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Autore: Some kind of sociopath    03/02/2016    3 recensioni
Ennis nemmeno ci pensa, ma sono passati cinquant'anni precisi dalla prima volta che ha visto Jack e sono cambiate un sacco di cose. Come le macchine, il gusto del caffè, i prezzi delle case e la gente che vedi in giro, sono cambiati i Presidenti, le leggi e i programmi in tivù, eppure Jack Twist è sempre lo stesso, sempre dentro la sua testa.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, Ennis Del Mar, Jack Twist
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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• Autore: sul forum Somekindofsociopath; su EFP Some kind of sociopath; 
• Titolo: Invecchiare e fiorire; 
• Fandom: Brokeback Mountain; 
• Personaggi e Pairing: Ennis Del Mar, Jack Twist (pairing: Ennis/Jack); 
• Pacchetto e Prompt: Pacchetto 1. “Di primi appuntamenti e tormente di neve” (Mirrors – Justin Timberlake; Pub; Pizza; Scatola) 
• Genere: Romantico, Angst, Drammatico; 
• Rating: Verde; 
• Capitoli: 1 – One shot 
• Parole: 5285 
• Eventuali Note: Avete letto Gente del Wyoming, vero? Sì? Grandi. No? Vabbè, non fa niente. Ve lo consiglio vivamente, perché merita (e perché alcune frasi e certi dettagli della OS nel film non ci sono, ma è un’altra storia, eheh), quindi vi lascio qui un link poraccio per leggerlo sull’internet.
Ah, e poi (anche se credo si capisca) chiarisco solo che quando si trovano queste virgolette «» si tratta di dialoghi passati/tratti dal passato, mentre queste “” identificano i dialoghi del presente.
I versi della canzone in corsivo sono tratti da Mirrors di Justin Timberlake, richiesta tra i prompt del contest.
 
Invecchiare e fiorire
 
Era un cliente fisso da molti anni, ormai, e nessuno si chiedeva più che cosa diamine ci facesse un uomo di quell'età, tutto solo e con una bottiglia di birra sempre in mano, in uno dei più vecchi pub di Riverton. Veniva lì quasi tutti i giorni da quando aveva smesso di lavorare. Sedeva al tavolo vicino al bancone, quello da cui potevi godere di una discreta vista sul vecchio palcoscenico – nonostante quasi nessuno lo usasse più – e dove le note diffuse dal juke-box arrivavano ovattate, appena percepibili. 
Una volta John, l'ultimo proprietario, gli aveva chiesto perché sedesse sempre a quel tavolo lì, perché gli piacesse così tanto. Ennis aveva stretto le spalle. Lo faceva spesso, un gesto pieno di cose che non sapeva come dire o non voleva che gli altri sapessero. Si era stretto in quelle spalle grosse, da lavoratore, e aveva borbottato che da lì niente sembrava cambiato. 
Nessuno aveva capito che diavolo avesse voluto dire, e anche questo era tipico del vecchio Ennis. Non gli piaceva parlare. Per questo lo lasciavano lì, in pace, gli portavano la sua birra e prendevano diligentemente i suoi soldi, spesso banconote stropicciate e sporche di terra. 
Ennis Del Mar ci era invecchiato, con quel pub. Era sempre stato lì, sin da quando era ragazzo, e ci tornava ogni volta che non era in giro a marchiare capi di bestiame o far partorire giovenche. Era passato attraverso crisi economiche, nuove gestioni (più terrificanti di tutto il resto) e almeno un paio di guerre, e ne era uscito indenne, sempre lì, con le sue pareti di legno e il suo juke-box e il palcoscenico che nessuno usava.
Quando varcò la soglia del pub (solita ora, le sei e mezza, come era tipico dei vecchi), Ennis si scrollò la neve dal cappello e dalle spalle. "'Sera." Fece un mezzo cenno di saluto alla ragazza al bancone e andò al suo tavolo, giacca e cappello stretti sottobraccio. Lasciava impronte umide e fangose sulle assi di legno dietro di sé e teneva gli occhi bassi, l'imbarazzo che li tirava giù come la gravità.
"La butta lì fuori, eh, Ennis?" Il vecchio John ci provava sempre a farlo parlare, nel bene o nel male. 
"Mi sa che sta arrivando una tempesta."
Quello allargò le braccia, perché che altro si poteva fare? "Il clima del Wyoming, Ennis. Ci si deve adattare."
Ennis si strinse nelle spalle per la prima volta in quella serata. Lasciò cadere la giacca sullo schienale della sedia, il cappello sul tavolo, e si sedette, arricciando le dita negli stivali zuppi di neve. Avevano un cazzo di buco nella suola grosso quanto il suo pollice, ma tenevano bene. Cuciture così non ne facevano più.  
C'era la tivù accesa nel pub, ed era una delle poche cose a essere cambiate in cinquant'anni. Adesso aveva lo schermo piatto, era sottile, e le cose eran più nitide viste lì dentro, più belle. Parlavano della tormenta, di come veniva su dal mare e si muoveva attraverso il deserto, a nord, più a nord, verso di loro. Possibile minaccia anche per il Canada, diceva il titolone. 
Se ne sarebbe fatto una ragione.
La ragazza gli piazzò la birra di fronte ed Ennis accennò un ringraziamento muto prima di stapparla e buttarne giù due sorsi. Alma Jr. gli diceva di non farlo, che non gli faceva bene, però lui era ancora vivo e allora perché smettere?
Una tempesta. Pareva strano. L'ultima nevicata tosta che aveva visto era stata quella al funerale di Alma, manco a farlo apposta. Tutti che piangevano e questa neve che non smetteva di cadere. Ennis riusciva solo a tirare su col naso e guardarsi i piedi, Alma Jr. stretta al fianco e l'altra mano chiusa a pugno in tasca. 
Se n'era andata anche lei, e l'aveva fatto in grande stile. Aveva scomodato la neve, Alma. Se lo ricordava bene, quel funerale. Aveva buttato un pugno di fango e neve nella fossa, si era fatto il segno della croce – veloce, veloce, così nessuno avrebbe capito che non se lo ricordava più – ed era sparito. Aveva preso il pick-up e poi era scappato, lo stomaco in subbuglio e il petto scosso da continui singhiozzi senza lacrime che non riusciva proprio a fermare. Tutta la colpa di anni tornata indietro per incastrarsi tra le costole, le budella e i polmoni. 
E nevicava. Come oggi. 
Gli scappò un sorriso, il buco del canino che pareva una fossa in quel buio. Si era svegliato felice, quel giorno. Aveva sognato Jack. E poi aveva nevicato, e gli era sembrato quasi un segno.
Anche a Brokeback aveva nevicato, quell'estate. Jack era sempre stato un mostro con le previsioni del tempo: alzava gli occhi, inspirava un po' – veloce e a fondo, come i lupi – e sapeva dirti che tempo avrebbe fatto. Ci azzeccava spesso. Ci aveva azzeccato anche quella volta. 
«Tra un po' nevica.»
Lui stava mettendo a posto la coperta e sistemando le ultime cose prima di salire dalle pecore, e d'istinto un'occhiata al cielo la gettò pure lui. Dovevano essere le otto del mattino, ma poteva benissimo essere mezzogiorno o le quattro o l'ora di cena, tanto il sole era soffocato dietro una coltre di nuvoloni grigi, bianchi e quasi neri. Però era vero. Gridavano tempesta.
«Non dovresti andare lassù» gli aveva detto. 
«Aguirre mi ammazza se perdiamo un'altra pecora.»
Non è che non volesse rimanere con lui, ma era la verità. Se c'era un modo per evitare l'ennesima lavata di capo di quello stronzo di Aguirre, l'avrebbe evitata. «Andiamo, amico.» Jack sorrideva, gli occhi che sembravano quasi grigi sotto quel cielo. «Al massimo ci ammazza tutti e due.»
Ennis prese una boccata d'aria tra i denti sbarrati. Effettivamente Jack non aveva tutti i torti. Insomma, la colpa sarebbe stata di entrambi. E poi il Wyoming era grande. Avrebbe trovato un posto da un'altra parte, affanculo Aguirre, una tempesta di neve poteva far secco sia lui sia il cavallo, altro che le pecore. E poi con quale cuore avrebbe potuto lasciare Jack lì da solo, con una tormenta in arrivo e solo una canadese puzzolente sopra la testa?
Nah, non poteva salire. Ne andava della sua coscienza, rifletté con un mezzo sorriso, e allargò le braccia in un cenno arrendevole.
Lavorare non era mai stato bello come allora. 
 
"Un altro giro?" 
La ragazza del bancone era tornata al suo tavolo, sorriso di circostanze e il vassoio sottobraccio. Nel pub risuonava soffusa una canzone d'amore che beccava spesso in radio, mentre tornava al suo trailer. Parlava di spazi vacanti nel cuore e specchi e un sacco di altre immagini che piacevano un sacco ad Alma Jr. La sua bambina la canticchiava in continuazione. "No" rispose Ennis con un cenno del capo. "Sto bene così."
In realtà per star bene davvero ci sarebbe voluta una sigaretta, come ai vecchi tempi.
Ennis si raddrizzò sulla sedia e poggiò la testa sul pugno chiuso, la bottiglia di birra mezza piena inclinata sulle labbra. 
Alla fine quella volta aveva nevicato sul serio. Ed era pure venuta giù di brutto.
«Te l'avevo detto io.»
«Al diavolo, Jack. Le pecore si disperderanno.»
Cadevano fiocchi grossi come noci, come se il Creatore si stesse divertendo a giocare a palle di neve con loro. «Non penserai mica di salire, vero?» Jack gli aveva puntato quei fanali azzurri in faccia, la voce appena appena tesa. 
Ennis c'aveva pensato. Un attimo solo, ma c'aveva pensato. «No.»
«Felice di vedere che hai ancora del buonsenso, sotto quel cappello.»
Ennis aveva ridacchiato e si era allungato a passargli una mano nei capelli ispidi sulla nuca. Istinto. E poi sembrava così facile dietro le falde sicure della tenda. Jack aveva smesso di guardare fuori. Finì come al solito. Ennis che lottava con i bottoni della camicia di Jack, qualche grugnito, un paio di baci e Jack a quattro zampe in mezzo alla tenda, solo che stavolta era diverso, non era come la prima, era Jack che si girava a guardarlo e rideva e Ennis che non si sentiva nervoso per niente e lo baciava rinunciando a liberarsi della cintura. 
«Ennis.»
Era una delle volte in cui Jack dopo aveva ancora fiato e voglia di parlare. 
«Che c'è?»
«Noi non ce l'abbiamo mai avuto un appuntamento.»
«Eh?» Si era sollevato su un gomito e fissava Jack con tanto d'occhi. Tutto quel casino finiva per renderlo un po' tardo. 
«Dico davvero» aveva ribattuto, infatti era tutto serio, niente sorriso, le sue mani che giocherellavano con quella grande e piena di calli di Ennis. «Un appuntamento.»
«Uh» ridacchiò lui. «Ricordamelo la prossima settimana, così chiedo delle candele a quello stronzo del camioncino.» Aveva tirato Jack a sé e lo aveva baciato. Gli stava tuttora ben saldo in mente il ricordo della sua testa calda sul petto, i capelli bruni umidicci sotto il suo palmo.
E poi Jack aveva riso, e se c'era un suono che più di tutti gli altri gli mancava nel mondo quello era la risata di Jack.
Adesso che ci pensava Jack aveva ragione, loro un appuntamento vero non ce l'avevano mai avuto. Ad Alma l'aveva portata a cena fuori e le aveva regalato dei fiori, avevano visto un film al drive in e l'aveva persino riaccompagnata a casa con un bacio sotto il portico dei suoi. Con Jack avevano scopato in una tenda dopo nemmeno due settimane che si conoscevano, non un cazzo di programma, non una cazzo di atmosfera: niente di niente. 
Un appuntamento. Certo. Magari in un ristorante, con la musica e le tovaglie di stoffa bianca. Loro due.
Impossibile. A quei tempi era diverso, lui era diverso, e non sarebbe neanche riuscito a immaginare una cosa del genere senza farsi venire i crampi allo stomaco gonfio di terrore. Le cose non si cambiavano, e se non la puoi risolvere devi prenderla com'è.
Però adesso – qui, con la giusta dose di birra in corpo, tutti gli anni in più sul groppone e questa canzone d'amore soffusa per il pub, adesso era un'altra storia, davvero.
E certi giorni erano più buoni di altri.
Allora se lo immaginava, il suo primo appuntamento con Jack, così come sarebbe stato in anni diversi, forse migliori. 
Niente di complicato, ché a Jack le cose complicate non ci erano mai piaciute. Poteva portarlo in pizzeria. Non a Signal, però, Signal una pizzeria nemmeno ce l'aveva. A Riverton. O magari fino a Lander. Avrebbero preso il pick-up di Jack e sarebbero arrivati a Lander in un niente, ascoltando vecchia musica e parlando di quanto facesse schifo lavorare così tanto quando si era così giovani. 
Ennis si fece un altro calcolo in mente: venticinque anni. Sarebbe bastato nascere un quarto di secolo dopo per avere un sacco di problemi in meno. Vent'anni dopo avrebbe potuto portare Jack a mangiare fuori e nessuno avrebbe detto niente. Magari non avrebbe potuto baciarlo – c'era l'AIDS vent'anni dopo, il cazzo di accaivvù che se stavi troppo vicino a un uomo ti piazzava in quarantena a vita. 'Fanculo, eran dettagli. Vent'anni dopo magari non ci sarebbe stata nemmeno Alma, e lui e Jack si sarebbero incontrati in un altro modo, un modo che richiedesse un vero appuntamento.
Niente scopate ad alta quota. Solo gli occhi troppo grandi di Jack che scattavano da una parte all'altra del menù per scegliere la pizza.
Buttò giù le ultime gocce di birra. In volto gli si aprì un sorriso.
Alla fine Jack si sarebbe grattato la testa, avrebbe lanciato un'occhiata al portafoglio e avrebbe scelto una pizza con qualcosa di strano sopra. Ennis si conosceva. L'avrebbe guardato scettico, sopracciglia aggrottate, e poi avrebbe sorriso perché Jack sorrideva. 
L'avrebbe guardato mentre mangiava. Solo ogni tanto. Avrebbero assaggiato l'uno la pizza dell'altro bevendo birra e parlando di tutto ciò che andava bene. Un quarto di secolo dopo. Era difficile pensare a cosa sarebbe potuto andar male un quarto di secolo dopo, cazzo. 
Jack gli avrebbe accarezzato la faccia. Riusciva quasi a sentirlo. Sarebbe riuscito a essere discreto anche negli anni Ottanta, ignorando la continua vergogna e il rossore sulle guance di Ennis.
Bastava solo che non ci fosse Alma. E che il Wyoming non fosse quello che era. Andare via, come aveva sempre voluto Jack.
Era tardi. A Ennis restavano una bottiglia di birra vuota e un gran freddo nelle ossa, specie quando andava a dormire e s'infilava in un letto che continuava a sembrare troppo grande. 
La canzone si udiva appena in quella zona del pub, stava quasi finendo. Sopra quelle quattro assi la musica sembrava rallentare, le parole decise e chiare nelle vecchie orecchie di Ennis.
 
If I could, I
Would look at us all the time.
 
Ennis sollevò la mano per chiedere un'altra birra. Lo capirono senza che dicesse una parola, per fortuna. Con quel cazzo di groppo bloccato in gola non sarebbe riuscito a gracchiare manco una lettera. 
 
Era sempre stato solo, Ennis Del Mar, fin da quando aveva ricevuto una certa cartolina un sacco di anni prima. 
Gli piaceva, in fondo. Era selvatico, come diceva Alma. Non era mica stato difficile imparare a badare a se stesso, lo faceva da quando era ragazzino e i suoi avevano mancato quella dannata curva sulla superstrada. 
Perciò viveva da solo, nel suo trailer piantato in mezzo ad altri trailer tutti uguali. Un giorno o l'altro l'avrebbero mandato via, occhi compassionevoli su quella sua pelle raggrinzita dal tempo e dal sole. Gli avrebbero detto di trovarsi una casa di riposo, un bel posto in cui crepare. 
Magari con vista su Brokeback, avrebbe pensato lui. 
Ma fino ad allora, il trailer era perfetto. 
Viveva da solo, usciva da solo, mangiava da solo. Tranne quando Alma Jr. o Jenny lo invitavano a pranzo. Allora ci andava, e raccontava di questa o quella vacca che aveva partorito, di come continuava a essere disarcionato dagli stalloni più giovani e di quanto diavolo fosse difficile tenere in ordine. Come ci riuscite?, chiedeva. E nella sua testa era quasi naturale chiedersi come ci riuscisse Alma. Solo che poi la domanda cadeva, ché tenerla lì faceva troppo male, gli bruciavano gli occhi e non riusciva più a parlare. 
Il pub era il suo unico svago. Il pub e il lavoro.
Finì la seconda bottiglia in un lampo, mentre suonavano le ultime note di quella stessa canzone, accennò alla porta d'ingresso con il capello e sgusciò fuori dal pub, le falde della giacca come unico scudo contro il freddo del Wyoming. 
Si appoggiò al suo pick-up. Aveva più di dieci anni ormai, ma girava ancora abbastanza bene. Tirò fuori un pacco di sigarette e se ne accese una tra le labbra, fissando il pub attraverso il fumo. Iniziavano a scendere i primi fiocchi di neve, volteggiavano grossi e lenti nel cielo. 
«Adesso diventa una tormenta. Dalle tempo e vedi come comincia a venir giù.»
Si passò la mano libera sulla fronte, stropicciò gli occhi. Sognava Jack da così tanto tempo da sentirlo anche quando non parlava e vederlo dove non era. Però non ci riusciva a cancellarlo. Ora Jack non c'era più ma c'era stato, c'era stato, ed era ovunque in lui e non poteva rinnegarlo, non ne aveva la forza, è così con quelli che sogni. 
"Al diavolo" sussurrò tra sé. 
Tanto era inutile discutere con Jack. Sul tempo la sapeva sempre giusta lui.
Jack era stato in Messico, dopotutto. All'inizio si era infuriato, cazzo, aveva passato notti intere a mordere le lenzuola e soffocare lacrime nei cuscini pensando a qualcun altro che stringeva Jack Twist, altre braccia attorno al suo petto e altre dita nei suoi capelli e altre gambe intrecciate alle sue. Non ci credeva. Non voleva crederci, sarebbe morto se avesse iniziato a crederci. 
Poi Jack se n'era andato, la nostalgia era aumentata e la rabbia si fece sentire meno. Fu lenta, molto più lenta di com'era venuta, ma in trent'anni era arrivata a diventare un pizzicore, a malapena percettibile sotto la pelle. Adesso non la sentiva quasi più. 
«Com'era?»
«Com'era cosa?»
Aveva respirato forte prima di chiederglielo, quanta più aria possibile serrata nel petto per dire una sola parola. 
«Il Messico.»
Lo Stato dall'altra parte di una riga, dove tutto era diverso. Jack aveva sbuffato.
«Caldo.» Giù un sorso di whisky. «Cristo, se era caldo. Quasi rimpiangevo la neve.»
Ennis fece sì con la testa, pure se non c'era niente a cui annuire. «Hai imparato lo spagnolo?»
«Qualcosa.» Jack si voltò verso di lui e gli sorrise appena. Nessuno dei due voleva parlare del Messico, nessuno ne aveva voglia, nessuno voleva finisse come quel pomeriggio, con Ennis in lacrime tra le braccia di Jack, a singhiozzare che era lui ad averlo ridotto così, lui, quel cazzone di Jack Twist coi suoi occhi troppo grandi e l'accento di lassù che non se ne andava mai. «Vuoi sentire?» gli chiese. Ennis aveva agitato di nuovo la testa, su e poi giù come Alma Jr. quando voleva farsi raccontare una storia dal suo papà. 
«Come si dice Ennis?» 
«Non lo so. Mi sa che si dice sempre Ennis. Non so nemmeno come dicevano Jack.» Gli aveva allungato il whisky, l'alcool bruciava nella gola di Ennis e il discorso non faceva più così male. «Quando sono arrivato mi hanno detto "Como te llamas?" e io lì per lì non c'ho capito niente. L'unica parola che conoscevo prima di passare il confine era Hola.»
«Che vuol dire?»
«Ciao.»
«Non quello, l'altra cosa.»
«Come ti chiami. Ti rendi conto? Vado in Messico e non ho nemmeno idea di come ti chiedano il tuo fottuto nome.»
Ennis aveva aperto le labbra in un sogghigno, una smorfia che sapeva di whisky e non gli apparteneva per niente. «Dovevi essere proprio disperato, eh?»
«Già.» Dalla bocca di Jack era uscito un altro sbuffo, Ennis si era girato a guardarlo e sembrava disperato anche in quel momento. Jack guardava l'orizzonte, a ovest, dove il cielo era ancora chiaro e le stelle non si vedevano. Ennis si era chiesto per l'ennesima volta, in quella sua testa annebbiata dal malto e dalla stanchezza, perché Jack non potesse farsi andar bene le cose per com'erano, perché non gli bastasse fottere nel culo sua moglie, perché non gli bastasse vederlo in quei periodi, perché preferisse rischiare la vita ogni fottuto giorno invece di accontentarsi, Cristo di Dio.
Non aveva detto niente e aveva afferrato la mano di Jack, poggiato la testa sulla sua spalla, aveva continuato a parlare di stronzate perché non era abbastanza forte per fare nient'altro. 
«Come si dice pecora
«Oveja.»
«E cavallo
A volte Jack ci doveva pensare un po', ma lo batteva anche nella memoria. «Caballo, credo. Sì.»
«Fattoria?» 
Jack aveva ridacchiato. «Mica so tutte le parole del mondo, Ennis Del Mar.» 
Allora lui gli aveva chiesto «Quali sai?», con la faccia appena girata dalla sua parte, la guancia che sfregava sul collo caldo di Jack. Quando gli stava così vicino sorrideva sempre.  
Jack aveva sollevato l'altra mano, che adesso era gelida e intrecciata ai capelli morbidi e un po' spessi sulla nuca di Ennis che pulsava sempre, era sempre calda. «Te amo» aveva sussurrato.
«Che vuol dire?»
«Vieni qui che te lo spiego.»
E lo aveva stretto a sé, sterno contro spalla e cuori che battevano troppo veloce, lo aveva baciato forte sulla bocca e gli aveva sfilato la camicia rapido e violento, coi bottoni che saltavano ovunque e nessuno li cercava più. Si erano tolti i vestiti, avevano fatto l'amore. 
Ora le budella gli si contorcevano nella solita morsa all'idea di Jack morto, Jack con la testa fracassata da un cacciacopertoni, il bel viso di Jack strappato via solo perché agli altri non andava bene come viveva, con chi dormiva, chi si scopava.
Si era acceso un’altra sigaretta, il fumo gli pizzicava gli occhi insieme alle lacrime. Aspirò un lungo tiro con le dita tremanti (la vecchiaia non c'entrava niente), schiacciò il mozzicone sotto il tacco e si strinse un po' di più nella giacca pesante, ché faceva troppo freddo per restare lì fuori da soli. 
C'era uno strato di neve sulla terra, scricchiolava sotto il suo peso a ogni passo che muoveva. Era proprio una tormenta, come diceva la tivù. Se ne doveva andare, e in fretta, o sarebbe rimasto bloccato lì con tutto il pick-up, questo lo sapeva anche senza Jack.  
"Ennis. Due birre, giusto?" 
Fece sì con la testa, aveva lasciato una scia di impronte umide sulle assi alle sue spalle ma non gliene importava. Voleva andare a casa, voleva soltanto andare a casa. "Sei e cinquanta." Passò al barista una banconota da dieci tutta stropicciata e "tieni il resto" mugugnò, mani in tasca e un cenno del cappello, e un attimo dopo era fuori, di nuovo sulla neve secca, verso il pick-up, casa e Jack. 
Diede gas al vecchio motore, scivolò via dal parcheggio. Sentiva gli occhi bagnati sotto le palpebre.
 
Anche quel mese il sollecito era infilato sotto la porta di lamiera del trailer, niente di insolito. Ennis cacciò uno sbuffo e raccolse il resto della posta, una cartolina di Alma Jr., la rivista pubblicitaria di un supermercato, il volantino di una pizzeria, poggiò tutto sul ripiano e si levò di dosso giacca e camicia.
Si lasciò cadere sulla vecchia poltrona che le sue figlie gli avevano regalato per il suo sessantesimo compleanno, ormai era sfondata, forse anche piena di tarme, ma a lui non cambiava niente, finché non le vedeva e non poteva ucciderle con le sue mani non erano un problema. Avrebbe dovuto pagare l'affitto entro la settimana dopo, fare la spesa, e poi era quasi il compleanno di Jenny e lui un regalo glielo voleva fare. 
Devi andartene da lì. Jenny glielo diceva sempre, però lui ci stava bene, stava così bene nel suo trailer. 
Per adesso, mugugnava la sua figlia maggiore, e Ennis le scompigliava i capelli con il palmo della mano, sorrideva, le dava un bacio, sarebbe stato bene – diceva –, stava bene, non c'erano problemi. Però ogni tanto ci pensava. Prima o poi qualcosa l'avrebbe costretto ad andare via da lì: quel tempo di merda, per esempio, che il trailer e il suo piatto tetto in lamiera non erano assolutamente in grado di sopportare, o il fatto che in estate il sole ci battesse contro tutto il giorno e lo trasformasse in una trappola mortale. O il suo cazzo d'affittuario, simpatico come un sasso nella scarpa, o il bisogno di seguire mucche e pastore in un altro campo, su altri monti. 
C'erano quasi tremila dollari nel barattolone di pelati senza etichetta poggiato sulla credenza, tutti soldi che aveva messo da parte in anni e anni e gli servivano per l'affitto, le ragazze. Tremila dollari. Erano pochi anche nel Wyoming. Quando i suoi erano morti nel barattolo di dollari ce n'erano ventiquattro e c'erano dovuti andare avanti in tre.
Ennis prese le sigarette dalla tasca dei pantaloni e se ne accese una, guardava la neve scivolare giù lenta e turbinare nel vento appena fuori dal trailer. 
Non voleva andarsene da lì, mai; ma se proprio fosse stato costretto sapeva già cos'avrebbe preso, cos'avrebbe portato con sé. I suoi quattro vestiti in croce, prima di tutto, e gli stivali col buco nella suola. Il barattolo con la grana, perché senza non andava da nessuna parte. Un mazzo di carte, la rubrica con tutti gli indirizzi e i numeri di telefono che la sua testa non riusciva più a ricordare, gli album con le vecchie foto delle ragazze. E poi la scatola. 
Fece una smorfia che per metà somigliava a un sorriso, la cenere precipitò dalla punta della sigaretta sulla poltrona, proprio in mezzo alle sue gambe. La cacciò via con una manata, non era capace a smettere di sorridere. 
La scatola. 
Ci aveva cambiato posto quando aveva trovato il primo buco nei vestiti, dopo una riflessione accurata e un paio di preghiere tra i denti. Finché erano i suoi maglioni a essere pieni di tarme, finché erano suoi i vestiti fatti a pezzi e suoi i pantaloni ridotti a un colabrodo non gliene fregava niente, le tarme non gli stavano antipatiche, aveva vissuto con esseri peggiori (tipo le pecore o quei coyote delle montagne o le sue figlie da piccole, che strillavano come aquile e non stavano zitte neanche quando Alma si alzava ad allattarle, figurarsi quando le pigliava lui, con le mani ruvide e piene di calli. Gli veniva da chiedersi se faceva male anche quando toccava Jack, se lui semplicemente si lamentava di meno o se gli piaceva proprio la sensazione. Si girava dall'altra parte, di solito, lasciava fare ad Alma, troppo stanco, troppo impreparato).
Però c'era un problema, con quelle cazzo di tarme. Stavano nello stesso armadio della cartolina, della camicia di Jack infilata dentro la sua.
«Merda.»
Era un gran problema. Era il peggiore che gli fosse mai capitato, perché le tarme potevano essere ovunque. Potevano già aver iniziato a mangiare la stoffa, a divorarla fibra per fibra fino a lasciare buchi così grandi che ci passavano le dita. Potevano aver già deposto le loro minuscole uova nelle pieghe delle maniche, sotto i colletti. E lui come diavolo faceva a saperlo?
«Merda.»
Così aveva preso una vecchia scatola da scarpe e strappato la camicia dal suo chiodo dentro l'armadio e, pronunciando a mezza voce quel poco che si ricordava del Padre Nostro, le aveva piegate tutte e due insieme, sempre l'una dentro l'altra, unite come erano sempre state da quella benedetta estate a Brokeback. Non aveva nemmeno pensato a separarle, non lo concepiva proprio. 
Sotto le camicie aveva messo le cartoline. Erano passati più di trent'anni, ma la calligrafia scomposta di Jack era ancora bene impressa nel cartoncino, pure se la foto sul davanti era un po' schiarita.
E poi aveva chiuso la scatola – perché la nostalgia lo stava ammazzando e non voleva piangere, non aveva intenzione di piangere sulla cartolina e far stingere tutto –, l'aveva infilata sotto il letto, adesso Jack era un po' più vicino.
Non la toccava da anni, la scatola, ma col cavolo che non se la portava via.
Le sue preghiere dovevano aver funzionato, perché nonostante il rischio la camicia di Jack non aveva neanche un buco. Nemmeno la sua. Gli piaceva pensare che fosse stata l'aria di Brokeback a renderle così.
Però se la sarebbe portata, sì. Avrebbe dato un posto onorevole a quella scatola. Avrebbe appeso di nuovo la camicia. In un armadio senza tarme, magari. Nei film che ogni tanto facevano sul suo schifoso televisore (tubo catodico e manopola, lo stesso da una vita) si appendevano ai muri le maglie dei giocatori di football, come trofei. Poteva farlo anche lui, in un posto decente e con le pareti più spesse di un dannato foglio di carta. 
Per ora a lui stava bene così.
La sigaretta era finita. Si alzò a prendere una lattina di birra dal frigo, camminava con le gambe larghe, indolenzite per esser rimasto seduto così a lungo, e non poteva non ricordarsi Jack, il fottuto Jack Twist che a quel modo ci camminava sempre, colpa dei rodei e di quella sua aria un po' sbruffona, di chi poteva fare tutto.
Attraversò il trailer nell'altro senso, da parte a parte, andò a prendere la scatola impolverata sotto il letto. La stringeva al fianco, come faceva con le bambine e con gli agnelli piccoli abbastanza da tenerli così, e tornò seduto sulla poltrona, adesso la scatola ce l'aveva in grembo, un vecchio gatto. 
JACK, aveva scritto in grosso sul coperchio, col pennarello indelebile. Jack. Non aveva le sue ceneri, ma era tutto ciò che di lui gli restava, e andava bene così perché era roba sua, roba che era passata per le dita di Jack Twist e che portava il suo odore. Certo, c'era rimasto malissimo quando i genitori di Jack non gli avevano permesso di spargere a Brokeback quel che restava di lui, ma questo era allora, quando le ferite erano ancora tutte aperte e sanguinavano, sembravano non voler smettere mai. 
Poi il tempo era passato. Era andato a vedere la tomba di Jack, il loculo piccolo e imboscato in cui i suoi genitori l'avevano rinchiuso – un posto così poco adatto a lui, a quel ragazzo sempre allegro e con gli occhi che brillavano, che ragliava nell'armonica e quasi si divertiva a portare su e giù quelle pecore tutta l'estate, che solo guardandolo sentiva lo stomaco serrarsi in una morsa da tenaglia. Come quando l'aveva lasciato andare, dopo quell'estate. 
E se n'era andato, perché mica poteva vomitare nel bel mezzo del cimitero. Aveva sfiorato il suo nome ed era tornato nel pick-up, stava facendo del suo meglio per non piangere. 
Però ci era tornato, e ogni volta andava un po' meglio, eppure continuava a pensare che non ci fosse urna migliore di quella fatta da lui per il fottuto Jack Twist, una scatola da scarpe con dentro tutto ciò che aveva amato in vita. Ennis avrebbe voluto anche l'armonica, ma non aveva idea di come trovarla e di richiamare a casa di Jack proprio non gli andava. 
Accese il televisore con un calcetto, lo ascoltò ronzare con gli occhi mezzi chiusi e la scatola stretta alla pancia. Era ancora sul canale guardato da Alma Jr. l'ultima volta che era venuta, dove davano video musicali tutto il giorno. Non sopportava più i telegiornali, diceva. Le mettevano tristezza, ed Ennis, che leggeva un giornale dal barbiere a ogni morte di Papa, non poteva che darle ragione.
Ennis sospirò. Aveva riconosciuto la musica, la stessa che risuonava dolce e lenta dentro il pub.
 
...you just gotta be strong,
'cause I don't wanna lose you now
I'm lookin' right at the other half of me
The vacancy that sat in my heart
is a space that now you hold,
show me how to fight for now...
 
Ennis del Mar chiuse gli occhi e il suo corpo affondò un po' nella poltrona; chinò indietro la testa, accarezzava distrattamente la scatola, come faceva coi gatti che venivano a implorare un piattino di latte fuori dalla casa di Riverton. Nel dormiveglia, sul suo volto segnato prese forma un sorriso triste: aveva passato gli ultimi mesi del suo matrimonio più con quei gatti che con le sue figlie. 
Ora era solo. Era solo da un po'. 
Il televisore gracchiò, per qualche istante la musica andò e venne dalle vecchie casse. "La tempesta... krrr... Si raccomanda a tutti di rimanere in casa e limitar-krrr-ai soli casi di emergenza." Il notiziario si fece spazio a gomitate in mezzo alla musica; Ennis cacciò un'occhiata pigra alle finestrelle del trailer, ora la neve veniva giù più in fretta, ma non gliene importava, era al sicuro. Era con Jack. 
La canzone riprese come se niente fosse. Ennis del Mar si lasciò scivolare nel sonno, certo che avrebbe sognato Jack e che, per qualche motivo, nei suoi sogni questa volta non ci sarebbero stati cacciacopertoni.
 
È la notte prima della tempesta, prima che Aguirre salga la montagna per annunciare a Jack che suo zio sta morendo di polmonite da qualche parte miglia e miglia più in basso. 
Jack si rigira nel sacco a pelo da ore, non riesce a chiudere occhio. Non sa perché. È sempre stato un mago anche col sesto senso, ma a volte lo ignora, è più forte di lui. 
Ennis è ancora mezzo nudo e si muove sotto la coperta, Jack sente le sue gambe forti contro le proprie, il suo grande braccio si getta attraverso il suo petto come una fionda. 
«Piccolo mio» dice Ennis nel sonno, voce impastata e lenta e mani calde, sfrega il viso sulla spalla nuda di Jack. 
Per un attimo tutto il cazzo di casino che li circonda si restringe, si chiude su se stesso come un istrice spaventato dai fari di un pick-up, e per quell'unico attimo a Jack chiudere gli occhi sembra più facile.
  
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