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Autore: Andrew of China    17/03/2009    1 recensioni
Quando la professoressa Biagiotti, che, appena entrata in aula, stava facendo l’appello, mi chiamò a gran voce, io, assorto nei miei pensieri, non la udii. “Cinalli!!! CINALLI!!!”, ripeté. D’improvviso qualcuno mi urtò con una gomitata e mi riscossi. Mi voltai e notai che Giuliano, il mio compagno di banco, mi stava facendo un cenno col capo...
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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1 Quando la professoressa Biagiotti, che, appena entrata in aula, stava facendo l’appello, mi chiamò a gran voce, io, assorto nei miei pensieri, non la udii. “Cinalli!!! CINALLI!!!”, ripeté. D’improvviso qualcuno mi urtò con una gomitata e mi riscossi. Mi voltai e notai che Giuliano, il mio compagno di banco, mi stava facendo un cenno col capo. Non riuscii a capire cosa cercasse di dirmi, lo guardai un istante con aria interrogativa e strinsi gli occhi, inclinando leggermente il capo di lato. “Che c’è?”, mormorai. “La prof. ti sta chiamando”, rispose. Alzai lo sguardo verso la cattedra e scorsi la Biagiotti, che mi contemplava con aria truce, la fronte e le sopracciglia corrugate. “Oggi abbiamo la testa fra le nuvole?”, tuonò lei. Trattenni a stento un’imprecazione e sollevai una mano, accennando persino un sorriso. “Sono presente”. “Bene”, ribatté. Poi chinò il capo e tornò a scorrere l’elenco degli alunni della classe. “A cosa pensavi?”, fece Giuliano. “A Britney Spears che me la dava”, scherzai. Il mio compagno di banco mi strattonò. “Su, rispondi. Non dire cazzate”. “E va bene…” dissi, rassegnato. “Stavo pensando ad un film, che ho visto ieri sera…”. “Quale film?”. “Un film porno, <>”. Sulle labbra di Giuliano affiorò un ampio sorriso. “ Sei proprio un mito!”. Era incredibile come, asserendo di aver visto un cortometraggio decisamente hard, si potesse guadagnare il rispetto dei propri coetanei. A quel pensiero, quasi mi lasciai sfuggire una risata. “Dimmi, c’è stato del sesso a tre?”, volle sapere Luca, che aveva ascoltato la nostra conversazione. “Ma anche a cinque!!!”, risposi, ridendo di cuore. La Biagiotti calò, all’improvviso, un pugno sulla superficie della cattedra e ci puntò contro il dito indice. “ Se non fate silenzio, vi mando in presidenza”, ci redarguì. Io, Giuliano e Luca ammutolimmo all’istante, poi, a denti stretti, borbottai: “Brutta strega”. Un istante dopo, mi misi a frugare nella mia cartella ed estrassi un vecchio quaderno di algebra dalla copertina lacera e consunta. Mi feci passare una penna da Giuliano, quando mi balzò in mente un’idea. Pensai di stilare una lista con le ragazze più sexy e conturbanti della classe, dopotutto quella megera della prof. avrebbe solo spiegato: non ci sarebbero state interrogazioni… Mi sistemai meglio sulla sedia, su cui sedevo, e lasciai vagare lo sguardo per la sala. Un istante dopo, i miei occhi si posarono sul viso emaciato di Luisa Bartoli, la ragazza meno in voga e meno popolare di tutto l’istituto. Quel volto spigoloso, quel mento prominente e quel naso aquilino avevano di certo contribuito a bollarla come <>. Decisi, quindi, che Luisa non avrebbe occupato alcun posto nella mia classifica. Seguitai a far scorrere lo sguardo per la stanza e la mia attenzione venne catturata dai lineamenti morbidi e raffinati di Lisa, la tipica ragazza acqua e sapone, dai capelli sale e pepe, dagli occhi di un azzurro penetrante e con una leggera spruzzata di lentiggini in viso. Certo, non era granché avvenente e piacente, ma… a letto era una bomba! Un anno prima ci frequentavamo e le immagini dei nostri amplessi erano ancora vivide nella mia mente: lei, così vogliosa e insaziabile, e io, così desideroso di nuove esperienze… Forse non l’avrei posta al vertice della classifica, ma, come minimo, le avrei riservato una buona collocazione…! Mi sporsi in avanti sul mio banco e, con la penna stretta in pugno, scrissi in una grafia elementare: LISA MASCIARELLI, terza classificata. Ad un tratto la prof. si alzò di scatto. Notando che indirizzava i suoi passi verso di me, mi accinsi ad appallottolare il foglio di quaderno, ma mi raggiunse a grandi falcate e, prima che potessi stracciarlo, me lo strappò di mano. Quando ebbe letto il titolo, “Le ragazze più hot di II C”, che troneggiava, a caratteri cubitali, nel bel mezzo della pagina, lasciò che il suo sguardo cadesse sul mio volto e, perplessa, scandì: “Lo sai che questo giochetto ti potrà costare una bella sospensione?”. 2 “Ma cosa diavolo hai fatto???”. Mia madre aveva il volto livido di ira, i capelli scarmigliati e gli occhi cerchiati di rosso. Alcune lacrime le rigavano il viso. Un brivido mi percorse la spina dorsale: era la prima volta che la vedevo piangere e, credetemi, non era un bello spettacolo… Sedevo sull’angusta poltroncina della nostra sala da pranzo e avevo le gambe anchilosate. Mia madre non accennava a tranquillizzarsi, il che indicava che avrei dovuto sorbirmi le sue prediche ancora per mezz’ora. Incrociai le braccia sul petto con occhi inespressivi, senza lasciar trasparire alcuna emozione dal volto. Quando mia madre si placò, emisi un sospiro di sollievo e mi appoggiai contro lo schienale del divano. Stavolta l’avevo combinata davvero grossa e non riuscivo ad immagine come me la sarei cavata. Dopo che i miei genitori mi ebbero segregato nella mia stanza, mi distesi sul letto a rimuginare. Avevo bisogno di sfogarmi, di lasciarmi andare, di dare fondo a tutta l’ira, che ribolliva in me. Così scattai in piedi, corsi ad afferrare il telefono, il quale era poggiato su un lacero comò, sollevai il ricevitore e composi un numero. Quando una voce roca, ma acuta, rispose, socchiusi le palpebre. “Salve, c’è Carlo?”. “Ma chi parla?”. Era la madre del mio migliore amico, una vera arpia. “Sono… Francesco”, le risposi con voce esitante. “Francesco? Quello che stila classifiche sulle più belle ragazze della classe?”. Sbalordito, sgranai gli occhi. Come diavolo aveva ottenuto quell’informazione? “E…esatto”, confermai, timoroso. La donna assunse un tono iroso. “Senti, gradirei che non frequentassi più mio figlio, chiaro?”. Poi interruppe la comunicazione. Riappesi la cornetta e, esasperato, affondai il capo nel soffice cuscino del mio letto, dopo averlo sprimacciato con cura. <>, pensai. Non riuscii a darmi una risposta. Certo, non avevo molti amici, ma sicuramente non ero un asociale. Solo, quei pochi, che avevo, non erano disposti ad ascoltare le mie “disavventure”. Rassegnato a tenermi tutto dentro, mi sporsi verso il consunto cassettone, che torreggiava nel bel mezzo della sala, afferrai il telecomando, posato sulla sua superficie ben levigata, ma colma di polvere, e lo puntai contro il televisore, che poggiava su un’ampia scrivania. Premetti un pulsante e mi sintonizzai su una rete privata, che stava dando l’edizione pomeridiana del telegiornale. Il cronista, che sedeva dietro una vasta scrivania in legno battuto, narrava in tono concitato le dinamiche di un omicidio, avvenuto proprio nella mia città, Atessa. Alzai il volume. “…a quanto pare la donna è deceduta, a causa di alcune pugnalate, inferte dal suo aggressore. Nessuno ha udito le urla strazianti, anche se ciò, agli inquirenti, sembra alquanto improbabile: il cadavere è stato rinvenuto nei pressi di Via Cavalieri di Vittorio Veneto, una delle zone più trafficate di tutto il paese, e, se l’assassinio si fosse consumato in quel quartiere, qualcuno avrebbe certamente avvertito le grida della giovane. Non vi è, poi, alcuna traccia dell’arma del delitto, il coltello, con cui è stata stroncata la vita della donna. L’autopsia, sul cadavere, è stata effettuata stamani, ma i risultati sono ancora ignoti. Per ulteriori aggiornamenti, non perdete l’edizione di stasera…”. Spensi il televisore e, con noncuranza, gettai il telecomando a terra, sul pavimento di linoleum. Il tonfo mi fece trasalire. Quando tornò il silenzio, mi drizzai in piedi e mi precipitai verso l’estremità della stanza. Poiché l’aria, nella sala, si era fatta viziata, aprii una finestra, poi mi afflosciai su una logora sedia sgangherata, giungendo le mani in grembo. Surreale. Questa era l’esatta definizione di quella giornata. Non riuscivo ancora a capacitarmi di aver ricevuto una sospensione a scuola. Il fatto che una donna fosse stata barbaramente uccisa nel mio quartiere, poi, non mi scuoteva granché: l’autore di quel delitto era il sottoscritto… 3 Discesi una rampa di scale e aprii la porta. Uscii nella tiepida aria pomeridiana. I miei genitori mi avevano concesso di fare due passi, per prendere una boccata d’aria, dopo aver sfoderato il mio miglior sorriso da bravo ragazzo. Mio padre aveva acconsentito con riluttanza, ma, quando un sorriso aveva increspato le sue labbra piene, i suoi lineamenti compatti e duri si erano addolciti e aveva aggiunto con voce pacata e sommessa: “Una passeggiata ti farà certamente stare meglio!”. Strinsi gli occhi, quando una folata di vento mi investì in pieno viso. Poi percorsi ad andatura lenta un ripido sentiero. Poco dopo, svoltai l’angolo e imboccai Via Cavalieri di Vittorio Veneto. Notai alcune persone assiepate attorno alla scena del crimine. Mi avvicinai col mio consueto passo cauto e distinsi appena il nastro giallo, che la delimitava. Un agente di polizia rivolgeva domande ad un anziano dall’aria malsana e dall’aspetto burbero. Un giornalista discuteva animatamente con una signora dalle sopracciglia cespugliose, arcuate e la capigliatura malcurata. Roteai gli occhi e scorsi un uomo in tuta bianca, chino sull’asfalto, che tracciava con del gesso la posizione, in cui era stato rinvenuto il cadavere della donna. Rabbrividii. Dopo un lasso di tempo, incrociai le braccia sul petto, mi voltai e feci per allontanarmi, ma… “Ehi, tu, fermati!”. Una voce, alle mie spalle, mi bloccò. Mi volsi nuovamente verso la scena del crimine e squadrai l’uomo, che mi chiamava. Aveva un viso scarno, smunto, incorniciato da una massa di capelli neri e scompigliati; gli occhi erano di un azzurro intenso, profondo; e quelle labbra screpolate erano tutt’altro che in sintonia con quel mento a V. Immaginai che quell’uomo fosse uno sbirro, poi lo vidi consultare una scheda, che teneva saldamente nella mano sinistra. Il poliziotto sollevò lo sguardo e mi fissò a lungo. “Corrispondi esattamente alla descrizione del ragazzo, che alcune persone hanno visto fuggire dalla scena del crimine”, disse. Maledizione, mi sono fatto beccare, pensai. Osservai, intimorito, la gente, che mi scrutava con gli occhi sbarrati. Tentai, quindi, di darmela a gambe, ma era troppo tardi: due uomini dal fisico possente mi agguantarono per le braccia e mi trattennero. Lo sbirro mi ammanettò ed io tirai un lungo sospiro, consapevole di trascorrere il resto dei miei giorni in gattabuia.
  
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