Incubus –
Figli del Buio
1
Era
buio, lì dove avevano trovato il loro rifugio. D’altra parte, non c’era nulla
di strano: il buio era la loro casa. Dall’oscurità erano nati e nell’oscurità
stava la loro forza. Loro erano un tutt’uno con essa, anche se possedevano una
propria forma corporea a differenza delle ombre amorfe che, nella notte,
inghiottivano la città.
I due
gemelli si guardarono. Era scesa la sera; la luce della luna filtrava appena
dalle vetrate rotte della vecchia chiesa. La donna prese una mano del fratello.
I suoi occhi d’oro fremevano impazienti, due fiamme accese nel buio.
-Incubus… è
notte. La senti, la notte? È tempo di uscire. Mi manca la luna, mi manca l’aria
sulla pelle. Mi manca la paura. Questa è la nostra notte: abbiamo atteso abbastanza-
Lui si
mosse, quel gesto fu accompagnato dal rumore di artigli sulla roccia. Aveva
ragione: avevano atteso troppo, quello che ad entrambi era sembrato secoli di
privazione e isolamento adesso era terminato. Era ora di uscire allo scoperto e
provare ciò di cui erano capaci.
******
Era una
tiepida notte di giugno quando il primo urlo risuonò tra le mura dell’ospedale
di Amber Hills.
Quel
suono agghiacciante, nel silenzio della notte, parve squarciare l’aria e
riportare a galla il terrore ormai dimenticato che risiedeva nell’animo degli
uomini. Molti pazienti, adulti e bambini, sussultarono svegliati
all’improvviso; alcuni chiamarono gli infermieri, e un gran vociare conciato
presto riempì i corridoi della struttura. Le luci si accesero, i medici si
affrettavano nelle camere degli ospiti dell’edificio per accertarsi di cosa mai
avesse causato quel suono.
Nella
sua stanza, Cassandra Evans stava seduta sul letto in ascolto delle voci al di
fuori. Come molti altri era stata svegliata dall’urlo dell’uomo. Di solito non
avrebbe fatto molto caso a qualcosa all’apparenza tanto banale: non era certo
una novità che i pazienti si lamentassero a causa di un qualsiasi dolore. Ma
quella volta era stato diverso. Quel suono pareva essere risuonato per l’intera
struttura, esprimendo qualcosa di più del semplice dolore fisico. C’era stata
paura, in quel lungo lamento, una paura quasi disumana, il più vivo terrore che
potesse mai cogliere un mortale. E tutti avevano colto quella paura. Molti ne
erano stati contagiati. Una strana inquietudine aleggiava tra le pareti
dell’ospedale, appesantiva l’aria come una minaccia che avrebbe potuto
ripetersi all’infinito.
Era la
prima volta che Cassandra udiva qualcosa del genere. Era abituata alle grida –
quante ne aveva sentite negli svariati film horror che aveva visto, e quante
spesso gliene erano sfuggite proprio a causa di quei film. Purtroppo, quella
volta non c’era nessuna finzione, nessun effetto speciale. Quello era stato fin
troppo reale, e in fondo l’idea di potersi ritrovare protagonista di una storia
dell’orrore non era qualcosa che l’attirava in modo particolare.
Gli
occhi azzurri della ragazza ispezionarono con cautela la stanza. Tutto era
immerso nell’oscurità, la luce arancione dei lampioni in strada non era
sufficiente a illuminare a dovere la piccola sala, e l’interruttore era
dall’altro lato della camera. Cass sospirò, alzandosi. Con tutto il trambusto
fuori non avrebbe comunque potuto più dormire.
I punti
che i medici le avevano cucito sul gomito e buona parte del braccio le tiravano
la pelle e prudevano. Avrebbe dovuto rimanere in ospedale per altri due giorni,
e i medici l’avevano già avvertita che, con molte probabilità, una volta tolti
quei punti le sarebbe comunque rimasta una bella cicatrice. Alla notizia sua
madre aveva storto il naso, lei invece aveva sorriso. Le piaceva l’idea di
avere una cicatrice, l’avrebbe fatta sentire come un’eroina dei libri che amava
leggere. Avrebbe sempre potuto fingere di essersela procurata mentre lottava
contro un cavaliere delle tenebre, o che fosse il ricordo di una gloriosa
battaglia contro i nemici del suo regno.
Si
pettinò con le dita i lunghi capelli scuri e aprì con cautela la porta della
stanza, rimanendo ad osservare il viavai di infermieri in corridoio. Alcuni
erano riuniti davanti una porta poco distante dalla sua. Decise di avvicinarsi
e tentare di capire cosa mai fosse successo.
-… una
pressione al petto- stava dicendo il paziente all’interno –non riuscivo a
respirare-
-Si
sarà trattato di un attacco d’asma-
L’uomo
mise a tacere il medico in malo modo: non aveva mai sofferto d’asma, lui. Era
la persona più sana del mondo, e se solo non fosse stato per quella caduta
accidentale dalla scala a quest’ora non sarebbe stato neanche in ospedale.
-Hei,
ragazzina- Cass si sentì poggiare una mano sulla spalla –non dovresti stare
qui. Torna nella tua camera, non c’è nulla da vedere-
Lei
avrebbe voluto ribattere, ma non le venne nulla di valido per controbattere. In
fondo era vero: non c’era poi nulla di così sensazionale da vedere.
Probabilmente si era solo trattato di una crisi respiratoria di un vecchietto
un po’ burbero, non certo il motivo ideale per indagare su cause più arcane.
L’infermiera
la osservò fin quando Cass non fu rientrata nella sua stanza.
******
Nel suo
sogno Cassandra si trovava da sola, al buio. Era stesa su quello che le
sembrava pietra fredda, le dava l’impressione di un altare sacrificale, e quello
non le piaceva per nulla. Aveva freddo, riusciva a vedere il suo corpo nudo
steso su quell’ara sconosciuta; la pietra ruvida la graffiava e si tingeva di
sangue, il colore vivo del liquido denso era l’unica nota di colore in
quell’universo del tutto buio. Un peso all’altezza dello stomaco si faceva via
via sempre più insostenibile, e con esso si faceva avanti una sensazione di
panico che mai aveva provato in vita sua. Qualcuno le stava addosso, riusciva
ad avvertire una presenza schiacciante che opprimeva l’atmosfera e rendeva
l’aria pesante, difficile da respirare. Quella presenza le teneva i polsi
bloccati, lunghi artigli la graffiavano più della roccia fredda sotto di lei.
Qualsiasi cosa fosse, di certo si divertiva a farle del male. Man mano che
prendeva forma, quell’ombra scura assumeva tratti umani e animali, una chimera
orribile frutto del più orribile degli incubi mortali. Si chinava e leccava via
il sangue dalle ferite con la sua lingua ruvida, sempre più veloce e
insaziabile. Il suo respiro affannoso riempiva le orecchie della ragazza che
non riusciva a muoversi.
E
quello, da dove saltava fuori? Era dall’età di dodici anni che non aveva più un
incubo. Era certa di essersi liberata di quei fastidiosi brutti sogni che ti
tolgono il sonno la notte. Era certa che la paura non fosse più qualcosa che
avrebbe dovuto affrontare, che nulla potesse più spaventarla. Invece, in quel
momento, si sentiva di nuovo la bimba che, svegliata nel cuore della notte da
un rumore sospetto, causato magari da quel misterioso mostro nell’armadio, non
ha neanche il coraggio di sbirciare da sotto le coperte.
Doveva
cacciarlo, doveva pur esserci un modo di cacciarlo! L’ansito animalesco sopra
di lei non accennava a fermarsi. Sempre più veloce, come il respiro eccitato
del predatore che avverte il sapore del sangue. Doveva cacciarlo. Non riusciva neanche a parlare. L’ombra si
colorava di tonalità scure, la sua nebbia assumeva contorni sempre più definiti
fino a diventare un solido corpo sopra di lei. Non era un uomo, né un animale.
Era una creatura mostruosa, metà umana e metà belva, come quelle fiere
leggendarie di cui parlavano i libri di mitologia. Non poteva essere!
Nell’ombra
Cass avvertì un frusciare d’ali e le parve di intravedere delle membrane
logore, come consumate da anni e anni di vita. Una peluria ispida copriva
quell’essere dalla cintola in giù, e scendeva fino alle gambe, alle zampe dai forti zoccoli neri e lucidi.
Le braccia erano umane, la carnagione color avorio, eppure aveva artigli
animali al posto delle unghie, rossi e grondanti di sangue.
Il
panico cresceva, le serrava la gola. Un urlo che non poteva esprimere
minacciava di farle esplodere i polmoni; tutto le bruciava, le ferite le
facevano male e la saliva di quella bestia pareva irritarle ancora di più. Perché
quel sogno, cosa voleva significare?
Quelle
mani artigliate la tenevano ancora stretta, eppure la ragazza sentì di poter
tentare un movimento, qualsiasi cosa, pur di scrollarsi quell’essere di dosso.
Raccolse tutta la forza che aveva in
corpo e infine, con uno scatto, iniziò la sua lotta.
Poi il
sogno svanì: si ritrovò nel suo letto di ospedale, aggrovigliata nella camicia
da notte e le lenzuola. Qualcosa stava ancora accavallato sopra di lei; quel
qualcosa spiccò un balzo animalesco e scattò sul davanzale della finestra. La
sua figura arcuata, troppo grande per la piccola via di fuga, guardava ancora la
giovane con una scintilla folle negli occhi. E Cass seppe che quella creatura
era reale. Riuscì a cogliere un ultimo scintillio d’oro di quegli occhi
d’inferno prima che, con un salto, quell’essere si dileguasse.
L’orrore
di quella notte la investì tutto in una volta: iniziò a sfregarsi le braccia
con frenesia nel tentativo di allontanare il tocco di quella bestia e, per la
prima volta dopo anni, un urlo di terrore le sfuggì dalle labbra.
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Buongiorno a tutti :D
Avevo preannunciato un mio ritorno ed eccomi qui – *sorride
maligna in direzione di Black* ccciiao, di nuovo insieme a quanto pare!
Come ho già anticipato nell’introduzione questa nuova storia è
ispirata alla mia OS “Hai un nome?”,
che racconta del primo incontro avvenuto tra Cass e l’Uomo Nero. Non è
fondamentale leggerla per comprendere la trama, ma se volete scoprire un po’ di
più sul rapporto tra i due personaggi e vorrete dare un’occhiata mi piacerebbe
ricevere un vostro parere ;)
Ringrazio naturalmente chi vorrà seguire anche questa nuova
storia e condividere le proprie impressioni.
Beene, non mi sembra ci sia altro da dire. Ci si sente al
prossimo aggiornamento!
Kisses,
Rory_Chan