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Autore: misteryOo    31/01/2016    1 recensioni
«E dimmi, cosa farai questa volta? Ci racconterai nuovamente di Eileen, di locali notturni e di strani amori?» «L’idea era esattamente questa! Aggiungi solamente: gli anni 70, il muro di Berlino, ed una ragazza coi cappelli rossi» «Perché?» «È la mia vita. Non saprei che altro raccontare» 
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Threesome | Contesto: Storico
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   CAPITOLO PRIMO

 

 

Quella mattina non andai a lavorare. Era da mesi che continuavo a pubblicare ed appendere a destra e a manca lo stesso annuncio: “Cercasi coinquilino”. Queste due parole erano diventate il mio chiodo fisso ma, sfortunatamente, alla mia porta non si era presentato nessun candidato accettabile: Drogati, ubriaconi, qualche poco di buono e squattrinati. Quando ormai avevo considerato il trasferimento in un appartamento più piccolo e più a buon prezzo come unica soluzione possibile Eileen Marlon mi era piombata addosso. No, in realtà io gli ero piombata addosso, e non proprio addosso, diciamo più ai suoi piedi. Fatto sta che quella mattina, con un lieve accento americano, la ragazza mi aveva cortesemente domandato informazioni sull’appartamento affittabile all’ottavo piano. Io avevo spalancato le braccia raggiante e le avevo detto di seguirmi. 

L’appartamento era stato pensato per un massimo di quattro abitanti. La porta di entrata dava su un grande salotto con un divano raso terra, coperto da teli colorati. Tappeti ovunque, ricoperti di candele e cera. Sempre il salotto era illuminato da un’ unica grande porta finestra che fungeva da uscita ad un piccolo balcone che, a sua volta, si affacciava sulla piazza. Le tende erano arancioni. Le camere da letto erano due, ma ad Eileen mostrai solamente quella vuota dove sarebbe venuta ad abitare, qualora avesse voluto. La cucina si trovava dietro ad una tenda improvvisata muro. Nel complesso era tutto molto disordinato, ma all’americana piacque immediatamente. «Fantastico! Fantastico!» Disse battendo le mani. E, dopo aver trattato prezzi e condizioni, andammo a bere un caffè insieme. La conversazione che accompagnò quella mattinata fu davvero piacevole sebbene, come mi resi conto più tardi,  avevamo semplicemente parlato del più e del meno, e di lei sapevo come prima: nulla. «Avrei bisogno di una mano per portare alcuni scatoloni, oggi avresti ancora tempo?» Mi domandò, sempre con cortesia. Io naturalmente risposi di sì.

Verso le tre di pomeriggio eravamo entrambe sedute in salotto a sorseggiare una limonata. Avevo abbandonato l’eleganza della mia tenuta lavorativa per indossare una salopette di jeans, piuttosto usurata. Lei invece si era semplicemente tolta il grande cappello. Aveva un taglio di capelli molto fresco, innovativo. I capelli neri erano corti come quelli di un uomo, e spettinati. Nonostante la fatica di quel breve trasloco era ancora perfettamente in ordine. La fronte non le sudava e l’abito di seta color acqua non le si era appiccicato alla pelle candida. Ma quel che trovai più affascinante in lei fu sicuramente la sua capacità di non annoiarmi con inutili sproloqui. Se non trovava argomentazioni valide restava in silenzio, eppure riusciva a comunicarmi ugualmente qualcosa. Non mi dava fastidio stare ad osservarla mentre beveva la sua bevanda al limone, così, mute come due pesci. 

 

 

Uscimmo per festeggiare. C’era un piccolo locale in Wenter Gasse 14*, molto frequentato da artisti di tutti i generi. Alla sera suonavano blues, e d’estate era immensamente piacevole udire la musica e sorseggiare qualcosa seduti sui graziosi tavolini sotto la tettoia. La portai lì e, mentre cenavamo, mi confessò che amava cantare.

Camminammo poi lungo il viale illuminato a braccetto. Le raccontai che della mia patria Francia avevo davvero pochi ricordi, gli ultimi si erano estinti con la morte di mia madre. Mi domandò allora se sapevo parlare francese. «Bien sûr» Le risposi e lei, arricciando il naso sorrise. 

«Purtroppo non ho mai avuto l’occasione d’imparare bene l’inglese» «Si può sempre rimediare». Parlavamo entrambe un tedesco con sfumature straniere e pensai che fosse bello avere qualcosa in comune.

 

La mia camera era quanto più di disordinato si potesse immaginare. Le tende viola erano imbrattate di pittura gialla, difatti qualche mese prima avevo deciso di colorare i tubi dell’acqua (che erano a vista) di quell’allegro colore. C’erano vestiti ovunque e al posto dell’armadio possedevo un appendiabiti con le rotelle. Delle tendine colorate fungevano da porta, e decine di libri erano impilati gli uni sugli altri. Al muro era appeso un crocifisso e intorno dozzine di poster e foto. La camera era a nord, quindi sempre piuttosto buia. 

Non mi era mai importato molto di sistemarla e fare ordine, quella sera però, per la prima volta, mi sentii in soggezione all’idea che Eileen potesse vederla. Imposi quindi la regola che l’accesso alla mia camera era vietato. «Non vedo motivo per cui io debba ficcare il naso nella tua camera» Mi rispose lei, al che mi resi conto che forse avevo esagerato con l’autorità. 

Ci salutammo augurandoci la buonanotte, e quella sera, attraverso le tendine, potei udire il suo flebile e dolce respirare. 

 

 

 

*I luoghi da me descritti sono completamente inventati.

 

 

NOTE DELL’AUTRICE: Ringrazio TheComet13 (la tua recensione mi ha fatto molto piacere) e _i_am_sher_locked_1804 per i commenti. Grazie anche a chi ha messo la storia tra le preferite|seguite. Spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo e se volete commentare non  esitate a farlo. Dal prossimo capitolo la storia inizierà un po’ a svilupparsi.

Baci.

  
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