Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Atarassia_    17/01/2016    1 recensioni
Le luci sono state spente, il sipario è calato.
Ho ucciso una persona.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

OMBRE CINESI


Ciò che mi spaventa non è la violenza dei cattivi;
è l'indifferenza dei buoni.
(Martin Luther King)



Oggi, mamma, ho ucciso una persona.
No, non spaventarti in questo modo, nessuno lo verrà mai a sapere. Ma io oggi ho davvero ucciso una persona.
Puoi anche controllare tutti i miei vestiti da cima a fondo, ma non troverai mai tracce di sangue che devono venir lavate via e posso anche lasciarti rovistare nella borsa della piscina anche se, come tu sai, detesto quando la mia privacy viene a mancare, ma neanche in questo caso dovrai preoccuparti  di aiutarmi a nascondere degli  indizi. Ho ucciso una persona, mamma, ma mai nessuno risalirà a me.
Sono scesa come al solito ad aspettare la corriera sotto casa, le gambe penzoloni contro il muretto e la borsa incastrata tra me e l’oleandro che tu hai tanto insistito per farlo piantare nel nostro giardino. Sembrava proprio un pomeriggio come tutti gli altri, mamma, sempre le solite cose: i bambini del condominio rosso giocavano come al solito a pallone nel cortile, la signora che abita all’angolo della strada stava rientrando con il cane in casa e mi ha salutata, il banchiere che prendiamo sempre in giro per la sua aria costantemente austera è passato nel suo macchinone per riprendere il turno pomeridiano. Capisci? Era tutto normale, niente di più, niente di meno.
Anche il cancello dei vicini era aperto e c’era anche la sua macchina, mamma, lui è tornato come ha fatto negli ultimi mesi ad ora di pranzo e c’era Zoe, la loro cagnolina, che abbaiava come al solito.  Sono rimasta per un po’ a fissare le peonie che hanno all’entrata e che, secondo te, sono curate proprio male, ma non tutti possono avere il pollice verde come il tuo. Però devo dire che alla fine non sono poi così tanto rovinate, certo si potrebbe fare di meglio, ma alla fine si tratta solo di qualche foglia secca e petali caduti ad invadere il pavimento. Però devi anche riconoscere, mamma, che Alexia non ha nemmeno trent’anni, è la sua prima convivenza e forse deve ancora prenderci confidenza con questo tipo di cose. E poi c’era una peonia bellissima, l’avresti adorata anche tu se, ogni tanto, oltre a criticarla ti soffermassi a notare alcuni particolari: era bianca con delle sfumature rossicce sulle punte. L’avresti adorata se solo non l’avessi ignorata come sei solita fare.
Ma mamma, io oggi ho ucciso una persona e ora ti sto parlando dei fiori: è buffo, non trovi? Sembra una di quelle storielle che racconta lo zio durante le cene di Natale, quelle che non hanno senso ma che comunque sia ci fanno piegare in due dalle risate. Però è macabra come cosa, perché cosa c’è da ridere quando si uccide una persona? Vorrei lavarmi via il sangue dalle mani, dalla faccia e tu mi osservi preoccupata dallo stipite della porta mentre io, con frenesia, sfrego le mani tra di loro e le strofino forte contro la pelle del viso per lavar via macchie che non ci sono. E più sfrego, più la mia pelle si irrita e tu devi scuotermi più volte per intimarmi di smetterla. Ma come posso far finta di nulla, me lo spieghi?
Oggi sono diventata anche io un’assassina.
Il cane abbaiava come tutti i pomeriggi, mamma, e sono sicura che anche tu sei riuscita a sentirlo dalla sala e che di conseguenza hai alzato il volume del televisore perché altrimenti non riuscivi a seguire le battute del solito telefilm che vedi quando sei sola in casa. Ma io ero in strada, mamma, e mi sono accorta troppo tardi di aver  lasciato le cuffie del cellulare sulla scrivania e ho sentito, ho sentito tutto.
Ti ricordi quella sera in cui stavamo scaricando la macchina? Si dai, quella sera in cui c’era anche papà e abbiamo sentito un forte botto e qualcosa infrangersi contro una superficie. Abbiamo alzato tutti lo sguardo verso casa loro e poi voi vi siete guardati per un attimo stringendovi nelle spalle  e mi avete esortato ad entrare in casa. Cosa stava succedendo? Niente, non era niente.
Ma oggi, mamma, ero da sola e nessuno ha potuto dirmi che non stava accadendo niente e la corriera non arrivava. Li ho sentiti, il suono del vetro che si infrange contro il muro e un grido soffocato. Ho provato a far finta di niente, mamma, ma poi c’è stato tutto quel trambusto, come quella sera in cui Giorgio è rientrato dal diciottesimo del suo amico in notte fonda e anche se ha provato in tutti i modi a non farsi scoprire da te e papà, era così bevuto che ha travolto il tavolino dell’entrata  buttando giù tutto e ha provocato un tale baccano da svegliarci tutti. Era lo stesso suono, mamma, ma dubito che le loro motivazioni siano le stesse di Giorgio. E ho provato a far finta di nulla, ci ho provato davvero, ma la curiosità è stata più forte e ho guardato di nuovo verso casa loro. Hai presente la finestra del secondo piano, quella della camera da letto con le tende arancioni in tulle? Mi sembrava di esser tornata nuovamente bambina, mamma, di esser tornata a quando tu e papà, dopo cena, mettevate me e Giorgio sul tappeto della sala e le serate trascorrevano serene  mentre voi, armati di un lenzuolo, uno spago e una lampada, vi divertivate a distrarci con le ombre cinesi. Me li ricordo ancora tutti i vostri movimenti, papà che imitava l’aquila reale muovendo delicatamente le dita delle mani, tu che con movimenti aggraziati e studiati riproducevi lo sbocciare dei fiori e poi ancora i cani e il coniglio che io adoravo tanto perché mi ricordava il mio peluche. Ricordo perfettamente le vostre mani che plasmavano le varie forme assecondano le nostre richieste e accompagnando le nostre risate ingenue, fanciullesche. Ricordo ancora tutto, mamma.
E te lo assicuro, questa volta non ci ho visto nulla di aggraziato in quei movimenti, niente volto a trascorrere dei bei momenti in famiglia. Ma possono essere le ombre cinesi così sgraziate? Sto cercando di sforzarmi, per ricordare, mamma, ma sono più che sicura che tutte quelle volte che hai rappresentato vari scenari, servendoti solo delle tue mani, delicate, e di una calda luce, mai e poi mai ti sei lasciata andare a movimenti così bruschi, freddi, privi di un’anima. Oggi, come tu mi solleciti sempre a fare, non mi sono fermata di certo alle apparenze, mamma; ho aspettato che le cose cambiassero, mi sono detta che, magari, dietro a quei gesti così crudi si celasse un’altra verità, che forse la parte bella dovesse ancora arrivare. Ho aspettato e aspettato ancora, ma le cose restavano immutate. Ho visto un braccio, il suo braccio mamma, sollevarsi di qualche centimetro e poi calarsi in tutta fretta e in maniera brusca  sul viso di lei. Ho trattenuto il fiato e ho sentito ripetersi l’eco di quel suono muto negli orecchi. Ha fatto male, tanto male, mamma, te lo assicuro.
Ho visto il volto di Alexia assecondare quel movimento e i suoi capelli, quelli che a me piacciono tanto, le hanno coperto interamente il volto e, solo in quel momento, ho visto un gesto delicato: si è portata la mano al viso, lentamente, tastando la parte lesa. Ma la calma è durata pochissimo, perché lui ha ripreso ad agitare le braccia in alto ed urlava, o mamma come urlava, e Alexia aveva paura, perché tremava e indietreggiava.
Te lo ricordi? Me lo avevi fatto vedere proprio tu, la scena del topolino e del gatto che se lo vuol mangiare; io le ricordo le tue dita sottili che, volte ad impersonare il topolino, tremavano e pian piano si ritraevano dal raggio di luce proiettato sul lenzuolo. Sai mamma, Alexia sembrava proprio quel topolino piccolo e indifeso e avrei voluto fare qualcosa, avrei dovuto fare qualcosa, ma mi sentivo le gambe più pesanti del solito e la gola era così asciutta che non è uscito nemmeno un filo di voce. Le sue grida continuavano, mamma, ed erano cose così squallide, volgari e cariche di rabbia, che avrei voluto non sentire, coprirmi le orecchie e far finta di niente. E l’ho fatto davvero, mamma, ho portato le mani alle orecchie e ho premuto così forte da non sentire più nulla se non l’eco dei miei pensieri. Ho chiuso gli occhi per un attimo e quando li ho riaperti ho visto la corriera svoltare all’angolo della strada: la mia ancora di salvezza. Sono scesa di corsa dal muretto e, arrivata sul ciglio della strada, ho fatto un cenno all’autista.
Ma poi, mamma, poi lei ha gridato e io non ci sono proprio riuscita a non girarmi e l’ho fatto, per un’ultima volta, ho guardato il tutto da sopra la mia spalla. Le mani di lui sulle spalle di Alexia e le braccia di lei incastrate tra queste come a volersi parare, a volersi proteggere. E più lui la scuoteva con ferocia, più lei gridava e sono pronta a scommettere, mamma, che stesse piangendo. Sono pronta a scommetterci tutto l’oro del mondo!
Stavo per girarmi del tutto, quando la frenata della corriera mi ha ridestata dai miei pensieri e mi sono girata di scatto, arrossendo, quasi temessi che l’autista si fosse accorto di quella situazione. Dovevo avere una faccia proprio scombussolata perché lui mi ha guardata in modo strano, ma non gli ho dato molta confidenza e mi sono avviata verso uno dei posti liberi che davano sui finestrini. Come al solito abbiamo dovuto aspettare che le sorelle del palazzo  più avanti rispetto al nostro arrivassero alla fermata e in quel momento, mamma, sono stata così combattuta. Non sapevo se tornare a guardare o, oramai, far finta di niente. Ma tu mi conosci e penso che tu sia già a conoscenza della risposta!
C’era solo lui, mamma, nel raggio di luce delle ombre cinesi c’era solo lui. Di Alexia nessuna traccia, ma anche dal seggiolino dell’autobus riuscivo a vedere i movimenti del suo corpo, l’attenzione di lui rivolta al pavimento, a qualcosa sul pavimento. E lo vedevo agitarsi, ero troppo lontana per sentire, ma penso che se tu avessi abbassato il volume del televisore saresti benissimo riuscita a cogliere qualche parola. Si muoveva di continuo, le braccia a gesticolare per aria e il busto a piegarsi leggermente in avanti assecondando, sicuramente, i movimenti delle gambe. Mamma, erano calci quelli?
Poi il cellulare ha vibrato tra le mie mani e mi sono distratta, era solo Giulia che voleva assicurarsi che la stessi raggiungendo in piscina. Ma quando ho rialzato lo sguardo, le tende arancioni erano oramai fuori dal mio campo visivo e ho sentito l’aria venir meno.
Oggi, mamma, ho ucciso una persona.
 
 
Era sera oramai quando la corriera ha imboccato la via di casa e anche se quelle ore in piscina con gli amici sono servite per distrarmi, in quel momento non riuscivo più a non ripensare  a quanto era accaduto nel pomeriggio. Ho sollevato lo sguardo dal bracciale che porto al polso avvertendo un leggero brusio scatenarsi sulla corriera. Ho allungato il collo come il resto dei passeggeri e ho notato che, più o meno all’altezza di casa nostra, c’erano diverse persone a circondare l’area ma, mamma, la mia attenzione era interamente rivolta alle luci della sirena di un’ambulanza che stava sostando proprio in corrispondenza del cancello di casa. Mi sono alzata e in fretta e furia ho ripercorso lo stretto corridoio dell’autobus prenotando la fermata e continuando, attentamente, ad osservare tutto quello che stava accadendo lì fuori, notando così anche la presenza di due volanti della polizia e di un paio di furgoncini neri. Stava davvero succedendo, mamma? Mi fischiavano le orecchie e non riuscivo più a restare calma.
Con me dovrebbero essere scese anche altre persone, ma ero troppo impegnata a voler raggiungere la porta di casa per curarmene e così, spingendo e infilandomi negli spazi liberi, sono finalmente riuscita a superare tutta quella massa di persone fino ad arrivare alla primissima fila. Mi sono guardata intorno notando facce familiari, tutte persone del quartiere: c’era chi mormorava con il vicino, qualche signora con le lacrime agli occhi e gente che, con una faccia dispiaciuta, posava dinanzi ad una telecamera rispondendo alle domande dei giornalisti. Stavano facendo quello che penso io, mamma?
Ho spinto da parte la ragazzina che va tutte le mattine a correre e so di essere stata maleducata, ma te lo giuro mamma, sentivo le mani fremere perché dovevo assolutamente sapere. Mi sono avvicinata alla signora che abita nella casa dinanzi alla nostra, quella che ogni volta che esce ha un abito nuovo, e avresti dovuto sentirla  mamma, avresti dovuto essere lì. Perché quell’era una brava ragazza, sembravano una coppia affiatata all’inizio ma, sa, ultimamente lui era cambiato mi è sembrato così ipocrita da dire in quel momento, tutta una messa in scena.
E poi ho sentito le gambe venirmi meno, mamma, mi veniva da rigettare. Ho visto degli uomini uscire dalla porta di casa urtando il vaso di peonie che, cadendo dallo scalino, si è rotto disseminando la terra ovunque. Come me, anche l’attenzione degli altri si è focalizzata su quella scena, sulla plastica nera, che andava dalle mani di uno fino a quelle dell’altro, che questi hanno trasportato con delicatezza fino all’ambulanza per poi issarla su di essa e ripartire con le sirene spente.
Lui l’ha uccisa, noi tutti l’abbiamo uccisa. Anche tu.
Io l’ho uccisa, mamma. Oggi mi sono macchiata del sangue di Alexia.
Sono stata l’ultima persona ad averla vista viva, oltre a lui, e non posso proprio pensare che l’ultima cosa che lei abbia visto sia proprio lui.
Avrei potuto cambiare le cose oggi, avrei potuto fare qualcosa oggi, noi tutti avremmo sempre potuto fare qualunque qualcosa per evitare questo finale. Abbiamo avuto tanti di quei momenti per intervenire, tutte opportunità gettate al vento. Ma la nonna lo dice sempre, la storia non è fatta di se e di ma e quel che è fatto è fatto. Mi sono guardata intorno, perché avevo davvero bisogno di una via di fuga e quando ti ho vista sulla porta di casa a farmi cenno di rientrare, non ci ho pensato due volte a venir via di lì.
 
Per quanto cercasse di coprirli, un paio di volte ho notato i lividi. 
Era un continuo litigare e alzare le mani. Credo che una volta sia addirittura finita in ospedale e era una così cara ragazza, non meritava tutto questo.

Ho dovuto nuovamente coprirmi gli orecchi con le mani, mamma, come è possibile starsene a sentire queste cose come se nulla fosse? Perché parlare solo ora, perché non prima?
E te lo giuro, mai come questa sera, le tue braccia mi sono sembrate un porto sicuro. E mi aggrappo a te con tutta la forza che mi resta in corpo, piango come non facevo da anni davanti a te e lascio che sia tu a rassicurarmi, a tranquillizzarmi. Ed è solo in questo momento, rassicurata dal calore del tuo corpo, le mura di casa a proteggermi da occhi indiscreti, che ho il coraggio di dirlo ad alta voce:  “Mamma, ho ucciso una persona oggi”.
 
Mi sembra impossibile, ora, non correre con lo sguardo fuori dalla mia finestra.
Il clamore della gente si è andato via via spegnendo e ora sono rimasti giusto i più temerari, i più invadenti. Inevitabilmente torno a guardare verso il loro portone di casa: da adesso avrai tantissimo da ridire visto che le piante, da te già tanto criticate, ora saranno completamente prive di attenzioni. Non è vero, mamma?
Guarda, una lieve fitta mi attanaglia il petto a vedere quella peonia, delicata e chiazzata di rosso, riversa in terra, violata e indifesa, tra i cocci del vaso e i cumuli di terra che, senza remore, sporcano il bianco candido dei petali soffocandone la bellezza. Nessuno si è premurato di raccoglierla e so, per certo, che resterà lì anche nei prossimi giorni, fino a quando il vento non riuscirà a trascinarne via anche gli ultimi residui.
La luce del cortile si abbassa per alcuni istanti, la gente riversa sulla strada continua a parlare e quella casa dove tutte le luci sono spente, ora riesco a dirlo, mi sembra così fredda e vuota. A te non pare, mamma? Non la vedi anche tu come un qualcosa di cupo?
Quella finestra  che, oggi, è stata più volte la protagonista del mio sguardo, ora ha perso di importanza.
Lì, è come se tutto si fosse fermato, come se qualcuno vi avesse congelato il tempo.
Immutabile, buia, spettrale.
Non distinguo più alcun colore, nessun chiarore.
Non compaiono forme dietro di essa, non distinguo più nessuna ombra.
 
Le luci sono state spente, il sipario è calato.
Ho ucciso una persona.


 
interrompo dopo mesi infiniti – troppi per i miei gusti – l’assenza su questo sito.
Forse avrei dovuto farlo aggiornando le diverse storie ancora in corso e ferme da tanto, forse non avrei dovuto proprio farlo essendo nel pieno della sessione invernale.
Però è un tema davvero tanto importante per me e l’impulso che mi ha spinta a scriverlo è stato fin troppo insistente.
È una breve os, ma ritengo che il tema trattato sia di fondamentale importanza e quindi spero di essere riuscita ad affrontarlo in maniera dignitosa e di aver trasmesso tutto quello che volevo far passare (o di essere riuscita a farlo almeno in parte).
Volevo condannare allo stesso tempo sia chi la violenza la commette in prima persona, sia chi –ipocrita –è a conoscenza di tutto ma non fa nulla per intervenire, perché spesso chiudersi gli occhi e tapparsi le orecchie è la cosa più semplice da fare. Però, quando si accendono i riflettori su queste vicende – sfortunatamente, quasi sempre, quando c’è un tragico epilogo ed è oramai troppo tardi per intervenire –, coloro che sapevano già tutto, si improvvisano paladini della giustizia, rilasciano giudizi, sputano sentenze a tutto andare e fanno di questi fatti di cronaca, oggigiorno divenuti una triste quotidianità, l’argomento principale delle loro giornate. Personalmente, trovo che quelle frasi costruite, quel perbenismo forzato, quel divenire dispensatrici di un’ipocrisia gratuita, quel “effettivamente, ultimamente avevo notato qualcosa di strano”, sia un qualcosa di davvero assurdo e triste, che non fa altro che aggravare la propria posizione e offendere le vittime di quella violenza. La colpa (forse con la stessa intensità, forse no) oltre di chi la violenza la commette, è altresì di chi la osserva passivo e, indifferente, volta il capo dall’altra parte quando, invece, con il suo intervento potrebbe cambiare molte cose.
Naturalmente, con questo non intendo fare di tutta l’erba un fascio, perché sono consapevole che ci siano anche altri casi che vanno a costituire un’eccezione.
Ma quando, o di persona o ascoltandole al telegiornale, sento persone che chiacchierano e blaterano volendo ostentare un qualcosa che non sono per apparire come persone buone, pure, mostrando un’apparenza che ricopre gusci privi di umanità, falsi, avverto le mani che prudono e un fastidio che mi nasce sulla bocca dello stomaco. Cosa siamo diventati?
                                                                                                                            
Fatemi sapere cosa ne pensate, sia riguardo il tema che sul modo in cui l’ho proposto.
Con affetto,
μελ.
 
PS: ci tenevo a ringraziare tantissimo Lil (lilac j) per il banner che è – come al solito – splendido in tutta la sua semplicità! :)
   
 
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Atarassia_