Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
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Autore: WillofD_04    17/01/2016    13 recensioni
Cosa fareste voi se vi ritrovaste all'improvviso in casa sei personaggi del vostro manga/anime preferito? E se a complicare le cose ci fosse il fatto che siete gli unici che riescono a vederli? Cosa sarà successo? E soprattutto come faranno a tornare nel loro universo? Ce la farà la nostra eroina a farli tornare a casa?
DAL TESTO:
«Credo proprio che tu ci debba delle spiegazioni.» due occhi di ghiaccio mi trafissero, seri.
Deglutii un paio di volte anche se c’era ben poco da deglutire, visto che la mia bocca aveva smesso di produrre saliva da un bel po’. Vedendo che non proferivo parola, il mio interlocutore intensificò lo sguardo già abbastanza terrificante e fece un passo verso di me.
«Oh cazzo…non è possibile» dissi. E per qualche ragione che tuttora non comprendo, cominciai a ridere, irritandolo ancora di più. «Io pensavo che oggi uscisse il capitolo…» fu tutto ciò che riuscii a pronunciare
Genere: Comico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Marco, Monkey D. Rufy, Mugiwara, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Cami? Cami svegliati»
Emisi un verso che si poteva considerare quasi un mugolio. Aprii gli occhi lentamente e guardai la figura che mi stava chiamando.
«Sono le nove» mi disse apprensivamente Marco. Annuii, mi stiracchiai e mi misi seduta sul bordo del letto. La mattina ci mettevo sempre un po’ a carburare.
A poco a poco mi ritornarono in mente tutti i ricordi della sera precedente e mi intristii un po’. Purtroppo questa volta non era stato un sogno. La stella era apparsa davvero e io non avevo potuto farci niente. Loro se ne sarebbero andati la sera stessa. Però tutta la mia malinconia era scivolata via quando la fenice mi aveva caricato sulle spalle e avevamo spiccato il volo. Era stato liberatorio e ne avevo un gran bisogno in quel momento. Avevo persino gridato nel cielo della notte. E il biondo aveva preso per buone le mie parole, aveva davvero volato fino al mattino, senza dare a vedere nessun segno di fatica. Ciò aveva confermato ancora di più la mia tesi che lo vedeva come un portento. Tutti loro erano portenti. Quando erano cominciati i primi bagliori dell’alba eravamo tornati ed avevamo trovato Law e Sanji che dormivano ognuno su un divano, Usop e Rufy che dormivano vicini sul tappeto della sala, adagiati su qualche cuscino che avevano scalciato via e per finire Zoro sul mio letto. Con l’aiuto di Marco avevamo spostato il verde da una parte e io mi ero ritrovata schiacciata tra lo spadaccino e l’ex comandante di Barbabianca. Tuttavia ero davvero molto stanca e mi ero addormentata quasi subito.
Mezz’ora dopo essere stata svegliata, eravamo quasi tutti in cammino – ognuno con il rispettivo materasso appresso – verso il negozio di mio zio. Io non avevo niente in mano, ma facevo il doppio della fatica per cercare di stare dietro a tutti e mantenere il contatto con loro. Non poteva andarmi peggio, dato che il materasso di Usop lo trasportava Zoro e di conseguenza mi ritrovavo a fare da balia a cappello di paglia che se ne andava per i cavoli suoi in esplorazione di vie che io non avevo mai visto prima e allo spadaccino e al cuoco che litigavano ogni due per tre per scemenze di proporzioni epiche. Alla fine riconsegnammo i materassi a mio zio e nonostante le sue occhiate inquisitorie verso i miei amici – soprattutto perché erano diversi da quelli dell’altra volta – andò tutto liscio. Anche il resto della giornata andò liscia. Troppo, forse. Ero troppo angosciata per poterla davvero trascorrere in leggerezza o per poter provare qualsiasi altra emozione. Dopo aver sgomberato tutto l’appartamento – e per la cronaca avevamo fatto un lavoro impeccabile, che aveva richiesto cinque ore di affaccendamento – e una doccia collettiva o meglio, io l’avevo fatta a casa mia, loro per l’ultima volta in quell’appartamento, avevo deciso che le ultime ore che trascorrevano in questo mondo le avrebbero trascorse all’aperto. Per questo li avevo portati al parco. Detto così sembra stupido, ma era il compromesso giusto per tutti. Il capitano dei mugiwara si divertiva come non mai insieme al cecchino, Traffy se ne stava da una parte all’ombra, lo spadaccino si allenava e io, Marco e il cuoco eravamo su un tavolo da pic nic a chiacchierare del più e del meno.
«Ehi, cos’hai?» mi chiese Rufy che si era appena lanciato giù dalla torre di uno scivolo «ti vedo triste»
«No, è solo che mi dispiace che ve ne andate» cercai di sorridere
«Dispiace anche a me! Ma io devo diventare il re dei pirati e non posso farlo se sto qui!»
Risi. «Hai perfettamente ragione, sono sicura che ce la farai! Io farò il tifo per te da qui»
«Perché non vieni con noi?» domandò il moro innocentemente, ma con l’aria di chi ha appena avuto un’idea geniale
«Si! Ci serve un’altra bella donzella in ciurma!» lo supportò Sanji
«Siete molto gentili ragazzi, ma non posso venire con voi, io devo restare qui. E poi ormai ho già espresso il desiderio quindi sarebbe tutto inutile»
«Oh» fecero in coro, delusi
«Io starò qui e vivrò la mia vita, come avrei sempre dovuto fare» affermai più a me stessa che ai pirati
«Ben detto» disse Marco.
La sera arrivò più veloce di quanto pensassi e in un attimo mi ritrovai a ripensare a tutte le avventure che avevamo vissuto in quel mese meraviglioso. Certo, non eravamo andati all’arrembaggio di nessun galeone, non avevamo combattuto qualche opprimente tiranno di una qualche nazione sperduta, non avevamo esplorato territori inesplorati e non avevamo affondato a colpi di cannonate nessuna nave della marina. Ma per me e per loro anche semplicemente riconsegnare dei materassi era un’avventura. Ripercorsi a ritroso tutti i momenti di quell’esperienza come se fosse una clip di qualche reality, a rallentatore e con il sottofondo musicale. Mi ricordai dei film, il twister, la torta, la febbre, l’incubo, le bollette, il volo sulla schiena della fenice, gli shambles di Law, la ringhiera rotta, la piscina gonfiabile, Zoro che mi usava come bilanciere, le interminabili ore di ricerche con il chirurgo, le notti passate ad osservare le stelle, i broccoli, l’appartamento, l’epistassi di Sanji, i disastri di Rufy, i giorni passati a fare la guida turistica e tutte le altre cose che c’erano state fino al momento in cui me li ero ritrovati davanti. E sorrisi, sorrisi perché ero contenta. Per una volta ero davvero contenta, di quello che avevo vissuto, di quello che avevo e soprattutto di quello che ero. In fondo, ero io il mio terzo desiderio! Non avevo bisogno di tante persone intorno, avevo bisogno di una persona sola per stare bene. Me stessa. E questo non significava che stavo meglio da sola, tutti abbiamo bisogno di amici con cui condividere le nostre esperienze più belle e più brutte. Significava semplicemente che dovevo amarmi, con i miei pregi e difetti. Perché solo così avrei potuto lasciare che anche gli altri mi amassero. E perché alla fine per quanto possiamo fare affidamento negli altri, dobbiamo prima di tutto credere in noi stessi. Proprio come faceva il futuro re dei pirati e tutta la sua ciurma. Aveva estrema fiducia nei suoi compagni perché aveva fiducia in se stesso e nelle sue potenzialità. E anche quando la battaglia si prospettava ardua, in qualche modo riusciva sempre a vincere. Mia nonna diceva sempre che la fiducia e la convinzione sono le forze più potenti sulla terra dopo l’amore e non avevo mai capito perché mi dicesse cose del genere, ma ora so che aveva pienamente ragione.
«Che stai facendo? Vieni con noi di là, festeggiamo!» la voce di cappello di paglia mi riscosse dai pensieri. Mi alzai e lo seguii in sala. Fino a quel momento mi ero rintanata nella camera del chirurgo e dello spadaccino perché dovevo raccogliere i pensieri e fare una cosa molto importante per me. Ma adesso ero pronta a lasciarmi la tristezza alle spalle e a scatenarmi in pista! Passarono secondi, minuti, ore, che importava? Eravamo così felici. Sanji mi faceva girare come una trottola, Rufy era fuori tempo oltre ogni immaginazione, Usop continuava a girare per tutta la stanza facendo mosse assurde e Zoro era impacciato e imbarazzato.
«Avanti spadaccino, mostrami il tuo lato selvaggio!» lo provocai dopo che mi fui avvicinata
«Queste cose non fanno per me» si guardò in giro quasi disgustato
«Coraggio!» gli diedi un colpo d’anca inaspettato che dopo un primo momento di sgomento, lasciò sul suo volto un ghigno maligno. Prima che me ne accorgessi mi ritrovai sulla sua spalla a sacco di patate e in due secondi netti fummo al centro della “pista”. Mi mise giù e davanti a me cominciò a muoversi disordinatamente. Era davvero uno spettacolo impagabile. Dopo un po’ andai vicino al cecchino.
«Hai avuto un’ottima idea a rubare la radio»
«Cosa?»
«Hai avuto un’ottima idea a rubare la radio!» gli urlai per sovrastare il suono della musica. Lui in tutta risposta fece una faccia fiera, accompagnata da una posa altrettanto fiera e cominciò a dire «Non per niente son...»
Nemmeno a farlo apposta, la radio esplose, letteralmente. Ci fu un boato e io mi strinsi al nasone, che coraggiosamente si era messo dietro di me, riparandosi.
«La radio è esplosa...» fece Marco in un misto di stupore e divertimento
«Ah...chi se ne frega continuiamo senza musica!» gridò Rufy e noi non potemmo che dargli ragione. Continuammo a ballare senza musica, finché il mio telefono non suonò. Fu un colpo al cuore a dire la verità, ma cercai di mantenere la calma e soprattutto l’allegria che avevo avuto fino a quel momento. Erano le già le dieci. Avevo messo la sveglia come promemoria, visto che prevedevo già che il tempo sarebbe scivolato via senza che ce ne accorgessimo. Ci eravamo persino dimenticati di cenare, e questo voleva dire!
«Ci siamo ragazzi, dobbiamo andare»
«Cosa? È già ora?» fece deluso il capitano dei mugiwara.
Feci uscire tutti prima di guardare per l’ultima volta quell’appartamento. Era così vuoto e silenzioso senza i pirati dentro. Sembrava triste anche lui di doversi separare dai suoi inquilini.
«Non temere» sussurrai al suo interno «non rimarrai vuoto a lungo, tra qualche anno verrò a vivere qui. In memoria dei vecchi tempi» sorrisi per l’ultimissima volta prima di chiudere per sempre quella porta. E se non per sempre, se non altro per qualche anno o finché mio padre non avesse deciso di andare a controllare che l’appartamento fosse deserto. E purtroppo o per fortuna, dipende dai punti di vista, lo sarebbe stato. Desolato e triste.
«Ciao appartamento, ci mancherai!» salutarono insieme i ragazzi. Chiusi la porta, nascondendo agli altri un’espressione quasi dolorosa e una volta che mi fui imposta di contenermi, ci incamminammo verso casa mia, premurandoci di sbarazzarci della radio rotta. Pensare che mancava un’ora alla loro sparizione faceva male. Ero consapevole di essere egoista, ma che potevo farci? In fondo non ero sicura che le cose sarebbero cambiate, magari sarei ritornata a sentirmi come prima. E io non volevo assolutamente tornare a sentirmi come prima. Ma non lo sapevo e non sapere mi rendeva inquieta e nervosa. Di certo non ero più la Camilla di una volta, ma ero pronta a lasciarli andare? Non aveva più importanza ormai. Se ne sarebbero andati comunque ed in fondo era un bene, perché io dovevo imparare a contare solo sulle mie forze per essere felice. Perché potevo farlo. Io potevo essere felice. Io volevo essere felice. Io dovevo essere felice. Io meritavo di essere felice.
L’ultima ora insieme la trascorremmo guardando un pezzo di un film che davano in tv. Uno dei film più belli mai realizzati tra l’altro, “Titanic”. Ma non riuscii a godermelo appieno. Nel momento in cui Jack chiede a Rose “Dove la porto, signorina?” e lei gli risponde “Su una stella”, io e Marco ci guardammo e sorridemmo, complici e consapevoli che noi ci eravamo quasi stati davvero su una stella.
«Per me, il pezzo più bello è stato quando Jick urla “sono il re del mondo”» commentò cappello di paglia «il resto è stato noiosissimo, è troppo sdolcinato»
«Vuoi dire Jack» lo corresse il cecchino
«Questo film è quanto di più  noioso possa esistere, per fortuna non lo vedremo tutto» fece Law
«Ah già...» disse Rufy dispiaciuto «come finisce?» volle sapere
Guardai storto il medico dei miei stivali che doveva rovinare sempre l’atmosfera. «Ti piacerebbe Traffy, c’è un naufragio e alla fine muoiono tutti tranne la protagonista»
«Non ha importanza, perché tanto dobbiamo andare» annunciò il chirurgo.
Mi si strinse la gola e il mio cuore perse un battito. Sentivo già le lacrime che premevano per uscire.
«Sono le ventidue e cinquantotto, il desiderio lo hai espresso alle undici e tre, direi che dobbiamo muoverci» il dottore dagli occhi grigi era sempre preciso come un orologio. Mi alzai a fatica, le gambe deboli dal malessere.
«Svegliati, idiota di un marimo» il cuoco tirò un cuscino allo spadaccino e nonostante la situazione, risi. E decisi che era così che volevo ricordarmeli, pasticcioni, confusionari, allegri e gioiosi. In fondo era quello che erano e quello che avevano  portato nella mia vita. Sanji – dopo aver concluso una battle di insulti con lo spadaccino – fece per raccogliere il cuscino, ma io lo fermai. Volevo che rimanesse lì in terra, per avere qualcosa da fissare una volta che se ne fossero andati. Quello sarebbe stato l’ultimo ricordo tangibile della loro presenza qui, che mi avrebbe rammentato che tutto quello che era stato, era stato reale. Che non me l’ero immaginato o sognato.
Prima di arrivare in balcone, presi dalla scrivania una busta per lettere e la consegnai allo chef.
«La do a te perché di quelli della tua ciurma mi sembri il più affidabile» aspettai che si riprendesse dopo il complimento «apritela e leggetela solo quando sarete tornati nel vostro mondo. Mi raccomando.»
«Non ti preoccupare Cami-chan, puoi contare su di me».
Raggiungemmo gli altri fuori, dove mi premurai di lasciare loro gli ultimi consigli, come una mamma.
«Marco, grazie di tutto. Ti voglio bene. Abbi cura di te e guardati le spalle, qualcuno potrebbe venire a cercarti» sussurrai l’ultima parte mentre gli stringevo le spalle con le mani.
«Traffy, o forse in quest’occasione è più appropriato che ti chiami Law» sospirai «so che non sta a me dirlo e probabilmente nemmeno vorresti sentirtelo dire, ma sei libero. Ora sei libero. Goditi la tua libertà e vivi la tua vita. Grazie per aver sopportato tutto questo»
Mi aspettavo come minimo un’occhiataccia, invece pronunciò delle parole che mi lasciarono a bocca aperta «Tutto sommato non mi è dispiaciuto stare qui» ghignò «dovresti vivere la tua vita anche tu». Annuii. Aveva ragione.
«Che dire ragazzi? Grazie di tutto, davvero. Io continuerò a seguirvi e a credere in voi, sempre. Vi prego, non scordatevi di me» a queste parole la mia voce tremò profondamente e mi ci volle tutta la mia forza di volontà per non scoppiare a piangere.
«Non temere Cami, non lo faremo» Rufy mi sorrise e il nodo che avevo in gola mi si sciolse quasi del tutto. All’improvviso, qualcosa si posò sulla nostra pelle. Guardammo tutti in alto e ci perdemmo in un’esclamazione di meraviglia. Della polvere dorata stava scendendo dal cielo su di noi.
«La famosa polverina di cui parlava l’articolo» commentò Law.
«Che ne dite di stringerci in un ultimo abbraccio di gruppo prima che svaniate?» proposi io e tutti accettarono di buon grado, tranne Traffy che se ne stava da una parte a braccia incrociate, come suo solito. Ora eravamo avvinghiati l’uno all’altro, coperti di “polvere di fata” e io avevo la vista appannata a causa degli occhi pieni di lacrime, che aspettavano di uscire ma che avrei pianto solo quando fossero andati via. Volevo godermi ogni istante. Deglutii.
«Addio ragazzi» fu l’ultima cosa che riuscii a dire loro, prima che mi scomparissero da davanti agli occhi.
Feci un lungo sospiro e chiusi gli occhi. Non mi sarei arresa alle lacrime. Non mi sarei arresa di nuovo alla tristezza. Inspirai, inalando il loro profumo che aleggiava ancora nell’aria. Ognuno di loro aveva un odore diverso, non mi ci ero nemmeno mai soffermata a pensare a una cosa simile. Tuttavia mi imposi di sorridere. Non ero sola, avevo tante persone che mi volevano bene per come ero. Ma soprattutto, avevo me stessa ed era quello il mio tesoro più grande. Avevo anche la “polvere di fata” adesso, se non altro non sarei passata inosservata con tutto quel luccichio che avevo ancora addosso. Fissai nuovamente la Stella, che splendeva di una rara bellezza per me e le sussurrai un “grazie” dal cuore. “Coraggio Cami, torniamo dentro” mi dissi tra me e me. Sapevo come si sarebbe svolto il resto della serata. Avrei fissato il cuscino per terra per dieci minuti, prima di rimetterlo al suo posto. Poi avrei visto la fine di “Titanic” e per la prima volta ci avrei pianto, per via della mia temporanea fragilità emotiva e infine sarei andata a letto, consapevole che avrei passato un’altra notte insonne a rimuginare su tutte le cose che avrei potuto dire e fare. O almeno questo era quello che avrebbe fatto la vecchia me. La nuova me voleva solo tornare dentro, sul divano, godersi il resto del film e passare la notte a ridere e a ricordare i momenti migliori di quella avventura. E proprio questo mi riproposi di fare mentre posavo il piede sul gradino della portafinestra. E questo avrei fatto, a testa alta, senza rimpianti o ripensamenti di nessun genere.
Ma qualcosa andò storto.



Angolo autrice:
Ok, so che il finale non è quello che vi aspettavate, ma non vi preoccupate, perchè ci sarà un seguito! Seguito che comincerò a scrivere e pubblicare con molta calma. Nel frattempo lascio fare a voi ipotesi e congetture su come potrebbe svolgersi, magari mi date qualche buona idea :D
Detto questo, direi che siamo arrivati al capolinea. Confesso che barrare la casella "completa" mi ha spezzato un po' il cuore. Questa è una storia a cui mi sono appassionata molto (me lo dico da sola, pensate un po') e mi sono divertita come non mai a idearla e scriverla. Immaginarsi situazioni, dialoghi e sviluppi e metterli per iscritto è stato meraviglioso e voglio ringraziare tutti coloro che hanno seguito, recensito, messo come preferita, ricordato o anche semplicemente letto questo racconto. Che sia un capitolo, dieci o tutti e ventinove, avete dedicato del tempo a me e alla mia "Lost boys" e ve ne sono infinitamente grata, anche perchè non ci sarebbe stata nessuna fan fiction senza il vostro contributo. Quindi grazie, grazie davvero a tutti e come dico sempre...alla prossima! (Perchè ci sarà una prossima volta, vi garantisco che ci sarà!)
   
 
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