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Autore: Kuruccha    04/02/2016    1 recensioni
Comincia così, con Julia che lo osserva e sostiene il suo sguardo.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Spike Spiegel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Showdown
 

 
Comincia così, con le cosce di Julia fasciate dai pantaloni aderenti premute contro le gambe di Vicious - e con le dita di lui che le stringono possessivamente, come volessero oltrepassare la stoffa e arrivare alla pelle, alla carne, e affondare oltre, ancora e ancora.
Comincia con lo sguardo di Spike che percorre la curva dei fianchi di Julia e risale seguendo i tendini tesi del collo scoperto; con il profilo del suo mento sottile posato sulla spalla di Vicious, con le labbra rosse così in contrasto col suo incarnato piegate in un sorriso leggero.
Il modo in cui il biondo dei suoi capelli luccica sotto la luce fioca, chiaro contro la stoffa nera della giacca di Vicious, lo distrae per un secondo di troppo dalla partita di poker e un Ehi, amico, lo fa riprecipitare nella realtà - le carte strette in una mano e le chips tra le dita dell’altra, il ghigno falso che gli sale alla bocca in un bluff che non ha ragione di esistere.
Comincia così, con Julia che lo osserva e sostiene il suo sguardo.
 
Non ha bisogno di chiedersi cosa ci trovi in lei: Julia è ciò che Vicious desidera, e lui e Spike hanno sempre avuto la faccia puntata nella stessa direzione e la pistola alla mano contro gli stessi avversari. Non è così stupido, però, da non capire che quella donna non è il fine comune a cui si può tendere in due.
«Lascio» dice, e fa per riconsegnare le carte al mazziere. Un mugugno accoglie la sua decisione, ma Spike non ascolta. Dal taschino della giacca recupera lo zippo e le sigarette, ma quando apre il pacchetto lo scopre vuoto. Ha bisogno di fumare e non ha con sé i soldi per comprarne un altro; tutto ciò che aveva l’ha puntato. Osserva le carte girate ancora posate sul tavolo; il mazziere non le ha recuperate e il giocatore successivo non ha ancora fatto la propria mossa.
«Ho cambiato idea» continua quindi, riprendendo la mano da dove l’aveva lasciata. «Rilancio.»
Gli altri giocatori protestano, ma il mazziere approva con un cenno della testa, ed è lui a dettar legge.
Spike non vince, quel giorno.
 
Affonda le dita tra i capelli di Julia e la bacia tirandosela addosso, e poco gli importa del pulsare sordo delle ferite sotto le bende, dei lembi irregolari di pelle che avverte distintamente toccarsi ad ogni torsione, del nervo del collo che grida per ogni suo movimento; la bocca di Julia è bollente, la lingua calda quando tocca la sua. Le morde le labbra e nemmeno per un secondo pensa a Vicious, neppure uno, almeno fino a quando la sua mano corre dal fianco alla sua coscia e Spike ripensa a quel giorno nel pub, poco più di una settimana prima, quando lei era seduta in grembo a Vicious e lui li aveva guardati, e l’aveva desiderata allora almeno quanto la desidera in quel preciso momento - lui e Vicious non sono amici, è vero, ma sono compagni.
«No» le dice allora. La sue mani ora sono aperte, sollevate a qualche centimetro di distanza dal suo corpo. Le ferite pulsano ancora più distintamente. «Vicious» dice ancora, e sa che lei capirà.
Julia lo osserva e sostiene il suo sguardo come aveva fatto anche quel giorno - senza lo stesso sorriso, però. Non dice nulla. Si alza, recupera il catino nel quale galleggia una benda intrisa di sangue e va verso la cucina - o il salotto, o il bagno, Spike non ha idea di cosa ci sia oltre la porta di quella stanza.
Anche le labbra pulsano quasi quanto la ferita.
Ha bisogno di una sigaretta.
 
Spike passa il giro, quella mano come le successive; nessuno ha puntato nulla, quindi il suo comportamento rispetta le regole del gioco e non offre nulla di cui poter ridire. È per questo che con Vicious non ha rimorsi; non esistono pentimenti, per loro, e il fatto stesso d’essersi fermato è quanto basta a Spike per autogiustificarsi.
Li osserva ancora, li spia oltre la spalla di uno degli uomini del sindacato; guarda il profilo delle gambe accavallate di Julia in braccio a Vicious, la fronte posata contro il suo collo, i capelli che s’intravedono appena. I loro occhi non si incrociano; da lì non può vederla in viso - non la cerca, non deve.
La partita dura poco.
 
Un brivido lo percorre da capo a piedi quando le dita di Julia gli si allacciano alla  nuca e le sue unghie gli sfiorano l’attaccatura dei capelli; la carne a cui si avvinghia è calda sotto le sue mani, bollente sotto la sua bocca. Le blocca le braccia sopra la testa, ma è Julia ad intrappolare lui stringendolo tra le cosce, e Spike non oppone resistenza. Osserva il suo sorriso compiaciuto nel guardarlo arrendersi e ragiona su come non l’abbia mai visto prima, mai, nemmeno una volta, da quando Julia è diventata roba di Vicious. Non è così stupido da credere di poterle dare la felicità o menate del genere; si stanno solo divertendo, sì, si ripete, affondando di nuovo in lei e osservandola mordersi il labbro per trattenere un gemito.
Finisce per sorridere anche lui.
 
Julia punta tutto sul tavolo e Spike non può passare la mano, non più, così chiama il gioco e punta altrettanto; procede a carte coperte e di nuovo bluffa, non può fare altro. Combatte spalla a spalla con Vicious, nonostante tutto, e la sua facciata regge fino a quando non li vede discutere, una sera al pub; la sua sicurezza vacilla mentre la rabbia gli corre alle mani ed è costretto a flettere le dita per rilassare i pugni. Ma Julia non demorde - non si arrende, mai, non con Vicious - e il loro litigio scema appena lei lascia correre.
Si siede al bancone; i loro occhi s’incrociano solo quando Vicious va via - e anche se la sua bocca è immobile Spike le legge nello sguardo la malizia di quei sorrisi contagiosi, e già sa che è in trappola, schiavo della sua tecnica.
Al contrario di lei, Spike non è mai stato bravo a giocare.
 
«Andiamo via di qui» le dice una notte, quando è già nuda sopra di lui. Le afferra i polsi senza stringerli. Oltre il suo profilo controluce, sul davanzale della finestra, vede già disposta nel vaso l’unica rosa che le ha comprato.
Le mani di Spike risalgono percorrendole le braccia e la sua carne è l’unica cosa concreta capace di ancorarlo ancora a terra - un sogno, si dice, è solo un sogno. Lo ripete anche a voce alta, guardandola negli occhi.
Julia non risponde; di nuovo gli offre quel sorriso affettato che Spike non è mai riuscito ad interpretare. Le sue mani gli percorrono la pancia, salendo al torace per poi fermarsi sulle sue spalle; si china per baciarlo.
«Credevo non l’avresti mai detto» gli sussurra a fior di labbra, e il suo sorriso cambia, e si fa più dolce.
 
Pianificano ogni cosa già quella sera stessa; Spike viene preso da una foga inspiegabile, e i pensieri che si agitano nella testa e si allineano fin da subito in una sequenza perfetta. Una morte inscenata, la libertà dal sindacato, la fuga, Julia, e niente Vicious. Lui e Julia e nessun altro, e non solo in segreto, non solo in sogno.
Lei lo guarda, lo ascolta; lo bacia quando il suo pensiero rallenta, il seno nudo premuto contro il suo petto. Non dà giudizi, ma offre buoni consigli. Le sue labbra si tendono all’ingiù, ma quella sera non gli sembra importante.
Quando il piano è pronto, Spike pesca cinque carte e ci punta sopra tutto il suo destino.
 
Lo aspettano nel cimitero, come da copione; i colpi che gli sparano contro sono veri, però, e gli serve più tempo del previsto per realizzare che tra gli uomini del sindacato c’è anche uno dei suoi che non dovrebbe essere lì. Gli basta guardarlo negli occhi per capire - Vicious, si dice, perché in fondo se lo aspettava fin dal principio - e così non ha altra scelta, e offre al suo uomo una pallottola in testa come ricompensa del suo mercanteggiare.
Non passerà molto tempo prima che scoprano che tra i corpi al cimitero non c’è il suo; deve fuggire ma Julia, si ripete, Julia.
Torna indietro e la cerca; per ore lo tormenta l’immagine delle mani di Vicious strette possessivamente sulle sue cosce, quel giorno al pub, almeno fino a quando la sua mente si svuota dall’angoscia e ma certo, si dice, certo.
Spia Vicious e lo scopre nervoso, nervoso e solo. Entra nell’appartamento di Julia e, anche se ad un occhio qualunque potrebbe risultare tutto normale, Spike nota distintamente la mancanza non solo dei suoi effetti personali, ma anche di quelli a cui è più affezionata - il fermacarte con i pesci che teneva sul davanzale; il bocciolo che ha fatto seccare a testa in giù, quello della rosa che lui gli ha regalato - e capisce che è stata Julia a fare le valigie e andarsene. Nessuno oltre a lei sarebbe stato in grado di selezionare proprio quegli oggetti, e d’improvviso gli tornano in mente i sorrisi ancora più enigmatici degli ultimi giorni che hanno trascorso insieme; certo, si ripete, ma certo, ripensando alla sua risposta. Andiamo via di qui.
E si conclude così, scala di picche contro scala reale; la combinazione perfetta che Spike era certo di stringere tra le dita svanisce, si scioglie, cancellata dal suo tradimento. Perde un’altra partita, l’ennesima; l’ultima della sua vita, di certo, ora che tutta la sua esistenza è stata resettata. Cos’è quello che sta vivendo, allora?
Un sogno, si risponde, e ripensa alla pelle chiara di Julia premuta contro il suo ventre; è solo un sogno.
Gli basterà svegliarsi.
 

04.02.2016
Ho sempre voluto scrivere su questi due; finalmente il COW-T di Maridichallenge me ne ha dato l'occasione, visto che il materiale di sfida era la combinazione dei prompt "Relazione proibita" e "Femme fatale" in non meno di 1500 parole. Collegamento automatico, proprio /o/
Anche il titolo è ovviamente collegato al poker: lo showdown è il momento in cui si scoprono le proprie carte, l'attimo finale della partita.
Grazie mille per aver letto :D
Kuruccha
   
 
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