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Autore: Tender Falling Rain    26/01/2016    12 recensioni
Ranma e Akane sono sposati da un bel po' e hanno tre figli. Le cose vanno bene, ma che succede quando qualcuno dal passato minaccia tutto quello che hanno costruito insieme? Una storia carina e divertente, che dà un'occhiata da vicino al 'vissero felici e contenti', se si puó chiamarlo così, di Ranma e Akane. Include i loro figli, come personaggi originali.
Fanfiction tradotta. Questo è il link per l'originale: https://www.fanfiction.net/s/11307948/1/Yakusoku.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Altro Personaggio, Nuovo personaggio, Ranma Saotome
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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NdT: Salve a tutti, sono Miss Hinako e per chi non lo sapesse (ma penso che ormai siate rimasti in pochi) sono la traduttrice di Saotome Gambit. Visto che ho quasi finito di tradurre la magnus opus (anche se ci vorrà ancora un bel po' per finire di postarla), ho pensato di prendermi una pausa dalla fantascienza e tornare al fantastico mondo canonico, o meglio, post-canonico. Le one-shot di questa autrice mi sono sempre piaciute, così le ho chiesto il permesso di tradurre le tre che preferisco e lei, molto gentilmente, me l'ha dato subito. A differenza di Saotome Gambit, che sapevo essere perlopiù ignota al fandom italiano, le storie di questa autrice sono abbastanza popolari e c'è una buona probabilità che le abbiate già lette e che quindi questa mia traduzione sia un po' inutile. Ma va bene lo stesso, consideratelo un esercizio di traduzione, ormai mi sono scoperta questo nuovo hobby e per un po' mi ci diverto. Le posterò in ordine di complessità (dalla più semplice alla più complessa). Questa è la prima. Buona lettura!


Ayame aveva chiare difficoltà, con un kata che aveva imparato a padroneggiare tre mesi prima. Ogni volta che Ranma urlava una correzione, lei saltava su spaventata, quasi come se si fosse dimenticata completamente che lui era lì. Altre volte, aveva dovuto chiamarla per nome diverse volte, prima che lei rispondesse.

“Ahia!” urlò lei all’improvviso, sbattendo l’alluce sull’asse allentata del pavimento del dojo e inciampando per la quinta volta nell’ultima mezz’ora.

Ranma sospirò sconfitto. “Ayame,” la chiamò, sedendosi sul pavimento in posizione meditativa e indicandole di fare lo stesso.

“Sì, papà – ehm, sensei?”

Ancora un altro segno di distrazione. I suoi figli lo chiamavano sempre sensei, quando si allenavano, ed era rarissimo che Ayame commettesse un errore di questo genere. Quello che le mancava in talento, lei lo compensava sempre con la serietà. Era determinata a seguire le regole alla lettera, a prescindere da quanto sembrassero stupide. Non contestava mai le sue istruzioni e si fidava completamente di lui, sempre. Ma oggi, c’era qualcosa che non andava. Adesso che le era seduto di fronte, vide che aveva ricominciato a mordersi il labbro, una cattiva abitudine che aveva sviluppato a cinque anni e che si manifestava sempre quando era particolarmente nervosa.

“Non sei concentrata, oggi,” disse, cercando di sembrare un istruttore severo e non un padre preoccupato. “Prenditi un po’ di tempo per fare ordine fra i tuoi pensieri e poi continuiamo.”

Lei chinò la testa, vergognandosi di fronte a quello che percepì come disappunto, e per un attimo lui pensò che stesse per piangere. “S-Sì, sensei,” disse, mordendosi il labbro.

Fu la voce strozzata a dargli il colpo di grazia, e tutte le istruzioni della giornata furono dimenticate. “A-Ayame, se-se... Cioè, se c’è qualcosa che non va... Io, um...” inghiottì a fatica, sentendosi fuori dal suo elemento, e allungò una mano dietro la testa per tirarsi i capelli. “Cioè, io um... posso andare a chiamare tua madre...”

Questa, naturalmente, era l’opzione migliore che aveva. I problemi delle ragazzine pre-adolescenti erano molto al di là delle sue competenze, e presumeva che Akane sarebbe stata meglio attrezzata ad affrontare quello che stava succedendo alla loro unica figlia femmina. Sfortunatamente, doveva aver commesso un qualche grave errore senza accorgersene, perché nel momento in cui pronunciò la parola ‘madre’, il fragile controllo di Ayame cadde a pezzi e lei scoppiò in singhiozzi.

“No! È proprio questo il problema! Io non posso parlare con mamma di... di questo!” pianse lei, per poi gettarsi la testa fra le mani e sconfinare in una raffica di borbottii incomprensibili.  

L’intero corpo di Ranma si irrigidì dalla paura. Le donne che piangevano avrebbero potuto benissimo essere la sua kryptonite, e la figlia dodicenne era l’aggressore perfetto per somministrargli una dose letale. Rimase lì istupidito, per più tempo di quanto lui stesso considerasse accettabile, prima di scrollarsi di dosso le sue fobie e venire a patti con la necessità di dover fare qualcosa. Inghiottendo a fatica ancora una volta, si spostò accanto alla figlia e poggiò goffamente un braccio intorno alla sua spalla, dandole qualche pacca esitante e mormorando, “su, su”.

Continuò così per un po’, sperando che fosse la cosa giusta da fare. Il volume del pianto sembrò diminuire, così come la frequenza dei singhiozzi occasionali, quindi suppose che qualcosa di buono la stava facendo. Con l’uscita di scena dell’iniziale fonte di panico, una parte del suo cervello ricominciò a lavorare e lui cominciò a riconoscere l’ovvia verità che doveva essere successo qualcosa di grave, che stava sconvolgendo sua figlia. Tuttavia, non riusciva a capire cosa potesse essere.

Gli era sembrata normale, quella mattina. Era stata la più brava della classe negli ultimi esami, cosa di cui era piuttosto orgogliosa. La sua squadra di pallavolo, a scuola, vinceva tutte le partite e gran parte del merito era attribuito ad Ayame. Lei e i fratelli andavano d’accordo, più o meno. C’erano i classici litigi tra fratelli, ma lei sembrava cavarsela bene, all’occorrenza, e non era tipo da mettersi a piangere per qualche scherzo o sfottò da parte loro. Sembrava essere abbastanza popolare e amava i suoi amici. Lei e la cugina Minami stavano sempre a parlare al telefono.

Quindi, cosa poteva mai averla sconvolta tanto? Sembrava andare tutto bene, a meno che non avesse un problema coi ragazzi...

Il pensiero lo colpì in testa come un’incudine e il sangue nelle vene si raggelò all'istante. Il pensiero della figlia dodicenne che aveva problemi coi ragazzi gli era sgradito al massimo grado. Pensava di avere almeno altri due anni di beatitudine, prima di doversi preoccupare che la figlia avesse a che fare con i ragazzi. E se qualcuno le avesse fatto del male... Questa, almeno, era una crisi che sapeva come gestire. Se qualche ragazzo fosse stato meno che galante con la sua piccolina, gliel’avrebbe fatta pagare.

Con questo pensiero in testa, parlò, con una voce fredda come il ghiaccio. “Che è successo, Ayame? Qualcuno ti ha fatto del male?”

“No, no, papà. Niente del genere. Non sono io, è... be’...”

Accidenti alle sue esitazioni. Stava cominciando a preoccuparsi sul serio. “Sputa il rospo, Ayame,” disse con insistenza. “Devi dirmi cosa c’è che non va! Altrimenti, come faccio ad aggiustare tutto?” Avrebbe fatto qualsiasi cosa per sua figlia. Lei doveva saperlo. Doveva sapere che lui avrebbe smosso cielo e terra per aiutarla. Vederla così lo stava uccidendo.

“Ma-Ma papà, non posso. Non voglio che tu e mamma...” si fermò di botto e si chiuse la bocca con la mano.

Lui aggrottò la fronte, improvvisamente sospettoso. “Che c’entra Akane? Ha fatto qualcosa?”

L’idea sembrava ridicola. Lui si fidava totalmente di sua moglie. Ma il panico improvviso nello sguardo di Ayame sembrò confermare la teoria, piuttosto che confutarla.

Oh, cavoli. Cos’ha combinato quella stupida, stavolta? Ha rotto una cabina della polizia? Ha fatto scappare qualche altro allievo? Se è stata rapita un’altra volta, chiaramente non è stato un grosso affare, visto che è già a casa a preparare la cena. Oh oh. La cena. Spero che non abbia comprato un’altra volta un veleno per insetti, scambiandolo per condimento. La sua mente continuò a rimuginare su tutta una serie di possibilità, ma alla fin fine, non era seriamente preoccupato e sentì il bisogno di informarne la figlia, vedendola chiaramente agitata per la faccenda.

“Senti, Ayame,” cominciò, un po’ incerto su come procedere. “Non devi preoccuparti per me e tua madre. Noi sistemiamo sempre tutto... quale che sia il problema. Qualunque cosa ti stia opprimendo, sono certo che verrà fuori che non è niente. Ora, non ti costringerò a dirmelo, se ti mette a disagio, ma sei chiaramente sconvolta e hai già detto che non puoi dirlo ad Akane...”

“Credo che mamma abbia una relazione!” sputò fuori Ayame, all’improvviso.

La prima reazione di Ranma fu di mettersi a ridere. Questa era l’ultima cosa che si aspettava saltasse fuori dalla bocca di sua figlia. “Ayame, devi esserti sbagliata. Akane non farebbe mai una cosa del genere. Sono sicuro che lo sai che noi abbiamo una storia... complicata ed un sacco di gente, in questa zona, ci conosce da quando eravamo ragazzi. Qualunque cosa credi di aver visto, sono sicuro che era soltanto Akane e qualche vecchio amico, magari uno che aveva una cotta per lei o cose così...”

“No, papà, non era questo. Lei gli stava dicendo proprio che voleva uscire con lui!”

Ranma si accigliò. Questo sembrava davvero orribilmente equivoco, ma uscire insieme poteva significare tantissime cose. “Chi è questo tizio, Ayame?”

“Non conosco il suo nome. È il proprietario del negozio di alimentari in fondo alla strada. La mamma è sempre molto amichevole con lui. Ma... anche lui è sposato e la moglie lancia certe occhiatacce alla mamma, quando entriamo!”

Ranma annuì, iniziando a sentirsi sempre più preoccupato. Eppure, non sembrava proprio da Akane fare una cosa del genere. E poi, lei sembrava sempre così felice, insieme a lui e ai bambini e al dojo. Certo, litigavano. Avevano sempre litigato e avrebbero litigato sempre, però si amavano.

“Non vuoi mica divorziare, vero, papà?” l’improvvisa domanda di Ayame lo riscosse con violenza dai suoi pensieri.

“Non essere ridicola!” rispose, senza esitazioni. Cavoli, che pensiero orribile. “Senti, sono sicuro che non è niente, Ayame,” disse, non sapendo se stava cercando di convincere lei o se stesso.

“Ho sbagliato a dirtelo, papà?” chiese lei, con una nota preoccupata nella voce.

“No, certo che no, tesoro,” disse lui, avvicinandosi per abbracciarla. “Senti, io e tua madre risolveremo questa... cosa, qualunque essa sia. Una ragazzina come te non dovrebbe preoccuparsi di queste cose, capito?”

“Sì, papà,” annuì lei. Sembrava ancora un po’ sconvolta, ma non era più sul punto di scoppiare a piangere.

“Ok, ora va’ a fare i compiti, prima di cena. Me ne occuperò io.”

*       *       *

Trovò la moglie proprio dove si aspettava di trovarla, in cucina, tutta agitata per preparare lo stufato. Tirò un sospiro di sollievo, prendendo nota degli ingredienti, che sembravano tutti abbastanza appropriati. Nei primi tempi del loro matrimonio, aveva insistito perché lei lasciasse sul bancone tutti gli ingredienti che aveva usato. Rendeva la cura anti-veleno molto più efficace, perché poteva identificare molto più facilmente il tipo di veleno che avevano ingerito. Si divertiva ancora un sacco a prenderla in giro, per questo, ma per la maggior parte la sua cucina era migliorata e a volte era piuttosto gustosa.

Sorrise leggermente, sopraffatto, per un attimo, dal pensiero di quanto era stata bella la loro vita insieme. Erano state le loro imperfezioni e le loro manie ad aver reso sempre la loro vita così interessante. Il modo in cui avevano imparato a lavorare insieme, per superare le difficoltà, li rendeva migliori, in due, di quanto fossero mai stati da soli. La paura che la figlia gli aveva instillato lo punse come uno spillo. Se lei aveva ragione su Akane, allora sarebbe cambiato tutto. Ma non puó avere ragione, insisté. Non è niente. Ne sono sicuro. Devi solo parlarle e chiarire tutta questa storia.

“Ehi, ‘Kane,” disse, con una voce che suonò più sottile ed esitante di quanto avrebbe voluto.

Lei si girò e gli sorrise raggiante. “Ehi. È già finito l’allenamento? Avete fatto presto.”

“Sì, um, Ayame era un po’... fuori fase, oggi.”

“Oh, davvero? C’è qualcosa che non va?” chiese lei, mentre una piccola ruga di preoccupazione si formava in mezzo alle sopracciglia.

“No, non proprio. Niente che non possa risolvere...”

“Ok,” disse lei, chiaramente tranquillizzata dalla sua rassicurazione. Tornò ad occuparsi dello stufato, senza altri commenti.

“Dimmi un po’, che hai fatto oggi?” chiese Ranma, cercando di sembrare naturale.

“Non molto. Ho dato lezione stamattina, sono andata a fare spese... Oh! Non indovinerai mai chi ho incontrato!”

“Chi?” chiese lui, sorridendo con affetto. Avrebbe dovuto saperlo fin dall’inizio che lei non gliel’avrebbe tenuto nascosto, qualunque cosa fosse.

“Mikado Sanzenin.”

“Sul serio? Non ci ha mica provato, vero?” chiese lui.

“Ha! Come se io gliel’avessi lasciato fare. No, è molto più tranquillo, adesso. E poi, penso che persino lui sappia che è meglio non far arrabbiare i Saotome.”

“Non è un più un playboy?”

“Direi di no. È davvero un peccato,” cantilenò lei, con un tono di simpatia molto poco convincente. “La sua vanità sembra aver subito un grosso colpo, per via di una notevole stempiatura.”

“Ma non mi dire!” ridacchiò Ranma. “Ben gli sta, con tutte le donne che ha avuto quando era più giovane.”

Lei lo guardò curiosamente, soffermandosi sulla testa piena di capelli. “Non mi sembra che a te abbiano fatto effetto,” commentò, con aria indifferente.

“Ha ha,” osservò lui, in tono piatto. “Molto divertente.”

Lei sorrise, assaggiando lo stufato con un cucchiaio da portata, per poi dirigersi alla credenza, in cerca delle numerose spezie che non cessava mai di divertirsi a sperimentare. “Sai, in realtà sembra essere diventato una brava persona, tutto sommato. Si è sposato. Sembra molto devoto a sua moglie e lei è una signora dolcissima. E poi, è magnifico coi bambini. Insegna pattinaggio alla pista del quartiere, adesso. È lì che io e Ayame lo abbiamo visto. È andata così bene, agli esami, che come ricompensa le ho promesso di portarla lì. Sembra proprio che sia interessata a prendere lezioni.”

“Bello,” disse Ranma, con un’aria un po’ confusa. “Allora... non l’hai incontrato al negozio?”

“No,” chiese lei, curiosa. “Perché?”

“Nessun motivo,” disse lui, perplesso. Era sicuro che Ayame avesse detto che era con qualcuno al negozio di alimentari, che Akane aveva per così dire progettato di uscire insieme, e conoscendolo, Mikado avrebbe facilmente potuto dire qualcosa che Ayame poteva fraintendere. Aveva senso. Ma se non era lui, quello che avevano incontrato al negozio di alimentari...

“Non è successo nient’altro, degno di nota?” indagò.

Lei ci pensò su, per un attimo. “Ah, sì! Come ho fatto a dimenticarmelo?” disse, accigliandosi. “Sono andata a trovare Kasumi alla clinica di Tofu, per vedere se aveva bisogno di aiuto con quella nuova raccolta di fondi che sta organizzando. E indovina un po’ chi c’era, lì?”

Ranma trattenne un sospiro esasperato, impaziente di sentire solo della visita al negozio di alimentari. “Chi?” chiese, gentilmente rassegnato ad ascoltare, nonostante tutto.

“Akito, tuo figlio,” ringhiò lei. “A quanto pare, ha fatto di nuovo a botte, dopo la scuola.”

L’interesse di Ranma si accese e lui si permise questa deviazione. “Perché ti riferisci sempre a lui come a ‘mio figlio’, quando fa qualcosa che implica il mettersi nei guai?”

“Perché di certo non l’ha preso da me, questo comportamento!”

“Disse la ragazza che, per mesi, aveva l'abitudine di picchiare metà della popolazione maschile della scuola tutte le mattine, finché non sono arrivato io a portare un po' di pace ai poveri studenti del Furinkan.”

“Quella era legittima difesa!”

“Sì, sì, e allora, cos’è successo a nostro figlio? Ha vinto? Ma che sto dicendo? Certo che ha vinto,” professò orgoglioso.

Akane roteò gli occhi. “Ranma, questa non è una cosa da incoraggiare, ricordi? È ancora alle elementari!”

Lui sospirò. “Sì, hai ragione. Non dovrebbe fare a botte con un ragazzino delle elementari. Gli parlerò.”

“In realtà...” cominciò Akane, accigliandosi ancora. “I ragazzi con cui ha fatto a botte non erano della sua scuola.”

“Ragazzi? Più di uno?”

Akane annuì. “Otto, per la precisione.”

“Wow. Non male. Ma se non erano della sua scuola, di dov’erano?”

“Di un liceo della zona. Sembra che facciano parte di una banda di strada o... qualcosa del genere. Hanno rubato il pallone ad un compagno di classe di Akito e Akito gliel’ha fatto restituire. Hanno resistito, per un po’. Comunque, non ha niente di grave, solo un taglio sul gomito, che gli hanno fatto con un coltello,” disse lei enfaticamente, brandendo il suo coltello da cucina, prima di cominciare a tagliare le carote.

Ranma fischiò a bassa voce. “E gli altri ragazzi?”

“Si riprenderanno, a quanto ho sentito. Tra una settimana o due.”

Ranma sorrise orgoglioso. “È proprio mio figlio.”

Lei si accigliò di nuovo. “Perché ti riferisci sempre a lui come a ‘tuo figlio’, quando fa qualcosa che ti impressiona?”

“Credo che non ci sia neanche bisogno di dirlo. I miei geni sono pieni di pura magnificenza. I tuoi geni sono tutti imbranati e...” La tirata si interruppe, quando il coltello da cucina volò attraverso la stanza e si infilzò nel muro, pochi centimetri sopra la sua testa.

“Attento, o i tuoi capelli spariranno più rapidamente di quelli di Mikado. Con un po’ di pelle annessa, magari.”

Lui rise nervosamente, togliendosi da sotto il coltello. “Stavo solo scherzando, amore,” la placò.

Soddisfatta, lei tirò fuori un altro coltello e ricominciò a tagliuzzare. “Comunque sia, apprezzerei lo stesso se ci scambiassi due parole. E preferirei che la conversazione non si limitasse a fargli le congratulazioni. Per favore, gli dici di darsi una calmata? Almeno, finché non sarà al liceo?”

“Certo, certo, tutto quello che vuoi, Akane. Ma veramente non sei neanche un pochino orgogliosa?”

Lei storse il naso. “Io sono prima di tutto una madre e, secondo, un’artista marziale. Terzo, una moglie,” aggiunse di sfuggita, provocando uno sbuffo indignato da parte di Ranma. “Ho promesso che non gli sarei stata troppo addosso, a patto che tu non te li portassi via per mezzo mondo in un viaggio d’allenamento decennale, ma questo non vuol dire che me ne starò zitta, quando le cose cominciano a sfuggirci di mano. Che è esattamente quello che sta succedendo!”

“Sì, ok, ho capito,” cedette Ranma.

“Detto questo... suppongo di essere anche un po’ orgogliosa, sì.”

Ranma sorrise con aria d’intesa, ma saggiamente, non disse nient’altro. “Sì, ok. Allora, cos’è successo al negozio di alimentari?” chiese, tornando alla discussione originale che sperava di avere.

Akane smise di tagliare le carote, per un attimo, e si accigliò, irrigidendosi leggermente, come se fosse confusa. “Che cosa?” chiese.

“Ho chiesto, che è successo al negozio di alimentari?” ripeté lui, avvicinandosi a lei, deciso a scorgere qualsiasi segno di disagio, se c’era.

Lei sbatté gli occhi diverse volte, prima di scrollare le spalle e gettargli un’occhiata da sopra la spalla. “Niente, in realtà. Ho solo fatto la spesa. Perché me lo chiedi?”

Lui strinse gli occhi con disappunto. Non riuscì a vedere alcun indizio che lei gli stesse mentendo. O gli stava dicendo la verità, oppure stava facendo un ottimo lavoro, a mentire. Lui sapeva perfettamente che lei era una pessima bugiarda, eppure, c’era qualcosa che non quadrava. “Nessun motivo,” disse, in tono irritato. “Che mi dici di domani? Hai piani?”

Lei scrollò di nuovo le spalle. “No, non proprio. Dare di nuovo lezione la mattina, aiutare Kasumi, fare una scappata al negozio di alimentari...”

“Di nuovo?” ora, la voce era decisamente sospettosa. “Ci sei appena andata oggi! Perché devi andarci di nuovo?”

Lei lo guardò curiosamente, notando il tono inquisitorio della voce. “Ho rovesciato una bottiglia di salsa di soia, questo pomeriggio. Me ne serve un’altra, per la cena di domani. C’è qualche problema?”

“No,” disse lui, a denti stretti. “Nessun problema. Solo che... tu lavori troppo. Perché non lasci andare me a prenderla, al posto tuo?”

Lei sollevò un sopracciglio. “Davvero? Ok, se proprio vuoi,” disse, allungandosi per dargli un bacio sulla guancia. “È molto dolce, da parte tua.”

“Già, dolce. Sono proprio io,” sospirò lui. “Torno subito.”

“Vuoi dire che vai adesso? Ma la cena è quasi pronta.”

“Oh, non preoccuparti, non ci metterò molto,” disse lui, e poi uscì di casa di corsa.

*       *       *

Nonostante le sue rassicurazioni che ci avrebbe messo solo un attimo, si ritrovò a trascinare il passo. Ma perché lo sto facendo? si chiese. È ridicolo! In tutti questi anni di matrimonio, Akane non mi ha mai dato motivo per non fidarmi di lei. Non ci credo neanche per un attimo che mi abbia tradito. Senza parlare del fatto che il tizio che prova a mettere una mano addosso a MIA moglie dev’essere piuttosto stupido. Sospirò. Nonostante questi pensieri, si sentiva ancora inspiegabilmente preoccupato. Qualcosa non andava. Oltretutto, Ayame era una ragazza intelligente e sembrava davvero pensare che stesse succedendo qualcosa. Non era tipo da fraintendere completamente una situazione.

Quando infine raggiunse il negozio di alimentari, ancora non era sicuro di quello che avrebbe fatto e finì per restare lì fuori in piedi, mentre i minuti ticchettavano via veloci. Si rese conto di avere paura. Paura di averla persa. Non era una paura sconosciuta, per lui, ma dopo essere stati sposati così a lungo, era certamente diminuita. Adesso che erano cresciuti e avevano i ragazzi e una vita insieme, il pensiero di perderla era mille volte meno intenso di quando erano stati ragazzi loro stessi.

“Dev’essere uno sbaglio,” disse. “Deve esserlo e basta. Io mi fido di Akane. Mi fido...” Prese un respiro profondo e fece per entrare nel negozio, quando un uomo alto e allampanato ne uscì e prese a camminare lungo la strada. Notando Ranma, però, si fermò.

“Ranma?” chiese. “Ranma Saotome?”

Ranma si girò a guardare il tizio. Gli sembrava stranamente familiare. “Sì?” chiese.

Gli occhi dell’uomo si spalancarono per il sollievo. “Oh, grazie al cielo sei tu! Speravo proprio di beccarti. Ti avrei telefonato, ma mia moglie non avrebbe mai capito perché stavo chiamando a casa tua. È così sospettosa! Ho cercato di spiegare, ma proprio non mi crede e onestamente penso che sia sul punto di uccidermi...”

“Ehi, ehi, fermati lì, um... amico,” disse Ranma, cercando di trovare un senso al discorso confuso dell’uomo.

“No-Non mi riconosci?”

“Um, certo, sei... um,” si fermò, schioccando le dita e massaggiandosi il retro della testa. “Um...”

“Non ne hai idea?”

“Neanche una. Scusa, amico. È stata una serata un po’ strana. Non riesco a ricordare dove ci siamo conosciuti.”

“Hikaru Gosunkugi? Andavamo a scuola insieme. Ti ricordi?”

“Ah, sì! Gosunkugi, certo. Sì, mi ricordo di te. Sei, um, sei cambiato, credo.”

“Sì, be’, ho messo su qualche muscolo,” disse l’altro, orgoglioso.

Ranma sollevò un sopracciglio. I capelli si erano assottigliati ed ingrigiti e lui era diventato un po’ più alto e meno incurvato, ma le costole spiccavano ancora sotto la camicia bianca e gli occhi erano ancora infossati e bordati dalle occhiaie. Con il senno di poi, Ranma non riusciva a capire come aveva fatto a non riconoscerlo, ma lo attribuiva più alla sua scarsa memoria che ad un vero cambiamento di Gosunkugi. “Sì, certo. I muscoli. Mettiamola così. Sono sicuro che è questo, il motivo. Ad ogni modo, posso fare qualcosa per te, Gosunkugi?”

“Sì, certo! Vedi, Akane viene sempre a fare la spesa qui, nel mio negozio, e io...”

“Aspetta un attimo, questo è il tuo negozio?” ringhiò Ranma, e la sua aura combattiva si accese in un lampo. “Gosunkugi, hai esattamente trenta secondi per dirmi cosa sta succedendo esattamente tra te e mia moglie!”

“Nie-Niente! Assolutamente niente! È quello che ti stavo dicendo! È tutto un grosso equivoco!”

“Venti secondi,” disse Ranma, in tono minaccioso.

“Ok, ok. È per via di quelle bambole di carta del liceo. Te le ricordi?”

“Usi ancora quella roba?” urlò Ranma. “Dieci secondi!”

“No! Non le uso da un sacco di tempo. Ma è questo il problema, la magia ha ancora effetto! Lei continua a pensare che ‘domani’ dobbiamo uscire insieme.”

L’aura di Ranma vacillò leggermente, mentre un ricordo si faceva strada in un angolo della sua mente. “È scaduto il tempo.” Gosunkugi inghiottì a fatica e Ranma sospirò, incrociando le braccia. “Ma... continua.”

“Gra-Grazie,” balbettò Gosunkugi. “È stata l’ultima bambola di carta che ho usato. Ti ricordi cosa ci ho scritto, vero?”

Ranma strizzò gli occhi; il ricordo era lì, ma proprio non riusciva ad afferrarlo. “Um...”

“Ci ho scritto, ‘Esci con me, domani’. Ma naturalmente, non l’abbiamo mai fatto, perché nella sua testa, non importava che giorno fosse, il nostro appuntamento era sempre fissato per quello successivo. Ed eccoci qui, più di dieci anni dopo, e lei crede ancora che dobbiamo uscire insieme. DOMANI! Ogni volta che viene, è la stessa cosa! ‘Oh, ciao, Gosunkugi, che bello vederti. Non vedo l’ora di uscire insieme a te, domani!’ Non riesco a farla smettere! Ti prego, ti prego, devi aiutarmi! Mia moglie è davvero un tipo geloso e, se questa storia continua, ho paura di quello che potrà fare! Ti imploro! Tieni tua moglie lontana da me!”

Con un bel botto, l’aura combattiva di Ranma si sgonfiò all’istante. E poi, Ranma cominciò a ridere.

Intanto, a casa Saotome, Akane andava avanti e indietro con impazienza per la sala da pranzo, davanti ai suoi tre figli, che erano già seduti a tavola. “Quello stupido di Ranma,” ringhiò. “Gliel’ho detto che la cena era quasi pronta, ma lui è corso lo stesso fuori di casa. Ora, si raffredderà tutto!”

“Non penso proprio che sarà molto peggio di così, quando si raffredderà, mamma,” disse lentamente il figlio maggiore, Ichiro, sollevando una cucchiaiata di stufato e osservandola con sospetto, mentre la girava sottosopra e la sbobba si rovesciava di nuovo nella ciotola.

“Non cominciare, giovanotto,” abbaiò Akane, proprio mentre sentirono la porta d’ingresso che si apriva.

“Sono a casa!” urlò Ranma dalla soglia.

“Era ora!” gridò Akane di rimando. “Spero che tu abbia una buona scusa, per averci messo quarantacinque minuti a prendere una bottiglia di salsa di soia!”

Ranma non rispose. A quel punto, era già arrivato in sala da pranzo e, con un sorriso di giubilo, sollevò Akane fra le braccia, le fece fare un giro a mezz’aria e poi la rimise a terra, baciandola fino a farle mancare il fiato. Quando finalmente si ritrasse, Akane sbatté le palpebre diverse volte, sorpresa, cercando di schiarirsi la mente confusa. “Wow, questo è stato...”

“Schifoso,” dissero in coro Ichiro e Akito.

“Zitti, ragazzi,” risposero Ranma e Akane, girando la testa e zittendo i due con un’occhiataccia.

Ayame, intanto, sorrideva raggiante ai suoi genitori. “Questo significa che andrà tutto bene, fra voi due?” chiese.

Akane la guardò sorpresa. “Certo, tesoro. Perché non dovrebbe andar bene?”

Ranma rise. “Sì, Ayame, è tutto a posto. È stato solo un equivoco.”

“Cosa è stato un equivoco?” chiese Akane, ancora perfettamente confusa.

“Niente di cui preoccuparsi, cara. Ecco,” disse, offrendole un mazzo di fiori. “Questi sono per te.”

“Oh!” disse lei, sorpresa, mentre sul viso si alternavano la gioia e il sospetto. “Ehm, grazie. Per quale occasione?”

“Solo perché ti amo,” sorrise lui.

“Ahhhh,” disse Ayame.

“Che schifo,” dissero Ichiro e Akito.

Akane ricambiò il sorriso, sollevandosi sulle punte dei piedi per dargli un bacio sulla guancia. “Anch’io ti amo. Aspetta un attimo, che li metto nell’acqua,” disse, facendosi strada verso la cucina.

Non appena se ne fu andata, Ranma sprofondò sulla sua sedia, piegandosi con aria cospiratoria verso la figlia. “Tutto un equivoco, avanzato dai tempi del liceo. Cavoli, certo che è stato proprio un periodo da pazzi, quello. I dettagli te li spiego più tardi.”

Ayame annuì enfatica, sentendosi come se le avessero tolto un gran peso dalle spalle. E in più, c’era la prospettiva di ascoltare una delle vecchie storie del suo papà, che non finivano mai di divertirla.

“Ma per fartela breve,” continuò Ranma, rivolto ad Ayame. “Cambieremo negozio di alimentari.”

“Ah, sì?” chiese Akane, ricomparendo nella stanza, dietro di lui.

“Um, sì,” disse Ranma. “Sai, è solo che ricevo una specie di vibrazione negativa, da quel posto. Ne ho trovato un altro, non molto distante.”

Lei scrollò le spalle, lasciandosi cadere sulla sedia accanto a lui. “Per me, va bene. So cosa vuoi dire, in realtà. Gosunkugi è carinissimo e tutto, ma la moglie davvero mi lancia certe occhiate stranissime!”

“Bene, allora è deciso.”

“Ma Ranma?”

“Sì, Akane?”

“Dov’è la mia salsa di soia?”


NdA: Onestamente, non sono riuscita a pensare ad un finale migliore, ma la storia di per sé aveva delle parti carine, quindi ho pensato che potevo anche postarla. In realtà, l'ho scritta qualche anno fa, ma ho sempre pensato di non aver azzeccato la battuta finale e non l'avevo mai postata. Ora, mi sembra che non sia poi così male. Questa storia, a differenza della maggior parte delle mie storie, si ispira alla versione anime dell'episodio delle bambole di carta di Gosunkugi. Nell'anime, lui mette una bambola dietro la schiena di Akane, che dice 'Esci con me, domani'. Nel manga, invece, gliene dà una che dice 'Non odiarmi'. Mi è venuto in mente che sarebbe stato divertente se, anni dopo, lei pensasse ancora di avere un appuntamento con lui il giorno successivo, e così è nata questa storia. Spero che vi sia piaciuta.

   
 
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