legno pesante, scuro. Fredda, asettica.
 Esattamente come quell'uomo dagli occhi penetranti che lo fissa seduto di fronte a lui, il poliziotto.
C'é un altro uomo, leggermente in disparte di fronte a loro, la fronte pelata imperlata di sudore, un paio di occhialetti sul naso aquilino. Si limita a scrivere con la sua BIC su un quadernetto, con un suono affilato che lo disturba, non interviene.
-Raccontami di nuovo di questa ragazza, Akemi.- lo incalza. Persino la sua voce è affilata.
 -Ve l'ho già detto..- mormora Nathan, esausto. -Lui la torturava, la violentava! L'ha infilata dentro al sacco..-
-Il sacco della spazzatura?- un guizzo improvviso sembra animare gli occhi di ghiaccio dell'Uomo.
 -Sì, il sacco nero. Controllate. Di sicuro sarà..-
Non riesce a concludere la frase, un doloroso nodo alla gola gli impedisce di parlare.
 -Nella spazzatura.. - ripete lentamente il poliziotto -C'era spazzatura. Nient'altro.-
Glielo recita lentamente, scandendo bene le parole come si fa con un bambino.
 -Non sono state trovate tracce di veleno né nel tuo corpo, né nei residui di pancake.-
-Vi dico che c'erano!- insiste lui, sbattendo le mani contro il legno scuro.
-Né della ragazza. Le coperte erano immacolate, nessun residuo di sangue, il nulla assoluto.- Continua lui, come se non l'avesse neppure sentito.
 -Come lo spieghi questo?-
 -Mi stanno incastrando..- sussurra il ragazzo, sconvolto.
 -Vogliono incastrarmi!-
É impossibile. C'era tutto, lui lo sa.
 "E se Akemi mi avesse ingannato?"
-E le sue parole, allora? Quel fissarmi al buio, i sorrisi, il "segreto" che diceva di volermi rivelare?-
-Il segreto..- sospira il poliziotto -.. Il ragazzo, era omosessuale.-
-CHE COSA?- Nathan sgrana gli occhi, stralunato.
 Le immagini di Akemi coperta di lividi che gli si stampano addosso come brutte fotocopie.
-E la ragazza allora?-
-NON C'È NESSUNA RAGAZZA!- stavolta è l'altro a sbattere i pugni sul tavolo, fissandolo spietato.
 -NON LO CAPISCI? Questo spiega gli sguardi, le amorevoli cure, le frasi non dette! Il ragazzo provava sentimenti verso di te!-
 Nathan scuote la testa, disperato. Non può, non vuole sentire.
-Lui mi ha tradito.. - sussurra.
-Abbiamo la testimonianza della sorella, il ragazzo era omosessuale.-
 -QUELLA MI ODIA, COME I SUOI GENITORI!-
 Non è la verità. Non può essere vero. Non può davvero aver frainteso ogni cosa.
C'è un malinteso, un terribile, terribile malinteso.
Poi, l'Uomo caccia fuori un piccolo quaderno sgualcito.
-"Oggi, Nate sembrava più strano del solito. Gli ho preparato la colazione, che lui tanto ama, ma non ha quasi toccato cibo. L'ho visto sputare tutto sul marciapiede, appena uscito.
Lui sa, me lo sento. Mi odia. Non vuole saperne di me. Non esiste la minima possibilità che ricambi ciò che provo io.
Eppure ci devo provare, almeno una volta. Devo dirgli la verità. Devo raccontargli tutto.
Anche a costo di perderlo per sempre."-

Nathan tace, ammutolito.
-Era il suo diario.- Chiarisce, come se non fosse già ovvio.
-Questo racconta solo uno dei tanti giorni in cui il ragazzo si strugge per te. La sera in cui lo hai ucciso.. Lui intendeva confessarti tutto.-
 I singhiozzi, inattesi, contraggono il corpo di Nathan come piccole scosse.
Il ragazzo non parla, non guarda nessuno, non dice più nulla.
 -É per la paura di essere lasciato, non è così ?- La voce continua a parlare e parlare, cullandolo limpida verso la verità.
-Come con Martha. Tua madre. Trovata morta nel fiume accanto a casa dopo aver fatto le valigie per scappare. Per scappare da TE. Diedero la colpa a quel tossico con cui aveva una relazione, ma non fu lui ad ucciderla, dico bene?-
Sua madre, il suo sorriso finto mentre lui apriva piano la porta, per scoprirla con cappotto e valigie alla mano.
 -Voleva lasciarti, voleva abbandonarti anche lei. –
Sorrideva, sì. Ma gli occhi erano terrorizzati.
 -Ma tu non tolleri il tradimento. Non è vero, Nathan?-
"Non farai del male a tua mamma, non è vero Nathan?"
-E così l'hai uccisa.-
Sorride stavolta, Nathan. Un sorriso mesto, teso.
 Era pesante sua madre, più del previsto. Lo aveva fatto inciampare più volte, mentre trascinava il suo corpo nel fiume.
 -Lei lo sapeva, che eri un ragazzino disturbato, non è così?-
-Lei mi aveva abbandonato.- sussurra, giocherellando con una ciocca cremisi.
 E il rumore insopportabile della penna sulla carta ricomincia.
-Anche Michael. Anche Michael, mi avrebbe abbandonato.-
 -Personalità borderline, bipolarità.- sentenzia l'uomo con gli occhiali, chiudendo la penna.
 E dietro di lui, eccola.
Akemi.
 Non c’è più nessuna traccia di lividi su quel corpo perfetto. Nemmeno un capello fuori posto.
E gli torna in mente quel suo tono macabro, innaturale.
 "uccidilo."
 Gli regala un sorriso sinistro, il viso pare quasi deformarsi una smorfia di pura perfidia.
Gli uomini intanto si sono alzati, lasciando la stanza in silenzio.
Lasciandolo solo.
É in quel momento che Nathan ricomincia a piangere.
-Sta tranquillo.- sibila lei, con una voce metallica, demoniaca.
 -Da oggi in poi non sarai più solo.- Il sorriso si spalanca anche di più, mostrando una chiostra di denti aguzzi, imbrattati di sangue.
 -Staremo insieme per sempre.-




° L'angolo del Rum° (Chiamarlo del the era troppo scontato)

Parto dicendo che questa storia è nata dai miei deliri notturni e da un eccesso di telefilm thriller e psico-horror, quindi chiedo scusa in aticipo per il delirio xD
LA STORIA PARTECIPA AL CONTEST "Malia: il canto delle sirene" indetto da Yuko Chan nel Forum di EFP!
Che dire, volevo cimentarmi in qualcosa di nuovo, di "dettato" per così dire, e spero almeno in parte di avervi trascinato con questa storia, tendo sempre a lasciare molto margine ai miei personaggi di carta, tanto che alla fine della storia mi paiono nonostante tutto anche un po reali.. 
Ogni commento come sempre è ben apprezzato, anche solo per dirmi che la storia fa pena, ma mi piace confrontarmi con voi e sentire le vostre opinioni in merito! 
Curiosità: Akemi in giapponese significa qualcosa come "sfolgorante bellezza", ho pensato ci stesse bene!
Bacioni e alla prossima!!! 

 
  
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