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Autore: Shirokuro    25/01/2016    1 recensioni
{ izaya centric; onesided!izaya/shinra | one-shot di 4440 parole circa | angst; introspettivo | missing moments? | prima classificata e vincitrice del premio "miglior sviluppo del tema" al contest I still haven't kept my promise indetto da E u c h a r i s sul forum di efp }
«Simpatico, il piccolo Shizu» commentò quando lui ed il castano furono di nuovo da soli.
«Dici? Secondo me è affascinante» rispose il ragazzo dagli occhi castani, mentre le saette rossicce di Orihara si posavano su lui e la bottiglia di cola che portava alle labbra. Il moro non sapeva esattamente come descrivere quella sensazione dolorosa che lo teneva stretto a sé dal momento in cui aveva udito la parola
amico uscire dalle labbra del compagno di scuola. Solo quel dolorosa che aveva pensato d’istinto rendeva l’idea che si ramificava attorno a quello che i più romantici avrebbero chiamato cuore. Chissà se avrebbe reagito allo stesso modo se quel ragazzo così lontano quanto vicino da lui avesse detto «Ti voglio presentare una persona».
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai | Personaggi: Izaya Orihara, Shinra Kishitani
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La collana di stelle e sogni oscurata dal Sole
   Izaya era disinteressato nei confronti di qualsiasi rapporto diretto con le altre persone. Non che non riuscisse ad intrattenerne o che si fosse isolato dagli altri – tutt’anzi –: non vedeva perché scomodarsi tanto ad averne, quando distruggerli e reinventarli a suo piacimento era milioni di volte più semplice e divertente. Non che fosse interessato nei rapporti altrui, per carità! Era solo uno svago, il suo. Non aveva davvero niente da fare, d’altronde, come diceva la sua assistente. E poi ad affezionarsi a qualcuno ci si ferisce e basta, lui non amava l’idea di venire intralciato da simili sentimenti; per questo i suoi amici si contavano sulle dita di una mano e più precisamente su di un unico dito.
   «Shinra».
   «Cosa?» gli rispose Namie, posando sulla scrivania due cartelline gialle e sedendosi sulla sedia girevole, sorpresa dall’improvvisa chiamata del moro – lo sguardo perso eppure serio, le mani congiunte e la schiena ricurva verso il tavolino. Non ricevette nessuna reazione significativa per alcuni minuti, passati nella totale contemplazione di quel raro e preoccupante momento di pace e quiete e nonostante ne fosse in parte felice, non riuscì a disfarsi della sensazione di disagio che greve si era andata a riposare sulle sue spalle. Poi finalmente l’informatore si voltò seppure impercettibilmente e le dedicò uno sguardo curioso, solo per sorridere beffardo successivamente. «Izaya?»
   «Volevi chiamassi il tuo nome?» chiese il giovane, alzandosi in piedi. Namie preferì non controbattere ed attese lui continuasse a parlare – avrebbe continuato, lo sapeva fin troppo bene. «Io lo volevo».

 
*
[A quindici anni non aveva un lavoretto part-time]
(come sei dolce, dolcissima, noia!)

   «Ehi, Izaya». La voce troppo acuta di Shinra invase tutta l’aula, rimbombando sulle pareti della stanza e nelle orecchie del moro che stava adoperandosi con una penna ed un quaderno pieno di numeri e nomi. L’interpellato strappò un foglio pieno di dati come gli altri, lo bloccò tra le labbra, ne strappò un altro e ripeté l’azione altre due volte.
  Quando il fantasma dell’eco prodotto dal castano poco prima si estinse definitivamente e si poté udire solamente la carta venire malamente lacerata e separata dal suo luogo d’origine, il moro mugugnò qualcosa che sarebbe dovuto essere il suo consenso a continuare. «Sei interessato a qualcuno?»
   «Che razza di domanda è?» si lamentò Izaya, mentre confrontava i fogli ora disposti ordinatamente sul pavimento. Permise al silenzio di farsi nuovamente incontrastato protagonista e poi, esalando un flebile sospiro, disse semplicemente: «Io amo tutti gli esseri umani!» Shinra si stiracchiò pigramente sul tavolo da lavoro dell’aula di Biologia, non soddisfatto della risposta.
   Durante il terzo anno di scuola media, nell’afa di un Giugno precoce e la luce di un Sole morente, Izaya Orihara, stando accanto a Shinra Kishitani, ricordava il giorno in cui quell’idiota dagli occhiali rettangolari sempre al loro posto era riuscito a farsi accoltellare da un ragazzino disperato. L’unica immagine che vorticava nel suo immaginario, respirando la sua stessa aria, era la cicatrice che a volte si divertivano a riscoprire durante i momenti di noia, oramai fissa sull’addome del castano. E quel singolo ricordo richiamava alla sua mente il momento in cui aveva afferrato il coltello lanciato per terra da Nakura, nella troppa foga.
   Ed in secondo piano, mettendolo a fuoco, c’era proprio Shinra, che respirava lentamente, adagiato al tavolo e non lo guardava in faccia. Che fosse perché troppo dolorante o perché non ritenesse l’amico più degno di tale onore, probabilmente fu proprio quello il momento in cui qualcosa nella mente di Izaya si attivò e si sentì per la prima volta destabilizzato – non sarebbero stati abbassati i suoi voti, non sarebbero crollati i suoi risultati negli sport e di certo tutto quello che era accaduto non avrebbe condizionato la sua vita in alcun altro modo; eppure dentro di lui una voce sconosciuta gridava per il terrore. E poi ricordava di Shinra che ricambiava il suo sguardo, semplicemente smarrito, senza ombre di malevolenza nei suoi occhi lucidi per la fatica.
   E questo faceva tornare a galla il giorno in cui, dopo quell’incidente, per la prima volta si videro.

   «Come va la ferita?» La voce del moro non tremava assolutamente. Sorrideva, quel ragazzo che con flemma invidiabile giocava con un coltellino per Shinra tanto familiare – ma forse era solo la sua inesperienza in fatto di lame a farglielo credere. Kishitani, alzando la maglietta di cotone, gli mostrò la fasciatura con un modo di fare tanto fiero da sembrare sfacciato. «Felice di vederti tanto orgoglioso per essere sopravvissuto!» scherzò, avvicinandosi al ragazzo e studiando con finta curiosità le bende.
   Alzò una mano e con l’indice toccò il punto in cui ricordava l’amico fosse stato colpito; rise un po’ quando lo sguardo di Shinra si tramutò in una poco velata reazione al dolore. «Scusa».
   «Sembri giù di morale» sputò poi senza preavviso il castano.
   «Come?» Izaya strabuzzò gli occhi – era il primo ad essere sorpreso dalla sua affermazione.
   «È per quello che è accaduto? Lo capisco, sai: qualcosa ti turba» e dicendo ciò, fece ricadere la propria maglietta sul busto. Il moro lo osservò in tutte le angolazioni possibili, prese a girargli lentamente attorno più volte, esterrefatto. Non si sarebbe mai definito turbato, eppure quelle erano le parole uscite dalla bocca di Shinra e Shinra non sbagliava – quasi – mai. Ed era una delle pochissime cose che avevano in comune. Però, gli concedeva, nell’ultimo periodo qualcosa di storto in lui effettivamente
c’era.
   Si fermò, poi, e si accomodò senza invito sul letto di Shinra, distendendocisi deliberatamente. E fece vorticare dietro le palpebre serrate le informazioni in suo possesso per un’infinità di tempo mentre l’occhio dell’altro era vigile su di lui. «Fammi una promessa».


   «Siamo ancora amici, vero?» domandò Izaya, piegando in quattro uno dei fogli. Il castano annuì e diede responso con un verso che lo studente annoiato vicino a lui interpretò come una conferma. «Quindi, se ti rigirassi la domanda che mi hai appena fatto, come mi risponderesti?»
   «Senza dubbio, io, sono interessato in e amo Celty!» rispose immediatamente, saltando in piedi sulla sedia con un balzo entusiasta.
   «Ricordami un po’, cos’era la tua Celty?»
   «Una dullahan».
   Anche se solo per un attimo, il ragazzo alle prese con l’ennesima pagina strappata da un quaderno dubbio, sorrise.

 
*
[Quando era giovane amava fare sport]
(puoi fare di meglio, piccolo Shizu!)

   «Ti voglio presentare un amico» aveva detto Shinra qualche ora prima di indicare con un gesto della mano un ragazzo che aveva avuto la fortuna di sentir nominare a causa della sua grande fama come uomo più forte di Ikebukuro – alla sua età veniva chiamato addirittura uomo – e con l’altra la maglietta rossa che indossava Orihara. Izaya già odiava quel Shizuo Heiwajima. Lo odiava con tutto se stesso e forse proprio per questo erano già uno alla gola dell’altro. Perché già lo detestava, perché era un essere umano, perché non era un mostro, perché qualcuno che non nutriva interesse in Izaya ne nutriva nei suoi confronti.
   «Simpatico, il piccolo Shizu» commentò quando lui ed il castano furono di nuovo da soli.
   «Dici? Secondo me è affascinante» rispose il ragazzo dagli occhi castani, mentre le saette rossicce di Orihara si posavano su lui e la bottiglia di cola che portava alle labbra. Il moro non sapeva esattamente come descrivere quella sensazione dolorosa che lo teneva stretto a sé dal momento in cui aveva udito la parola amico uscire dalle labbra del compagno di scuola. Solo quel dolorosa che aveva pensato d’istinto rendeva l’idea che si ramificava attorno a quello che i più romantici avrebbero chiamato cuore. Chissà se avrebbe reagito allo stesso modo se quel ragazzo così lontano quanto vicino da lui avesse detto «Ti voglio presentare una persona».
   Non aveva mai posto un marchio sul giovane, non ne aveva il diritto e sapeva che così pensando lo aveva reso un essere libero di fare quello che più voleva. Ma se ne pentiva. Quel Shizuo era soggetto di interesse da parte di Shinra, eppure non era inumano; era un ragazzetto come molti – come lui, come loro, come Dotachin, come tutti gli altri –, ma Shinra era incantato dalla sua forza, una forza aliena che non capiva da dove provenisse. Eppure Izaya era riuscito a contrastarlo e si era dimostrato, seppur non superiore, alla sua altezza. Però a Shinra la forza bruta di Orihara non interessava, perché sviluppata negli anni, mentre era chiaro che la luce riflessa nelle iridi di Heiwajima era tanto accecante perché innata.
   «Capisco» si limitò a sussurrare, con il Sole che illuminava gli occhiali del castano e nascondeva le sue iridi nocciola. Tutto sommato, doveva accettare quella situazione. Forse.

   Izaya odiava con tutto il cuore Shizuo Heiwajima, vero, ma anche Shizuo odiava con tutto il cuore Izaya Orihara. Per questo finivano sempre per rincorrersi anche ore. Ikebukuro era piccola, dopotutto, quindi la giravano anche più di una volta. E per accendere il putiferio di pali sradicati dal cemento e distributori automatici per aria bastava avvertissero la presenza dell’altro, un sensore vago ed iniziavano a correre – Izaya in una direzione opposta, Shizuo nella in quella nella quale pensava si trovasse il moro. E spesse volte il ragazzo che vantava quegli occhi rossicci simbolo di fragilità e cattiveria allo stato puro si ritrovava, sebbene non ne andasse fiero, a chiedere medicazioni a Shinra.
   «Ahi, ahi, ahi, fa male! Shinra!» Il moro allontanò la mano dell’amico dal volto, intenta a disinfettare un’abrasione di modeste dimensioni. Egli si tinse sul volto di un’espressione delusa e pensierosa.
   «Come fai a resistere ai pugni di Shizuo se poi ti brucia solo una goccia di alcol su una ferita così piccola?»
   «Io non resisto ai suoi pugni. In genere solo ai bidoni della spazzatura che mi arrivano addosso e cose del genere. Un suo pugno, ora come ora, mi ucciderebbe» controbatté avvicinandosi al batuffolo di cotone imbevuto di liquido infiammabile rosa con la testa, permettendo a Shinra di continuare il suo lavoro. Momenti come quelli, in cui il silenzio li avvolgeva e poteva studiare con calma l’aspirante medico della malavita, erano qualcosa di speciale per Izaya – ed in parte sentiva di dover ringraziare il piccolo Shizu per questo.
   Nonostante i minuti in cui poteva bearsi dello studio pù accurato possibile dell’altro, si permise qualche istante per osservare il salotto ampio e vuoto. Era troppo grande per essere abitato solo da lui e sapeva bene che non era così. «Quando potrò conoscere la tua amata?»
   «Secondo me, fin troppo presto» rispose, apprestandosi a cercare un cerotto sul tavolino sul quale era seduto. Ne scelse uno rettangolare e lo distese sulla zona appena ripulita. Izaya sapeva che i dullahan non necessitavano di cure del genere, quindi si riteneva un passo avanti rispetto alla misteriosa esistenza che era presente nella vita dell’amico – non si poteva nemmeno paragonare il valore di un’osservazione tanto ravvicinata a quella disinteressata di una figura apparentemente materna. «Hai iniziato a scambiare informazioni tra gli yakuza, no? Prima o poi arriverai anche da lei».
   «Oh, essere malviventi è una cosa di famiglia?»
   «Credo di sì... Stai zitto un attimo, non riesco a chiudere questo graffio» ordinò, iniziando a premere su una ferita ancora aperta sulla guancia destra, facendo uscire qualche rapida goccia di sangue scuro. Con una garza sterile asciugò la guancia e la zona colpita. Izaya sospirò, facendo attenzione a non compiere movimenti bruschi. «È straordinario come tu sia ancora vivo, in ogni caso» iniziò Shinra, stuzzicando la curiosità del moro. «Shizuo non ha mai ucciso nessuno, sia ben inteso. In realtà, lui odia la violenza e odia essere ritenuto un mostro a causa della sua spaventosa forza oltre la concezione umana. E non sopporta i disordini, detesta quando dei ragazzini ribelli iniziano a suonarsele senza ragione per strada, odia le persone maleducate, quelle malvagie, quelle che sconvolgono l’equilibrio della sua vita e della giornata altrui, odia qualsiasi cosa ogni cittadino civile degno di questo nome dovrebbe odiare. E per un motivo o l’altro, la sistema con la forza. Non lo fa per cattiveria, non ha mai fatto nulla per cattiveria.
   «Ma tu sei un caso a parte, sento che se mai riuscisse a prenderti, ti farebbe a pezzi nel senso più letterale possibile. Fai attenzione, va bene?»
   Izaya spalancò gli occhi. Non c’era vera preoccupazione nella voce di Shinra – in realtà, a lui un simile avvenimento avrebbe fatto solo comodo, potendo scoprire fino a dove la forza del piccolo Shizu si sarebbe potuta spingere su qualcuno di vivo –, ma in qualche modo aveva anche pensato a lui che era il topo che cercava un’uscita da quella scatola infernale  piena di leve e bottoni.
   «Lo ricorderò».
   «Va bene» ripeté atono.
   «Poi fammi vedere la cicatrice».
   Sì, doveva proprio ringraziare il piccolo Shizu – a modo suo, ma doveva farlo!

 
*
[Prima ancora di imparare a vivere, si era fissato con la Morte]
(butta giù la treccia, mia Biancaneve!)

   «Alla prossima, Celty!» Izaya alzò con prepotenza la mano e la sventolò dietro alla figura femminea che si allontanava sul motorino nero pece, sapendo che avrebbe avvertito il gesto. Quella era una delle cose più divertenti del suo lavoro – poter prendere un po’ in giro la regina di cuori nera proveniente dall’Irlanda. Era vero che era un doppiogiochista, doveva ammettere. La sensazione che provava parlandole come fosse la cosa più naturale del mondo, però, era la più bella ed entusiasmante dell’Universo; quel brivido che lo percorreva dalla nuca alla fine della spina dorsale, ah, quanto poteva amarlo! I vantaggi dell’essere un informatore, avrebbe osato dire.

   «Ciao, mia deliziosa testolina!» canticchiò vorace di attenzioni l’uomo, facendo volteggiare un paio di volte per aria una testa dai capelli chiari e gli occhi socchiusi. Sorrise, quando posò la propria fronte su quella dell’esanime Bella Addormentata poco più grande del suo capo. Quello della grandezza era un dettaglio che in realtà lo infastidiva abbastanza, come se perché lei era europea avesse avuto il diritto di superarlo in dimensioni! La detestava! Eppure era così importante per lui in quel momento: voleva si svegliasse, quella dormigliona di una testa.
   «Fai senso» biascicò Namie, posando una tazza di caffè sulla scrivania.
   «Ho tre appartamenti e non il potere di dare una scrollata come Dio comanda a questa pigrona di una testaccia!» rise, posandola affianco alla sua bevanda.
   «Credevo tu non ci credessi in Dio».
   «Infatti è così, ma il suo nome a volte esce dalla mia peccaminosa bocca; visto che i nostri avi ci credevano e c’è chi ancora ci crede la parola Dio fa parte in maniera indissolubile della nostra lingua. Io non mi oppongo, perché è qualcosa creato dagli umani che io amo!»
   «Non era quello che hai sempre sostenuto finora».
   «Bisogna adattarsi!» e così dicendo, fece ruotare la sedia girevole. La donna sospirò pesantemente e cominciò a frugare nella sua borsa. Dopo un po’, gli porse un fascicolo da lì estratto. «Sempre efficiente e rapida, la mia Namie».
   «Non sapevo di avere il tuo marchio stampato sulla mia fronte». Izaya sorrise, sorseggiando il caffè e sfogliando le pagine appena ricevute. Erano per lo più foto e profili di diverse persone, principalmente giovani che avevano potere nelle Colors Gang e un paio di yakuza. Erano puri controlli di routine che si era sentito di fare; aveva avuto altro per la mente negli ultimi mesi, ma si sentiva egoista a non considerare più quei ragazzacci.
   Si alzò in piedi ed andò a controllare tra i suoi libri nei scaffali più bassi, trovandosi costretto a piegarsi in avanti. Prese una vecchia raccolta di storie della buonanotte. «Secondo te il lupo era cattivo?» domandò facendo scivolare le dita affusolate sulle pagine candide quanto rovinate. La castana si permise di ridere per un istante. Izaya schioccò la lingua scocciato; non amava le reazioni inaspettate, soprattutto da parte di una donna tanto indifferente nei suoi confronti. «Cosa c’è di tanto divertente?» s’incuriosì poi, sull’onda del secondo pensiero concesso alla faccenda.
   «Ho sempre saputo che sei simile ad uno di quei personaggi strampalati dei romanzi, ma farmi addirittura domande tanto stereotipate! Credo siano vent’anni che sia nata l’idea del lupo che non è veramente cattivo» rispose acidamente, ripresasi dalla sua stessa precedente esplosione.
   «Ma la mia era solo una curiosità nei tuoi confronti. Per me il lupo resta cattivo» asserì.
   «Per me no, allora. Il lupo si deve cibare di quello che la natura l’ha predisposto a mangiare, non lo fa malintenzionatamente» disse, incrociando le braccia sotto al seno.
   «Se fosse veramente buono si sarebbe sforzato di mangiare altro o di accontentarsi delle carcasse; semplicemente gli è più comodo così. A te piace pensare il contrario perché anche tu non ti sei saputa staccare dalla figura che la natura ti ha dato come maschile». Namie schioccò a sua volta la lingua, carpendo quello che Izaya aveva sottinteso nella sua spiegazione. Il moro dedicò una frecciatina anche alla testa della dullahan, ancora posata lì dove l’aveva lasciata, gli occhi in quello perenne stato tra sonno e veglia. «E credimi, io invece sono un lupo cattivo che ama riscoprire vecchie ferite».

 
*
[Quando chiudeva gli occhi era assassino di colombe]
(tu ami tutti gli esseri umani, Izaya!)

   Piume che senza ordine gli ricadevano addosso; era un sogno che, a distanza di settimane da quando l’avevano dimesso dall’ospedale e da quando quella ragazzina che in quel momento non ricordava come si chiamasse aveva tentato di farlo fuori, ritornava puntale ogni tre giorni. Sognava di lui stesso che sorrideva come un bambino la mattina di Natale e di un altro lui che lo guardava truce. Era un bellissimo gioco di sguardi rossi e di riflessi neri che in quell’oscurità paradisiaca interrotta solo dalle piume luminescenti brillava come protagonista.
   «
Ti sei dimenticato qualcuno» rimproverava il se stesso crucciato. «Non ricordi forse per chi stai lottando?»
   «Io non sto lottando per nessuno» rispondeva sempre il se stesso che riconosceva come Izaya Orihara.
   «
Bugiardo!» Izaya abbassava le spalle e si impensieriva. «Non ti ricordi forse il momento in cui hai deciso che gli esseri umani erano il tuo interesse più grande? Non ti ricordi che è stato nel momento in cui Nakura ti si è consegnato su un piatto d’argento?!»
   «
Ah, quello».
   «
Ma tu adesso non credi più nel tuo amore. Te ne sei solo ricordato! Non è forse così?» E in quel punto del sogno, il se stesso indispettito da qualcosa che Izaya non afferrava lentamente sfumava nel buio.
   Izaya faceva qualche passo, giusto per ritrovarsi davanti a dove quello specchio perennemente arrabbiato era sparito. Allora restava semplicemente lì, annoiato dal non fare nulla, quando apparivano davanti a lui in rapida sequenza Celty, Shinra e Shizuo. Ed ancora. Ed ancora. Ed ancora. Poi si interrompeva il cambio incerto e Shinra restava davanti a lui. Izaya saltava di qualche centimetro indietro, spalancando gli occhi e domandandosi il perché di quella reazione esagerata. Il castano apriva la bocca sorridente ed allargando le braccia proclamava: «Le cose che vanno oltre l’umano non sono forse straordinarie?!» Il moro lo guardava dubbio. «La amo veramente.
Anche se questo significa ferire tutti gli altri, Orihara» affermava poi, abbassando gli arti – quelle parole che sembravano tanto casuali anni prima in quel sogno apparivano come molto di più.
   «Sottovaluti quello che possono fare gli esseri umani!» gridava, offeso.
   «La forza di
Shizuo è veramente straordinaria! Hai mai sentito parlare di forza della disperazione? Lui riesce ad adoperare quell’energia che gli altri riescono a tirar fuori solo in casi di estremi pericolo in qualsiasi momento! È qualcosa di sensazionale, anche se è solo un essere umano!»
   «La conosco benissimo anch’io e non mi serve per tenergli testa, Shinra!»
   «La spada demoniaca?
Ah, è un’arma curiosa! Però non vale la pena parlartene».
   «
Eh?» Izaya non ricordava Shinra avesse mai detto nulla del genere e non capiva cosa potesse significare.
   «
Celty» diceva poi, e restava in silenzio. Osservava Izaya pietrificarsi.
   «Io queste cose le conosco, le conosco meglio di te, Shinra! Sono io a manovrarle! Perché non parli anche di me come qualcosa di fenomenale? Non lo sono? Dopotutto, ho tutta Ikebukuro e le anomalie al suo interno nelle mie sole mani» gli diceva, per qualche ragione, convinto.
   «Tutte le anomalie?»
   «Ognuna di loro!»
   «Ma io, mi spiace, non lo sono» sorrideva, portando dietro la schiena le mani, il medico.
   «Però sei un essere umano, no?»
   «Non capisco: tu cosa brami? Il potere ultraterreno o gli esseri umani?» domandava poi.
   «Io...» In questo punto del sogno, il moro si interrompeva stupito, si riavvicinava al castano e portava le mani al suo collo, indugiava qualche istante nei suoi pressi e poi le posava sulle spalle, studiandolo inorridito. Già, lui, cosa voleva?
   «Posso farti una domanda, Shinra?»
   E l’interessato scuoteva la testa dolcemente, prendendo le mani dell’uomo e facendole ricadere sui fianchi del proprietario. «Non a me, ma a quello vero».

   Ed Izaya semplicemente si svegliava senza risposta.

   Stanco ed ancora mezzo addormentato, portò le mani disperato al viso. Era così confuso, in quel frangente. Però sorrideva. Nelle lenzuola sfatte del letto caldo del suo ennesimo sogno ricorrente, decise di allungare la mano verso uno dei suoi telefoni cellulari e scrivere un rapido messaggio da inviare al vero Shinra.
   Che amasse Celty, che adorasse Saika! Amasse quelle cose che lui non poteva essere mille volte, le venerasse fin dopo la sua pallida morte! Poteva amare la dullahan centinaia di migliaia di miliardi di volte, non lo toccava minimamente. Che studiasse e si interessasse alla spada demoniaca per sempre, non gli poteva interessare meno di quanto già non facesse. Eppure, qualcosa lo infastidiva tanto da fargli male al cuore e ne aveva paura ed allo stesso tempo lo detestava. Detestava quel qualcosa.
Shizuo Heiwajima. Lui non era un mostro, era un essere umano proprio come lui. Eppure, eppure! Shinra Kishitani se ne dimenticava, Shinra Kishitani lo ammirava. Ed Izaya aveva odiato un essere umano. Lo odiò con tutto se stesso, dal momento stesso in cui avvertì la sua presenza in maniera così prepotente nell’esistenza di quella persona a lui tanto cara. E adesso si trovava a lottare se stesso in una battaglia solo sua – quella per un amore grande quanto tutta l’umanità. Aveva odiato uno di quegli spettacoli ambulanti che invece doveva amare e si era così allontanato da quello in cui credeva; questo non rendeva inevitabilmente il piccolo Shizu un mostro? E con quel pensiero in testa era riuscito a rianimare quel sentimento da tempo perduto verso tutte le persone del mondo.
   Perduto? Ma quando aveva perduto qualcosa di così grande? Risposta: in quel esatto momento in cui nel suo campo visivo era entrato il ragazzo dalla forza di mille divinità. Ma perché? Ci pensò per un po’; se aveva iniziato ad odiare qualcuno facente parte del genere umano come lui lo conosceva, allora si doveva essere iniziato ad interessare anche a quello che non era definibile come umano per provare ad amare anche quello che aveva detestato fino a consumargli le costole che tenevano il suo cuore ancora rinchiuso nel fragile petto che si ritrovava. Per poter continuare ad amare tutti gli esseri umani, si era aggrappato a quello che amava più di tutti perché a lui più vicino ed odiando gli animali aveva iniziato ad amare anche il disumano che Shinra ammirava per essere come lui e per provare a riparare il suo amore che invece si era sgretolato ancor di più, perdendo di vista le potenzialità che anche lui, come essere nato da uomo e donna, possedeva. Aveva provato a riparare un grande amore universale ed il piccolo amore personale nei confronti del castano in una volta sola, fallendo in ambedue le missioni. Ed aveva parlato a se stesso con parole d’incoraggiamento quando si era accorto di aver sbagliato.
   Rilesse rapidamente i caratteri scritti sullo schermo luminoso.
   Siamo ancora amici?

 
*
[Una volta, oramai adulto, si era spezzato e nessuno lo seppe riaggiustare]
(come dici tu, dimostrerò che è un MOSTRO, Aoba!)

   Izaya espirò nel freddo. La mano faceva male, sentiva che se avesse staccato il pugno dal palo congelo di quella che si faceva chiamare notte, avrebbe sentito anche più dolore. «Non sei mai stato altro, Izaya» si ripeteva infinite volte. Perché per Shinra, sin da quando si erano fatti una piccola ed apparentemente insignificante promessa, lui è sempre stato un’esile mera figura sullo sfondo che qualche volta si faceva più chiara, molte volte invece no. Se non fosse stato per quel labile sorriso che andava espandendosi, forse avrebbe pianto. Forse.
 
*

   «Hai mai fatto una promessa a qualcuno, Namie?»
   «Mh». La donna portò la mano al mento ed iniziò a pensare. «Quando era ancora piccolo, ho promesso a Seiji che l’avrei sempre protetto! Ed ancora oggi sto cercando di mantenere fede a quelle parole!» disse, fiera e trasognata. «E tu, Izaya?»
   «Una volta ho chiesto ad una persona di promettermi di essermi sempre accanto e qualche tempo fa è venuto meno alla promessa. O meglio, non gliene è mai veramente importato qualcosa, ma mi ha abbastanza ferito».
   Namie aspetto una ventina di secondi prima di raccogliere le forze e chiedergli: «Shinra Kishitani?»
   «Sai!» scoppiò lui, immediatamente. «Quell’idiota ha una cicatrice sull’addome, proprio qui» ed indicò il punto dove il castano era stato colpito anni addietro. «Ufficialmente, sono stato io a ferirlo. Però non è vero, è stato un nostro compagno di scuola che aveva perso dei soldi con le scommesse che organizzavo e lui, Shinra, si è messo in mezzo per proteggermi». Iniziò a camminare verso la scrivania e ci si sedette. «Mi sono chiesto: perché l’aveva fatto? Ma prima ancora, mi sono domandato se aveva iniziato ad odiarmi o qualcosa del genere. Ma lui non poteva odiarmi, perché non gli interessava quel genere di sentimento nei confronti delle persone». Si prese una pausa. «Lui odia qualsiasi cosa possa ferire il Motociclista Senza Testa. Anche se è una parola, uno spiffero d’aria, un respiro, un tocco. Io, come cosa, non ho mai rappresentato un pericolo ai suoi occhi».
   «Per questo porta gli occhiali» commentò la castana. Izaya rise.
   «Forse sì». Osservò la propria mano. Mosse le dita ritmicamente e poi le chiuse a pugno. «Io credevo mi andasse bene che adorasse tanto il soprannaturale. Da qualche parte c’ero anch’io tra le sue priorità ed ero l’unico essere umano straordinario tra di esse. Eppure facevo male a crederlo, perché non era così. Allora ho iniziato ad amare anche io quello che si presentava come alieno e così facendo ho accettato anche la sua priorità come qualcosa facente parte del mio mondo ed ho capito allora come mai avevo fatto prima che io non ero né un primo né un secondo posto. Io semplicemente non c’ero.
   «Però, ora so che sono l’unico vero essere umano che lui abbia mai osservato con un vago briciolo d’interesse».
   «E Shizuo Heiwajima?»
   Il moro alzò di scatto la testa e senza guardarla in faccia sputò con enfasi: «Lui è un mostro
   Il Sole, tramontato da ore, aveva abbandonato – da anni – la sagoma di quell’uomo che aveva odiato un essere umano ed i numeri ordinali. Che aveva amato tutti gli esseri umani ma ne aveva desiderato solo uno. Si protese verso Namie e posò le proprie labbra sulle sue per un breve lasso di tempo, dopo il quale la donna chiese: «E quindi?» Izaya soffiò il suo disappunto con convinzione.
   «Ci sono cose che Shinra non può fare con Celty, come i baci ed il sesso, perché il suo corpo non glielo permette e quindi Shinra non avverte nemmeno lontanamente l’importanza di un bacio e non si sentirebbe colpevole ad intrattenere rapporti sessuali con altre persone; perché per lui e Celty sono cose che non rappresentano una relazione amorosa».
   Namie rabbrividì e restò paralizzata per qualche secondo.
   «Quindi tu avresti...?»
   «Sì, e lui è mille volte meglio di te. Anche se tu, mia Namie Yagiri, sei incredibilmente più leale».


 
Soundtrack(s); Parole in circolo (Marco Mengoni). Yaaay!! Non riesco a credere che finalmente sono approdata su questo fandom. E meno che mai con una izayanra. Pensavo seriamente che sarei arrivata con una shizaya (nonostante il mio astio nei confronti del pair, ora più grande che mai). Devo dire che mentre scrivevo questa one-shot ne sono successe di cose, e l'ho scritta in meno di una settimana. Però non è che sono successe cose nella mia vita, ma nella mia testa. Sì, perché scrivendo mi sono ritrovata in mezzo a tanti pensieri e ragionamenti. Narita ha dichiarato un sacco di cose su Izaya che a pensarci ora, non fanno altro che alimentare l'amore per questa ship. Una volta, alla domanda di una fan, rispose affermando che confermare un eventuale interesse amoroso di Izaya nei confronti di qualcuno sarebbe stato spoiler, ad esempio. Non so quando questo successe, ma ipotizzando fosse prima della pubblicazione della nona novel, sarebbe sensato pensare che questo interesse (da intendere poi amoroso o meno) fosse nei confronti di Shinra, suo unico amico. Anche Mikage è un'opzione, certo, ma non penso ci sia mai veramente stato qualcosa fra di loro. Inoltre, ha anche detto che il momento in cui Shinra è stato pugnalato da Nakura per Izaya è stato importante. Insomma, un mix di cose che piano piano hanno si sono collegate nella mia inutile testolina. Allora, non so perché, ho pensato a Shizuo. E mi sono detta che Shizuo agli occhi di Izaya è un mostro perché Shinra, disinteressato nei confronti degli esseri umani, è incuriosito da sempre nella sua forza. Ma non contenta, ho deciso (e questo l'ho deciso io, non so quanto possa essere condiviso) che odia Heiwajima non tanto perché è un mostro, ma perché il suo unico amico, che non guarda nemmeno lui, osserva con ammirazione il super-uomo di Ikebukuro. E mi sono arrabbiata. Mi sono arrabbiata tantissimo. Non so perché, ma il fatto che questi potessero essere i pensieri del mio preziosissimo bambino – perché Bakazaya altro non è – mi ha veramente fatto arrabbiare. E mi sono detta veramente che la shizaya non proverò più a farmela piacere, non proverò più a capire perché non riesco a farmela andare giù; ora lo so. Comunque.
La one-shot è abbastanza articolata. In realtà, avrei potuto continuarla con un ultimo paragrafo che penso un giorno pubblicherò come flashfic perché non mi convince il finale e non mi spiaceva l'idea, ma alla fine ho ritenuto sarebbe stato più carino (per così dire) lasciare in sospeso con la scenetta tra Namie ed Izaya. La chiamo scenetta perché, se letta interamente senza i flashback di mezzo, non è altro che un piccolo spaccato pseudo-comico tra i due. Volevo fosse abbastanza distaccata dal resto della fan fiction, in modo più netto rispetto alla mera assenza di sottotitolo, perché sì. I sottotitoli, visto che li abbiamo nominati, hanno un po' tutti un loro significato (in genere molto esplicito, devo dire); la prima parte è un commento esterno, un incipit, mentre la seconda è qualcosa di detto da Izaya stesso. Mano mano spiegherò ognuno di essi dove necessario.
Andiamo più nello specifico per ogni paragrafo, giuro per i punti più criptici, adesso.
Primo paragrafo. Il "io lo volevo" si riferisce a quando poi Shinra chiama i vari mostri di Ikebukuro: la spada demoniaca Saika, Celty e Shizuo. Non so se è corretto non inserire anche gli altri, ma penso questi siano quelli che maggiormente hanno a che fare con Izaya. Comunque, quelle sono le persone che attirano l'attenzione di Shinra, ma tra quelle non c'è Izaya.
– Secondo paragrafo. La frase di Izaya nel sottotitolo è il ringraziamento a quella che riconosce come noia per poter passare del tempo con Shinra. La promessa che Shinra ha fatto ad Izaya è "restami sempre affianco". Il motivo per cui sorride, alla fine, è la risposta "una dullahan", cioè qualcosa di non umano.
– Terzo paragrafo. Qui iniziano i vari e disparati problemi con Shizu-chan (che per correttezza nei confronti dello stile adottato e dell'italiano è diventato piccolo Shizu). Tutto sommato, doveva accettare quella situazione. Forse, perché nemmeno lui sa esattamente come dovrebbe reagire e non sa cosa lo prenda.
– Quarto paragrafo. Il sottotitolo si riferisce a come Izaya abbia perso di vista quello che veramente contava per lui (gli esseri umani) e si sia fissato con la Morte, ovvero con il soprannaturale. La frase di Izaya è un richiamo al "Bella Addormentata" riferito alla testa di Celty. "vorace d'attenzioni" perché guardando la testa, Izaya pensa a Celty e quindi a Shinra. u//u "che ama riscoprire vecchie ferite" si può intendere in qualsiasi modo, ma più precisamente si riferisce proprio alla cicatrice di Shinra---
Quinto paragrafo. La prima frase del sottotitolo si riferisce ovviamente al sogno, mentre la seconda è più rilevante. Sì, questo pensiero che Izaya fa a se stesso. Da notare è come, in un modo o nell'altro, ogni volta che c'è di mezzo Shinra, Izaya parla da solo (all'inizio credevo di essere io scema a crederlo, ma poi ho letto che anche altri l'avevano notato ;___; poor bakazaya). Come quando all'ospedale distrugge i cuscini (perché è colpa di Shinra se si è interessato a qualcosa di diverso dall'umano) o più in là, come riprenderò nel penultimo paragrafo, nella nona novel prende a pugni il palo della luce perché si sente trascurato dall'amico e parla a se stesso. È un concetto che tenevo a chiarire ;n; In generale – il paragrafo – espone perché Izaya odia Shizuo. Ah, dimenticavo! Questa scena in particolare avviene dopo tipo tre, quattro settimane da quando è stato dimesso dall'ospedale. 
 Sesto paragrafo. Niente da dire. È l'unico vero riferimento ancora non apparso nell'anime ((sempre che non sia successo nell'ultimo episodio che non ho visto uscito mo' ma tsk dubito)) della novel-- compresa la frase picco piccolina di Izaya nei confronti di Aoba perché secondo lui "sia che viva o che muoia, Izaya vince comunque perché nel primo caso lo sconfigge e nel secondo dimostrerebbe che Shizuo è un mostro".
– Settimo paragrafo. La continuazione del primo. Diciamo che è la base sulla quale si costruisce una mia idea che per motivi legati alla mia dignità non posso esplicitare. u///u comunque, che Izaya e Shinra siano andati oltre il bacio è a libera interpretazione. "mia Namie Yagiri" perché mentre su Shinra non aveva posto il suo "marchio", su Namie in qualche modo, data la situazione che la lega ad Izaya, sì.
Ok, basta, finito. Grazie mille per aver letto. q___q Spero l'abbiate gradita almeno in parte e bruh niente ciao grazie bye.
   
 
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