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Autore: JeanGenie    30/01/2016    0 recensioni
Dopo la sconfitta subita, Re Jareth e è depresso e nervosetto, con tutto ciò che ne consegue. Toccherà a un gruppo di saltimbanchi tentare di risollevargli l'umore.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jareth, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I Cantastorie del Re

 

What kind of magic spell to use
Slime and snails
Or puppy dog's tails
Thunder or lightning
Then baby said
Dance magic, dance
Dance magic, dance
Put that baby spell on me
Jump magic, jump
Jump magic, jump
Put that magic jump on me
Slap that baby, make him free

(David Bowie)

 

Ripetimi come siamo finiti qui” gli aveva chiesto Charlie accordando la chitarra. Quella sera li avrebbero fatti a pezzi. Aveva dato un’occhiata in sala? Sembrava di essere nel Bronx.

Ma Sebastian era sempre ottimista. Sempre. Quello era il motivo per cui erano precipitati in quell’enorme disastro.

 

“Uff uff uff!” si lamentava Saltinspalla arrancando lungo la salita. “Sarebbe molto cortese da parte tua farti carico delle mie vecchie ossa, invece di correre sempre quattro passi avanti.”

Le sue parole venivano sistematicamente ignorate da Charlie Testadipaglia che, invece si limitava a sgomitare le ginocchia del capo e a ripetere insistentemente “Quanto manca? Quanto manca?”

Il capo della bizzarra compagnia, a sua volta, ignorava entrambi, occupato a scostare i massi dal sentiero perché il grifongallo che teneva per le briglie avesse un cammino agevole e non danneggiasse l’attrezzatura. Si erano smarriti per ventisette volte e mezzo. E quel ‘mezzo’ stava a indicare il fatidico momento in cui Saltinspalla aveva cominciato a urlare “Non troveremo più la strada!” mentre lui, Sebastian Strimpello, era certissimo di stare procedendo nella direzione giusta per la città.

Un viaggio piuttosto agevole, quindi, dal momento che, senza una guida fornita dalla stessa Corte, attraversare il Labirinto era un’impresa impossibile. O quasi. Perché qualcuno dell’AltraParte sembrava avercela fatta in meno di tredici ore, in tempi recenti. Si vociferava che fosse quello il motivo del malumore di Re Jareth. Ma il motivo contava ben poco. Il re era arrabbiato. Il re era collerico. Bisognava far tornare il sorriso – va bene, il ghigno- sul viso del re, prima che la Città di Goblin diventasse un pollaio. Perché il re si innervosiva se qualcuno gli faceva saltare i nervi. E il malcapitato finiva per ritrovarsi con penne e becco. E finiva in pentola, di tanto in tanto, sebbene – anche queste erano voci di corridoio- gli gnomi diventati polli avessero un saporaccio, quindi l’esperimento non era stato ripetuto più di tre volte.

Messi reali erano stati mandati ai quattro angoli del regno, e il fatto che il regno avesse forma circolare aveva contribuito a farli impazzire prima di giungere a destinazione, ossia a fermarsi in un posto qualunque – comunque sia, di certo non ad un angolo – e a urlare squarciagola, tenendo ben disteso davanti alla faccia un rotolo di pergamena, che chiunque fosse riuscito a far sorridere il re avrebbe avuto fama e ricchezze per il resto dei suoi giorni.

Pane per i loro robustissimi denti. Va bene, quelli di Saltinspalla non erano poi tanto robusti e nemmeno abbondanti, ma il concetto rimaneva quello. Non erano forse la compagnia di saltimbanchi più celebre del regno? Certo! Non erano forse gli artisti più straordinari e richiesti sulla piazza? Certo anche questo? E non si trovavano, purtroppo in ambasce e, nell’immediato, con l’urgenza di rimediare un po’ di spiccioli, pena miserabili mesi invernali di fame e nottatacce all’aperto? Certissimo.

Per questo si erano messi in marcia verso la capitale che, si vociferava ancora, fosse stata messa a ferro e fuoco da uno spaventoso esercito nemico composto da una ragazzina, un nano, un cane su un cane e un coso grosso e peloso. Sebastian desiderava come un matto vedere il disastro con i propri occhi e poi comporre su quell’epica battaglia una dozzina di nuove canzoni. Ovviamente cambiando il finale e consegnando la vittoria a Re Jareth. Tanto per sicurezza.

E dopo essersi persi solo le ormai famose ventisette volte e mezzo, cosa che aveva insegnato a Sebastian che non bisognava fidarsi delle indicazioni di un vecchio Saggio con un Coprisaggio logorroico in testa, ora arrancavano lungo la salita che avrebbe portato, o almeno così sperava lui, alle mura della città. Saltinspalla continuava a lamentarsi, Charlie smaniava per arrivare e il grifongallo cominciava ad avere fame. E anche lui a dirla tutta. Quando una voce stridula e disperata risuonò nell’aria con il suo “vi prego, ho fatto del mio meglio!” seguita da un oggetto non meglio identificato che volava sopra le loro teste, evidentemente scagliato da una catapulta. Sebastian capì di essere davvero arrivato a destinazione.

 

Una parco deserto e dei vestiti da due soldi. Il loro re non si era certo sforzato di rendere il loro arrivo gradevole. Era notte fonda e Sebastian non sapeva davvero dove andare a sbattere la testa. Si era guardato le mani consapevole che il proprio aspetto era cambiato. Si era voltato verso i suoi compagni stentando a riconoscerli. Erano tre ragazzi, ora. Avevano all’apparenza la stessa età. Quello con i riccioli e le guance piene doveva essere Charlie quindi il bruno con l’aria smarrita altri non era che Saltinspalla. Anche il Grifongallo aveva cambiato aspetto. Ora assomigliava alla betoniera degli spazzini.

Un furgone”!” aveva strillato Charlie entusiasta e Sebastian si era chiesto dove avesse imparato quella parola. “Guido io!”

Sebastian aveva scosso la testa. Chissà se sapeva davvero come funzionava quel coso.

 

Il palazzo cadeva a pezzi, ma questo non faceva testo in quanto, le solite voci maligne asserivano che il castello cadesse a pezzi da sempre. Però quei pezzi, dopo essere caduti, si mettevano a fluttuare nell’aria. Anche quello dipendeva dall’umore del re, anche se Sebastian non riusciva a vederne il nesso logico. Ma, dopotutto, vivere nel regno di Goblin e cercare una traccia di sensatezza nelle cose era da scemi e lui non era scemo. O forse sì, ma appunto per quello era meglio non farsi domande, tanto le cose andavano così e basta.

Quattro guardie non più alte di un metro li avevo fatti accomodare, grifongallo compreso, nell’androne che dava sulla camera da letto del sovrano, già affollatissimo di bizzarri soggetti che, evidentemente, erano lì per il loro stesso motivo. Dopo un’oretta era arrivata una grassa cuoca con le orecchie a punta e due corni bitorzoluti sulla fronte ad offrire loro un pezzo di pane, delle salsicce e un sacchetto di semenza per la loro cavalcatura piumata. “Stiamo finendo le scorte. Dovremo rifornirci ai magazzini in città. Siete voraci, voi strimpellatori” si era lamentata.

“Dovremo esibirci nella sua camera da letto?” aveva chiesto Charlie riempiendosi la bocca di pane. “Ci sarà abbastanza spazio?”

“Non per il grifongallo” aveva asserito Saltinspalla.

Sebastian non sapeva chi gli desse quella certezza. Per quanto ne sapevano, la camera del re poteva essere più ampia dello stesso castello.

Mentre ingoiava un altro boccone di salsiccia, molto piccante ma deliziosa, le ultime note di una canzone suonata all’interno della stanza del re si spensero. Sebastian riuscì a sentire le ultime, delicate parole:

 

Nere le chiome

bianca la pelle

gli occhi splendevan

come due stelle…

 

Pietoso. Stucchevole. Banale. Sentito e risentito. E poi cosa c’era di divertente nel ritratto di una dama? Infatti neanche il tempo di bere un sorso d’acqua e la porta si spalancò per scaraventare fuori, sollevato da una folata di vento, il malcapitato cantore.

“Nere le chiome! Perché nere?” si era levata una voce tra l’isterico e il tonante dalla stanza. “Perché non hai cantato di una donna bionda? Le bionde fanno meno danni! Io odio le donne con i capelli neri! Che nessuna donna con i capelli neri sia più presente nel regno di Goblin! Che si annunci in tutto il regno! Le donne brune hanno tredici ore di tempo per tingersi i capelli, altrimenti verranno appese a testa in giù nella Gora dell’Eterno Fetore!”

Un brivido di freddo aveva percorso le ossa di Sebastian e, da quel che poteva sbirciare con la coda dell’occhio, anche Charlie e Saltinspalla dovevano aver subito un trauma in quanto erano immobili come due stalattiti.

La porta si era richiusa pesantemente e poco dopo due servi dal muso di cinghiale erano entrati nell’androne. Uno dei due aveva accompagnato all’uscita a suon di calci il malcapitato cantore di dame brune, l’altro aveva annunciato a loro e agli altri artisti in attesa che le udienze sarebbero riprese solo il giorno seguente, dal momento che il re soffriva… ehm… di una leggera indisposizione.

 

Cos’è questa roba?” aveva detto il padrone del locale grattandosi i baffi.

Libera interpretazione del concetto di rock” gli aveva risposto Sebastian orgogliosissimo. Gli piaceva fare casino. Il casino era una gran concetto che lui aveva ignorato fino a qual giorno. Picchiare su piatti e tamburi lo metteva davvero su di giri.

Dovresti andare a fare il taglialegna, non il batterista…” aveva concluso quello che avrebbe potuto essere il loro datore di lavoro.

Charlie aveva sollevato timidamente un dito. “Un ultimo pezzo e poi ci togliamo dalle scatole, messere…”

L’uomo aveva alzato gli occhi al cielo, e Sebastian con lui. Aveva ripetuto dozzine di volte a Charlie di non usare termini come ‘messere’, ‘vossia’ ed ‘eccellenza’ di fronte alla gente dell’AltraParte. Ma niente da fare.

Sebastian, attacca ‘La ballata della donzella scalza’…” gli aveva sibilato storcendo la bocca come se gli si fosse incastrata la mascella.

Sebastian si era chiesto se fosse impazzito del tutto, poi aveva riflettuto, per quanto gli era possibile, naturalmente, che in fondo non avevano nulla da perdere. E una fame da lupi. Quindi tanto valeva tentare anche quella.

 

Almeno quella notte avrebbero dormito sotto un tetto. Sì, nonostante le brecce nelle pareti il tetto c’era ancora. E tante scale. Così tante da far girare la testa. A quanto sembrava era permesso accendere fuochi anche se erano all’interno. All’interno… più o meno. Non si poteva dire nulla circa l’ospitalità di Re Jareth. Squisita davvero. Peccato che il momento della partenza fosse sempre piuttosto burrascoso per i poveri artisti venuti a tentare di deliziarlo.

Charlie si era addormentato con la testa sulle sue ginocchia e perfino Saltinspalla era troppo stanco per continuare a lamentarsi. Sebastian continuava a guardarsi intorno chiedendosi perché quel posto sembrasse tanto familiare.

Una vecchia orchessa con in testa un sacchetto di plastica si era accostata per porgere loro della coperte. Da lei proveniva un forte odore chimico. “Mi sto tingendo i capelli. Devo diventare bionda entro domattina” aveva spiegato di fronte alla smorfia involontaria di Sebastian. “Se avete bisogno di altro chiedete pure me. Mi trovate nelle cucine.”

“Veramente…” Sebastian l’aveva fermata prima che si allontanasse. “Avrei bisogno di sapere cosa è successo al nostro re di preciso, se non le è di troppo incomodo parlarmene.”

La faccia dell’orchessa, alla luce del falò, appariva particolarmente minacciosa, ma si era accomodata vicino a lui senza protestare e aveva continuato a guardarlo in faccia. “Io mi ricordo di te. Me ne ricordo benissimo. Dunque è questo che sei diventato. Un saltimbanco.”

Sebastian aveva pensato che probabilmente quella tizia era ubriaca. “Mi dispiace. Ma io non credo di conoscervi.”

La faccia dell’orchessa, alla luce del falò e con un sorriso zannuto, appariva ulteriormente minacciosa. “Memoria corta. Succede sempre con i bambini del re. Scommetto che neanche questo frugoletto che ti dorme in braccio ricorda niente di quando è stato qui.” La serva aveva accarezzato i capelli di Charlie. “Ma non fa nulla. Vuoi sapere cosa è successo al nostro potente sovrano Jareth? Semplice. È stato sconfitto da una ragazza dall’AltraParte, anche se non lo si può dire ad alta voce. In seguito a questo disastro ha cominciato a fare avanti e indietro dal loro mondo al nostro, probabilmente cercando un modo per vendicarsi, o… e chi lo sa. Comunque il tempo per loro scorre in modo diverso, e lo sai. E di là sono passati anni. E il re di punto in bianco non è più riuscito a trovarla. La cosa lo ha messo di pessimo umore. E questo è il risultato. Ma forse dovresti chiedere a sir Didymus. È appena tornato dopo aver battuto palmo a palmo il contado straniero… cioè… quella che loro chiamano Londra. Te lo manderò domattina all’ora di colazione.”

E detto questo si era alzata ed era andata via.

Sebastian non aveva capito una virgola delle sue ciance sui bambini del re, né tanto meno quelle su un posto chiamato Londra. Roba da farsi venire il mal di testa. Meglio dormirci su.

 

Mi chiamo Sal. Urlo e suono il basso” si era presentato Saltinspalla leggermente, ma neanche troppo leggermente, sbronzo. “Qualcuno di voi conosce madamigella Sarah? È bella, bruna, con gli occhi blu e due tette da infarto…”

No, ma se la trovi portacela!”

Bel pubblico, aveva pensato Sebastian. Proprio il loro genere. Quel mondo si stava facendo sempre più interessante. Non assomigliava per niente al Regno di Goblin. Lì non c’erano quella specie di geniali schitarratori chiamati AC/DC. Gli sarebbe piaciuto portarseli dietro, una volta tornati a casa.

A casa? Ma lui non era tanto sicuro di volerci tornare.

E one, e two, e three…” aveva scandito picchiando le bacchette una contro l’altra. E vai di baraonda. Di nuovo. Con Saltinspalla tarantolato che scuoteva la testa su e giù e Charlie con l’aria concentrata di chi è in adorazione della sua sei corde. E se Jareth si fosse accorto che non stavano affatto cercando la sua bella ma si stavano dando alla vita dei rocker maledetti – ma non troppo maledetti-? Pazienza. Lo avrebbero invitato a fare il coro.

 

“È un cane” aveva detto subito Saltinspalla.

“È un furetto” aveva asserito invece Sebastian.

“Oh, no! È un valoroso cavaliere. Si vede subito!” aveva invece sostenuto Charlie pieno d’entusiasmo.

“Il vostro parlar saggio mi rincuora, giovine messere” aveva chiuso il discorso suddetto Didymus saltando sul tavolo e afferrando una pera dal cesto di frutta dal centro della tavola con entrambe le mani… o zampe che fossero. “Dite, messeri. Mi è giunta voce che vorreste sentirmi favellar dei miei viaggi e della mia cerca che, da codesto momento, non è più d’uopo definir priva di frutto, come mi appresto a comunicare alla Nostra Maestà, non appena avrò avuto tempo di desinar con voi al vostro desco.”

Quel tizio era tanto strano. Sebastian si stava chiedendo come fosse entrato nelle grazie del Re. Non sembrava il tipo di soggetto che potesse piacere al sovrano… sempre da quel che si diceva in giro, e di storie sul potente Jareth ne aveva sentite fin troppe.

Girando di contrada in contrada e smarrendosi regolarmente nel Labirinto, Sebastian e i suoi compagni ne avevano udite di tutti colori. Storie improbabili, racconti di viaggi, favole assurde su posti sperduti dove la gente era convinta che le fate fossero buone ed esaudissero i desideri. Baggianate di questo tipo, insomma.

D’altra parte anche lui e Charlie erano considerati ‘baggianate’, ‘stranezze’ e ‘bizzarrie innaturali’. Non era forse per questo che Sebastian aveva scelto quella professione? E non era forse per questo che aveva preso il piccolo Charlie con sé insegnandogli il mestiere di artista girovago? Sebastian a volte si chiedeva se potesse definirsi uno gnomo come gli altri. La sua pelle era bianca e liscia, era alto e… “assomigli alla stirpe del re” gli aveva detto un giorno qualcuno.

Ogni tanto saltava fuori uno gnomo come lui, con pochissimi segni caratteristici ad identificarlo come appartenete al regno di Goblin. Nel suo caso i capelli azzurri e la cascata di piume celesti che dal collo gli scivolavano fino ai piedi. Chissà se davvero il re gli assomigliava. Certo, sia lui che Charlie, con le sue piccole corna e la coda ma, per tutto il resto uguale a uno dei ragazzini dell’AltraParte, si sarebbero sentiti meno bizzarri.

“Prego. Servitevi pure, sir Didymus. Tanto non è roba nostra” lo aveva invitato Saltinspalla.

Il furetto-cane-cavaliere non se l’era fatto ripetere. “Cortesissimi. Da dove volete che cominci? Da come il nostro re…” abbassò la voce fino a ridurla ad un sussurro. “… cominciò ad affliggersi il giorno in cui la dolce donzella Sarah scomparve senza lasciar traccia? Da come egli prese a percorrere in forma di barbagianni mari e monti dell’AltraParte per scovarle e ottenere su di lei una rivincita? Oh, che sia chiaro. Avrei difeso con le unghie e con i denti l’incolumità di madamigella Sarah, se il nostro re fosse riuscito a trovarla. Lei è stata una compagna di viaggio e di battaglia di raro valore e ancor più rara avvenenza… però… però… provo un afflato di pena per il nostro sovrano. Se avesse voluto nuocerle avrebbe potuto farlo svolazzo dopo svolazzo. Perché aspettare che la donzella si rendesse irreperibile?”

Sebastian aveva fissato la fruttiera come se volesse chiederle aiuto. Non ci stava capendo più niente.

 

Però Londra era pur sempre un gran bel posto. Anche se finivano regolarmente in bolletta. Gli mancava un po’ di verde per la verità. L’atmosfera rurale dei villaggi. Per questo ogni tanto prendevamo il furgone e se ne andavano per la brughiera a ululare alla luna o, per dirla come Sal, a cantare a squarciagola dopo una bella sbronza.

Le sbronze, ecco. Il vino e la birra dell’AltraParte erano davvero libidinosi.

 

La camera da letto del re era effettivamente più ampia dell’intero castello. Per arrivare fino al letto a baldacchino su cui il sovrano pativa indicibili dolori emozionali sorseggiando infuso di more, rose e tabasco e emettendo lamenti stucchevoli, Sebastian e i suoi compagni ci misero non meno di venti minuti. Sembrava di essere scivolati dentro una torta di panna montata. Tutto era bianco e pieno di piume e merletti. Dei globi di cristallo fluttuavano in aria creando delle spettacolari geometrie al suono di una musica lievissima. Sebastian prese un appunto mentale ripromettendosi di riuscire a scoprire come si potesse mettere in scena uno spettacolo tanto ammaliante. Le signore ne sarebbero andate pazze quando lo avrebbe replicato in strada.

“Avanti, avanti, non perdiamo tempo!” la voce del re era risuonata stizzita nell’ambiente, creando un eco fastidioso. Sebastian si era chiesto la struttura della stanza non avrebbe rovinato l’esecuzione.

Una mano che evidentemente non aveva mai sollevato niente di più pesante di una piuma era emersa dalle tende dal baldacchino tenendo tra le dita delicate un campanello d’argento che era stato subito usato per richiamare l’attenzione di due servi svolazzanti. Le cortine erano stata scostate e Sebastian e i suoi compagni avevo finalmente potuto vedere re Jareth.

Era giovane ed era vecchio, era bello ed era orribile, era ammaliante ed era spaventoso. Era il regno di Goblin fatto persona. Soprattutto era più simile a lui di quanto avesse potuto immaginare. Re Jareth sembrava in tutto e per tutto un abitante dell’AltraParte. Forse gli occhi erano fatati, forse il carisma era oltre l’umano, ma quello che avevano di fronte non era come gli altri gnomi. Non era uno gnomo. Le voci, sempre le voci, lo avevano avvertito. Forse era solo sotto l’influsso di un incantesimo per mutare aspetto, ma perché avrebbe dovuto? Per essere più piacente? Possibile. Strano come quelli come loro venissero considerati strambi e invece il re delle sue peculiarità fisiche ne facesse un vanto. Biondo, regale, sottile. E familiare. Sebastian non riusciva a togliersi dalla testa l’impressione di averlo già incontrato in passato, cosa alquanto assurda, ma d’altra parte chi degli abitanti del regno di Goblin non era assurdo e, di conseguenza, non faceva pensieri assurdi?

Ma ciò che aveva lasciato di sasso Sebastian era stata la prima frase pronunciata dal re quando si era reso conto di chi avesse davanti. “Oh, sei tu. Ce ne hai messo di tempo ad arrivare. Ma la sala da ballo è tre piani più sotto.”

Di rigore era seguito il suo strabuzzare gli occhi. ma si trovava pur sempre in presenza del sovrano quindi si era ricomposto e aveva azzardato un “Come avete detto, Vostra Altezza?”

Il re aveva sbuffato manifestando una noia intensa. “Tutti così. Tutti, tutti così. Ho capito. Sei qui come saltimbanco e non come cortigiano di alta casta. Come preferisci. Fammi divertire.”

Il re era svitato, più della media, almeno. Il loro spettacolo poteva piacere a qualcuno palesemente fuori di zucca? Oh, bè. Tanto valeva provarci. E poi a lui piaceva sfidare la sorte.

Aveva battuto le mani per richiamare l’attenzione di Charlie e Saltinspalla che si erano subito affettati a preparare gli strumenti e a raggiungere le rispettive posizioni sceniche.

Erano bravi e consapevoli di esserlo. Avrebbero meritato di esibirsi in uno dei grandi teatri dell’AltraParte invece che per i viottoli del regno di fronte a gnomi ignoranti e senza buon gusto.

Prese il suo chitarliuto, assunse una posa tragica e pizzicò la prima corda.

 

Non siete affatto male.”

A quanto sembrava, da quelle parti si usava una roba chiamata ‘agente’. Che non era esattamente una roba ma una persona. E adesso ne avevano un esemplare di fronte. Parlava di provini, contratti e demo. E lui non ci capiva poi molto. però continuava ad annuire, perché era una cosa che faceva sempre una buona impressione.

Questo è il mio biglietto da visita. Chiamatemi e vi fisserò un appuntamento.”

Sebastian aveva preso il cartoncino dalla sua mano. I telefoni aveva imparato ad usarli. Forse l’avrebbe chiamato per pura e semplice curiosità. Perché lui era un tipo modesto. Non che sperasse sul serio di diventare una rock star. Proprio no. Neanche un po’. Ok, un po’ sì.

 

Il re non aveva sorriso quando Sebastian aveva spiegato la sua voce trasformandola in scintille di ghiaccio e poi in petali azzurri e cantando di un’era felice in cui gli gnomi avevano ali di farfalla. Neppure aveva mostrato entusiasmo quando Charlie aveva fatto danzare lingue di fuoco scarlatto plasmandole in immagini e fantasmagorie, né quando Saltinspalla si era esibito nelle sue capriole diventando un tutt’uno con i suoi cerchi d’argento e cristallo.

Ma alla fine aveva comunque applaudito debolmente, pur non nascondendo la noia. Per Sebastian era più che abbastanza. Almeno non avrebbero corso il rischio di essere sbattuti fuori con ignominia o, peggio ancora, messi alla gogna.

“Andate, andate” li aveva congedati il sovrano con un gesto annoiato. Loro avevano tirato un sospiro di sollievo.

La voce era corsa subito nel castello e tutti avevano iniziato a chiedersi cosa avessero di speciale quei tre bifolchi per essere trattati con i guanti di velluto. Se lo chiedevano anche i tre bifolchi in questione, ma ottennero risposta dalla solita serva orchessa con i capelli tinti che anche quella notte portò loro la solita coperta accompagnata stavolta da un vassoio di biscotti.

“Al re piace la compagnia di quelli come lui. Ma dopo qualche secolo nella sala da ballo perdono tutta la vivacità e diventano sempre più simili a degli autentici gnomi. Voi invece siate ancora così… genuini, ecco.”

Sebastian aveva deciso che fosse arrivato il momento di chiederle di parlare con più chiarezza, altrimenti non ne sarebbero mai venuti a capo.

“Sai quanti anni ho, ragazzo blu?” aveva detto la gnoma. “Milletrentuno. Io c’ero quando qui regnava il vecchio sovrano. E c’ero quando re Jareth è stato portato al castello. Era tanto piccolo. Sua madre l’aveva offerto agli gnomi per poter sfamare in cambio gli altri suoi figli. E venne scelto subito come erede. Ora di tempo ne è passato tanto. E Jareth ha continuato a cercare un principe tra i bambini che gli venivano offerti. Ma nessuno era quello giusto. Nemmeno tu, ragazzo blu, e nemmeno quel botoletto seduto vicino a te.” Aveva indicato Charlie, poi aveva preso un biscotto dal vassoio.

Charlie aperto bocca pur senza smettere di masticare. “Ma di che sta cianciando, la vecchia?”

Saltinspalla gli aveva rifilato uno scappellotto, ma la serva gli aveva sorriso indulgente. “Sono pochi i bambini dell’AltraParte diventati gnomi che ricordano la loro origine. Soprattutto se sono stati presi quando erano ancora molto piccoli, come nel tuo caso.”

Sebastian conosceva quella storia. Gli umani, a volte, in stato di disperazione, si ritrovavano a commettere l’indicibile e ad offrire i loro bambini al re degli Gnomi perché li portasse via. Tali bambini, entrati a tutti gli effetti tra gli abitanti della città dei Goblin, divenivano l’aristocrazia di palazzo. Quella vecchia gli stava dicendo che anche il re, in origine, apparteneva all’AltraParte? E soprattutto…

“Io sono uno gnomo in tutto e per tutto. Anche se sembro diverso. Come puoi asserire che io sia un… mutato? Inoltre sono un povero saltimbanco. Se fosse come tu dici risiederei qui e farei festa tutto il giorno.”

La vecchia serva aveva riso. “Che sciocco. I bambini-gnomi scelgono da soli se tornare al castello. Vengono mandati nel Labirinto e scelgono da soli la loro sorte. Alcuni trovano la strada per tornare al loro mondo d’origine, altri tornano qui e entrano nella cerchia ristretta degli amici del re. Non importa quanto tempo ci voglia. E tu e questo piccoletto siete tornati.”

Follia. Una delle tante. La cosa sembrava aver entusiasmato Charlie che ripeteva come una cantilena ‘voglio diventare marchese, voglio diventare marchese’. Ma per lui era diverso. Quei frammenti smarriti di ricordi potevano avere un senso? Non erano semplici fantasie?

“È per questo che il nostro re è triste. Tempo fa gli fu offerto un bambino. Ma la sorella dell’infante venne a riprenderlo, superò tutte le prove e sconfisse il nostro re. Lei era una ragazza speciale. Una delle poche a credere sinceramente alla nostra esistenza. Per questo il nostro re aveva vigilato su di lei fin dalla sua nascita. E ha continuato a farlo anche dopo la sconfitta subita. Fino a quando lei è scomparsa. E lui si è ammalato. O almeno finge di essere ammalato, perché struggersi sotto le coperte è di certo più scenografico che struggersi e basta.”

Oh, sì. Questo aveva senso. Ed era molto teatrale. Quanto al resto, avrebbe spiegato perfettamente il suo aspetto e il fatto che si sentisse un pesce fuor d’acqua. Ma aveva bisogno di rimuginarci su. Aveva bisogno di rimuginarci tanto.

 

Permeeeessoooo!” aveva miagolato Saltinspalla entrando nell’ufficio del Signor Agente.

Poi anche lui aveva ingoiato la lingua ed era rimasto zitto. Sebastian si era stropicciato gli occhi come quando aveva tre anni e si svegliava di notte e aveva paura e dei fantasmi e… ma questa non era una questione molto interessante, in quel momento.

Ah, accomodatevi ragazzi” aveva detto il Signor Agente.

Sì, sicuro. Sicuro che si sarebbero accomodati. E poi avrebbero rapito la donna in piedi vicino a lui e l’avrebbero portata nel loro regno e il re avrebbe indetto una grande festa per glorificarli, ricoprirli d’oro e far incidere loro un disco che avrebbe scalato tutte le classifiche di questo mondo e di quell’altro, anche se in quell’altro dischi e classifiche non esistevano.

Lei è Sarah, mia moglie. Ma non ci interessa. Lei si occupa di teatro. Quella noia mortale. Vero, tesoro?”

Moglie. Tesoro. Teatro.

Sì, caro” aveva risposto madamigella Sarah sorridendo in un modo così finto che il concetto di teatro le calzava a pennello e Sebastian cominciava quasi a capire perché il loro sovrano si fosse fissato in quel modo malato con lei. “Ci si vede, ragazzi. E non fatevi incantare da lui. Se potrà fregarvi lo farà.”

Che carina. Che simpatica. Peccato lui che non avesse, al momento, nessuna buona scusa per fermarla. Però… però… Sì, sì. Adesso non avevano davvero più scuse per non gettarsi nel rutilante mondo della rock star. Anche Sua Maestà non avrebbe avuto nulla da ridire.

 

“Capo, forse dovremmo ripensarci, appena appena.” Saltispalla, visibilmente agitato, continuava a grattarsi i bitorzoli sulla testa.

“Taci, so quello che faccio” gli aveva risposto Sebastian spalancando le porte della camera del re.

Sua Altezza aveva concesso loro udienza quello stesso pomeriggio, cosa che aveva contribuito ad aumentare le chiacchiere malevole su di loro, ma a Sebastian importava ben poco. Si era fatto avanti e si era inchinato profondamente.

“Vostra Maestà, vogliate perdonare il mio ardire nel presentarmi così sfacciatamente a voi con una proposta che potrebbe forse irritarvi ma che verrà fatta unicamente pensando alla vostra soddisfazione.”

Il re sembrava completamente concentrato sui mandarini che stava sbucciando. “Allora? Fate in fretta, che il tempo è denaro e la plastica non cresce sugli alberi.”

Giusto. Giustissimo. C’era poco da stupirsi che lui fosse il re. Era proprio tanto saggio. In futuro Sebastian avrebbe avuto piacere di raccogliere i suoi aforismi e le sue perle di saggezza e trasformarli in un interessantissimo libro da tramandare ai posteri.

“Come volete, Vostra Maestà. Si tratta della ragazza che vi ha sconf… che di certo ha attraversato il Labirinto imbrogliando e violando le regole più elementari della sportività senza alcun ritegno, dimostrandosi un mostro di slealtà, mentre voi siete sempre così corretto che di certo non potevate immaginare che al mondo esistesse un tale abisso di…”

“TACI!”

“Signorsì!”

“Parla.”

Il re era tanto saggio ma anche tanto incoerente, come se la sua testa e le sue decisioni fossero fatti a scale capovolte, sottosospra, un po’ di qua e un po’ di là.

“Parlo” riprese Sebastian un po’ scettico e, a dirla tutta, anche abbastanza spaventato da pentirsi di avere avuto quell’iniziativa. “Il fatto è, Sire, che non è un’idea molto furba quella di mandare un cane su un cane dall’AltraParte. Il valente Sir Didymus si fa notare troppo.”

“Stai dicendo che non sono furbo?” aveva chiesto il sovrano inarcando un sopracciglio già naturalmente inarcato di suo.

“No, sire. Non oserei mai. Ho detto che l’idea non è furba.”

“L’idea è stata mia, quindi io non sono furbo.”

E adesso come avrebbe fatto a uscirne? In fondo, come sempre, il re aveva ragione. Calma e sangue freddo. Non poteva dare del cretino a Jareth e sperare di passarla liscia. “Diciamo che l’idea di mandare qualcuno è furba. Ma che il messaggero non è stato all’altezza della situazione.”

“Sì, ha senso” annuì il re.

Davvero? Sebastian non ne era affatto certo, ma l’importante era aver mantenuto la testa attaccata al collo.

“Ci vorrebbe qualcuno che riesca mimetizzarsi meglio tra la fauna locale e che bazzichi gli stessi ambienti di quella signora così sleale, cattiva, imbrogliona e…”

“Che c’è? Vuoi andare a farti una vacanza a spese mie?” La testa del re si era allungata verso di loro con fare minaccioso mentre Charlie ripeteva terrorizzato “Te l’avevo detto, te l’avevo detto…”

Sebastian aveva agitato le mani come il forsennato che effettivamente era e aveva tentato di negare l’evidenza. “Non sia mai, sire! Noi vogliamo andare per il bene del regno di Goblin e per il vostro. Soprattutto per il vostro.” Ok, non era proprio vero. In realtà, per metterla giù in modo drammatico, Sebastian voleva scoprire chi fosse la sua mamma. Proprio così. Niente ragionamenti plateali sulle proprie origini e sul trauma di avere scoperto di non essere del tutto uno gnomo. Sebastian voleva la sua mamma. E anche vedere l’AltraParte, perché no? Doveva essere un posto davvero ganzo, se aveva potuto dare i natali a uno come lui. Altro che quel labirintaccio puzzolente con i suoi squallidi villaggetti pieni di gente che non sapeva apprezzare la vera arte, la vera musica, la vera commedia e il suo indiscusso genio. Indiscusso, perché nessuno aveva mai neanche pensato di elucubrarci sopra. Ma Sebastian la vedeva in tutt’altro modo.

Il re aveva storto la bocca lucida in una smorfia sospettosa. “Non è che avete intenzione di battervela e darvi alla bella vita, vero? Lo sapete che in quel caso vi scoverei e vi farei appendere a testa in giù nella vigna reale?”

“Perché proprio la vigna reale?” aveva chiesto Saltinspalla e Sebastian lo aveva guardato malissimo.

“Riportatemi madamigella Sarah. Entro una settimana a partire da ora. O vi costringerò a suonare per tutta la vita per il compleanno delle figlie del sindaco!”

“Bene. Siamo nei guai…” aveva sibilato Charlie guardandolo malissimo ma Sebastian si era esibito in un inchino esagerato con tanto di frusciare di piumaggio turchino.

“Sarà, fatto, Vostra Maestà. Ora… potreste per favore indicarci la direzione?”

Il re aveva alzato gli occhi al soffitto, esasperato, poi aveva battuto due volte le mani gridando. “Sparite!”

E i tre sublimi ed eccellentissimi cantastorie non avevano avuto altra scelta che sparire letteralmente.

 

Ripetimi come siamo finiti qui” gli aveva chiesto Charlie osservando quella cosa che probabilmente si suonava come un magimandolino. non ne sarebbero usciti vivi. Aveva dato un’occhiata in giro? Sembrava nella discarica di Strampalonia.

Ma Sebastian era sempre ottimista. Sempre. Quello era il motivo per cui erano precipitati in quell’enorme disastro.

Direi... per fare i musicisti. Cos'altro? E lei, ammaliata dalla nostra musica, troverà noi. Ovvio no?”

Ovvio, sì” aveva risposto Charlie.

Ovvio una patata verde barzotta!” aveva protestato Saltinspalla.

Sebastian aveva sollevato le spalle, mentre una canzone che avrebbe voluto tanto scrivere lui arrivava da qualche parte. Oh, com'era bella. Oh, com'era tutto bellissimo. Ora avrebbero solo dovuto trovare un bel posto e cominciare ad esibirsi

Plebeo. Tu non apprezzi il mio genio” E gli piaceva anche usare lo stesso tono del Re. Che cosa strana. “Da te voglio solo sapere se anche i furgoni mangiano becchime.”

 

Note: questa storia non ha né capo né coda, in verità, proprio come il Labirinto. L'ho scritta tanto tempo fa e non è mai stata pubblicata. I tre imbecilli di mia creazione (ispirati ai The Bastard Sons of Dioniso, a cui voglio tanto bene, soprattutto quando i loro genitori ci portano a mangiare roba buona) avrebbero bisogno di tornare in scena, ma per ora non se ne parla. Quindi, per sapere se a Jareth passerà la depressione da gnomominkia, se Sarah tornerà e se i tre Cantastorie sfonderanno nel mondo del rock o torneranno al castello con la coda tra le zampe, bisognerà aspettare un incerto futuro.
Questa storia è qui per un altro motivo. David non c'è più. E, come dice anche il mio nickname, lui era una grossa, grossissima parte di me. Così lo saluto con un sorriso. Stentato, certo, ma c'è. Hello, Spaceboy. Ti amerò sempre. 

   
 
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