Anime & Manga > Death Note
Segui la storia  |       
Autore: Elrais    03/02/2016    1 recensioni
In un lussuoso albergo del centro di Tokyo, il miglior detective del mondo osserva su un monitor l'immagine di Misa Amane, sospettata di essere il secondo Kira; L non sa che, dietro quegli omicidi, si cela il potere di un quaderno ceduto da un Dio della Morte.
Tuttavia, gli Shinigami non sono gli unici esseri di cui il giovane investigatore ignora l'esistenza: altre creature, all'apparenza fragili come vetro, osservano la Terra con occhi inespressivi.
Ad una di queste creature verrà affidato il compito di infiltrarsi nel mondo degli Umani, per ristabilire l'equilibrio nelle Leggi di Natura.
Ma quando si ha a che fare con L Lawliet e Light Yagami, portare a termine la propria missione può risultare più complesso del previsto.
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri personaggi, L, Light/Raito, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo IV: Tempistiche

Per l’ennesima volta in quegli undici giorni, Sahira si trovava seduta nello scompartimento di un treno; la differenza, però, era che stavolta l’uomo che l’aveva pedinata fino a quel momento sedeva di fronte a lei, lanciandole occhiate furtive.
Non che la ragazza lo biasimasse, non doveva essere una bella esperienza trovarsi una pistola puntata alla schiena.
In effetti, la sua situazione attuale non era molto migliore: il poliziotto aveva ricevuto l’ordine di scortarla di nuovo fino a Tokyo e, nonostante al momento non la stesse minacciando fisicamente, aveva comunque l’autorizzazione a difendersi qualora Sahira – o meglio, Annie – avesse compiuto qualsiasi mossa sospetta; inoltre, lei gli aveva spontaneamente consegnato la sua pistola, quindi al momento era disarmata. Si sentiva decisamente in posizione di inferiorità e aveva ben presto deciso che quella sensazione non le piaceva affatto.
Chiuse gli occhi e reclinò la testa all’indietro, ripensando alla conversazione telefonica avuta con L appena poche ore prima.
 
“Ciao, L.”

Il detective era rimasto spiazzato per una frazione di secondo scarsa, dimostrando una rapidità di reazione sorprendente. Per essere un uomo che era appena stato scovato nonostante le varie precauzioni e che si ritrovava con un collaboratore minacciato di morte, si era dimostrato straordinariamente calmo.

“Annie Sunders, immagino.”

Sahira ne riconobbe la voce, che aveva ascoltato più volte durante l’osservazione a distanza: atona e priva di inflessioni.  Era un modo di parlare inconfondibile.

“Posso sapere cosa vuoi?”

Il Controllore aveva deglutito, cercando di mantenere fermo il tono della voce. “Vorrei solo parlare con te del caso Kira, niente di più.”

C’era stato un istante di silenzio dall’altra parte.
“Stai tenendo il mio collega in ostaggio.” Era un’affermazione, non le stava chiedendo conferma.

“Sì, il tuo collega al momento ha una pistola puntata contro. So che tu non puoi vedermi, ma ti prometto che, nell’istante stesso in cui accetterai di ascoltarmi, abbasserò l’arma e la consegnerò a lui.”

“Non posso verificare in nessun modo che lo farai” aveva ribattuto l’altro seccamente, “anche se tu mi facessi parlare con lui, potresti costringerlo a mentire sotto minaccia.”

La ragazza stava per rispondere, cercando di calibrare le parole, ma la voce del detective l’aveva anticipata: “D’altronde, immagino di non poter fare altro che fidarmi. L’unica cosa che so per certo è che tu stai minacciando il poliziotto che ho inviato a pedinarti e, se non dovessi ascoltarti, la sua vita sarebbe ancora più in pericolo di quanto già non sia.” Aveva fatto una pausa, lasciando che quelle parole galleggiassero nell’aria. “Indipendentemente dal fatto che tu abbassi l’arma oppure no, l’unica cosa che posso fare al momento è prestarti ascolto.”

Il Controllore aveva inspirato lentamente, poi aveva fatto esattamente quel che aveva promesso: in quel momento il detective non poteva vederla, ma in seguito il poliziotto avrebbe confermato le sue azioni. E lei aveva bisogno della loro fiducia.
Aveva abbassato l’arma e l’aveva spinta contro una delle mani dell’uomo, che, ancora di spalle, l’aveva afferrata saldamente. Poi si era voltato a guardare in faccia la ragazza.

“Sunders? Ci sei?” Seppure il momento di silenzio aveva inquietato L, la voce questi non lo aveva tradito in nessun modo. “Parla pure, ti sto ascoltando.”

“Mio padre è stato ucciso da Kira.”

Non erano queste le parole del discorso che Sahira aveva provato e riprovato nella sua testa in quei giorni, ma le erano venute spontaneamente alle labbra. Si era rannicchiata in un angolo, sedendosi sul pavimento impolverato, le ginocchia ripiegate contro il petto. “Ma immagino che questo tu già lo sappia. Tutto quello che ho fatto fino ad oggi…”

“Sì”, l’aveva interrotta il detective, “lo so. Era abbastanza chiaro che fosse questo a spingerti ad agire.”

“No, non lo sai.” La bocca della ragazza si era distorta in quello che poteva essere un sorriso amaro. “O almeno, non completamente. Non puoi sapere cosa si prova quando qualcuno che ami viene ucciso, e le persone che dovrebbero vendicarlo, che dovrebbero difenderci, si tirano indietro.”

“Ti stai riferendo al ritiro dell’FBI dalle indagini?”

“Ovvio che sì!” Sahira non aveva intenzione di rispondere così veementemente, ma non era riuscita a controllarsi. “Hanno detto che il sacrificio degli agenti era stato troppo grande e che si sarebbero tirati indietro. Ma allora chi li avrebbe vendicati? La polizia giapponese, che se la fa addosso perché Kira potrebbe ammazzarli da un momento all’altro?”

Il Controllore era balzato in piedi, in preda all’agitazione, cominciando a percorrere la stanza a lunghe falcate. Il poliziotto la seguiva furtivo con lo sguardo. “La verità è che quegli uomini non erano abbastanza… motivati. Non avevano perso niente, non avevano rinunciato a nessuno. Al contrario di me. Al contrario di chi ha visto i propri cari morire per mano di quell’assassino.”

“E così, hai deciso di rintracciare familiari e amici degli agenti dell’FBI che sono stati uccisi da Kira, come tuo padre” completò il detective. “È per questo che hai rubato il file contenente le informazioni sugli agenti coinvolti nel caso, giusto?”

Sahira si era fermata di fronte ad una cassapanca in legno. Per la prima volta si era guardata intorno, cercando di ignorare il cadavere di Naomi, posto in mezzo alla camera: quella stanza sembrava essere adibita a sala da pranzo. Il tavolo era stato spostato di lato, per permettere all’ex agente dell’FBI di impiccarsi.
Il Controllore, spinto da chissà quale necessità, aveva preso in mano una foto incorniciata: un uomo e una donna, con una bimba in braccio. Sahira non sapeva quanti anni potesse avere quella bambina – non era ancora brava ad identificare l’età degli esseri umani – ma era indubbiamente molto piccola. Era rimasta per qualche secondo a guardare l’immagine, affascinata. 

“Sunders?”
La voce atona del ragazzo l’aveva riportata velocemente alla realtà. “Tutto bene?”

“Sì. Sì, certo.” Sahira aveva rimesso frettolosamente la fotografia al suo posto. “Ho rubato quel file, cercando di non lasciare tracce… beh, mi pare evidente di non esserci riuscita, dato che mi avete rintracciata.”

A quel punto, aveva dovuto trattenere un sorrisetto: riuscire ad entrare nel pc del capo dell’FBI e contemporaneamente lasciare un segno abbastanza chiaro da poter essere triangolata era stata la parte dell’adescamento che le aveva dato più soddisfazione. Gli addetti del laboratorio del Centro di Controllo erano rimasti perplessi, quando Sahira aveva spiegato loro cosa aveva intenzione di fare.
“In genere, quando si hackera il pc di un umano si cerca di non lasciare tracce. Tu, invece… tu vuoi che noi ti insegniamo come entrare in un computer, rubare il file e quindi essere trovata?” aveva chiesto uno di loro. Sahira aveva dovuto spiegargli il suo piano nei minimi dettagli, prima di ricevere le informazioni necessarie.

“Ad ogni modo, ho scoperto che tra gli agenti uccisi c’era anche Raye Penber, un amico di papà” aveva continuato la creatura, al telefono. “Lui e la sua fidanzata, Naomi, erano venuti spesso a casa nostra, e così avevo imparato a conoscerli entrambi. Sapevo che anche Naomi era stato un ottimo agente dell’FBI, così ho deciso di provare a rintracciarla… ero sicura che si sarebbe messa sulle tracce di Kira, volevo chiederle di fare squadra. Ma non sono riuscita a trovarla.”
Il ricordo della telefonata con Sosuke Misora era riaffiorato alla mente e lo sguardo era tornato, istintivamente, alla fotografia di famiglia. “Non sono riuscita a contattarla… ho chiamato a casa sua, dai suoi genitori, e il padre mi ha detto che non sapevano nulla su di lei da mesi, ormai.” Con orrore, si era accorta di avere nuovamente gli occhi lucidi. “Lì per lì non sapevo cosa fare… mi sembrava strano che fosse scomparsa nel nulla. Ho pensato che si fosse allontanata per dare la caccia a Kira senza dare nell’occhio, così mi sono messa sulle sue tracce: da quello che tu, L, hai detto in tv nel dicembre scorso, Kira dovrebbe trovarsi in Giappone. Questo mi ha fatto pensare che anche Naomi non si fosse allontanata dalla nazione, perciò ho messo momentaneamente da parte gli aeroporti e mi sono concentrata sulla stazione dei treni.”
Un respiro profondo, ad occhi chiusi. Con l’indice disegnava ghirigori sul dorso della cassapanca impolverata. “Ho pensato che la ricerca di Kira avrebbe potuto costringerla a spostarsi, in fondo non è detto che lui si trovi proprio a Tokyo; se poi non avessi trovato nulla in quella direzione, avrei ripreso a cercarla all’interno della città. Mi sembrava un buon modo per stabilire i confini, piuttosto che cominciare a scandagliare una metropoli così grande da sola senza avere la certezza che lei fosse qui.”

“Così hai rubato i nastri delle videocamere di sorveglianza della stazione…”

“Sì, e quella sera mi sono accorta di essere pedinata.” Sahira aveva lanciato un’occhiata veloce al poliziotto accanto a lei, che nell’udire quella frase aveva sobbalzato. “In realtà, non me ne sarei mai accorta se non avessi visto quest’ uomo anche quella stessa mattina, in un bar. Lì per lì mi sono spaventata, ma poi ho pensato che doveva essere un poliziotto legato al quartier generale giapponese per il caso Kira… se avevo davvero lasciato qualche traccia, era probabile che l’FBI avesse avvertito la polizia giapponese che qualcuno stava cercando di ottenere informazioni riguardo agli agenti uccisi.”

Il Controllore aveva fatto una pausa, aspettandosi qualche domanda, ma L non sembrava intenzionato a parlare; dal telefono era pervenuto solo un ticchettio sommesso, che Sahira non era riuscita ad identificare. Così aveva ripreso: “Tra i nastri rubati ne ho trovati alcuni che inquadrano Naomi alla stazione e tramite quelli ho scoperto in che direzione fosse andata. Così ho preso quello stesso treno e sono scesa in ogni fermata, cercando in ogni paesino… e sono arrivata qui.”

Il ronzio delle mosche le aveva ricordato cosa avesse trovato, al termine del suo viaggio.
“Capisco.”

A quel punto, Sahira aveva storto la bocca in una smorfia: quello che l’aveva infastidita non era tanto l’assenza di interazione da parte di L, quanto il fatto che il detective avesse inequivocabilmente parlato con la bocca piena. E anche il rumore che la ragazza aveva sentito prima, ora aveva capito di cosa si trattasse: un cucchiaino che sbatteva contro una tazzina, forse di ceramica o di porcellana.
Lei gli stava raccontando la storia della sua vita – certo, non proprio della sua, ma questo il detective non poteva saperlo – e lui si godeva uno spuntino? Sapeva che quella era una caratteristica dell’investigatore, ma in quel momento non poteva negare di esserne seccata. “Vuoi… vuoi farmi qualche domanda?”

Il detective aveva deglutito, mandando giù il boccone con qualche sorso di una bibita che, per ovvi motivi, il Controllore non era riuscito a riconoscere. “In effetti, qualcosa che vorrei chiederti ci sarebbe: hai continuato a cercare Naomi Misora nonostante avessi capito di essere pedinata dal quartier generale. Qual era il tuo piano? Non mi sembra che tu abbia cercato di depistare il mio agente in alcun modo.”

 “Beh, fondamentalmente avevo preso in considerazione due possibilità, e la seconda si basava proprio sul presupposto che voi continuaste a pedinarmi”, aveva risposto la ragazza, cercando di non dare a vedere che si aspettava quel genere di domanda. “Se avessi trovato Naomi viva, le avrei semplicemente spiegato la mia situazione. Confidavo nel fatto che lei, intelligente com’era e con la sua esperienza, avrebbe trovato un modo di volgere la cosa a nostro vantaggio. Se invece avessi scoperto che le era accaduto qualcosa… beh, avrei sfruttato il mio stesso pedinatore per ottenere un contatto col quartier generale.”

Dietro di lei l’agente si era mosso, a disagio. Sahira si era voltata nuovamente a guardarlo e aveva notato che l’uomo stava stringendo saldamente la pistola in pugno, nonostante non gliela stesse puntando contro.

“Mi sembra un piano rischioso” commentò L, “ posso chiederti in che modo avevi intenzione di farti portare al quartier generale? Inoltre,” e qui la voce del ragazzo fece una pausa quasi impercettibile, “non puoi avere la certezza che quello con cui stai parlando sia davvero L.”

Stavolta, Sahira non era riuscita a non ridacchiare. “Hai ragione, era un piano rischioso, perché se avessi semplicemente preso in ostaggio il tuo collega, costringendolo sotto minaccia a telefonarti o a portarmi al quartier generale, avrebbe potuto ingannarmi in qualche modo e avvertirti in segreto su quanto stava succedendo. È per questo che ho aspettato…”

“…che fosse lui a chiamare.”

“Esattamente.” Il Controllore aveva aspettato che quelle parole si imprimessero per bene nella mente dell’uomo dall’altro capo del telefono. “Se questo poliziotto era davvero implicato nel caso Kira, allora, per prima cosa, ancor prima di avvertire il resto della polizia, avrebbe chiamato colui che al momento è a capo delle indagini. La prima persona che avrebbe avvertito sarebbe stato sicuramente L, che ad oggi è il suo diretto superiore. Tutto ciò che dovevo fare era non farmi sfuggire quel collegamento.”

Sahira aveva taciuto, trattenendo il respiro: all’orecchio, dall’altra parte del telefono, le era arrivato una specie di sbuffo, che non era riuscita a decifrare.
“In definitiva, ora che siamo arrivati a questo punto, suppongo che tu voglia essere introdotta all’interno del quartier generale e coinvolta nelle indagini.”

Il Controllore sorrise impercettibilmente. “Ti sbagli.”

“Prego?”

Sentire una sfumatura di stupore, anche solo minima, in quella voce priva di inflessioni, era stata un’infusione di autostima. “Ti sbagli, L. È vero, voglio partecipare alle indagini, ma non mi interessa essere introdotta nel quartier generale. Non voglio neanche sapere dove sia collocato! E, soprattutto, non mi interessa vederti in faccia.”
Sahira respirò profondamente. “Voglio solo esservi d’aiuto. So che la tua identità è segreta e lo rispetto. Ti ripeto: non voglio vederti in volto, né sapere dove lavori. Sappi, però, che sono disposta a tutto per risolvere questo caso e obbedirò ciecamente a qualsiasi tuo ordine.”

Questo doveva essere il colpo di grazia: secondo i suoi calcoli, tutto ciò avrebbe dovuto accordarle la fiducia del quartier generale. In fondo, la storia di una ragazza che vuole vendicare il padre era più che credibile e tutte le sue azioni potevano essere comprovate: aveva preso un aereo dall’America per arrivare in Giappone a seguito della morte degli agenti; i tabulati telefonici della sua stanza d’albergo avrebbero confermato i suoi contatti con la famiglia Misora; dall’incursione alla stazione per rubare i VHS in poi, tutte le sue mosse erano state seguite passo passo dal suo pedinatore; infine, il suo totale disinteresse per l’identità di L e dei poliziotti che lavoravano con lui avrebbe dovuto allontanare da lei qualsiasi sospetto. Tutto giocava a suo favore, o quantomeno così lei sperava.

Tuttavia, la risposta di L non era arrivata subito.
“E così, sei disposta a tutto per risolvere questo caso, dico bene? E ti fidi ciecamente di me?”

Quella frase riassumeva il discorso di Annie Sunders in poche parole, eppure Sahira aveva esitato. “Sì... sì, certo, è quello che ho detto: farò qualsiasi cosa mi ordinerai, per risolvere questo caso.”

Di nuovo, il rumore di un cucchiaino contro una tazzina in ceramica. “Molto bene. Allora, direi di iniziare subito: passami il mio collega, per favore. Fai esattamente tutto quello che lui ti ordinerà, sono stato chiaro? Se farai quanto ti ho detto, avrai presto mie notizie.”

Sahira riaprì gli occhi, tornando a guardare fuori dal finestrino: la fine della conversazione con L l’aveva lasciata con l’amaro in bocca e con una spiacevole sensazione di disagio. Apparentemente tutto era andato secondo i suoi piani, ma l’atteggiamento che il detective aveva assunto all’ultimo le aveva dato l’impressione di aver perso il suo iniziale vantaggio. Si chiese che tipo di piano L avesse potuto escogitare in così poco tempo.
L’agente davanti a lei la osservava; ormai erano su quel treno da circa quattro ore e nessuno dei due aveva aperto bocca. Il Controllore, con imbarazzo, si rese conto di sentirsi vagamente in colpa.

“Senta, per quel che vale, non avrei sparato.”

Sahira parlò continuando a guardare fuori dal finestrino, senza spiegarsi quel disagio. “Non avevo intenzione di farle del male, ma avevo assolutamente bisogno di parlare con…” si guardò intorno, assicurandosi che nessuno stesse ascoltando “sì, beh, con chi è a capo delle indagini.”
L’uomo sembrò stupito, ma non rispose. La ragazza non capì se gli fosse stato ordinato di non parlare o se fosse solo un tipo particolarmente silenzioso.
Volse lo sguardo verso di lui: il suo vero nome era Kanzo Mogi. Dalle sue ricerche aveva scoperto che L, convinto che Kira avesse bisogno di un volto e un nome per uccidere, aveva fornito ai suoi collaboratori dei documenti falsi nel tentativo di proteggerli; e, infatti, il tesserino che Mogi le aveva mostrato portava un altro nome. Ma questo Annie Sunders non poteva neanche sospettarlo.

Il treno rallentò, segno che stavano per rientrare nella stazione di Tokyo: il viaggio era quasi terminato. Avendo preso un diretto  – e non uno dei treni regionali che fermano in ogni paesino, come quello su cui Sahira era stata costretta a salire durante la ricerca di Naomi – il ritorno era stato molto più breve dell’andata.
Mogi le fece un cenno col capo e Sahira provò una fitta d’ansia nell’alzarsi. Non aveva la più pallida idea di quali fossero le intenzioni dei poliziotti e le probabilità che volessero in realtà arrestarla erano relativamente alte. Però, al momento, erano veramente in pochi ad indagare su Kira, e questo pensiero la tranquillizzò: le forze del quartier generale erano davvero scarse e la sua speranza era che anche il contributo di una ragazzina non potesse essere trascurato. Tutto sommato, aveva dimostrato di essere in grado di infiltrarsi nel pc del capo dell’FBI, rubare documenti importati, travestirsi e rintracciare Naomi Misora.
In effetti, quel piano aveva il doppio scopo di contattare L e di mettere in luce le proprie qualità, così che da una parte lui potesse fidarsi e dall’altra ritenesse utile la sua collaborazione nelle indagini. L’unico problema, rifletté Sahira, stringendo spasmodicamente la maniglia del trolley, è che non riesco a capire se il detective abbia abboccato all’amo oppure no.

Docilmente, la ragazza si lasciò condurre dall’agente fino al centro della città, stavolta senza prestare troppa attenzione alla vita che la circondava. Aveva altro a cui pensare.
L’uomo si fermò di fronte all’entrata di un grattacielo completamente a vetri: sembravano degli uffici, o comunque qualcosa di diverso da delle abitazioni. Le finestre avevano un colore scuro, che rendeva impossibile guardare all’interno.
Per un istante Sahira ripensò al Palazzo del Centro di Controllo e, se possibile, la sua ansia crebbe ulteriormente.

L’agente le fece cenno di entrare e lei proseguì, guardandosi intorno: all’ingresso non c’era anima viva, sembrava che il palazzo fosse completamente disabitato. Fece qualche passo in avanti, ascoltando le porte automatiche chiudersi dietro di lei.
Su un tavolo che sembrava quello di una reception era posato un pc portatile, acceso; Mogi le fece cenno di sedersi e la ragazza obbedì, senza lasciare la valigia. Il trolley era diventata un’ancora di salvezza, alla quale si aggrappava freneticamente; le nocche delle mani le erano diventate bianche.

Sul monitor del computer comparve una L nera, in stile gotico su sfondo bianco, e la voce del detective le giunse chiara:
“Ciao, Annie. Ti ho fatta portare qui perché volevo parlare con calma, in un posto in cui potessi sorvegliare le tue mosse. Spero non ti dispiaccia.”

“Affatto.” Sahira lanciò un’occhiata di fronte a sé e notò una piccola telecamera posta sull’incavo della finestra. Dovevano essercene altre, lì intorno. Ecco cosa intende con “sorvegliare le mie mosse”. “Dimmi pure.”
 
“Beh, tu hai detto di fidarti di me, ma io non ho mai affermato che la cosa fosse reciproca” rispose il detective con semplicità. “Di fatto, in realtà c’è un piccolo dettaglio che non mi convince.”

Sahira sentì una goccia di sudore scivolarle lungo il collo. Non era possibile. Semplicemente, non era possibile. Aveva controllato tutto alla perfezione, non c’era nulla lasciato al caso. Cosa poteva aver indotto il ragazzo a non fidarsi?

“Vedi”, continuò il giovane, scandendo lentamente le parole, “il primo punto che mi ha lasciato perplesso è stato il fatto che tu prima sia venuta in Giappone e poi abbia iniziato a cercare Naomi. A rigor di logica, sarebbe stato più sensato che tu rubassi il file mentre ti trovavi ancora in America; avresti scoperto che Naomi Misora aveva accompagnato il suo fidanzato qui e, a quel punto, avrebbe avuto senso prendere un aereo per il Giappone.”

Il ragionamento del ragazzo non faceva una piega, ma Sahira sapeva che non avrebbe potuto comportarsi così, se voleva essere trovata in fretta: in quel modo, avrebbero dovuto triangolare la sua posizione in America, seguirla fino in aeroporto e assicurarsi che stesse effettivamente andando in Giappone. Lei avrebbe dovuto lasciare molte più prove del suo passaggio, rischiando tra l’altro di essere arrestata su suolo americano prima di riuscire a partire; ma soprattutto non poteva avere la certezza che l’FBI avrebbe seguito le sue mosse, dato che si erano ritirati dalle indagini. Rubando il file direttamente in Giappone, invece, sarebbe stata troppo lontana dall’America per essere arrestata da loro ed era improbabile che il capo dell’FBI decidesse di mandare di nuovo degli agenti su suolo nipponico; a quel punto, era molto più probabile che si limitasse ad avvertire la polizia giapponese che qualcuno si stava interessando al caso Kira, richiedendone l’arresto e, in seguito, il trasferimento in America per essere processato per aver rubato dei documenti riservati.

“Ma questo non è un indizio a tuo carico” continuò L, perso nel suo ragionamento. “D’altronde, è plausibile che la morte di tuo padre ti abbia sconvolta a tal punto da agire d’istinto: potresti esserti mossa per cercare Kira da sola e aver deciso di fare squadra con qualcun altro solo in un secondo momento. Inoltre, tu sei americana e sei arrivata qui dopo la morte degli agenti dell’FBI, mentre io ho sempre pensato che Kira sia giapponese, o quantomeno si trovi in Giappone. Non ho alcun indizio contro di te, così come non motivo di sospettare che tu sia Kira.”

“Mi fa piacere.” Il tono della ragazza era più caustico di quanto non avesse voluto. “Allora potresti spiegarmi cos’altro c’è che non ti convince?”

“Te lo spiego subito. Ciò che non mi torna è una questione di…” il ragazzo fece una pausa, quasi a cercare il termine adatto, “… di tempistiche.”

“Tempistiche?”

“Precisamente. Vedi, ultimamente ho imprigionato due dei miei principali indiziati: ho fondati motivi di credere che queste due persone siano rispettivamente il primo e il secondo Kira. Nonostante ciò, però, le morti dei criminali non sono cessate.”

Beh, almeno so a che punto del piano di Light siamo arrivati, pensò la ragazza. Evidentemente  ha chiesto a L di essere imprigionato, e Rem ha trovato qualcuno a cui far usare il quaderno. Quantomeno non ho perso troppo tempo.

“A questo punto, sono indotto a credere che qualcun altro stia usando il potere di Kira” continuò L, “e che quindi questo potere possa essere trasferito da persona a persona. E proprio mentre i miei maggiori sospettati sono imprigionati e quindi il potere omicida di Kira viene esercitato da qualcun altro, compare dal nulla una ragazza che vuole unirsi alle indagini. Normalmente non avrei avuto alcun motivo per sospettare di te, ma questa è una coincidenza che non posso permettermi di ignorare.”

“Ma allora potrebbe essere chiunque!” sbottò Sahira, ora completamente infuriata. “Se il fatto che io sia americana e che non fossi qui quando gli omicidi sono iniziati non è più un alibi, allora chiunque al mondo potrebbe essere Kira. Anche i tuoi stessi colleghi del quartier generale!”

“È vero, ma loro sono qui da prima che il potere di Kira passasse a qualcun altro, per questo non ho motivi validi per sospettare di loro. Tu invece… tu stai cercando di unirti a noi proprio in un momento particolarmente delicato.” Fece una pausa, in cui sembrò stesse bevendo qualcosa. “Ritengo ci sia il 3% di probabilità che tu fossi già a conoscenza di questa situazione. La percentuale è indubbiamente bassa… ma non è nulla.”

Il Controllore respirò a fondo, cercando una soluzione.
Non le era passato per la mente che quella variazione improvvisa nel modus operandi di Kira, coincidendo con il suo contatto col quartier generale, avrebbe potuto allarmare il detective. Era stata un’ingenua: sapeva perfettamente che il piano di Light era proprio quello di sviare da sé i sospetti di L facendo uccidere i criminali a qualcun altro, quindi questa virata nelle indagini era prevista già da tempo. Solo, non aveva avuto la giusta visione d’insieme.

“Ho capito. Quindi? Cosa hai intenzione di fare? Vuoi imprigionare anche me?”

“Tecnicamente, imprigionarti sarebbe una violazione enorme dei tuoi diritti. I reati che hai commesso finora giustificherebbero un arresto, ma non il tipo di prigionia che infliggo ai miei sospettati…”

“Ma, in definitiva, se voglio partecipare alle indagini non ho altra scelta” mormorò Sahira. “E hai bisogno che io ti chieda spontaneamente di essere imprigionata per sviare da me qualsiasi tipo di sospetto, perché tu, di tuo, non potresti spingerti a tanto.”

E così sei disposta a tutto per risolvere questo caso, dico bene? E ti fidi ciecamente di me?
La creatura serrò la mascella, infastidita: l’aveva incastrata, nulla da eccepire.

“D’accordo, L. Imprigionami. Vedrai con i tuoi occhi che sono innocente… dopodiché spero che mi darai anche la possibilità di dimostrarti che posso esserti utile nelle indagini.”

“Immaginavo avresti risposto così.” La voce tranquilla del detective urtò ulteriormente i nervi tesi della ragazza. “Ho già predisposto tutto.”

I Controllori non provano rabbia, né alcuna emozione violenta, pensò Sahira mentre Mogi le ammanettava i polsi. Quando prenderò a schiaffi questo ragazzino, dovrò trovare una scusa più che convincente da dare ad Elburn.

 



Angolo autrice
Dopo una lunga assenza, eccomi di nuovo! Con questo capitolo inizia il collegamento vero e proprio col quartier generale e ho inserito una parte della caterva di spiegazioni che avevo omesso precedentemente per poter dare più spazio all'azione.
Come sempre, grazie a chiunque sia arrivato fin qui <3
A presto!
Elrais
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Death Note / Vai alla pagina dell'autore: Elrais