ChImErA.
01 / PrEcIoUs.
L’aria
puzzava d’umidità chiusa. Odore di un luogo non esposto
alla luce, riluttante
alla freschezza dell’ossigeno, dove le ombre covavano putridume
maleodorante. A
un certo punto ci si abituava, più per rassegnazione che per
accettazione: il
buio diveniva parte integrante del proprio essere e si scordava quanto
piacevole fosse il calore della pelle a contatto con il sole, per non
parlare
della brezza primaverile in mezzo ai capelli o del totale arbitrio che il corpo esercitava sui limiti nati per porvi
freno; lo smarrimento diveniva lucidità priva di
increspature e il tempo si elasticizzava per abbracciare tutte le
consapevolezze annidatesi nell’animo con la cattura forzata. Se
il suo
attaccamento all’esterno avesse vantato tale intimità,
forse Rasiel ne avrebbe
pianto tutte le piccole forme di libertà di cui aveva
inconsapevolmente goduto con più rammarico, ma accovacciato su
un giaciglio di paglia dai fili
asciutti, accatastati sopra quelli umidi e con le punte degli arti
molli a sfiorare
il metallo delle sbarre, pensò soltanto che sarebbe dovuto
succedere prima o
poi. Perpetrare
una fuga senza conoscerne la ragione aumentava le possibilità di
farla fallire
e l’unica motivazione mai datagli era inerente agli sciocchi
vanti che la sua famiglia troppo spesso aveva ricordato con il
desiderio di riappropriarsene, carezzando i pochi ori salvati dai continui spostamenti, come se lo splendore dei
loro avi, gli sfarzi e la gloria, fossero stati i loro. Era
arrivato a odiarlo il suo nome, il passato che aveva segnato presente e
quel presente che condannava il futuro senza che potesse remare contro
la marea. L'unica cosa che gli fosse rimasta per non perdersi nella
pazzia e la stessa che ce lo aveva gettato prima ancora di nascere.
In sottofondo si udì un cigolio e una strisciolina di aria
fresca gli solleticò le narici. Aveva smesso di immaginarlo,
l’esterno, di percepirlo o di
provare, in generale, qualcosa che lo aiutasse a rimanere a galla
mentre l’unto gli
colava fra i capelli nodosi - ciocche di soffice luminosità castana destinate a
ricrescere a velocità inaudita – e la testa penzolava in
un vuoto di nuvole
dall’odore dolciastro che ne aveva ammansito gli organi.
- Allora? A che punto siamo? - Un grugno avanzò a grandi falcate lungo il piccolo sotterraneo, mal illuminato dalla fiocca luce
di una lampada a olio appesa al soffitto. La sua forma grossa e tonda ricordava quella di un'enorme botte per il vino.
- Abbiamo appena finito di allestire il
palco e gli ultimi pezzi sono arrivati giusto dieci minuti fa. - Una seconda figura fece capolino dalla prima come se ve ne fosse appena staccata, più bassa e sottile - Lui? -
- Docile come un agnellino e tale rimarrà
per tutta la durate dell’asta. L’ho imbottito di anestetici appositamente. -
Parlavano
di lui, ovviamente, e chiunque fossero non escludeva la
possibilità che si
trattasse della stessa feccia inutile premuratasi di ingabbiarlo in
quella scatola dalle pareti pietrose e con la nuca a bruciare per
le
continue punture fattegli. Gli esseri umani sono deboli, Rasiel. Non hanno che l'arroganza per fingersi grandi.
L’avidità che scivolava sulle loro lingue
sghignazzanti non ne nascondeva le disgustose fattezze; di quelle ombre
sfocate, che si agitavano con compostezza davanti alla sua prigione,
aveva
sempre diffidato, riconoscendogli un’esistenza dalla spavalderia
tutt’altro che
stabile. Fantocci, e di quelli malriusciti, tuttalpiù; carne che
si divertiva a
fare la voce grossa, vite insignificanti che traevano soddisfazione nel
dominare gli altri. Ma erano deboli, nel profondo, codardi, come gli
era sempre stato insegnato; glielo aveva letto
negli occhi sporchi quando aveva strappato gambe e braccia ai loro
subalterni e fracassato il cranio del loro compagno contro
una delle tante gabbie usate per contenerlo, prima che potesse soltanto
calargli i pantaloncini. Le sue orbite lo
aveva fissato con la materia celebrale a lacrimargli dalle iridi.
- Che diavolo hai per fare quella faccia? - Sbottò il carceriere corpulento.
- Lo sai come la penso, no? - Un tremolio inervosito scivolò lungo la voce della più esile delle sagome,
incespicante nei movimenti quanto nella parlantina - Sei sicuro che non possa muovere un solo muscolo? -
- Certo, sono io che mi occupo della
somministrazione: l’ho raddoppiata proprio per scongiurare qualsiasi imprevisto -,
assicurò il primo, infervorato. Seppur privato della concezione del tempo,
Rasiel riconobbe in quel tono gracchiante e profondo la stessa persona che si
era sempre assicurata del suo continuo e regolare respirare. Al capo sarebbe dispiaciuto che il loro pezzo forte tirasse le quoia, sarebbero stati nei guai.
- Voglio ben sperare -, si augurò il complice - Questo
mostriciattolo ha fatto fuori nove dei nostri uomini ed era già parecchio
anestetizzato. E Sergei…-
- Sergei ha avuto quello che si meritava -, sentenziò
stizzito l’altro - La sua morte e quella
degli altri è cosa di poco conto, se pensiamo a cosa sarebbe potuto succederci
se fosse riuscito a stuprarlo. Sua Signoria è stato molto chiaro: lo vuole
vergine, non avrebbe senso sborsare tanto denaro per un articolo già testato. Questa... - E Rasiel sentì le dita ruvide di quell'essere carezzargli la testa con i denti cariati ben in mostra - Erk erk! Questa è merce preziosa. -
Lo lasciarono lì, portandosi via il circolare lumino; la vecchia
serratura fu chiusa con un catenaccio ancor più consumato, ma
sufficiente a bloccare la porta massiccia. Sì, era merce
preziosa, lui, non un comune bambino con
comuni fantasie o comuni ingenuità di un qualunque suo coetaneo;
era prezioso
come il gioiello più sfavillante che un nobile avesse per
vantarsi, angelico
per quei suoi tratti efebici che celavano l’istinto di spezzare
altre ossa e
dare sfogo a un’anima insofferente, in attesa di esplodere
ancora. Tutta la sua famiglia era stata preziosa
ed era alquanto ironico, se si teneva conto che il suo essere contraria a ogni genere di morale nemica della natura stessa, ne
avrebbe dovuto
pretendere la morte istantanea anziché l’indiscussa
protezione. Sotto la pelle di porcellana sporca e gli occhi
smeraldini si nascondevano proibite potenzialità a cui sapeva
appena imporre la
propria autorevolezza - benché ne avesse sempre attinto
d’innanzi a bisogni
primari -. Il genere di eredità che implica segreti arcani il
cui recupero, tuttavia, è secondario perfino alla puzza della
gabbia che ne ispirò la deduzione. I pensieri non hanno
concentrato la poca lucidità racimolata sui doni divenuti un
tutt'uno con il suo corpo, ma sul disgusto provato nel sentirsi addosso quelle
mani lerce ora sicuramente intente a sfregarsi i palmi e i menti incolti per i soldi in procinto
di
ottenere. Rasiel aveva sempre speso fin troppi minuti a osservare i suoi
lineamenti
piacenti e
le forme acerbe del suo
corpicino per non immaginare che, in quella gabbia, difficilmente vi
sarebbe tornato. Se vi era certezza assoluta nella morte, altrettanta
sicurezza l’aveva trovata nella recente consapevolezza che
l’essere umano viveva per i suoi bassi istinti e amava affondarci.
Note di fine capitolo:
Secondo capitolo giunto in
porto. So bene che la faccenda, in alcuni punti, possa non essere del
tutto chiara; quello che posso subito dirvi è che Rasiel
è Pierre e il perchè di questi due nomi, verrà
alla luce più avanti, conto di scrivere ancora tre o quattro
capitoli, tutti già più o meno abozzati. So che gli
aggiornamenti sono lenti, ma spero abbiate molta pazienza al riguardo.
Prima di lasciarvi, magari qualcuno lo sa, ma sto cercando di creare
un'intestazione decente di questa storia, ovvero che i caratteri siano
corsivi e in grassetto come quando li preparo su word, soltanto che
quanto faccio la trasposizione non compie la formattazione. La stessa
cosa per le immagini; spero di poter risolvere la questione, ma se
qualcuno ha dei suggerimenti li avanzi pure: io sto attualmente usando
come programma Nvu. Un ringraziamento a tutti i lettori, aspetto di
conoscere i vostri pareri. Alla prossima ^^ (e come sempre, spero non
ci siano errori!)!