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Autore: Mephi    24/01/2016    8 recensioni
Ciò che rendeva quella pizzeria tanto interessante era la presenza di Animatronics. Robot dall'aspetto di animali che di solito intrattenevano grandi e piccini con concerti o piccoli spettacoli, anche solo vederli andare a spasso per il locale divertiva i clienti.
Quegli stessi animatronics che Vincent, in quel momento, avrebbe voluto distruggere pezzo per pezzo, smontandoli bullone per bullone.
Si, i suoi pensieri potevano anche confondere, e far credere a tutti che Vincent odiasse quei Robot, ma non era così. Non li odiava.... Di solito. Al contrario, aveva un buon rapporto con loro, un rapporto che andava avanti da vent'anni, di pura fiducia e... Amicizia? Si. Amicizia.
Un rapporto così importante da metterlo in difficoltà.
Genere: Comico, Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jeremy Fitzgerald, Phone Guy, Purple Guy, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note Dell'autrice: - si, quella che avete sopportato fino adesso, sì, proprio lei - Salve a tutti, Lettori che mi avete seguita fin qui. Ebbe, vi presento "Tra Le Fauci Del Destino" il capitolo finale. Essì. È finita ragazzi. Ci tenevo molto a "salutarvi" e ringraziarvi tutti quanti, da chi ha recensito, seguito, ricordato, o anche solo perso qualche minuto a leggere la mia prima long su FNAF. Ci tengo davvero molto a questa storia, e spero che questo finale non vi deluda, se così fosse chiedo perdono per aver distrutto ogni vostra aspettativa. Se al contrario rimarrete meravigliati anche solo un po' per me sarà motivo d'orgoglio. Ad ogni modo sono qui per dirvi che avrà un sequel, non so nè quando nè come, ne dove o perchè (?) ma avrà il suo sequel. Per chi vorrà seguirmi fin lì si prepari! A cosa? Non lo so. SI PREPARI E BASTA. Smetto di parlare e vi lascio al capitolo, anticipandovi solo che Freddy, il ragazzo, avrà un po' di spazio qui, così lo conoscerete meglio. Lo sento un po' come un mio OC dato che gli ho fornito io la sua personalità, il suo essere e tutto il resto. Quindi spero Freddy non vi annoierà. Grazie ancora a tutti voi e, come dice il buon (cito)Phono:
Hello, Hello!
Sat~


La Storia Di Una Guardia Notturna


Tra Le Fauci Del Destino


Freddy era estremamente innamorato della notte.
L'adorava così tanto che ci teneva a viverla, a sentirsi avvolgere nel suo manto e vagare, divertirsi, giocare, scherzare... La notte era sua fedele collega anche durante le sue azioni non esattamente Legali.
Testimone di tutto quello che faceva, ci si sentiva quasi protetto, da ella, perchè si sa: Il buio nasconde. Omette. E forse Freddy era semplicemente uno a cui piaceva nascondersi.
Si potevano contare sulle dita di una mano quelli che sapevano della routine di Freddy: sveglio di notte, studente di giorno, dormiente di pomeriggio. Si, aveva stravolto gli orari a cui il suo corpo era abituato, all'inizio era stato difficile tenere quel ritmo, ma adesso ci aveva fatto l'abitudine. Non era facile essere amico di Freddy, non si capiva mai cosa avesse in mente, tutto nascosto dietro a un sorriso palesemente falso, di chi stà perennemente macchinando qualcosa.
In parole semplici: era quel tipo di persona che ogni genitore raccomandava ai propri figli di non frequentare. Ma non gli importava, in realtà, quella gente non lo conosceva e quindi non aveva alcun diritto di giudicare, ma lo facevano comunque: indossavano la pesante tunica da giudice e sentanziavano che lui era pericoloso.
Lo era. Senza dubbio. Ma non era solo pericoloso.
Era anche furbo, intelligente, Freddy amava studiare, essere sempre avanti agli altri, conoscere, sapere. Detestava gli ignoranti, di cui però si circondava. Ma lo faceva per una sola ragione: quegli ignoranti erano suoi schiavi, suoi e della sua intelligenza. Un esempio? Chica e Bonnie. Quei due erano degli imbecilli patentati, i soliti bulletti che facevano scherzi a chi era troppo debole per contrastarli e lui, lui: Freddy, si era abbassato al loro livello e avevano formato quel gruppo bizzarro che chissà come ancora si reggeva in piedi. Quei Due capirono subito che mettersi contro di lui era un errore, quindi meglio farsi guidare da questa Minaccia che affrontarla, giusto? Bhe. Ragionamento stupido fatto appunto da due stupidi. Non gli considerava amici, solo... Pedine? Si, decisamente.
Ma Jeremy, l'ultimo arrivato, non era come quei due; il ragazzetto era suo pari. Non ricordava esattamente quando aveva cominciato a considerare Jeremy suo amico, ma era certo lo fosse.
Ed era perchè il castano era suo amico che all'alba, invece di tornare a casa per fare i compiti come suo solito, dato che mancavano appena tre ore all'inizio delle lezioni scolastiche, si stava dirigendo al parco, dove, davanti al cancello di ferro arruginito, ancora chiuso, del parco, si trovava l'assonnato Jeremy, che appena lo vide lo salutò con un cenno del capo.
Era stato Jeremy, appena un'ora prima a inviargli un messaggio dove chiedeva se potevano incontrarsi all'alba al parco e lui aveva accettato. Se fosse stato una persona normale alle cinque del mattino si sarebbe trovato sotto delle calde coperte, in balia di Morfeo. Ma lui era Freddy, quindi era lì.
«Che bello, un'uscita insieme all'alba! Non ti facevo così romantico, Jer.»
«Andiamo, sarcasmo di prima mattina? Sono troppo assonnato per pensare a un modo per risponderti a tono.» rispose Jeremy, notando che Freddy non sembrava affatto assonnato come lo era lui. Okay, era appurato: non era umano. Magari era davvero un robot e non sentiva i bisogni che ogni umano avrebbe percepito.
Sperò vivamente fosse il sonno a fargli fare pensieri tanti traviati.
«Allora Foxy, come mai siamo qui?» chiese Freddy, facendo riscuotere il ragazzo, che sentendosi chiamare come la Volpe del Feazbear accennò a un sorriso. Poi si concentrò sulla domanda e subito quel sorriso sparì lasciando spazio a un'espressione seccata.
«Il compleanno di mio fratello, ricordi? È oggi. Mi sono svegliato prima, uscendo di casa, proprio per evitare di fingermi gioioso come non mai alle 7 del mattino.» spiegò brevemente il castano, che però, per non destare sospetti con suo padre si era anche dovuto mettere ai fornelli per preparare la colazione al minore, lasciando un biglietto con "buon compleanno". Era stata una seccatura ma ce l'aveva fatta.
Vide Freddy inarcare un sopracciglio, confuso. Giusto: lui non era a conoscenza del rapporto che aveva con il fratello.
«È una lunga storia.» disse allora, anticipando la domanda che sapeva stava per scivolare dalla bocca del moro, che tornò a sorridere, decidendo di ignorare la questione. Anche se avesse insistito Jeremy non si sarebbe comunque fidato di lui. Glielo leggeva negli occhi.
«D'accordo!» disse semplicemente, scrollando le spalle, sorvolando su quella faccenda.
«Ad ogni modo, io cosa faccio qui? Volevi compagnia nella tua fuga?» chiese Freddy, ricevendo un cenno negativo dal castano.
«Figuarati! So reggere la solitudine. Ti ho dato appuntamento qui per una sola ragione-»
«Vuoi dichiararmi il tuo amore!» lo interruppe Freddy, lasciando Jeremy spiazzato... Scoppiò a ridere, mentre il castano assottigliava gli occhi e gli dava dell'imbecille.
«E pensare che ti credevo maturo!» sbottò Jeremy, incrociando le braccia al petto.
«Hai... Hai fatto un'espressione mitica! Come potevo non riderti in faccia!? Su, dimmi pure, faccio il serio, parola di Orso.» giurò Freddy poggiando persino la mano destra sul proprio cuore, Jeremy sospirò chiedendo a qualche divinità la forza per contrastare tutto quel sarcasmo.
«Il regalo per mio fratello. Mi sono completamente dimenticato del regalo»
«Hai chiamato la persona sbagliata.»
«Lo so. Peccato me ne sia accorto solo ora.» constatò tra i denti Jeremy, passandosi una mano sul volto mentre Freddy si scioglieva in una risata divertita. Ah, e adesso come faceva?
«Però ti aiuto comunque.» decise Freddy, portandosi le mani ai fianchi.
«Faremo un regalo da schifo.»
«Jer, il Pessimismo di certo non aiuta: andiamo in centro.
«A quest'ora saranno tutti chiusi...» Freddy rispose con un ghignetto e un'alzata di spalle, intimando semplicemente all'amico di seguirlo, che quella sarebbe stata una giorata indimenticabile.
Non poteva immaginare quanto avesse ragione. Di certo, quel giorno, fu indimenticabile.


Si sentiva così sereno, quel giorno. Forse era dovuto al fatto che fosse il suo compleanno. O forse perchè Jeremy non si era visto da nessuna parte, quella mattina aggiunse una voce nella testa del piccolo Kentin, che la scosse appena per mandare via quel pensiero.
Adesso che si trovava tra i banchi di scuola poteva rivivere la mattinata nella sua testa: si era svegliato, aveva trovato suo padre ad aspettarlo dietro la porta, dicendo che voleva essere il primo a fargli gli auguri, subito dopo lo aveva preso in braccio ed erano andati al piano di sotto, trovando la sala impregnata dell'odore dei cornetti appena sfornati e le tazze fumanti. Erano le 6 in punto, e suo padre aveva esordito con "Guarda cosa ha combinato la Canaglia! Sotto sotto ha un cuore, incredibile!" e con quella frase aveva intuito che suo fratello aveva fatto in modo di non trovarsi in casa al suo risveglio e per non destare sospetti aveva preparato la colazione. Quando chiese al padre dove fosse andato, egli li aveva risposto che l'aveva chiamato poco fa, e il maggiore gli aveva vagamenta accennato a un'uscita con gli amici a fare colazione insieme prima di andare a scuola.
Avevano fatto colazione - stupendosi delle doti culinarie del maggiore, certamente superiori a quelle del padre - poi, Kentin era stato accompagnato, per la prima volta nella sua vita, da Vincent a scuola. Era stato bello.
Sarebbe stata così la sua vita senza Jeremy? Per un'attimo pensò seriamente che senza di lui sarebbe stato perfetto. Ma... Poi si diede dello stupido. Era suo fratello, insomma!
Però suo fratello non c'era, quella mattina. Lo aveva evitato. Per la prima volta Kentin si chiese se Jeremy gli volesse bene, anche solo un poco. La campanella trillò, dichiarando la fine delle lezioni, e Kentin rimise frettolosamente tutto a posto, seguito dai suoi compagni di classe, e ogni bambino uscì fuori dalla scuola con urla di gioia, correndo fuori alla ricerca di colui o coloei che lo avrebbe riaccompagnato a casa.
Quando Kentin raggiunse il muretto che delimitava la scuola, a cui Jeremy di solito si appoggiava, sempre nello stesso punto, aspettandolo, e non vide nemmeno l'ombra di suo fratello il cuore gli si strinse in una morsa. Pregò mentalmente il fratello, pergandolo di comportarsi da tale. Solo per quel giorno. Ma la verità era che Jeremy lo detestava e che lo stava evitando, mettendoci tutto il suo impegno. Quando realizzò questo sentì gli occhi riempirsi di lacrime: suo padre quella mattina gli aveva detto che sarebbe andanto al Feazbear a "finire una cosa" e che Jeremy-... A quanto pareva sarebbe tornato a casa da solo.
«Kenny!? Kenny, sei tu!? Ohy!» sentì quella voce familiare chiamarlo e prese a guardarsi freneticamente attorno, cercando tra la gente colui che lo stava chiamando, trovando in mezzo a tutto quel caos un ragazzo che si sbracciava per attirare la sua attenzione, faticando per raggiungerlo, due occhi azzurri come il cielo pacato sopra le loro teste, e dei capelli castani leggermente spettinati. Era Mike. Cosa ci faceva lì? Bhe, poco importava a Kentin, perchè appena lo vide, con quell'aria trafilata a passare tra la gente dispensando "mi scusi" e "permesso" ogni brutto pensiero si dissolse e la sua bocca si allargò in un sorriso divertito, liberando anche una piccola risatina. Il giovane, dopo una fatica immane per combattere tutta quella gente lo raggiunge, inginocchiandosi per terra per arrivare alla sua aletezza, riprendendo fiato.
«Stai bene?» chiese vagamente preoccupato Kentin, ma non ebbe mai una risposta perchè Mike lo abbracciò stringendolo in una presa fraterna.
«Auguri, piccoletto!» gli augurò durante l'abbraccio, passandogli poi una mano tra i capelli, scompigliandoli, per poi terminare il contatto.
«Quanti ne fai, eh?» chiese il giovane quasi più entusiasta del festeggiato stesso che, con un timido sorriso, alzò le sue mani davanti al volto, chiudendo due dita e mostrando il numero otto.
«Otto? Davvero? Ah, ma sei un vecchiaccio ormai! E io che te ne davo al massimo sei.»
«Cosa...? Ehy, ma se per questo tu sei più vecchio di me!»
«Ma cosa c'entra? Io invecchio bene! Guardami: come sono bello.» ci fu un attimo di silenzio tra i due che poco dopo scoppiarono in una risata sinceramente divertita.
«D'accordo, d'accordo, andiamo a casa, su.» disse Mike togliendo dalle spalle del piccolo la pesante cartella, per poi incitarlo a seguirlo. Tornarono a casa insieme, e l'atmosfera silenziosa e quasi tesa che di solito aleggiva con Jeremy, con Mike, bhe... Non osava avvicinarsi. Parlarono per tutto il percorso di casa, di come era andata la giornata, di come ci si sentisse a essere cresciuti e parlando generalmente un po' di tutto.
Poi giunsero davanti casa e dovettero aspettare l'arrivo di Jeremy o Vincent, gli unici che avevano le chiavi, così si sedettero proprio davanti la porta principale, ad aspettare.
«Come mai sei venuto tu a prendermi oggi? Te lo ha chiesto Jeremy?» chiese ingenuamente Kentin, sperando segretamente che il fratello avesse avuto un contrattempo e che per quello aveva mandato avanti Mike. L'espressione di Schmidt si fece un misto di dispiacere e serietà. Prese un profondo respiro e poi parlò.
«Jeremy oggi non è venuto a scuola.» risposa, lasciando intendere che, no, non era stato lui a mandarlo.
«Solo che quando eravamo amici mi aveva detto che oggi sarebbe stato il tuo compleanno, così ci tenevo a farti gli auguri. Ma quando oggi non l'ho visto a scuola ho pensato bene che quasi sicuramente non sarebbe venuto nemmeno a prenderti. Così... Sono venuto io.» spiegò, assistendo alla delusione negli occhi del bambino. Quando avrebbe smesso di fargli del male? «Da questa mattina mi evita.» disse Kentin e a quella frase seguì solo un sospiro rassegnato del maggiore, che gli passò una mano tra i capelli, scompigliandoli appena ancora una volta.
«Sei un ottantenne davvero forte.» gli disse, e Kentin gli sorrise realmente grato, poi si accorse di quel "Ottantenne" fuori posto e gonfiò le guance, offeso.
«Sono otto non ottanta!» a quell'esclamazione Mike gli rispose con una linguaccia. Adorava i bambini. Aveva sempre desiderato un fratellino ma La Fortuna non era mai stata dalla sua parte da quel punto di vista, quindi era sempre stato figlio unico, e non capiva come Jeremy potesse trattare suo fratello in quel modo. Non riusciva a capirlo in alcun modo.
A distoglierlo dai suoi pensieri fu il notare che Kentin si stava irrigidendo, e sentendo dei passi avvicinarsi: Jeremy
Il ragazzo si avvicinava con aria scocciata dalla lunga giorata spesa al centro commerciale con quel folle di Freddy che gli aveva fatto girare più volte anche i negozi che avevano già visitato. Un inferno. E alla fine nemmeno avevano trovato il regalo a quel moccioso. Bella giornata inutile, che aveva trascorso.
E ora tornava e trovava suo fratello e Mike a chiaccherare amichevolmente. Kentin deglutì strofinando le mani sulle ginocchia, palesemente nervoso, temeva per Mike, seriamente. Invece Jeremy non fece nulla. Ghignò guardandoli, poi prese le chiavi, li sorpassò e le infilò nella toppa. Sembrava stranamente divertito, mentre Mike lo osservava con sguardo serio. Kentin, semplicemente, non capiva il comportamento di quei due.
«Non sei venuto a scuola, oggi.» disse Schmidt alzandosi e affrontando Jeremy, seguito dal piccolo che però non osò parlare.
«Ero a cercare il regalo al mio adorato fratellino. Che tra l'altro non ho trovato, quindi non sono esattamente di ottimo umore.» disse Jeremy con un tono aspro, ma mantenendo quel ghigno, quasi li ricordava Freddy. Poi fece scattare la serratura della porta, estraendo le chiavi e spingendola con la mano, spalancandola, per poi prestare la sua attenzione al volto serio dell'ex amico.
«Un regalo.» ripetè scettico Mike.
«Esatto. Mio padre gli ha preparato una festa a sorpresa al Feazbear-... ops.» disse portando per poco lo sguardo sull'espressione sorpresa di Kentin. Aveva rovinato tutto. Che sbadato.
Con quell'ultima carognata si lasciò andare a una leggera risata divertita, degnando solo un'occhiata di vittoria a quello che ormai considerava un nemico e entrò in casa, lasciando la porta aperta e dirigendosi in camera sua. Lo Schmidt sbuffò innervosito da quel comportamento.
Quando tornò a guardare Kenny lo trovò in lacrime, e subito la sua espressione cambiò in dispiaciuta, inginocchiandosi davanti a lui.
«Mi dispiace. Ti ha rovinato la sorpresa.»
«Non fa niente. Mi dispiace però che papà si sia tanto impegnato per tenere tutto segreto e...» non terminò mai la frase per colpa di un singhiozzo che lo fece ammutolire. Mike gli asciugò le lacrime con le dita, dicendogli di smetterla di piangere e che quel giorno doveva essere felice.
«Mike?» lo chiamò il minore quando il pianto ebbe fine.
«Dimmi.»
«Se ti invitassi alla festa... Tu verresti?» chiese in imbarazzo il piccolo, con gli occhi leggermente arrossati dalle lacrime versate poco prima e accennando un timido sorriso. Mike era la cosa più simile a un vero amico che avesse mai avuto, e fu felice quando lo Schmidt sorrise.
«Ovviamente.» e fu così che venne invitato alla festa non più tanto a sorpresa di Kenny, poi si salutarono promettendosi di rivedersi il pomeriggio di quello stesso giorno, in pizzeria.



«Un po' più teso...»
«Vincent perchè non vieni tu ad attaccare questo striscione!?»
«Ma non è il mio turno. E poi non vedi che stó già facendo qualcosa?»
«Non stai facendo nulla!»
«A quanto pare il nostro Signor Phono non è un'attento osservatore: stò bevendo della cioccolata calda, del distributore, tanto per essere precisi.» spiegò Vincent, bevendo un sorso della sua cioccolata che sapeva più di metallo arrugginito che di cioccolata, infatti l'espressione schifata che ne seguì diede una piccola rivincita a Phono, che sorrise con finta cortesia.
«Buona?» chiese, cattivo, il ragazzo e Vincent sbuffò, incrociando le braccia.
«Torniamo a lavoro, piuttosto» disse sbirciando l'ora dall'orologio appeso al muro: le 16;30. Mancava un'ora all'arrivo di Kentin e mezz'ora a quello degli invitati, dovevano muoversi.
«Torniamo? Ma se stò lavorando solo io!»
«Ehy, io mi sono occupato dell'organizzazione!» esclamò Vincent, poggiando il bicchiere sulla scrivania di Phone su cui era appoggiato, sentendo un sospiro rassegnato provenire dall'amico.
«Non mi pagano abbastanza per questo lavoro...»
«Ah, ma allora siamo in due.» e quello scambio di battute terminò lì. Potevano farcela, forse, dal punto di vista temporale: dei tecnici stavano sistemando tutti gli strumenti di Freddy, Chica e Bonnie, che gli osservavano e si prendevano anche il diritto di commentare - "Guarda che l'asta del microfono dev'essere più in basso, ti sembro uno spilungone?" "Attento alla mia chitarra... Aspetta, dov'è il plettro? non l'avrai perso spero!" - facendo spazientire alcuni di loro che dovevano richiamare tutta la loro pazienza per non distruggere quei pezzi di latta. Certamente Freddy, Chica e Bonnie erano quelli con il carattere più amichevole, ma quando si trattava di lavoro e della loro band diventavano dei critici inimitabili.
Quando Phone finì di attaccare lo striscione scese dalla scala, riportandola nella stanza che conteneva anche i pezzi di ricambio degli animatronics, per poi tornare alla sua scrivania, pronto ad accogliere gli invitati che a breve avrebbero cominciato a farsi vivi.
Fredbear intanto provava a tranquillizzare Springtrap. Era seriamente nervoso, temeva di uccidere qualcuno e rimpiangeva il giorno in cui aveva deciso di accontentare Purple Guy. Il Signor Feazbear aveva acconsentito, avvisando Vincent che se Springtrap avesse avuto dei malfunzionamenti e qualcuno si sarebbe fatto male, sarebbe stato lui e lui soltanto a pagarne le conseguenze. E quel folle aveva accettato.
«Dovresti tranquillizzarti. Non farai del male a nessuno.» Springtrap non rispose a quella che voleva essere l'ennesima frase consolatoria dell'amico, semplicemente i suoi occhi grigi erano fissi sulla porta, ad aspettare i due altrettanto folli che avevano accettato di indossarli. Seriamente, la gente avrebbe fatto di tutto per qualche dollaro. Quando vide entrare un ragazzo, a cui subito Vincent andò incontro capì che quello era uno dei due condannati.
Okay. Forse stava esagerando, e forse aveva ragione Fredbear quando diceva che sarebbe andato tutto bene.
«È arrivato uno!» Fredbear lo notò solo qualche istante dopo Springtrap, avendo notato che l'animatronics aveva leggermente sgranato gli occhi, quindi aveva seguito il suo sguardo, assistendo alla scena. Poco dopo un'altro ragazzo li raggiunse e i tre parlavano tranquillamente, sembravano più vecchi amici che sconosciuti venuti lì per lavoro, data la naturalezza con cui il Purple Guy ci parlava. Bhe, era uno dei pregi del suo carattere.
I tre vennero verso di loro, e Springtrap strinse i denti, ordinandosi di non fare il coniglione e affrontare la situazione, come aveva sempre fatto da anni a quella parte.
«Springtrap, Fredbear! Loro sono i ragazzi che vi indosseranno!» esclamò Vincent, facendo da intermediario tra i quattro. I due ragazzi salutarono educatamente, sembravano bravi ragazzi e proprio quando si stavano per presentare Vincent li interruppe, dicendo che erano messi alle strette dal tempo e che non potevano permettersi i convenevoli, quindi aveva portato tutti nella stanza dei pezzi di ricambio e aveva cominciato a spiegare chiaramente come indossarle.
«Ora li metterò in modalità costume, così potrete indossarli tranquillamente. Avrete voi pieno controllo degli animatronics, loro non riusciranno più a muoversi secondo il volere della loro Scheda Madre... Mh. Ah, si, bhe, muoveranno solo la bocca, aprendola e chiudendola, ma nulla di cui preoccuparsi, quello è per dargli una parvenza di vita. Vediamo, che altro...? Ultima cosa! Non parlano in questa modalità. Dovrete intrattenere voi i bambini con delle conversazioni improvvisate!» e mentre spiegava ogni cosa Vincent cambiava la modalità dei due Gold da "automatica" a "Costume". Aveva omesso la pericolosità di quei costumi e di come loro, nonostante non potessero controllare più i loro movimenti, fossero comunque coscenti, quindi vedevano, sentivano e assistevano ad ogni cosa.
Poi passò la mezz'ora rimanente ad aiutare i due giovani ad indossare i costumi, mentre si erano fatte le 17 e gli invitati cominciavano ad arrivare: compagni di classe e conoscenti di Kentin andavano subito verso gli amati animatronics, mentre i genitori che gli accomoagnavano prendevano a chiaccherare, parlare del luogo, della festa, dell'atmosfera, per poi cambiare argomenti, svagandosi in qualche modo anche loro mentre i bambini si divertivano.
Nessuno gli notò, ma tre ragazzi mascherati da Freddy, Chica e Bonnie entrarono nella pizzeria, cercando un luogo più tranquillo, lontano dal cuore della festa... Un luogo dove aspettare Foxy.



Quando alle 17;30, puntuali come un orologio, Kentin e Jeremy fecero la loro entrata in scena nel Feazbear, vennero accolti da un coro di "Auguri" e applausi, rivolti al più piccolo ovviamente, che sorrise come mai aveva fatto in vita sua, perdendosi tra abbracci, complimenti e compagni di classe che gli rimproveravano il fatto di aver taciuto il suo compleanno, quella mattina. Jeremy era sparito in fretta, rintanandosi chissà dove, ma questo a Kentin non importò, piuttosto pensò a divertirsi con i suoi amici... Era bello. Era bello non sentirsi tristi o soli.
Vincent presto fece la sua apparizione, seguito dai due Animatronics costume, e Kentin mancò un battito quando vide Fredbear, l'originale, davanti a lui.
«Vacci a parlare, su!» lo incitò Vincent, comparendo dietro di lui e mettendogli entrambe le mani sulle spalle.
«Ma mi vergogno...» sussurrò in imbarazzo Kentin e strappò una risata al padre che quindi fece cenno al ragazzo dentro Freadbear di avvicinarsi, e lui eseguì.
«Ciao! Sei tu il festeggiato? È un piacere conoscerti!» esclamò il ragazzo e Kentin si morse il labbro inferiore per trattenersi dall'abbracciare il suo idolo.
«Guarda che puoi farlo.» gli sussurrò malefico suo padre, ridacchiando, felice di vedere tale reazione in suo figlio. Così il minore preso da un impeto di coraggio lo fece, abbracciando la gamba dell'animatronics, che rise a quella scena e lo prese in braccio. E Kentin sentì il suo cuore esplodere dalla gioia in quel momento. E sia Fredbear che il ragazzo che lo muovevano erano felici quanto lui. Vedere l'allegria e la gioia negli occhi dei bambini era uno spettacolo impagabile.
Intanto sul palco La Band suonava, circondata dal pubblico che per alcune canzoni incitava anche il bis. Altri bambini si trovavano, invece, nel Pirate Cove con Foxy e...
«Que-questo è i-il mio co-capitano, da oggi, cara mia ciu-urma! I-Il Pirata T-telefono!» e un urlo piratesco si udì per tutta la pizzeria. Era in quel modo che la ciurma accoglieva un nuovo membro. Phone rise in imbarazzo, grattandosi il collo. Si sentiva strano in quel luogo, con un cappello da pirata in testa, la benda sull'occhio e una ciurma che lo festeggiava.
«Adesso Il Pir-rata Telefono d-deve fare il giuramento! CIURMA! Portate q-qui il giu-giuramento!»
«Subito Capitano!» e un gruppetto di bambini corse verso un baule, seguiti dagli occhi di Phone, lo aprirono, estrassero una pergamena e la consegnarono al nuovo arrivato.
«Le-Leggi!» gli ordinò il capitano, mentre tutti i bambini si sedevano per terra a gambe incrociate, pronti ad ascoltare il giuramento. Phone portò gli occhi sul foglio... Bianco. Cosa? Non c'era scritto nulla! ... Oh. Poi capì. A quanto pareva doveva improvvisare.
«Io: Pirata Telefono, Vice Capitano della ciurma che è il Terrore Dei Sette Mari... Giuro fedeltà ai miei compagni e al mio capitano! Darò ogni mio nemico in pasto agli squali... Per mille balene!» urlò alla fine, venendo seguiti dai bambini che alzarono le mani al cielo urlando "per mille balene!" come per sugellare definitivamente quel patto, poi presero ad applaudire e Phone, sentendosi un attore magnifico, si lasciò andare a qualche inchino di ringraziamento, facendo scoppiare a ridere il capitano.
«Accidenti... Perchè é così difficile muoverlo?» si chiese il giovane con il constume di Springtrap, che proprio dopo quella frase fece in modo di rendere impossibile il movimento. Era una sua sensazione o Springtrap non voleva muoversi? Così stavano facendo solo brutta figura! Springtrap, in mezzo alla sala, da solo, impalato. Sembrava disattivato.
«Ti prego muoviti...!» lo incitò il ragazzo ma Springtrap rimase immobile nonostrante il giovane provasse con tutte le sue forze ad avanzare, o a muovere un braccio, qualunque cosa! Invece no. Invece erano arrivati lì, nella sala principale e si era bloccato, smuoverlo era diventato inutile. Springtrap era pronto a rimanere in quel modo, immobile, per tutta la festa pur di salvare quel ragazzo, pur di non uccidere qualcuno davanti ai bambini. No. Non l'avrebbe permesso.
«Springhi? Ehy perchè sei fermo? Stai male?» una bambina, con dei capelli color tramonto e due grandi occhi verdi guardava dal basso l'animatronics, che la notò e pregò che si allontanasse.
«Se stai male ti aiuto io!» continuò, prendendo un dito del grande animatronics tra le sue mani. E il giovane non percepì nessun contatto, dato lo strato di metallo a separarli, ma a Springtrap parve di percepirlo.
«Allora? Come ti posso aiutare? Dai, dimmelo!» gli occhi verdi della bambina cominciarono a farsi lucidi. Era davvero in pena per quello che considerava il suo idolo. Solo allora il giovane si ricordò che l'animatronics che indossava non poteva parlare, quindi decise di farlo lui.
«No, io stò bene...»
«Non l'ho chiesto a te!» esclamò la bambina con tono ben poco garbato.
«L'ho chiesto a lui...» e il ragazzo rimase sorpreso da tanta fedeltà. Era riuscita a capire che non fosse il vero coniglio, che era solo un ragazzo che lo stava indossando, probabilmente l'aveva intuito dalla voce palesemente diversa.
Springtrap voleva disperatamente risponderle, ma non poteva. Non in quella modalità.
Così il giovane cambió tattica e decise di annuire, lentamente, per dare una parvenza di malfunzionante al robot, per farle credere che fosse lui ad annuire. E funzionò. E Springtrap lo ringraziò interiormente. La bambina sorrise raggiante, e mantenendo la presa sul dito del coniglio, lo invitò ad andare insieme al buffet. Quando il ragazzo provò a muoversi non percepì più la minima difficoltà, adesso sembrava di star indossando quasi una tuta sub, che lasciava fare al tuo corpo ogni movimento con solo un po' di difficoltà, dovuta alla pesantezza del costrume. Springtrap aveva acconsentito, finalmente, a quell'idea. Dopotutto, non poteva mica tradire così i suoi fan.



Quando Mike giunse alla pizzeria venne invaso da urla, musica, gente che parlava, "auguri" urlati... Bhe, quello non era esattamente il tipo di posto che piaceva a Mike Schmidt, a cui piaceva il silenzio e la pace. Si portò un indice alla guancia, grattandola appena, non sapendo esattamente cosa fare o dove andare, sperò di riuscire a intravedere tra la folla i corti capelli castani del festeggiato, cosa alquanto impossibile. Il suo volto peró si illuminó quando trovò Kentin tra le braccia metalliche di Freadbear, peccato solo non fu l'unico ad assistere a quella scena, quindi gli andò incontro.
«Ehy, Kentin!» urlò, e vide il bambino voltarsi alla ricerca della sua figura, proprio come aveva fatto quella mattina, e quando lo trovò lo salutò muovendo freneticamente la sua mano.
«Mike! Sei arrivato.»
«Si, sono qui. Ma ti lascio stare subito con il tuo idolo, voglio solo sapere una cosa... Dov'è tuo padre?» chiese e Kentin prese a guardarsi intorno, certo che il padre fosse con lui proprio un'attimo fa.
«Aveva detto che andava in bagno e mi sa che tra poco devo andarci anche io!» suggerì il ragazzo nell'orso, mettendo giù Kentin, salutandolo cortesemente e dirigendosi verso il palco assieme al compagno, dove aveva intenzione di lasciare l'animatronics in modalità costume per andare in bagno, lasciandolo lì come un automa, ad aprire e chiudere la bocca: chi mai se ne sarebbe accorto? Mike però ignorò il resto della frase e si fece indicare dove si trovasse il bagno e aspettò pazientemente fuori da quella porta isolata. A quanto pareva erano tutti alla festa.
Ad ogni modo era lì per una sola ragione: fermare Jeremy una volta per tutte, lo stava facendo per lui e per Kentin. E solo una persona sarebbe stato in grado di fermarlo. Quello a cui Jeremy era più affezionato in assoluto.
«Signor Vincent!» lo chiamò appena uscì dal bagno, facendolo sobbalzare dalla sorpresa e facendolo armare velocemente di Torcia, che gli puntò contro.
«Chi sei!?» Mike alzò le mani di riflesso a quella domanda e si presentò.
«Mike Schmidt, signore.» Vincent lo analizzò dalla testa ai piedi, calando lentamente la torcia per rimetterla a posto.
«Hai una faccia che ho già visto.»
«Sono amico di Jeremy, signor Vincent. Qualche volta sono anche venuto a dormire da voi.» Vincent s'illumino, ricordando perfettamente il ragazzetto educato che lo chiamava sempre "Signor Vincent". Era da un po' che non si vedevano, forse da un anno se la memoria non lo ingannava. Si era sempre chiesto come un ragazzo così gentile e educato... Andasse d'accordo con la Carogna. Bha! Ma questo poco importava. D'altronde sapeva per certo che anche Jeremy era un bravo ragazzo sotto quella scorza dura.
«Si, mi ricordo di te. Fa piacere rivederti, sei diventato alto.» disse constatando che praticamente il ragazzo era poco più basso di lui, ormai, quando fino all'anno scorso gli arrivava appena al torace.
«Devo parlarle di una cosa importante.»
«Cos'ha combinato Jeremy?»
«Ecco sì, si tratta proprio di lui e-»
In quel momento arrivò il ragazzo che fino a poco prima si trovava nel costume di Freadbear, correndo verso il bagno, aprendo la porta quasi scardinandola e sparendo lì dentro.
Vincent ghignò semplicemente e chiese che ore fossero.
«Le 19;37»
«Ah bhe. Sono due ore che la tiene. Su Schmidt, torniamo in sala a tenere d'occhio i piccoletti, lì potrai parlarmi di tutto quello che vuoi, sai: sono in servizio.»



Jeremy aveva visto Kentin in braccio al Fredbear e gli era venuto in mente uno scherzo geniale, quindi era tornato dalla sua banda, tutti categoricamente mascherati con quelle maschere che aveva portato lui stesso due ore prima, e che finalmente tornavano utili.
L'unico problema era suo padre: ma adesso che si era allontanato poteva agire indisturbato.
«Ripassiamo in fretta il piano: noi andiamo lì, lo prendiamo, lo mettiamo nella bocca di Fredbear, lo facciamo spaventare per bene e poi lo togliamo da quella bocca. Ma dobbiamo fare in fretta: il padre di Jeremy, quello con la divisa viola, non ci deve vedere.» ripetè brevemente il piano Freddy, sentendosi terribilemnte gasato per quello scherzo, nessuno poteva vederli ma tutti e quattro stavano ghignando divertiti.
«Allora andiamo.» incitò Chica e, silenziosi come predatori si avvicinarono a Kentin, che si trovava proprio vicino al tavolo del Buffet, a bere dell'aranciata. Quando si voltò trovò quei quattro musi: uno di Freddy, uno di Chica, uno di Bonnie e, quello che più lo terrorizzava: Foxy. Indietreggiò istintivamente quando a quei ragazzi si sovrapposero le immagini dei suoi Incubi, ma durò poco poichè uno di loro parlò, e fu proprio la Volpe a riportarlo alla realtà.
«Ehy Kenny, tanti auguri! Ho visto che vuoi molto bene a Fredbear.» quella voce... Era Jeremy! Sgranò gli occhi spaventato, facendo cadere per terra il bicchiere di plastica ormai vuoto, prendendo a tremare: si sentiva in pericolo.
«Ehy, Jeremy, guardalo: è terrorizzato!» fece notare Bonnie, ridendo appena, subito dopo la sua frase.
«Oh, io sono certo che una volta con Fredbear si calmerà.» aggiunse Freddy, che incontrò lo sguardo cristallino del bambino con i suoi, di un profondo nero.
«No... No, vi prego!» disse provando a indietreggiare un po' ma la mano di suo fratello lo afferrò per un braccio, mentre un'altra mano: quella di colui che si era mascherato da Freddy, lo afferrava per l'altro braccio.
«Andiamo Kenny! Il tuo eroe ti vuole dare un Grande Bacio!» e a quella battuta di Jeremy gli altri risero, costringendolo a raggiungere Golden Freddy sul piccolo palco.
«No! No, non voglio! Vi prego!» le lacrime presero a scorrere velocemente sul suo viso, il cuore batteva velocemente, terrorizzato quanto lui, e i suoi occhi, annebbiati dalle lacrime, vedevano solo quelle fauci aprirsi e chiudersi, continuamente. Si dimenò ma le prese dei quattro erano senza dubbio più ferree delle sue forze.
«Al mio tre!» disse Jeremy, sentendo la paura di suo fratello scivolargli sulla pelle e aumentare l'adrenalina che scorreva nelle sue vene.
«Uno...» quasi tutta la sala stava assistendo alla scena, tra chi credeva fosse uno strano Show e chi era pietrificato dalla scena.
«Due...» Fredbear non poteva muoversi minimamente, ma registrò perfettamente quella scena nella sua memoria: gli occhi di quei folli, le loro voci, le lacrime del bambino. Pregò si fermassero. Perchè era molto pericoloso ciò che quegli stupidi stavano per fare, ma non se ne rendevano conto.
«Tre!» le urla di Kentin attirarono Vincent e Mike che, a passo spedito e con il terrore nel cuore, s'incamminarono verso la sala.
Un bambino tra i denti di Fredbear. Jeremy e i suoi amici scoppiarono a ridere, non precependo minimamente tutta l'atmosfera tesa e cupa che il resto della sala cominciava a respirare. Jeremy si teneva la pancia dalla forza con cui le sue risate si imponevano su di lui.
Poi si fermò di colpo.
Quei denti non si stavano aprendo per lasciar finire lo scherzo, no, si stavano serrando.
Smise di respirare. Mancò un battito. Le sue forze lo lasciarono completamente. La testa di suo fratello stava per venire pressata.
«NO!» lo urlò con tutto il suo fiato in gola e si mise davanti a quello stupido orso, mettendo le sue mani una sui denti superiori e una sui denti inferiori, forzando per aprirgli la bocca, era pronto anche a rompere quello stupido robot... Ma Kentin... Non avrebbe permesso che il suo fratellino morisse.
Il minore sgranò gli occhi nel vedere il tentativo disperato del fratello e... Erano lacrime quelle nei suoi occhi? Quelle che scivolavano sulla maschera?
«Non morire, non morire... Bastardo, APRI QUESTA CAZZO DI BOCCA!» perchè nessuno andava ad aiutarlo? Avevano paura? Suo fratello stava per morire! Si guardò brevemente indietro e di Bonnie e Chica non si vedeva nemmeno più l'ombra: quando si erano resi conto della gravità della situazione non avevano perso tempo a scappare lontano.
«Lasciali perdere: sono dei codardi maledetti.» chi lo affiancò, provando ad aprire la bocca dell'animatronics fu Freddy.
Erano in due contro del metallo che forzava per distruggere la testa di Kentin.
«Calmati, Jeremy!» gli ordinò Freddy, notando le lacrime e il respiro velocizzato, comprendeva il suo terrore ma non era quello il momento. Mai Freddy gli sembrò più affidabile. Un Leader che ripara ai propi errori.
«Jeremy... Ho paura...» sussurrò Kentin, e Jeremy serrò i denti, sentendosi un mostro della peggior specie. La sua coscenza era esplosa nella maniera più brutale possibile.
«Va bene! Andrà bene! Non ti lascerò morire... Perdonami.»
«JEREMY!» Lo richiamò Freddy, notando che il ragazzo cominciava a usare meno forza per mantenere quella bocca aperta, distraendosi.
«Devi ascoltarmi, testa di cazzo!» e allora ebbe l'attenzione del ragazzo che riprese a forzare la bocca.
«Al mio tre dobbiamo usare tutta la nostra forza e allargare quel tanto che ci basta per tirare fuori tuo fratello, dobbiamo stare attenti alle mani o ci ritroviamo monchi!» Jeremy annuì velocemente.
«Uno, due... Tre!» in quel preciso istante usarono tutta la loro forza per fare in modo che la testa di Kentin fosse libera, facendolo cadere sul palco in legno, terrorizzato, con gli occhi fissi su quei due.
«Adesso togliamo le mani!» la sincronia con cui riuscirono a staccare la presa sulla bocca dell'orso fu impressionante. Silenzio. Ce l'avevano fatta.
Tutta la sala era immobile a osservarli e suo fratello tremava terrorizzato, come lui e Freddy che non avrebbero mai voluto ripetere un'esperienza simile.
Poi lo vide. Lo vide, e fu come morire.
Suo padre, propio vicino al corridoio che portava al bagno da dove era appena arrivato, affiancato da Mike.
Pallido, con la bocca schiusa dalla sorpresa, tremante. Aveva assistito a tutto e si era sentito gelare sul posto. Quella scena per lui, che era il padre dei due, era stata la più raccapricciante della sua vita. Suo figlio maggiore - perchè sapeva bene che era lui, ricordava bene come aveva guardato la maschera di Foxy la prima volta che l'aveva vista - che attenta alla vita di quella del minore. Cominciò a girargli la testa, sentiva che avrebbe potuto vomitare lì. L'espressione di odio e delusione che rifilò a Jeremy fece indietreggiare quest'ultimo.
«Papà...»
«No, non chiamarmi più in quel modo, Jeremy.» in tutta la sua vita Jeremy non aveva mai sentito suo padre parlargli con tanta calma mista a risentimento. Freddy sentì l'amico soffocare un singhiozzo e decise di risparmiargli l'umiliazione più grande della sua vita, così lo prese per la maglia e lo trascinò via da quella pizzeria.
Presto gli invitati cominciarono ad andare via e alla fine rimasero solo Vincent, Kentin, Mike, Phone e gli animatronics.
Vincent sedeva su una sedia abbracciando suo figlio da cui non si sarebbe mai più staccato. Era stato a un passo dalla morte.
Non aveva pianto una lacrima, ma dentro di sè stava soffrendo per suo figlio Kentin e anche... Per Jeremy. Chi lo capiva, l'amore paterno?
«Da quanto andava avanti, Kentin?» chiese risoluto, Vincent, con il mento poggiato sulla testa del piccolo e gli occhi persi, a guardare davanti a lui.
Non gli rispose, allora lo fece Mike al posto suo.
«Da sempre.»
«Da sempre...» ripetè Purple Guy con un tono leggero, sorridendo appena.
«E io non me ne sono mai accorto.» si stava dando dello stupido. Lui, che credeva la loro fosse una famiglia perfetta. Era stato uno stupido illuso
«Per favore non prendertela con Jeremy.» sussurrò Kentin, forzandosi nonostante il trauma per quello che era successo appena un'ora prima l'aveva sconvolto.
«Lui ti vuole bene.»
«Ha provato a uccirerti.»
«Non voleva uccidermi! Lui...» era stato l'unico a sentirlo scusarsi? L'unico a sentire quel "non ti lascerò morire!". Cosa sarebbe successo, ora?
«Andiamo a casa.» avvertí Vincent alzandosi in piedi.
«Vi accompagnamo!» proposero subito Mike e Phone, certi che lasciarli soli in quel momento sarebbe stato un grandissimo errore. Così andarono via da quel luogo che era stato, per poco, scenario di morte.
Nessuno poteva immaginare che da quel giorno Vincent e Kentin sarebbero stati più tristi, cupi, riprendendosi, poi, solo grazie all'aiuto costante di Phone e Mike , che il Feazbear sarebbe caduto in rovina, salvandosi per un pelo grazie alla venuta dei nuovi animatronics, che salvarono la pizzeria, mentre quelli vecchi vennero dimenticati e classificati come "pericolosi". E nessuno sapeva, certamente, che appena un mese dopo Jeremy avrebbe lasciato quella città. Da quel giorno, anche se difficilmente, ognuno si creò un'instabile felicità. Da qualunque punto di vista si volesse guardare la vicenda, il risultato era sempre lo stesso: Alcune cose sarebbero cambiate per sempre, da quel giorno.


Era passato un mese e lui si trovava in stazione, con le sue valige, pronto ad andare il più lontano possibile da quel posto. Cos'era successo in quel lungo mese? Bhe, dopo che Freddy l'aveva portato via erano andati a casa sua, avevano preso tutte le sue robe, messe in una valigia e se n'erano andati, tutto fatto in fretta. Poi era stato a casa di Freddy, scioccato, perso, terribilmente fragile per un intero mese. Doveva molto a quel ragazzo. Per 31 giorni interi aveva provato a riscuoterlo in ogni modo, a volte finendo anche in delle risse tra loro. L'aveva aiutato a riprendersi quanto bastava per farlo reagire. Lo aveva costretto, per lo più, a forza di urla, battutine sarcastiche e qualche pugno, a volte sbattendogli in faccia la realtà senza alcuna remora "Sei stato a tanto così da diventare un assassino!". Gli doveva molto. Nonostante tutto la ferita che si era autoinflitto quel fatidico giorno era ancora da sanare, per ora si limitava a nasconderla, ma gli occhi arrossati dal pianto e le occhiaie parlavano per lui. Quindi Freddy gli aveva detto che tutto quello lo stava uccidendo, e che doveva andarsene da lì. Ed era quello che stava facendo, perchè si ormai aveva anche paura di camminare per strada ed incontrare Mike, Kentin o peggio ancora suo padre. Aveva pianto più in quel periodo che in tutta la sua esistenza.
L'interfono parlò, avvertendo che il suo treno stava per giungere in stazione, così si alzò, stingendo alla mano la sua valigia, quando qualcuno che conosceva bene lo affiancò.
«E quindi la nostra avventura finisce qui.» disse Freddy, battendo una pacca sulla spalla dell'amico.
«Così sembra.» rispose semplicemente Jeremy.
«Tanto prima o poi dovrai tornare.» gli fece notare Freddy, e Jeremy annuì, conscio che quello che diceva era la verità, ma sperando che quello avvenisse il più tardi possibile.
«Ad ogni modo: goditi questa pausa dalla tua vita.» il treno giunse in stazione e i due si salutarono, promettendo di rimanere in contatto.
«Prima che tu vada... Ecco un ultimo regalino!» gli porse quella che sembrava essere una lettera, ammiccò all'espressione stranita di Jeremy, poi il castano salì sul treno e si salutarono un'ultima volta attraverso i finestrini del treno.
Quando Jeremy prese posto e aprì la lettera scoprì che non conteneva nessuna lettera, ma un documento d'identità falso.
Jeramy Fitzgerald. Non era certo il suo cognome, quello. Accennò un sorriso: i regali assurdi di quel folle. Ma almeno, così, con un'altra identità, sarebbe stato più facile scappare. Aveva chiamato Fritz, giorni prima, gli aveva raccontato ogni cosa, sentendo di potersi fidare solo di lui in quel momento. E lui, oltre a dirgli che aveva fatto una cosa imbecille - scelse bene le parole con cui chiamarlo, sapeva, Fritz, lo sentiva dalla sua voce, che già era distrutto di suo - poi gli aveva ordinato di venire da lui. Si. Ordinato. Era stato la mente di quel viaggio... L'unica via di fuga.

E mentre Jeremy si allontanava dalla sua vita Kentin sedeva sul suo letto, con un pacchetto gra de quanto il doppio della sua mano, di colore giallo e nero, infiocchettato con un bel fiocco viola, e su di esso c'era scritta una sola cosa: "Ti ordino di aprire questo regalo per ultimo."
Era il regalo di Jeremy, non era certo difficile capirlo. Il giorno del suo compleanno, prima del "morso" Jeremy si era avvicinato cauto al tavolo dei regali e aveva lasciato quel pacchetto sul tavolo, notando poi suo fratello e Freadbear, avendo, poi, quell'orribile idea.
Era passato un mese e, senza dubbio, quello era l'ultimo regalo che avrebbe aperto, ma era agirato. Credeva fermamente fosse un'altro scherzo, dato che un mese prima ricordava perfettamente che il maggiore gli disse di non aver trovato alcun regalo. Ma si era deciso ad aprirlo, finalmente! Così, nella sua stanza, da solo, scartò il pacchetto velocemente.
«Freadbear...» sussurrò vedendo il suo amico che gli era stato sottratto dal maggiore tempo addietro, prendendolo con mani tremanti e abbracciandolo. Poi si accorse del biglietto che si trovava con Fredbear nella scatola.

"Sorpreso, fratello? No, non è mai stato all'Inferno, ma solo in camera mia. Adesso non farti comunque strane idee! Te lo restituisco solo perchè è il tuo compleanno, io non me ne faccio nulla e... Ah. Che bigliettino stupido."


Kentin sorrise tra le lacrime per la prima volta di felicità. Ora ne era certo: lui e suo fratello, con un po' d'impegno potevano davvero definirsi tali.
Peccato.
Peccato davvero.
Peccato che, ormai, sia troppo tardi.
   
 
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