Anime & Manga > Creepypasta
Ricorda la storia  |      
Autore: Made of Snow and Dreams    26/01/2016    4 recensioni
Vi ricordate i miei due (tre) OC, Psychosis e Broken Doll ? Il bambino folle e la ragazzina con il peluche perennemente in braccio?
Non ci credo. Ad ogni modo scordateveli, perché sto riscrivendo le loro storie decentemente in modo da renderle più creepypastose possibili.
Con la speranza che vengano riconosciute come vere creepypasta, e che ovviamente vi piacciano.
Genere: Horror, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mr. Eyes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Inside
 


 

'Courage is not the absence of despair; it is, rather, the capacity to move ahead in spite of despair.'
Rollo May



 




Sospirò pesantemente.
Trattenere il dolore stava diventando sempre più difficile.
Aspettò che la porta si chiudesse senza provocare troppo rumore, e si portò una mano al volto.
Lacrime amare sgorgarono dagli occhi gonfi e arrossati, andando a bagnare i palmi delle mani per tracciare invisibili sentieri sul viso dell'uomo.
No, non poteva finire tutto così. Era impossibile. Era così piccolo, così indifeso...
E già il mondo là fuori lo aveva ucciso. Tutti i dottori che erano entrati nella casa per visitarlo avevano scosso la testa, parlando attraverso quell'orribile maschera dal becco prominente da cui a malapena si riuscivano a intravedere gli occhi. Parole senza senso, sussurri che infrangevano il silenzio tombale che si era andato a creare in quei pochi ed effimeri giorni d'attesa.
Parole e parole e parole.
Lui era stanco di sentire. Era stanco di sentirsi ripetere le solite frasi di circostanza da quei ciarlatani che non sapevano fare altro che chiacchierare su argomenti vani e inutili, come quali erbe nascondere sotto la maschera per impedire che la malattia potesse raggiungerli e contagiarli.
Sospirando e trattenendo i singhiozzi, si fece coraggio ed entrò nella stanza.
Lui era sempre lì, dove doveva stare. Nelle condizioni disperate in cui era, non doveva muovere nemmeno un dito.
Era pallidissimo e tremava violentemente. Stringeva i bordi delle coperte, batteva i denti: i capelli biondi gli si erano appiccicati sulla fronte sudata in brutte ciocche triangolari, gli occhi erano vacui e dalle pupille dilatate, il corpo avvolto dalla camicia da notte bianca sembrava emaciato e allo stesso tempo gonfio come il ventre viscido di un rospo.
Troppi estranei senza cuore lo avevano manipolato come fosse un bambolotto, esaminando il collo, le ascelle e persino l'inguine, senza realmente toccare i grossi bubboni violacei ormai chiazzati di nero.
Troppi lo avevano sfiorato senza osservare lo sguardo incastonato negli imploranti occhi azzurri e i deboli lamenti che venivano soffiati a intervalli regolari dalle sottili labbra tremanti.


Troppa sofferenza per un bambino di soli sei anni. Era ingiusto che Dio lo sottraesse a suo padre per mezzo di una malattia così orrenda come la peste bubbonica. Era tutto così sbagliato…

Con estrema delicatezza, Alfio Lazi carezzò la fronte del suo bambino, scostando i capelli intrisi di sudore e guardando il viso del figlio contrarsi in un fioco sorriso.
'Papà...'
'Shhh... non parlare. Non voglio che tu ti sforzi.'
'Non piangere, papà. Tra poco sarò in cielo e niente mi farà più del male. Lo so. Me lo... me lo ripete sempre la balia. Dio è buono.'
L'uomo strinse la manina del figlio tra le proprie, sorridendo lievemente e cercando di autoconvincersi che ciò che aveva appena detto Tommaso era vero.
'Sì... e una volta lì, troverai anche la mamma. E poi arriverò anche io! Staremo tutti e tre lassù in cielo, dove potrai farti tantissimi nuovi amici e tantissimi nuovi giochi. E sarà per sempre!'
'Per sempre... e vedrò...vedrò la mamma... un sogno...'
Vedendo che Tommaso stava per addormentarsi di nuovo, suo padre gli ripose la mano sotto le lenzuola, ammirando la bellezza del bambino dormiente.
Era un angelo, anche in quello stato. Toccargli la pelle, il viso, carezzargli i capelli... non importava se ciò avrebbe sicuramente contagiato l'uomo. Non gli interessava.
Lasciando suo figlio tra le braccia della notte, uscì di casa.

 

 


Pianti, urla.
Bambini scalzi che inseguivano i carretti su cui giacevano i corpi imputriditi delle loro madri. Bambini che imploravano di lasciare la loro mamma morta con loro, bambini che venivano presi in braccio e fermati dalla loro folle corsa, bambini che urlavano tra le lacrime il nome della loro madre, o che invocavano Dio affinché potesse prenderli con sé e lasciarli stare per sempre con i loro familiari.
Lenzuola bianche sparse ovunque, l'odore fastidioso della calce nell'aria, mantelli neri che uscivano dalle case di coloro che potevano permettersi di pagare un medico e che venivano lasciati sulla soglia, implorando con lo sguardo di non dire le orrende e temute parole.
L'odore di marcio che aleggiava nell'aria, proveniente dai corpi accatastati l'uno sull'altro, in attesa di essere trasportati nelle fosse comuni.
Il liquido nero e putrido che sgorgava dalle bocche aperte, andando ad imbrattare le strade.
Nero come la notte che aveva sovrastato la città e la camera di suo figlio.
Alfio Lanzi non avrebbe mai permesso che Tommaso facesse quella fine.
In silenzio camminò senza una meta ben definita. Anzi, l'unico suo obbiettivo al momento era di non mettere piede nei quartieri più ricchi, dove abitavano la maggior parte dei suoi amici. Erano così falsi, tutta quella ricchezza accumulata quasi come fosse un muro contro il vero mondo esterno. Lo sfarzo, la seta, l'organza, il pizzo, l'oro... cosa importavano quando il proprio figlio aveva i minuti contati?

Più scendeva verso i quartieri malfamati più la puzza di sudiciume e marcio aumentava: le scritte sui muri si moltiplicavano come le croci dipinte sulle porte delle case, prostitute terrorizzate del contagio che camminavano languidamente per i vialetti, attente a non sfiorare con le loro ingombranti gonne le pareti delle case, mendicanti e vecchi che imploravano dei soldi o un misero pezzo di pane, appoggiati contro i muri sudici e arresisi alla malattia, ai topi, al freddo. Campi devastati dai ratti e invasi dalle larve. Esattori che prelevavano gli averi dei contadini, incapaci di pagare le tasse troppo alte.
Gatti neri.
L'uomo si girò di scatto, sentendo i miagolii di un gatto dal pelo corvino che lo seguiva da lontano.
'Che vuoi tu? Vai via! Demonio!'
'Così tanti pregiudizi per un gatto dal pelo nero...'
Si girò ancora una volta. Davanti a lui c'era una donna sulla cinquantina, con il volto oscurato dai capelli scurissimi che le penzolavano sugli occhi come una macabra tendina. Indossava una camicia bianca ingiallita dal tempo e dallo sporco, e una lunga gonna marrone.
'Da come parli deduco che tu sia una strega. Sai che dovrei ucciderti subito e dare l'allarme?'
La donna ridacchiò.
'Non credo proprio che lo farai... è già abbastanza strano che un ricco signore come te stia passeggiando qui, in questo... ‘ disse, allargando le braccia e sorridendo malignamente, ‘amabile luogo. Che voi, rispettabili nobili, avete distrutto rintanandovi nei vostri tuguri d’argento, pretendendo pure l’aiuto delle classi più povere!’
Il gatto nero le balzò addosso e lei lo prese in braccio di slancio, passando la mano sul pelo ispido e dal color carbone.
'Ma ora basta chiacchiere: tutti mi considerano una strega poiché sono una dei pochi che è sopravvissuta alla peste. E perché ho come amico un semplice felino. Se tutti mi giudicano tale, allora perché non esserlo davvero? Sono diventata abbastanza brava, col tempo, e ci ho guadagnato in termini di compensi in monete d’oro. Posso aiutarti in qualcosa?'
Alfio Lazi sbuffò, sorridendo beffardamente.
'Piuttosto che fare patti col Diavolo, lascerei che l'anima di mio figlio andasse nelle braccia del Signore. Sì, meglio la morte che servire il Demonio!'
'Quindi tuo figlio ha il Morbo? Oh, che peccato. Ma se sta per morire, ci sarà pure un motivo, non credi? Le malattie non le manda mica il Diavolo, sai? è sempre Dio che crea vittime e semina morte. E' Dio che sta facendo morire tuo figlio! La morte la porta solo Dio, e tu stai servendo la morte. Non è questa la cattiveria, o il male, o come lo vuoi chiamare tu?'
'Se pensi di convincermi a vendere l'anima al Demonio corrompendo la mia fede, sbagli, strega. Lasciami passare!'
'Non dico affatto di vendere l'anima o fare patti con il Signore Oscuro. Ma posso aiutarti a guarire tuo figlio. Questo, almeno, ti interessa?'
In circostanze normali Alfio Lanzi avrebbe chiamato a gran voce il popolo, invitandolo a lapidare la donna per ucciderla all'istante. Ma la prospettiva di un'ultima speranza di salvare la vita a Tommaso, la sua unica vera ricchezza...
Non importava il denaro o la gravità della sua scelta di farsi aiutare da una strega. Non importava se qualcuno, vedendolo, lo avrebbe denunciato... ben che meno gli importava della vita di quella fattucchiera, di quella serva del Demonio.
'E cosa vorresti fare? Parla subito, o ti uccido all'istante.'
Gli occhi della donna - gialli come quelli del gatto in braccio a lei - si dilatarono per la sorpresa.
'Vorrei prima essere pagata, se non dispiace.'
'Il denaro lo avrai una volta compiuto il tuo lavoro.'
'Risposta sbagliata.' disse, indietreggiando nel buio e confondendosi con la notte. 'Pagami subito, o lascerò morire tuo figlio non facendo assolutamente niente. E' la tua unica speranza di salvargli la vita. Io posso aiutarlo.'
L'uomo tirò fuori dal suo vestito un sacchetto di raso pieno di monete d'oro. Senza alcuna delicatezza, glieli lanciò in faccia.
'Ecco. Bastano?' ringhiò.
Altra risatina. Lo scintillio dell'oro e il tintinnio delle monete nel sacchetto.
'Direi di sì. Ora che hai pagato, i sortilegi che posso fare sono tanti. Uno in particolare è adatto al tuo caso. Quanti anni ha tuo figlio?'
'Ne ha sei. Perché?'
'Sei anni... portami subito da lui. Altrimenti la magia non avrà effetto.'
'Impossibile. Si vede che sei una strega da parecchi metri di distanza.'
'Allora... portalo tu qui da me.'

 

 

 

 

Quando entrò nella camera del figlio, sbattendo la porta e ansimando per la corsa, trovò una delle serventi che cercava di tamponare con un panno la fronte di Tommaso. Era peggiorato sensibilmente: il suo piccolo corpo era al limite, piangeva silenziosamente mentre si stringeva la pancia con le mani, sanguinava dalla bocca, tremava in preda a violenti spasmi.
Il bubbone che aveva al collo si era gonfiato ancora di più, diventando completamente nero. Anche le lenzuola erano sporche di sangue.
Guardò per pochi secondi suo figlio: teneva gli occhi chiusi, ed era molto vicino ad avere le convulsioni. La decisione era presa.
Senza degnare di uno sguardo la domestica, le ordinò: 'Prendi subito delle coperte pulite. Le più calde che abbiamo.'
La servante poggiò sul comodino il panno e corse subito ad eseguire l’ordine, mentre Alfio Lazi scuoteva piano suo figlio, chiamandolo ripetutamente per cercare di svegliarlo.
'Tommaso. Tomaso, sono tuo padre. Tommaso, svegliati.'
Il bambino aprì gli occhi lentamente, cercando di focalizzare meglio il viso sconvolto del padre.
'Papà... fa malissimo... ho... ho paura...' mormorò a fatica, scosso dai brividi.
'Lo so, piccolo mio. Ma ho trovato qualcuno che ci può aiutare. Dobbiamo andare da lei, in strada.'
Si ammutolì quando la servante giunse con una spessa coperta di lana tra le braccia. L'uomo, senza alcun garbo, gliele strappò di mano e, con gentilezza estrema, le avvolse attorno al corpo del figlio.
'Ma... Signore, che sta facendo?!' chiese la domestica, guardandolo con aria di rimprovero, gli occhi sgranati per l’incredulità.

'Non ti impicciare.' fu la secca risposta, insieme ai passi veloci del suo padrone e i gemiti del bambino che rimbombavano per tutto il corridoio.

 



Coprì bene il suo bambino con la coperta lanosa mentre lo teneva in braccio, sentendolo fin troppo leggero. Camminò a passo veloce, scansando i mercanti che gli si avvicinavano per chiedere una misera mancia o qualcosa da mangiare, allontanandosi dalle urla che provenivano dalle case, dai discorsi volgari tra i contadini, dai cani sparuti e infetti dalle piaghe. Si lasciarono alle spalle un bambino smunto che sporcava il muro di pietra con il sangue del suo vomito.
Strinse ancora di più le coperte, sentendo Tommaso scosso dai tremori.
'Shhh... andrà tutto bene. Siamo quasi arrivati.'
E infatti era così: superata la zona urbana, l'odore di acqua del Ticino si era intensificato, come lo sciabordio e il canto delle onde nere.
Occhi gialli.
'Lo hai portato, vedo. Ohh, è così piccolo... davvero la peste non risparmia nessuno. Neanche i bambini di sei anni!'
La donna era sempre stata lì, nascosta nel buio. I suoi occhi erano gli stessi del gatto nero, e perfino lei, pur nella sua decadente decrepitezza, sembrava possedere la stessa vitalità del felino in braccio a lei.
'Cosa gli farai ora? Se gli peggiori la situazione, rimpiangerai di essere nata!' ringhiò lui, stringendo il figlio al petto.
L'altra ridacchiò.
'Non gli farò proprio niente che tu non voglia sia fatto. Fammi vedere il suo stato, tanto per cominciare.'
Con le dita adunche fece girare il fagotto bianco, guardando il viso dormiente di Tommaso. Aveva le labbra secche e pallidissime.
'Proprio nei suoi ultimi giorni...' sussurrò la donna, fissando il bambino avvolto nella coperta con la stessa tenerezza di come una madre guarda il figlio. 'Non credo di avere molto a disposizione per una condizione così grave.'
'Non accetto un 'no' di risposta, dopo che ho dovuto rischiare la mia vita e quella di mio figlio per giungere a te, megera!' ringhiò Alfio Lazi.
'Ho detto che non ho molto, non che non ho niente! Nessun sortilegio può essere così potente da strappare il suo corpo alla morte, ma possiamo salvare la sua anima.'
'Cosa? Il suo corpo... non c'è proprio nulla da fare? La sua anima...'
'L'unica soluzione che ci rimane è costringere la sua anima a prendere possesso di un altro corpo.'



'Sei sveglio, Tommaso? Li vedi, quei bambini laggiù? Quello bruno, sui sette anni, che sorride?'
'Chi? Quale bambino? Io non vedo niente...'
'Sono tutti lì. Guarda la finestra... sì, bravo, là fuori. Vedi come si diverte quella bambina dalle trecce bionde? Ah, lì... osserva quel gruppo laggiù. Sono anche più grandi di te. Perché non ti presenti e vai a giocare con loro?'
'Perché non voglio giocare ora. Io voglio solo stare con mio padre, io voglio stare bene! E poi tu chi sei?'
A rispondergli fu solo il vento, con le sue salate carezze e le sue gocce di tristezza.
Gocce...
Gocce?
Brezze crudeli che gli graffiavano la pelle, scaglie di ghiaccio che gli si conficcavano nelle ossa, tante mani simili a inarrestabili tentacoli a volerlo strattonare via, fuori, a costringerlo a giocare. Ma lui non voleva.
'Devi giocare con loro, Tommaso. Su, fai il bravo bambino e gioca. Io intanto penserò a te... mi prenderò cura del tuo corpo e lo farò guarire, ma tu obbediscimi!'
I venti aumentarono d'intensità.
'No, no, no!' urlò il bambino. 'Non voglio giocare, non voglio uscire, non voglio fare il bravo bambino! Io voglio solo stare in braccio a mio papà per sempre! '
'Non puoi, piccolo bastardo! Mi capisci? Mi senti? Non puoi! Vuoi morire per sempre come tua madre?!'
La voce, a ogni parola urlata, era sempre più lacerante e stridula, crudele. Il bambino arretrò di qualche passo, piangendo.
'Chi sei tu? Tu non sei mio padre! Mio padre non mi direbbe mai queste cose così cattive!' singhiozzò lui.
'E' tuo padre che vuole che ti faccia questo. Chiedilo pure a lui, se avrai il tempo necessario per farlo. I bambini buoni obbediscono sempre ai grandi, sai, Tommaso? Ma tu sei un bambino cattivo. E i bambini cattivi devono essere puniti!'
Mani infantili lo circondarono affondando le dita nella sua pelle diafana, cori di strilli e risate soffocate gli impedirono di udire il sospiro del vento e le sue gocce di lacrime.
Gocce...
Gocce?

 


Lacrime amare cadevano sul viso del bambino come un'incessante e calda pioggia, mentre il vento disperdeva i ripetuti e disperati richiami di Alfio Lazi, costretto ad assistere all'agonia del figlio.
La strega aveva la fronte corrugata e imperlata di sudore, e la bocca era distorta in una smorfia di rabbia. La mano che artigliava i capelli biondi di Tommaso tremava per lo sforzo, mentre un nuovo attacco di convulsioni scuoteva il corpo del bambino.
La boccuccia era spalancata come se volesse strillare, gli occhi erano rivoltati verso l'interno, mostrando solo la cornea arrossata.
Alfio Lazi si portò una mano al volto, trattenendosi dall'afferrare suo figlio e uccidere la donna che gli stava solo aumentando la sofferenza. Singhiozzò.
Poi accadde qualcosa: il corpo del bambino si afflosciò di colpo nelle mani della strega, le braccia irrigidite con le mani tese ad afferrare l'aria caddero nel vuoto, il petto da uccellino ebbe un'ultima contrazione involontaria.
'No...'
Un passo in avanti.
'No...'
Avanzò, ancora.
'No!'
Un devastante ruggito, proveniente dalle viscere dell'uomo, ruppe il silenzio notturno. Né il mare, né il vento, né il buio potevano disperdere la sua follia. Neanche l'espressione trionfante della megera.
Non riusciva a distogliere lo sguardo dall'espressione indurita di Tommaso, dalla sua bocca aperta agli occhi incolore. Gli ricordò molto le vecchie immagini di demoni che la sua balia gli mostrava quando era piccolo: non appena si accorse del paragone, provò solo disgusto per se stesso.
'Non urlare, sciocco! ‘ disse la strega, ansimando. ‘Il sortilegio è riuscito perfettamente. Tuo figlio non è morto... non ancora.'
La sua voce era beffarda e ingannevole, irritante abbastanza da indurlo a schiaffeggiarla.
'Che cosa... cos'hai fatto a mio figlio?' mormorò Alfio Lazi a denti stretti, prendendo in braccio e riavvolgendo nella coperta il corpo irrigidito del bambino.
Era come se fosse fatto di metallo e non di carne e sangue, da quant'era rigido. Le manine tese sporgevano dalla coperta, artigliate all'aria per afferrare l'inesistente, mentre la faccia, così deformata dall'urlo mai emesso, era semplicemente orribile. Pareva fosse stata sfigurata.
'Ci è voluto più tempo del previsto, ma alla fine ha funzionato. Quel piccolo bastardello non faceva altro che ripetere di voler giocare per sempre tra le tue braccia e di voler guarire, quindi... tra poco il suo desiderio sarà accontentato. Il suo spirito ora è molto instabile, e sta già iniziando a rigettare il suo involucro naturale. Vedi?'
Il dito adunco indicava la pelle del viso di Tommaso. Con raccapriccio, l'uomo fissò la guancia destra del figlio iniziare a rinsecchirsi, come se il corpicino si stesse decomponendo da solo.
La donna continuò a parlare, ora quasi annoiata: ‘Svelto, corri a casa ed entraci prima che il suo spirito rifiuti totalmente il suo corpo. E scegli bene il nuovo ospite nel quale la sua anima possa dimorare.'
Alfio Lazi non se lo fece ripetere due volte.

 

 

Una corsa contro il tempo, mentre la carne continuava ad avvizzire e ad aderire alle ossa e il peso diminuiva drasticamente secondo dopo secondo.
Poggiò la deformata caricatura del figlio sul letto e, dopo aver mandato via la domestica chiudendole la porta in faccia, si girò con folle frenesia alla ricerca di un'idea.
Avrebbe accettato davvero Tommaso in qualsiasi corpo, in qualsiasi forma gli si sarebbe presentato? Lo avrebbe accudito, lo avrebbe cresciuto ugualmente sapendolo nel corpo di un bambino estraneo?
Quale corpo, poi? Quali membra avrebbe ingannato e donato al figlio?
No, non poteva. Aveva già peccato gravemente stringendo patti di vita e morte con il Demonio, rinnegando la sua cristianità, rinnegando i suoi ideali, rinnegando sua moglie, rifiutando Dio. No, bastava così.
Vecchie lampade ad olio, soprammobili di ceramica finemente decorata, tappeti dai colori più sgargianti, suppellettili più varie e graziose. Un peluche abbandonato su una sedia.
Un vecchio peluche scucito in più punti e rovinato, un tempo il giocattolo preferito di Tommaso.
Non c'era nient'altro che potesse usare, non c'era più tempo, non c'era altra scelta.
Gli occhi iniziarono a infossarsi e le palpebre a ritirarsi, mostrando i nudi e bianchi bulbi oculari; le dita contratte diventarono in breve tempo scheletriche e simili alle zampe di un ragno, le gengive scoprirono i dentini bianchi; solo i capelli risplendevano di luce propria, i bei capelli biondi che ora si indebolivano e cadevano per terra, ciocche d'oro.
Senza forza per pensare, afferrò il peluche sgualcito e lo poggiò sul petto del figlio.
E aspettò.
All'inizio non accadde nulla, se non l'irrefrenabile disfatta del corpo del bambino. Poi, come in un orribile e reale incubo, di colpo le braccia si afflosciarono ricadendo morbide sul letto, e le mani smisero di contrarsi. Era come se Tommaso fosse stato disossato.
Quando la pelle aderì totalmente alle ossa facendo sì che solo i bubboni neri sporgessero ed esplodessero da soli, il filo di stoffa che formava la bocca del peluche si mosse.
'Papà?'
L'emozione e la gioia di aver salvato Tommaso strappandolo dalle braccia della morte riscossero l'uomo dalla sua immobilità, permettendogli di afferrare il pupazzo tra le braccia per volteggiare nella stanza, ridendo fino a farsi venire le lacrime agli occhi.
'Sei vivo!' urlò, 'Sei vivo! Tommaso, figlio mio... sei salvo!'
Urla e urla e risate.
Urla e risate che, però, attirarono l'attenzione della servante, rimasta fuori all'insaputa di tutto.
'Tommaso vivo? Non può essere... Signore, sapevo che non avresti permesso che quell'angelo morisse! Dio sia lodato!' sussurrò sorridente, baciando il piccolo rosario che custodiva al collo e facendosi il segno della croce.
Visibilmente sollevata dalla notizia e impaziente di vedere il bimbetto che aveva visto nascere e crescere, si abbassò per spiare la scena dal buco della serratura.
Pochi secondi dopo urlò più forte che poté, correndo verso la porta d'ingresso, balbettando agli altri ciò che aveva visto; un'ora dopo, stupefatto, scioccato e disperato, Alfio Lazi venne portato in manicomio.

 

 

 

 

Anche ciò che rimaneva del corpo del bambino venne portato via. Fu una cerimonia semplice il suo funerale, niente di sfarzoso: parenti e amici turbati dalla notizia che tacevano in un cerimonioso silenzio, increduli e sconvolti, rigidi nella loro postura, alcuni intenti a reggere delle rose bianche da gettare nella bara. Tutti ad ascoltare le parole del sacerdote.
Tommaso Lazi fu seppellito vicino a sua madre; ciò generò diversi sussurri di approvazione e deboli scintille di speranza, per lo più indirizzati alla guarigione del padre che, in quel momento, si accaniva contro i suoi aguzzini, implorando di riavere indietro il suo peluche.
Il giocattolo non gli venne mai restituito: fu gettato con noncuranza nella soffitta, la cui porta venne chiusa a chiave, lasciando che l’oscurità sommergesse l’intero abitacolo.

Le lacrime che stillarono dagli occhietti neri del pupazzo risplendettero nell’oscurità.









Made of Snow and Dreams.
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Creepypasta / Vai alla pagina dell'autore: Made of Snow and Dreams