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Autore: Nemamiah    05/02/2016    2 recensioni
L'amore giunge quando meno lo aspettiamo ma spesso non riusciamo a prenderlo, a renderlo nostro e preferiamo lasciarlo andare via, libero di legarsi a qualcun altro. Il passato però torna sempre a regolare i conti e il rimorso di non aver colto l'occasione di essere felici incombe. Allora cosa c'è di meglio di una lettera per aprire il cuore a chi abbiamo amato, a chi amiamo, confidando nel potere benefico delle parole?
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported. “Eri meravigliosa, lo eri sul serio.
Non perché tu fossi bellissima, c’erano tante altre ragazze più belle di te, ma tu eri tu e questo significava la più splendida di tutte le cose.
Avevi stupito ogni studente il primo giorno, quando ti eri presentata in aula con quel vestito blu tempestato di stelle (erano brillantini, lo so, ma a me sembrarono stelle). Ricordo anche che, sconvolgentemente per me, eri senza trucco: pelle rosea e occhi porpora. Ti sei seduta di fianco a me e non ti sei curata di null’altro che non fosse la lezione. Alla fine sei uscita e non ti sei più fatta vedere fino alla lezione successiva.
Ti sedevi sempre nello stesso posto ogni giorno di ogni settimana e mi sorprendevi ogni volta con le tue piccole manie: tappi di penna mordicchiati, la sciarpa perennemente al collo, gli orecchini abbinati alle scarpe e quel tuo modo particolare di giocare con le ali d’angelo della tua collana.
Senza volerlo ho cominciato a seguirti: ero nascosto tra gli studenti, tra le persone nella strada, dietro le colonne e negli angoli bui dell’università.
Mi piaceva guardarti mentre sfioravi le unghie dallo smalto trasparente, quando ti tiravi su la frangia o legavi i boccoli biondi e ti ricadevano sulle spalle…
Ti seguivo anche al cinema e cercavo di sedermi sempre dietro di te: alla fine uscivo qualche minuto prima per vedere il tuo viso e la tua espressione.
Aveva qualcosa di poetico il tuo viso, liscio e roseo. Gli occhi erano strani: rosso chiaro nell’iride e nerissima la pupilla. La prima volta mi spaventai nel guardarli eppure dopo un po’ mi sono abituato e li ho adorati perché quando sorridevi, sorridevano con te. Loro si illuminavano, le labbra si distendevano e tutto intorno a te diventava tranquillo, sereno… Unico.
Sento ancora il profumo fruttato di quando ti ho abbracciata. Eri in un angolo, accucciata come una bambina in punizione, e piangevi. 
Io non ho resistito.
Ti ho stretta a me e ho pregato per non lasciarti mai più: non volevo che piangessi per nessun motivo; desideravo tenerti a me più forte e non farti mai allontanare.
Dopo quella volta ti ho abbracciata tante altre: alle feste, durante i film, in tutte le foto delle vacanze con gli amici, al locale dove cantavi…”

Chiudo la busta e la imbuco. 
Non voglio continuare a leggere e ricordare ancora le piccole gioie dell’averla accanto.

Quando torno a casa mia moglie sta già cucinando la cena. Pollo al curry, mi dice, e io penso a quando cucinava lei la domenica a pranzo, dopo aver studiato l’intera mattinata. Guardo i miei figli seduti di fronte a me e mi chiedo perché non abbiano gli occhi rossi: mi sarebbero piaciuti, sarebbero stati diversi, sarebbe stati i suoi.
A tavola c’è una grande confusione questa sera: Michela è entusiasta per la gita al planetario che farà il prossimo mese con la scuola ed Ernesto… Beh, lui è sempre felice e chiacchierone. Nulla sembra poter scalfire la sua gioia di vivere. Cerco di essere partecipe della loro allegria ma non ci riesco, e allora guardo mia moglie cercando di trovare qualcosa di lei: non ha niente. Non ha il sorriso, la risata facile, lo sguardo intelligente da so-tutto-io, la serietà con cui mi fissava lei quando mi rimproverava e quel modo di scompigliarmi i capelli così intimo e privato che mi mandava in estasi; la mia buona moglie è opprimente e invadente. L’ho sposata e per anni ho creduto di amarla. Almeno fino alla sua lettera: quella mi ha sconvolto. Mia moglie è elettrizzata mentre io ne sono terrorizzato. Non le ho ancora parlato della risposta che ho inviato, forse non lo farò nemmeno. 
Potevo rispondere solo in un modo, altrimenti sarebbero nati almeno un milione di problemi.

Vado a guardare la televisione anche se nulla mi interessa: i film d’amore mi fanno ricordare le occasioni che ho sprecato, i telegiornali mi deprimono e sono troppo grande per i cartoni animati che piacciono tanto ad Ernesto. Però rimango a fissare lo schermo quasi tutta la notte.
Domani al lavoro sarò un zombie, ma va bene lo stesso.

La mia famiglia dorme profondamente e così esco, porto la presenza ingombrante della mia mente fuori dalla casa. Per strada ripenso alla lettera che ho scritto, chiedendomi se ho fatto la scelta giusta: la mia coscienza mi risponde.
Non l’hai fatta sciocco, non l’hai mai fatta.

“Penso alla prima volta che ti ho sentita cantare, credo fosse la sera di San Valentino, al ‘The Hatter’. Il padrone del locale, un ragazzo di qualche anno più grande di noi, suonava il pianoforte ed un nostro compagno di corso vi accompagnava con il violino. Tu cantavi seduta sul bordo del seggiolino del piano.
Sembravi un angelo, e forse lo eri davvero.
Indossavi un abito bianco in pizzo e uno scialle nero che ti copriva le spalle, un nastro bianco raccoglieva i boccoli in un coda.
Non ti avevo ancora abbracciata in quel periodo, eravamo quasi estranei.
Ricordo che avevo deciso di ubriacarmi perché, per l’ennesima festa degli innamorati, ero solo come un cane… Persino i cavalli delle giostre avevano più compagnia di me. Poi hai iniziato a cantare e mi hai incantato con la tua voce celestiale, dolce e sottile. Mi hai fatto dimenticare il mio proposito. Mi parlavi con la tua voce; mi infondevi allegria, speranza, voglia di fare: hai scacciato il disgusto per quelle coppiette che si baciavano in continuazione e si sussurravano ti amo senza valore. Il mio amore per te tendeva all'infinito; il loro non avrebbe resistito nemmeno fino alla Pasqua." 

Adesso i San Valentino sono diversi: porto mia moglie a cena fuori, le regalo delle rose rosse e solo ora mi rendo conto che anche i miei “ti amo” non hanno valore, io non la amo. Trovo strano pensare solo ora, dopo sette anni di matrimonio, che avrei potuto agire diversamente e che, se lo avessi fatto, lei sarebbe stata mia.
Cammino molto senza accorgermene e mi ritrovo in centro città, di fronte a un pub storico, aperto. Ordino una birra e il ragazzo al bancone mi guarda scettico: forse non si aspettava di trovare un trentacinquenne depresso alle tre di notte seduto su un seggiolino traballante.
Appena ho finito torno a casa e mi distendo sul divano: guardo le ore scorrere sull’orologio e alle sette sveglio mia moglie. La saluto con un bacio sulla guancia ed esco nuovamente, stavolta per andare a lavoro.
A scuola la classe è più silenziosa del solito: la professoressa di letteratura ha assegnato un libro da leggere. Mi dicono che si tratta di ‘Jane Eyre’.

“Ricordo quando mi parlavi dei tuoi libri preferiti: avevi una strana luce negli occhi, come se i personaggi fossero reali e tu discutessi con loro; come se ci fosse qualcosa di magico che nessuno a parte te era in grado di comprendere e che, nonostante ciò, cercavi di spiegare agli altri. Conoscevi a memoria i passaggi più belli e non mi stupirei se adesso li recitassi ai tuoi studenti. In particolare adoravi Jane Eyre, la ammiravi per forza e determinazione: lei si rialzava dopo le cadute sempre fedele al suo cuore, amava Mr. Rochester con affetto sincero.”

Parlo agli studenti del libro con le tue stesse parole: sono incise a fuoco nella mia memoria. Mi sorprendo dell’effetto che producono: attiro la loro attenzione e seguono con interesse la mia lezione sugli Impressionisti. Sono così felice di ciò che esco dall’aula con un grande sorriso e i colleghi mi fissano stupiti.

“Con te capivo chi affermava che il Paradiso fosse sopravvalutato. Io potevo essere interessante, simpatico, forse intelligente ma tu… Tu eri il sole che illuminava le mie giornate e la luna e le stelle nelle notti. Le stanze brillavano della tua presenza e la tua anima si legava a quelle delle persone che erano con te. Come un incantatore di serpenti, ci catturavi con la parlantina vivace e il gesticolare delle mani che scandiva il ritmo del discorso.”

Mangio fuori e torno a scuola per le udienze con i genitori: una triste routine che odio da sempre ma che oggi sopporto con leggerezza. Il tempo scorre in fretta e sono a casa per un’altra cena. Mia moglie mi chiede se ho risposto alla lettera: le dico che tutto è stato annullato per problemi che non conosco.
Non voglio che sappia la verità.

“Mi sono reso conto di amarti davvero sull’altare, dopo aver baciato mia moglie, quando a fissarmi adoranti ho visto due occhi verdi come smeraldi,  ma ho represso la consapevolezza. Ora tu sposi un uomo che sicuramente ti ama più di me, che ha saputo meritarti, donarti anima e corpo… Un uomo che odio con tutto il cuore…”


La giovane smette di leggere. Ha le lacrime agli occhi e non riesce a credere di essere stata tanto insensibile e cieca. Aveva visto lo sguardo speciale che lui le riservava, aveva percepito che cercava di trasmetterle qualcosa di fondamentale quando l'abbracciava, ma lo aveva ignorato comportandosi come un’amica. Ma adesso si sente in colpa per averlo fatto soffrire, per il tormento che lo aveva spinto a scriverle un declino tanto amorevole e si chiede se, con un po' più di attenzione, non avrebbe potuto evitare di farlo soffrire per tanti anni.
Chiude gli occhi e sente il padre entrare nella stanza, la prende sotto braccio e la consegna a suo marito. Ballano e volteggiano per la sala del ricevimento, si baciano e lei sa di averlo sposato perché lui è l’unico che ama, l'unico che ha sempre amato, ancora prima di conoscere quel timido studente di Storia dell'Arte.


“Non ci sarò alla tuo giorno dei sogni, ma sii felice con l’uomo che ami, amore mio.”




Coro dell'autrice.
Da molto tempo, e precisamente dalla fine di Victims, non scrivevo più su Efp e tornare, anche se con uno scritto così breve, mi rende felicissima.
In realtà non ho molto altro da aggiungere se non che, come al solito, sono il beta-reader di me stessa e ciò potrebbe implicare la presenza di piccoli errori di battitura ma credo (spero) che non ce ne siano. 
Spero ancora di più invece che questa One-shot vi piaccia. 
Sto considerando l'idea di svilupparla e creare un background e una storia a questo sfortunato innamorato ma tutto dipenderà dal tempo che riuscirò a risparmiare dallo studio per la Maturità e gli esami in lingua inglese e, soprattuto, dal tempo che potrò sottrarre ad un' altra storia che sto scrivendo e su cui lavoro alacremente da un po' più di un anno.
Lasciatemi un parere, positivo o negativo, per farmi sapere la vostra opinione!
Un bacio e a presto!

Izumi.
   
 
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