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Autore: Emphys    29/01/2016    0 recensioni
Alice è una giovane ragazza di 18 anni che a NewYork sta vivendo la vita che chiunque vorrebbe avere : ha un ragazzo perfetto e una migliore amica che farebbe di tutto per lei. Alice però ha un segreto: da qualche anno i suoi occhi le permettono di vedere al buio . Fino a quel momento era facilmente riuscita a tenerlo all'oscuro ai suoi amici ma le cose cambiano quando è costretta a trasferirsi a Londra con suo padre e la sua nuova compagna.
Come se lasciare la sua vita felice non fosse già stressante, Alice si ritrova a dover convivere con Oliver : il suo nuovo fratellastro troppo attraente per lasciarla indifferente, e a dover fare i conti con il passato della madre che non ha mai conosciuto.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PROLOGO

Era buio, tutto intorno a me rimase in silenzio. Sentivo la sua presenza nella stanza, la percepivo nitida quasi fossi in grado di stabilire il punto esatto in cui si nascondeva. Non provavo paura, il mio corpo era rilassato. Decisi di rischiare e mi concentrai; finalmente riuscii ad essere in grado di vedere attraverso la mia bolla viola. Lui era in un angolo. Sapevo che ormai ci eravamo visti a vicenda.
“ Oliver” sussurrai facendo un passo verso di lui .
“ Non ti avvicinare, Alice.” mi intimò  con la voce rauca.
Lo guardai negli occhi, quei bellissimi occhi  che in quel momento mi sembrarono appartenere ad un completo estraneo. Forse era davvero troppo tardi. 

Capitolo 1: Addio NewYork

“ Dobbiamo proprio trasferirci ?” domandai irritata dopo essermi allacciata la cintura. 
“ Alice, ne abbiamo già parlato. Si tratta di lavoro” rispose mio padre senza distogliere lo sguardo dalla strada. 
“ Ma quale lavoro, tu vuoi andare a vivere con la tua fidanzata”
“ Ancora una volta, è un caso che anche Kate abbia ottenuto una cattedra nella mia stessa università” .
Non potevo credergli. In fondo quante possibilità c'erano che casualmente scegliessero due dei migliori professori universitari di New York per insegnare ad Oxford in Inghilterra? Avevo visto Kate solo una volta, sembrava simpatica ma non abbastanza da poterci convivere. E come se non fosse abbastanza aveva già due figli: Felix, un bambino di otto anni irrequieto e rumoroso, e Oliver, non lo avevo mai conosciuto ma non mi interessava nemmeno farlo. Mancava solo una settimana e saremmo definitivamente partiti per lasciarci alle spalle l'America e iniziare una nuova vita nella piovosa e noiosa Inghilterra. 
“ Sei sicuro che non posso rimanere qui? In fondo ho quasi 18 anni , posso badare a me stessa” tentai di insistere facendo gli occhioni dolci.
“ Non se ne parla neanche. Voglio vivere con la mia unica e amata figlia” scherzò mio padre dandomi un colpetto sulla spalla.
“ Ma io...”
“ Niente ma... Basta ! Sono mesi che ne discutiamo, capisco che non sia bello per te lasciare i tuoi amici qui ma non mi sembra una ragione valida per sprecare questa opportunità. Potrai frequentare una delle università migliori del mondo.”
Lo avevo fatto arrabbiare. Una piccola vena comparve gonfia sulla sua fronte e le sue orecchie cominciarono a diventare color porpora. 
“ Va bene , non ti scaldare” tagliai corto mettendo il broncio. 
Dovevo arrendermi. Io  e Peter eravamo destinati a lasciarci e a vivere le nostre vite lontani. Ma come potevo dirlo a lui? Era stato il primo ed unico ragazzo che avessi mai amato in tutta la mia vita. Quasi due anni di relazione dove nemmeno una volta avevamo rischiato di lasciarci. Re e reginetta del ballo di fine anno per due anni di seguito. La mia vita era perfetta a New York, non potevo accettare di andare via da quella bellissima città. 
Arrivammo al parcheggio e scesi dalla macchina sbattendo la portiera. Dovevo affrontare la situazione come sicuramente l'avrebbe affrontata una ragazza della mia età. In modo maturo. Ma alla fine quando arrivò il giorno della partenza non mi sentivo affatto pronta. Volevo piangere e sbattere i piedi per convincere quel testardo di mio padre. 
Salutai con lo sguardo la mia camera. Sembrava così grande e vuota senza tutte le fotografie appese alle pareti o senza il tappeto morbido dove io e la mia migliore amica Dana ci sdraiavamo per guardare il soffitto e confidarci tutte le cose belle o brutte che ci erano successe. Accarezzai la maniglia e chiusi la porta. Dovetti inspirare qualche secondo e trattenere le lacrime, scendendo la scalinata verso il parcheggio. 
“ Pronta, gattina?” chiese emozionato mio padre frugandosi nelle tasche con impazienza per controllare di aver preso tutto quello di cui avrebbe avuto bisogno. 
Rimasi in piedi con la valigia in mano ad aspettare il taxi.  
Avevo chiesto ai miei amici e a Peter di salutarmi la sera prima , non volevo vederli il giorno in cui me ne sarei andata. Potevano esserci state tante promesse, sul rivedersi per le vacanze, ma ero abbastanza intelligente per sapere che non sarebbe successo.
Guardai il viso di mio padre: era così felice. Si vedeva che stava coronando un suo sogno nascosto al quale aveva rinunciato tanti anni a causa mia. 
Era ora di dare a Kate e ai suoi figli un'opportunità , dovevo provarci per lui almeno.
Mi aveva cresciuta da solo perché mia madre era morta pochi giorni dopo avermi partorito. Ricordavo ancora le sere in cui tornava stravolto dal lavoro , entrava nella mia stanza e mi rimboccava le coperte, credendo che stessi dormendo. Mi accarezzava sempre la testa scostandomi i capelli dalla fronte. Penso lo facesse perché sono sempre stata molto più simile a mia madre che a lui: capelli rossi e occhi verdi come lei. 
“ Papà?” avevo sussurrato una sera mentre stava per andare a dormire anche lui. 
“ Dimmi, sei ancora sveglia?” mi aveva  risposto con voce dolce.
“ Io sono uguale alla mamma vero? Ho visto le sue foto nel cassettone del salotto, perché le nascondi'”
“ Un giorno capirai, che il dolore che si prova perdendo la persona che si ama è talmente grande che si ha la necessità di lasciarlo in un cassetto per un po' solo per poter apprezzare le cose belle che si ha  e non quelle che abbiamo perso” 
Gli erano venute le lacrime agli occhi e io mi ero alzata per abbracciarlo. 
Fu l'ultima volta che parlammo delle foto di mia madre. 
Il Taxi giallo si fermò davanti a noi e consegnai la valigia ad un uomo basso che probabilmente soffriva di calvizie precoce. 
“ Hai preso la medicina?” mi ricordò mio padre dopo che ci fummo seduti sui sedili di pelle nera sgualciti.
“ Non ancora” ammisi frugandomi nella borsa alla ricerca del flacone. 
“ Tesoro, lo sai che senza quelle pillole non puoi...” si schiarì la voce e abbassò il tono “ controllare i tuoi occhi”. Come se si trattasse di doverli controllare. 
Nessun dottore sapeva il perché i miei occhi al buio diventassero viola accesi con due piccole lampadine. La prima volta che era successo era stato due anni prima, quando avevo compiuto 14 anni. Riuscivo comodamente a vedere al buio, come un gatto. Avevo passato dei mesi in ospedale a farmi visitare da qualsiasi medico passasse per la città. Non potendo però prendere campioni del mio tessuto oculare e riuscendo solamente a farsi un'idea di quali fossero i sintomi solamente di notte decisero che era una mutazione genetica e che non era dannosa per il mio organismo.  Finalmente i medici trovarono un farmaco che mi permettesse di tenere a bada i sintomi e riuscii a tornare a casa.
“ Lo so. Ma ora è giorno, ho ancora tempo. E non faccio del male a nessuno” mi irritai mandando giù la medicina e un sorso d'acqua. 
“ Te lo ricordo solo perché ti voglio bene. A Londra dovremo anche trovare un nuovo medico che ci possa prescrivere le medicine” 
Non avevo mai capito perché si agitassero tanto. In fondo non ero malata, ero solo un po' strana. Certo avrei preferito non avere quella stranezza, ma in fondo ognuno di noi è fatto a modo suo. 
“ Va bene, l'ho presa.  Kate la vedremo all'aeroporto , immagino” cambiai discorso appoggiandomi al finestrino e guardando i bellissimi grattacieli newyorchesi riflettere la luce opaca del sole. 
“ Penso sia già lì insieme ai suoi figli che ci aspetta”.
Fantastico. Avrei viaggiato ore insieme ad un bambino iperattivo e ad uno sconosciuto. Fortunatamente avevo convinto mio padre a prendere i biglietti in prima classe, almeno avremmo potuto avere ognuno il suo spazio vitale. 
Ricevetti un messaggio: Dana.
Mi augurava buon viaggio. Peter non lo avevo più sentito . Nemmeno un messaggio o una chiamata. Lo capivo, perché prolungare qualcosa che era già finito? 
Arrivammo all'aeroporto e ci presentammo al check-in.
“ Dove sono Kate e i suoi figli?” domandai guardandomi intorno , osservando tutte le persone in giacca e cravatta di fretta che picchiettavano con le dita sulla valigetta di pelle. Non mi accorsi nemmeno quando mio padre si allontanò, troppo presa dallo scrutare la copertina di un libro attraverso una vetrina. 
Mi girai e rimasi qualche secondo immobile. Me l'ero perso. Di nuovo. 
Ogni volta che andavamo insieme da qualche parte lui finiva per andarsene senza di me, troppo preso dall'entusiasmo del momento per accorgersi di aver lasciato indietro la sua unica figlia. 
Una famigliola rumorosa mi passò affianco e due bambini rumorosi iniziarono ad urlarmi praticamente nelle orecchie.  Mi misi in punta di piedi e guardai attentamente nella direzione in cui pensavo fosse andato ma non riuscii a vedere nient'altro che degli estranei. 
Sbuffai e mi passai una mano fra i capelli. Che disastro. Presi il cellulare, digitai il numero di mio padre e aspettai che rispondesse, inutilmente. La segreteria mi fece perdere l'unico briciolo di pazienza che mi era rimasta. Lasciai cadere la valigia a terra e mi ci sedetti sopra, esasperata. Quanto potevo essere sfigata in una sola vita? Me lo chiedevo continuamente nell'ultimo periodo. 
Sentii il peso di una mano sulla mia spalla e una voce estranea che diceva “ L'ho trovata”. Mi girai sorpresa e un ragazzo da capelli corvini e dagli occhi color ghiaccio mi guardò irritato. Non ebbi nemmeno il tempo di chiedere spiegazioni che mio padre mi si parò davanti con aria severa. 
“ Sempre sulle nuvole sei, vero? Mi sono spaventato.” mi rimproverò facendomi alzare e prendendomi la valigia dalle mani. 
“ Scusa ma sei tu che ti sei allontanato, io guardavo la vetrina della libreria” tentai di giustificarmi nascondendomi dietro i capelli. 
“ Non trovare scuse, la prossima volta ti lascio a New York” . Ovviamente il turbamento era passato e Kate mi piombò addosso facendomi quasi soffocare. 
“ Alice, sono tanto contenta di vederti ! Meno male che Oliver ti ha trovata, altrimenti saremmo morti di spavento io e tuo padre” cinguettò dopo avermi finalmente liberato dall'abbraccio. Tornai a concentrarmi sul ragazzo che a quanto pare era il mio futuro fratellastro. Era davvero bello come me lo avevano descritto, se non di più: lineamenti duri, labbra da baciare, occhi da sogno e fisico scolpito. Decisamente fastidioso.
“ Già, che fortuna” sussurrai distogliendo lo sguardo e spostandolo sul pavimento. 
“ Direi che dovremmo andare adesso, non vorrei rischiare di perdere il volo” propose mio padre che ormai era tornato a sorridere come un bambino in un negozio di caramelle. 
Felix mi salutò con la mano e tornò a concentrarsi sul suo videogame,  avevano trovato qualcosa che lo tenessi impegnato e ringraziai silenziosamente Dio per quella concessione. Ci dirigemmo tutti verso l'imbarco e mi trascinai dietro mio padre e Kate che trotterellava a passo di carica con i tacchi a spillo. Mi domandai come riuscisse a non cadere o a non desiderare di tagliarsi i piedi come invece succedeva sempre a me.
“Mia madre questa mattina era talmente agitata che non la smetteva di cantare Walking on Sunshine”.
“ Come?” chiesi risvegliandomi dal mio stato di trans.
“ Sei nervosa? Sembra che tu stia per esplodere” scherzò lui sfoderando un sorriso particolarmente arrogante. 
“ Potrei farlo, ti consiglio di allontanarti” risposi senza dargli particolare attenzione. 
“ Dovremmo conoscerci meglio, non credi?” 
Rimasi in silenzio qualche secondo, esplorando i meandri più nascosti della mia mente per trovare qualcosa da dirgli senza sembrare sgarbata. 
“ Non credo” mi limitai a dire in seguito. Mostrai il documento e il biglietto ad una ragazza bionda dal sorriso fin troppo smagliante e salii sull'aereo, seguita ovviamente dal bellissimo e arrogante Oliver. 
“ Non ti piaccio?” insistette lui leggendo distrattamente il numero del posto e seguendomi verso la prima classe, mentre mio padre , Kate e Felix si erano già accomodati. 
“ Non ti conosco”
Era fin troppo insistente per i miei gusti. Finalmente riuscii a sedermi sulla comoda poltrona e a tirare un sospiro di sollievo. La parte più faticosa del viaggio: lasciare NewYork , era fatta. 
“ Io vorrei conoscerti” continuò Oliver sedendosi accanto a me senza togliersi il sorriso arrogante dal viso. 
“ Adesso?” domandai stremata da quell'eterna conversazione. 
“ Forse, ma in fondo abbiamo parecchio tempo per imparare a conoscerci” ammise passandosi una mano fra i capelli , quasi imbarazzato nel realizzare quanto fosse stato pedante. 
Non risposi e guardai fuori dal piccolo finestrino. I motori si accesero e l'aereo decollò , la stretta allo stomaco che da quella mattina non mi dava pace si allentò e riuscii a prendere sonno. Purtroppo le quasi sette ore di volo non furono piacevoli come si potrebbe immaginare. Felix decise che non aveva più voglia di giocare alla sua console e che sarebbe stato più divertente prendere a calci il mio sedile guardando un film d'azione. Kate per sdrammatizzare la situazione e rasserenarci aveva un'attacco di panico ogni qual volta l'aereo tremava per via dei venti contrari. Oliver fu stranamente silenzioso ma sentivo continuamente il suo sguardo su di me. Non avevo il coraggio di girarmi perché temevo di perdermi nell'infinito oceano che erano i suoi occhi quindi accesi il piccolo schermo e scelsi un film a caso giusto per potermi distrarre da quella situazione imbarazzante.  
Stavo finalmente per chiudere gli occhi e farmi trasportare nel bellissimo mondo dei sogni quando sentii un dito battermi sulla spalla. Mi girai con lo sguardo fisso con l'intenzione di incenerire chiunque avesse osato infastidirmi.
“ Hanno chiesto cosa ti piacerebbe per pranzo” mi disse Oliver indicando con lo sguardo l'hostess che aspettava impaziente una risposta.
“ Carne” risposi evasiva tentando di trattenere l'urlo che mi stava crescendo in gola. 
L'hostess se ne andò e io tornai nella mia posizione tattica per cui riuscivo a percepire meno i calci di Felix. 
“ Nemmeno tu riesci a dormire?” constatò Oliver sospirando. 
Pensai che se avessi ucciso lui e suo fratello probabilmente non sarei nemmeno stata obbligata ad andare a vivere a Londra. Sorrisi maligna lasciandomi trasportare dai miei pensieri omicidi.
“ Ti fa ridere?” scherzò lui.
“ Ehm.. No pensavo ad una cosa.” risposi riprendendo il controllo dei miei pensieri.
Lui diventò improvvisamente serio e mi guardò negli occhi. Tentennai davanti a quello sguardo che avrebbe probabilmente congelato e sciolto allo stesso tempo chiunque. Sembrava che stesse tentando di leggermi il pensiero e indovinare a cosa stessi pensando prima. Sperai che non ci riuscisse altrimenti avrei dovuto escogitare un'altro piano omicida. 
“ A cosa, esattamente?” mi chiese dopo qualche secondo e abbassando lo sguardo, quasi deluso.
“ Sto pensando al fatto che se tuo fratello non la smette di tirare calci al mio sedile potrei buttarmi giù dall'aereo” sbottai esasperata dopo aver ricevuto un'altro scossone sul sedile. 
Oliver non disse nulla, si sganciò la cintura e si mise in ginocchio sul sedile per potersi girare e guardare il fratellino negli occhi. 
“ Felix, smettila ” gli disse tranquillamente senza distogliere lo sguardo intenso verso Felix.
Magicamente smise, e io rimasi a bocca aperta. Come faceva ad avere quell'influenza sul fratello? Ricordo ancora le urla di Dana quando George entrava in camera sua senza bussare oppure minacciava di toccarla con le dita tutte insalivate. 
“ Wow” mi lasciai sfuggire quando lui si rimise al suo posto tranquillamente. 
“ Ora ti andrebbe di rispondermi a qualche domanda?” chiese spostando nuovamente la sua attenzione verso di me e ovviamente mettendomi a disagio. Mi chiesi se dovesse per forza fissare la gente a quel modo per fare conversazione. 
“ No, non ho mai accettato di partecipare ad un interrogatorio” risposi sorridendo. Non potevo fare a meno di provare una certa simpatia per quel ragazzo, così ben disposto a fare amicizia con me.
“ Mi arrendo , sei proprio acida” ridacchiò tirando giù il tavolino e sorridendo gentilmente all'hostess con il piccolo vassoio in mano. 
Non risposi e guardai fuori dall'oblò: una distesa infinita di nuvole. Le sfumature giallastre dovute alla luce del sole  faceva sembrare i cumuli di vapore un enorme e morbido tappeto che mi ricordava quello in camera mia. 
Sognai ad occhi aperti di potermici sdraiare sopra , di sentire il soffice tocco delle nuvole sulla mia pelle. 
“ Signorina dovrebbe tirare giù il tavolino” mi intimò l'hostess che ormai stava per prendere la pazienza. Oliver allungò una mano e staccò il tavolino dal sedile davanti, per poi appoggiarci sopra il vassoio con il pranzo. 
Io rimasi ancora per qualche minuto a fantasticare fino a quando l'odore del cibo non mi riportò alla realtà. 
Tolsi la carta stagnola che era stata appositamente messa come coperchio e assaporai con gli occhi quello che stavo per mangiare. Adoravo il cibo. Probabilmente sarei dovuta essere decisamente più grassa ma la fortuna di avere un metabolismo veloce mi permetteva di mangiare qualsiasi cosa ad ogni ora del giorno. Dana mi odiava per questo. 
Dopo altre due ore di volo arrivammo a Londra. La piovosa Londra. 
“ A Londra piove sempre, mamma?” chiese Felix allarmato quando uscimmo dall'aeroporto. 
“ No, tesoro. Non piove sempre, ma di certo sarà un guaio per la mia messa in piega” gli rispose Kate, passandosi allarmata una mano sui capelli biondi.
Alzai gli occhi al cielo e sollevai la valigia.
“ Andiamo?” li incitai dirigendomi verso una fermata dei taxi. Anche quelli erano diversi dai divertenti taxi gialli di New York . Neri come le nuvole che coprivano il cielo. 
Mio padre mi sorpassò e salutò educatamente il tassista, dandogli un foglietto che probabilmente conteneva il nostro indirizzo. 
Salimmo sulla vettura e mi misi comoda sul sedile in pelle nera. Appoggiai la testa al finestrino e senza accorgermene mi addormentai, cullata dal rumore della pioggia che picchiettava sul taxi. 
Sono quasi sicura di aver sognato del mio primo ballo: quando Peter e io eravamo stati eletti re e reginetta . Non che lo volessi. Io non avevo mai aspirato alla popolarità e odiavo avere attorno tutte quelle ragazze false e sorridenti. Ma Peter era capitano della squadra di football quindi era normale avere particolari attenzioni, soprattutto dalle ragazze. 
Quella sera avevo indossato un abito verde, come i miei occhi, e avevo elegantemente raccolto i capelli in uno chignon. Forse fu la prima volta che mi trovai davvero bella in tutta la mia vita. Non che Peter non mi facesse sentire così, ma era diverso. Con lui mi preoccupavo sempre di apparire al meglio, anche quando dopo due anni si fermava a dormire da me io mi alzavo sempre prima la mattina per potermi sistemare. 
L'insicurezza che provavo nei confronti della sua superficialità era sempre stato uno dei miei più grandi problemi a lasciarmi andare. Ma non potevo parlarne a nessuno se non a Dana, altrimenti sarebbe diventato un pettegolezzo fisso a scuola.
Fui svegliata da un leggero sobbalzo dovuto probabilmente ad una buca nel terreno.
Mi ritrovai con la testa appoggiata alla spalla di Oliver e appena me ne accorsi mi tirai su e tornai a guardare fuori dal finestrino, troppo imbarazzata per dire qualunque cosa. 
“ Siamo arrivati, ragazzi” disse mio padre dopo n'interminabile viaggio in taxi. 
“ Finalmente” esultò Kate tirando fuori dalla borsa uno specchietto e un rossetto rosso fuoco. Pensava di farsi bella per la nuova casa? Sorrisi silenziosa e aspettai che l'auto si fermasse per poter aprire la portiera e scendere. Percepivo ormai le mie gambe come  se fossero di pongo e ci volle qualche istante perché riprendessi la piena mobilità. Scaricati i bagagli ci ritrovammo tutti e cinque a fissare la facciata in mattoni rossi di una villetta a due piani. La porta in legno bianco era larga e massiccia. C'erano delle luci accese al piano terra, immaginai mio padre avesse assunto un maggiordomo ed una cameriera dato che aveva passato le ultime due settimane a fare colloqui via telefono. 
Fui la prima ad incamminarmi e ad aprire la porta, mettendo dentro la testa per vedere se ci fosse qualcuno. 
Una ragazza giovane che avrà avuto all'incirca venticinque anni , con indosso un classico completo da cameriera inglese, venne ad aprire completamente la porta. Aveva un sorriso talmente gentile che mi sentii subito ben accolta e portai dentro il mio bagaglio. 
“ Lola, buonasera. È un vero piacere fare finalmente la tua conoscenza” la salutò mio padre baciandole la mano. Ogni tanto era imbarazzante quanto fosse all'antica. Ma Lola sembrò apprezzare il gesto e sorrise imbarazzata, facendo un piccolo inchino. 
“ La cena sarà pronta per le 19, le camere dei ragazzi sono di sopra mentre la vostra, signori, si trova al piano terra. Se volete seguirmi vi mostro anche il vostro studio personale” disse Lola sconfiggendo la timidezza del momento. Guardai l'ora sul mio cellulare, erano le sei quindi avevo un'ora di tempo prima di poter mangiare e sicuramente non l'avrei usata per visitare lo studio di mio padre. 
“ Io andrei direttamente in camera, per mettere a posto le mie cose. Scenderò dopo per vedere meglio la casa.” dissi richiamando l'attenzione generale che era inizialmente rivolta all'arredamento della camera. Come dare loro torto: un'enorme tappeto persiano da colori caldi occupava gran parte del pavimento di legno; arazzi eleganti occupavano la parete e un bellissimo tavolino in mogano rosso era posto al centro della stanza con sopra un vaso pieno di fiori. 
“ Va bene tesoro, ci vediamo a cena” acconsentì Kate sorridendomi distrattamente.
Sbuffai e mi trascinai su per le scale in marmo bianco. 
Il piano di sopra a prima vista consisteva in un enorme corridoio da cui sporgevano sette stanze. Cercai la mia che mi fu subito riconoscibile dal mio nome scritto sopra la porta in legno bianco con una vernice rosa imbarazzante.
Sospirai e girai la maniglia d'ottone, facendomi poi largo nel buio pesto della stanza. Quando finalmente trovai l'interruttore e accesi la luce rimasi a bocca aperta: era ancora meglio di quanto mi immaginassi, tutti i mobili che avevo chiesto erano posti in modo perfetto per occupare lo spazio di quell'immensa camera; le mie fotografie erano già state appese la muro con cura e i libri erano stati riposti nella libreria in legno bianco. 
Sorrisi e mi avvicinai al letto a baldacchino. Lo avevo scelto perché fin da quando ero piccola avevo sempre sognato un letto che somigliasse a quello delle ricche donne italiane dei film. Un copri piumino in seta con decorazioni color pesca si intonava perfettamente alle tende in pizzo e chiffon bianco.
Un dolce profumo di vaniglia attirò la mia attenzione. Proveniva da una piccola porticina accanto alla libreria. Sentii fremere il mio corpo dall'eccitazione: la cabina armadio. L'unica vera ragione per cui mi ero trasferita a Londra. 
Aprii la porta e mi ritrovai in una stanza coperta di moquette dia mille cassetti color pesca. Saltellai dalla gioia e iniziai a canticchiare “ Fancy”.
“ I'm so Fancy, you already knoooow” urlai tornando in camera mia. 
Presi il cellulare e composi il numero di Dana. Attesi qualche istante che mi rispondesse ma partì la segreteria telefonica. 
In quel momento sentii bussare alla porta.
“ Avanti” dissi ricomponendomi leggermente e stirandomi la gonna con le mani. 
Oliver sbirciò nella stanza ed entrò. 
“ Ehi, pop star. Ero curioso di vedere com'è la tua camera. Beh direi che si sono dati da fare. Hai già trovato la televisione nascosta?” mi chiese emozionato come un bambino. 
“ La televisione?” rimasi qualche istante a fissare le pareti ma … era evidentemente nascosta.
“ Si! Guarda!” camminò fino alla scrivania e prese un telecomando. Un tasto e lo specchio sul muro davanti al letto si sollevò, rivelando un immenso schermo piatto. 
Rimasi qualche istante a bocca aperta, sognando già tutti i film e i telefilm che avrei potuto vedere. 
“ Ti piace, eh?” osservò divertito Oliver.  Non risposi, perdendomi nuovamente nei ricordi di quando io e Dana passavamo serate intere a guardare film Disney canticchiando le canzoni e mangiando schifezze. Le risate che ci facevamo immaginandoci come delle principesse in cerca del loro vero amore. Con vestiti fantastici... volevo a tutti costi uno di quei vestiti. 
“ Sei ancora fra noi?” mi chiese Oliver battendomi un dito sulla spalla. Stava diventando fastidioso. Sospirai e mi voltai prendendomi qualche secondo per guardarlo. Era davvero fastidiosamente bello. Un dio greco sceso in terra. 
“  Mi hanno detto che tu hai vissuto qui” dissi senza distogliere lo sguardo.
“ Quindi ti sei informata? Hai fatto bene i compiti a casa. Ho passato tutta la mia adolescenza a Londra e sono felice di essere tornato” rispose quasi imbarazzato, passandosi una mano fra i capelli. Continuai a guardarlo, notando ogni piccolo segno sul suo volto, ogni sfumatura dei suoi occhi. Stavo per rispondere qualcosa quando sentimmo un campanello suonare rumorosamente. 
Ci girammo verso la porta, intuendo che venisse dalla cucina.
“ Non mi hanno mai chiamata a tavola con un campanello. Mi sento un cane” ammisi alzano le spalle e passandogli accanto tentando di trattenere l'impulso di correre giù per le scale e andare a divorare qualsiasi cosa ci fosse in tavola. Odiavo i pasti dell'aereo quindi non avevo mangiato quasi niente. 
Oliver mi seguì a ruota e insieme cercammo la sala da pranzo al pian terreno. Passammo per un salone riccamente decorato, dalle immense librerie e i divani di velluto rosso. Quella casa poteva tranquillamente essere usata come set per un film ambientato nel novecento. Tutto aveva l'aria antica, mancava solo il grande mappamondo ingiallito... ah no! C'era anche quello, in un angolo  accanto alla finestra.
Arrivammo alla sala da pranzo che consisteva in una sala modesta con al centro un tavolo che ovviamente era abbastanza grande da poter ospitare tutta la famiglia reale, compresi i pronipoti del cugino acquisito. 
Sulla tovaglia bianca come la neve c'erano diversi piatti con coperchi d'argento sopra. Immaginai cosa ci potesse essere lì sotto di così buono da profumare a quel modo l'intera casa. Un odore così intenso da farmi brontolare lo stomaco. Mio padre, Kate e Felix erano già comodamente seduti e conversavano su come sarebbe stata la scuola. 
“ Alice, tesoro. Siediti accanto a me , stavo giusto spiegando a tuo padre che il tuo ultimo anno di liceo lo passerai nella vecchia scuola di Oliver. “ Kate passò una mano sulla sedia vicino alla sua, rendendomi impossibile scegliere un altro posto. 
“ Ah si?” chiesi con non chalance continuando a fissare le cupole d'argento sul tavolo. 
“ Già. Lui ti potrà fare da mentore dato che ha trovato lavoro come insegnante di ginnastica” mi spiegò guardando orgogliosamente il figlio. Il mio silenzio, dovuto alla scarsa attenzione fu interrotto dall'ingresso di Lola nella sala. 
“ Siete pronti per mangiare?” domandò cortesemente sorridendoci .
“ Direi proprio di sì, altrimenti Alice potrebbe divorare tutto solamente con lo sguardo” scherzò Oliver facendole l'occhiolino. Ci stava provando con la cameriera? Davvero? Lei arrossì violentemente e tentò di nasconderlo abbassando lo sguardo e sollevando velocemente i coperchi. 
Feci una smorfia e mi concentrai sul cibo che mi stava davanti: patate al forno dorate e croccanti, pollo arrosto , pasta al pomodoro e insalata con melograno. Il paradiso era sceso in tavola per rendermi la vita più dolce e saporita. 
“ Buon appetito” dissi servendomi di patate e facendomi passare una coscia di pollo.

Il resto della conversazione che avvenne prevalentemente fra Kate e se stessa perché tutti eravamo troppo impegnati a mangiare qualsiasi cosa ci capitasse nel piatto. 
Dopo aver anche mangiato una bella fetta di torta di mele e aver bevuto del tè caldo mi sentii finalmente soddisfatta e pronta per andare a dormire. 
“ Io penso che andrò a riposarmi” dichiarai appoggiando il tovagliolo sul tavolo. Mio padre si schiarì la voce attirando la mia attenzione: “ Alice non hai parlato tutta la sera. C'è qualcosa che ti turba?” chiese preoccupato .
Annuii e sorrisi imbarazzata. 
“ Ti accompagno di sopra” propose Oliver alzandosi e lanciando un'ultima occhiata seducente a Lola che nel frattempo era rimasta sulla porta aspettando che finissimo per poter portare via gli ultimi piatti sporchi. 
Aspettai che fossimo soli sulle scale per guardarlo divertita.
“ Cosa c'è?” mi domandò appena si accorse del mio sguardo. Rimasi in silenzio per qualche secondo, ridendo fra me e me per quanto fosse stato buffo vederlo flirtare con la povera Lola. 
“ Usi sempre quelle tattiche per rimorchiare?” sghignazzai non riuscendo più a trattenermi. Non capivo come potesse fare colpo un atteggiamento del genere, così finto e premeditato. 
“ Non so a cosa ti riferisci” tagliò corto lui senza riuscire a nascondere un sorriso imbarazzato.  Gli diedi un colpetto sulla spalla e aprii la porta della mia camera. 
“ Tranquillo, tua madre era troppo impegnata a parlare di qualsiasi cosa per accorgersene. Il tuo segreto è al sicuro.” spiegai poco prima di entrare nella stanza.
Gli riservai un'ultima occhiata, incontrando immediatamente i suoi occhi limpidi, prima di chiudere la porta e rimanere nel buio e nel silenzio più assoluto. 
Successe in un attimo:  le medicine smisero di fare effetto e l'intera stanza, anche se nell'oscurità, mi apparì come se fosse contenuta in una bolla viola. Così la chiamavo ogni volta che mi succedeva di riuscire a vedere al buio. Per quanto dovessi sentirmi allarmata dal fatto che nemmeno più le cure che mi avevano prescritto facevano effetto, il mio spirito era quieto. Sentivo di non dover aver paura di quello che mi stava capitando. Camminai lentamente verso la piccola lampada accanto al letto e l'accesi, riuscendo finalmente a sbattere le palpebre e ad abituare gli occhi. 
Sospirai e mi spogliai, andando poi a cercare il pigiama del guardaroba. L'impresa fu più ardua del previsto perché a causa del centinaio di cassetti fui costretta a mettermi solo una maglia lunga e delle culotte.  Mi passai in rassegna davanti allo specchio, passandomi le mani sui fianchi e facendo lo sguardo più sensuale che mi potesse riuscire, risultato: avevo l'aspetto di un bradipo preso da un attacco di sonno. Sorrisi imbarazzata, pur sapendo che ero l'unica ad aver visto quella scena pietosa e mi passai una mano fra i capelli. Sentivo ancora gli occhi di ghiaccio di Oliver puntati addosso, una sensazione così inquietante da farmi venire i brividi. Mi voltai verso la porta e fissai le decorazioni in legno che componevano il nome Alice per qualche istante, aspettandomi che lui bussasse da un momento all'altro. Ovviamente non accadde nulla e sorrisi sentendomi ridicola per aver pensato che il mio nuovo fratellastro passasse la serata a preoccuparsi di cosa stessi facendo io. Tornai ad osservare la mia camera, notando ogni piccolo particolare che sul momento mi era sfuggito, come le piccole roselline  che incorniciavano il soffitto; il velluto opaco dei cuscini posti sulla nicchia accanto alla finestra e la quercia che si riusciva ad intravedere dal vetro rigato dalla pioggia. 
Mi immaginai come dovesse essere arrampicarmi fra quei rami e dondolare le gambe nel voto, godendomi l'ultima brezza estiva prima di entrare nel triste e spoglio autunno. Ricordai in quel momento di trovarmi in Inghilterra e che probabilmente lì sarei stata fortunata se ci fosse stato un giorno di sole in tutta la settimana. 
Sbuffai e presi il Beauty-case dalla borsa per poi dirigermi verso il bagno. Rimasi qualche secondo interdetta davanti alle due porte totalmente identiche con sopra scritto, a lettere dorate in stile Grande Gatsby , “Toilette”. L'unica  differenza erano due nastri legati sulle maniglie: uno rosso e l'altro giallo.  Chissà quale poteva essere il mio colore. Se avessi dovuto scegliere, avrei decisamente scelto il rosso, quindi girai la maniglia e infilai la testa dentro il bagno per controllare che fosse vuoto. 
Trattenni il respiro vedendo una schiena nuda e muscolosa e … Serrai gli occhi e richiusi velocemente la porta. Con tutte le probabilità avevo appena visto il sedere del mio nuovo e avvenente fratellastro. Mi misi una mano sulla bocca per evitare di fare rumore ed entrai silenziosamente nel bagno accanto, sperando che non si fosse accorto di nulla. 
Provai ad eliminare quell'immagine dalla mia mente e iniziai a lavarmi i denti. Il silenzio di quella casa era troppo inquietante per i miei gusti, addirittura i miei piedi nudi sulle piastrelle facevano rumore. Passai le dita sul marmo bianco del lavandino. Era un bagno talmente grande che poteva tranquillamente essere usato come camera da letto, anche perché la vasca sembrava quasi più comoda del mio letto. Quasi però. 
Presi tempo mettendomi tutte le creme che riuscii a trovare, sperando di uscire e non ritrovarmi davanti Oliver con il suo sguardo da perfetto seduttore di giovani ragazze indifese. Fortunatamente quando uscii a controllare il corridoio tutto era calmo e silenzioso. Percorsi velocemente i pochi metri che mi dividevano dalla mia camera senza nemmeno respirare e mi attaccai alla maniglia come se fosse l'ancora della mia salvezza. Finalmente tirai un sospiro di sollievo quando mi richiusi la porta alle spalle. Per quella sera avevo già avuto troppe emozioni forti quindi mi rintanai sotto le coperte calde e spensi la luce, facendomi avvolgere dal tepore del materasso. 
Com'era successo poco prima, per i miei occhi fu difficile abituarsi al buio. Stupidi farmaci fasulli. Guardai distrattamente il soffitto immerso nella mia bolla viola fino a quando il sonno non ebbe il sopravvento e piombai nel mio caotico mondo dei sogni. 








“ Alice, Sei sveglia?”
“ Cosa? Chi è?” biascicai faticando ad aprire gli occhi. Kate era sulla porta, sorridente e pronta per andare ad un colloquio di lavoro. 
“ Pensavo che io e te potremmo andare a fare shopping questa mattina” propose senza far caso al fatto che stavo amorevolmente dormendo. 
Pensai qualche istante ad una scusa plausibile che non fosse “ stavo sognando di vivere in un mondo di caramelle con tuo figlio e il suo bellissimo culo”, ma non me ne venne in mente nemmeno una e annuii, scostando la coperta e appoggiando i piedi caldi sulla moquette. 
“ Ti aspetto al piano di sotto fra venti minuti” disse prima di chiudere la porta. 
La maledissi in tutti i modi che conoscevo e strisciai fuori dalla camera per andare in bagno. Andai a sbattere contro qualcosa di robusto. Immaginai di essere così sfatta da non essere nemmeno in grado di vedere il muro ma quando alzai gli occhi e vidi Oliver tutta la stanchezza svanì per lasciare spazio all'imbarazzo. Mi raddrizzai e passai le dita fra i capelli sperando di rimediare al cespuglio che probabilmente avevo in testa. 
“ buongiorno” bisbigliai tenendo la testa bassa e lo sguardo sui miei piedi nudi. 
“ Buongiorno” rispose lui. Percepii che stava sorridendo, non capivo come facessi a saperlo ma me lo sentivo. In un momento ricordai quello che avevo visto la sera prima e diventai paonazza. 
“ Dovrei passare” dissi tentando di aggirarlo. Possibile che fosse diventato più largo dal giorno prima? Quando finalmente riuscii a passare lo sentii mentre mi diceva che sarebbe andato a far colazione al piano di sotto e che avevano preparato qualcosa anche per me. Alzai la mano senza smettere di camminare per fargli capire che avevo capito e aprii velocemente la porta del bagno. Dovevo smetterla di pensarci altrimenti non sarei più stata in grado di guardarlo in faccia per il resto della mia vita.
Mi feci una doccia veloce giusto per lavarmi e tornai in camera per vestirmi, non che mi importasse particolarmente quello che indossavo. Scelsi un paio di jeans un po' sgualciti, come andava di moda,  una camicia dalle stampe orientali e degli stivaletti neri in pelle. 
Per il trucco mi affidai al mio fedele amico mascara e lasciai che un rossetto color pesca mi colorasse le labbra sottili ma eleganti. Odiavo le mie labbra. Avevo sempre desiderato una bocca come quella di Angelina Jolie. Mio padre diceva che sembravo una dama dell'ottocento, però non mi dava soddisfazione dato che le donne dell'ottocento non andavano più di moda da... dall'ottocento!
Scesi le scale più velocemente possibile, guidata dal dolcissimo odore che proveniva dalla sala da pranzo. Il mio fiuto non sbagliava perché sul tavolo c'erano talmente tante cose da mangiare che non sarei riuscita ad assaggiarle tutte nemmeno volendo. 
Oliver si era servito dell'ananas e una fetta di torta di mele mentre io scelsi una ciambella con la glassa e una pesca. Kate si presentò raggiante e mi stampò un bacio in guancia con il suo lucida labbra appiccicoso. Feci una smorfia sperando che nessuno mi vedesse e passai il fazzoletto dove mi aveva lasciato il segno.
“ Sei pronta tesoro?” mi chiese guardandomi insistentemente. Possibile che fosse così rompi scatole pure la mattina presto alle... non avevo nemmeno visto l'ora . Sbirciai nel salotto verso l'orologio d'oro appeso al muro . Erano solamente le nove, significava che quella pazza mi aveva svegliata alle otto e trenta come minimo. 
“ I negozi aprono così presto qui?” domandai più a me stessa che a lei. 
Sentii una risatina provenire dal posto dove stava seduto Oliver. Lo fulminai con lo sguardo e per poco non credetti di sentirlo bisbigliare “ torna a letto piccola Alice”. Ma pensavo fosse frutto della mia immaginazione perché ero più che certa che non avesse mosso le labbra. 
“ Allora? Non vuoi più andare?” Kate sembrava sul punto di esplodere e se le avessi risposto che piuttosto mi farei ficcata la forchetta in un occhio c'era il rischio che lo facesse lei al posto mio. 
“ Certo che voglio! Non vedevo l'ora” finsi alzandomi e abbandonando a malincuore la mia adorata e gustosa ciambella glassata. Mi tolsi le briciole dai pantaloni e mi diressi insieme a Kate verso l'ingresso, prendendo la giacchetta che Lola aveva accuratamente appeso.  Chissà se Lola e Oliver si erano più parlati, magari in privato... Feci spallucce e aprii la porta. Non stava piovendo, anzi l'aria era tiepida e si poteva scorgere il sole dietro a delle nuvole tendenti al bianco. Sembrava un'enorme perla argentata, come veniva descritto da Leisel a Max nel libro “ Storia di una ladra di libri”. Mi ero innamorata di quel romanzo e lo avevo letto e riletto quasi consumando le pagine. Non sapevo perché mi avesse tanto impressionata. Forse perché il punto di vista della morte mi affascinava o perché ogni volta speravo che Rudi non morisse e che potesse davvero diventare l'uomo più veloce al mondo. 
Sorrisi fra me e me , ripensando alle nottate in bianco e ai pomeriggi nel parco a leggere. Fortunatamente quello in Inghilterra potevo ancora farlo, e non ci avrei mai rinunciato. 
“ Pensavo di andare in un outlet poco fuori città dove vendono tutte cose di marca ad un buon prezzo” mi informò Kate tirando fuori un telecomando per alzare la serranda del garage. La Mercedes rossa metallizzata mi fece alzare un sopracciglio. Possibile che si fosse comprata un'auto così pacchiana alla sua età? Ci mancava solo accendere la radio e trovarci il cd di Lady Gaga . L'avevo sottovalutata. Trovai una playlist di canzoni da discoteca metà delle quali suonate da David Guetta. Mi passai una mano sugli occhi e mi massaggiai le tempie, tentando di pensare positivo e non al fatto che la mia matrigna si comportasse come una ventenne. 
“ Ti piace la mia musica?” mi chiese sorridendo e muovendo la testa a tempo di Dangerous. 
Le sorrisi nel modo più falso che conoscevo e risposi “ La adoro”. 




 
  
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