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Autore: misteryOo    17/01/2016    2 recensioni
«E dimmi, cosa farai questa volta? Ci racconterai nuovamente di Eileen, di locali notturni e di strani amori?» «L’idea era esattamente questa! Aggiungi solamente: gli anni 70, il muro di Berlino, ed una ragazza coi cappelli rossi» «Perché?» «È la mia vita. Non saprei che altro raccontare» 
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Threesome | Contesto: Storico
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PROLOGO

 

Sometimes I slide away
silently
I slowly lose my-self
over and over.
Take comfort in my skin
endlessly
Surrender to my will
 forever and ever

-Depeche Mode, Heaven

 

 

 

Quando la conobbi era una calda estate del 1974. Berlino pareva un enorme forno fatto di cemento. Gli alberi dei viali erano completamente secchi, non pioveva da mesi. Il muro invece era perfettamente integro, con la sua maestosità se ne stava lì, in mezzo alla città, a dividere famiglie, amanti e amici. Ormai tutti avevano abbandonato ogni speranza di oltrepassarlo, e, nonostante fosse motivo quotidiano di scontri, la popolazione aveva (più o meno) imparato a conviverci. A me era andata bene. Avevo sempre il mio piccolo appartamento nella Berlino Ovest, situato all’ottavo piano di un palazzo pieno di francesi. Tutti emigrati, io per prima. Berlino era sembrata ad ognuno di noi un bel posto dove ricominciare. Certo, nessuno aveva preso in considerazione l’idea di potersi svegliare una mattina e di trovare la città divisa in due da un muro.  All’epoca avevo dieci anni, e mia madre era ancora viva. Per me e per lei fu davvero uno shock. Fortunatamente il nostro (ora solamente mio) alloggio si trovava abbastanza distante dalla linea di confine con la Berlino sovietica, e questo bastò a farci dimenticare in fretta la faccenda.

 

Eileen arrivò, come accennato, in una calda mattina d’estate. Stavo scendendo le scale correndo: la giacca malamente indossata, il vestito di cotone di cui non aveva tirato giù la sottoveste, il cappello che continuava a scivolarmi giù dalla testa, e la borsa che dondolava da una parte all’altra e non la smetteva di scontrarsi con la mia coscia destra. Ero nota per il mio ritardo, secondo solamente al mio costante essere terribilmente maldestra. Inciampai, difatti, e caddi rovinosamente a terra. Mi rialzai barcollando un po’ e mi spolverai il vestito. Una ciocca di capelli rossi mi penzolava davanti agli occhi, soffiai per rimetterla al suo posto. Quando la mia visuale fu sgombra notai un particolare a cui, probabilmente per la fretta, non avevo fatto caso. Una ragazza piuttosto slanciata mi sta osservando da sotto un grande cappello di paglia, con un nastro arancione. Scoppiai a ridere rendendomi conto dell’enorme figuraccia che avevo appena fatto, e allungai la mano in segno di saluto. Lei sollevò lo sguardo e due occhi verdi come la menta mi scrutarono. Mi strinse la mano. Era pallida, ma non un pallore malato, direi più un colorito candido. Incurvò le labbra rosee e generose in un sorriso. Il nasino a punta si arricciò leggermente e le guance piene di lentiggini si sollevarono. 

«Piacere, Eileen» Mi disse lei, e, anche se può parere assurdo, capii immediatamente che quel nome mi avrebbe accompagnata, in un modo o nell’altro, per il resto della mia vita.

 

  
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