Fumetti/Cartoni americani > I Vendicatori/The Avengers
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Autore: Scemochiscrive    05/02/2016    0 recensioni
"Sara Collin si era appena abituata al suo nome, alla sua vita, al freddo di quell’Università e dopo tre anni, avrebbe dovuto cambiare tutto, un’altra volta? Tutta la sua esistenza, così insulsa, rispetto a quella vissuta nelle sue “vite precedenti”, tutta la sua sudata tranquillità, tutta quella calma apparente, quella normalità ostentata. Avrebbe dovuto cambiare maschera per l’ennesima volta? Il suo destino dipendeva nuovamente dalla volontà del burbero Nick Fury."
Cosa succede quando gli Avengers in persona hanno bisogno d'aiuto? Il destino dell'umanità è messo a repentaglio da un vecchio nemico che non muore mai. Per salvare il mondo c'è bisogno dei guerrieri più forti. Per salvare il mondo c'è bisogno di Sara Collin.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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La luce mattutina entrava dalla grande vetrata, appena pulita. La caffetteria universitaria era il posto più frequentato di tutto il campus: interamente in vetro, con tavolini di metallo rotondi e un lungo bancone con molteplici espositori pieni di dolci. Un ottimo luogo in cui chiacchierare aspettando l’inizio delle lezioni e sbirciando la strada, lungo la quale tutti i pendolari si fermavano con l’autobus o la macchina. Le matricole si sedevano in un angolo, guardandosi intorno per cercare di fare amicizia, gli alunni degli anni successivi le squadravano divertiti, così spaesate e solitarie, forse dimentichi della loro prima esperienza nel campus. Ognuno ne ha una diversa, ma quasi tutte hanno un filo conduttore: la totale mancanza di senso dell’orientamento. Per Sara Collin, non era di certo il primo anno di lezioni, anzi, erano già due primavere che frequentava i corsi in quel campus, ma continuava a restare negli angoli della caffetteria, solitaria e pensierosa a rimuginare su chissà quale grande senso della vita, con lo sguardo fisso fuori dalle vetrate, in attesa di qualcosa, o forse, di qualcuno.
Quel giorno Sara, capelli violacei, occhi neri come la pece con due grandi occhiaie a contornarli e un paio di labbra non troppo carnose e più rosse del solito, sedeva proprio vicino al finestrone che dava sulla strada. Scrutava le macchine, guardava i nuovi arrivati, alcuni con i genitori, altri da soli, soprattutto, si soffermava sulle famiglie. Quelle numerose, che si riuniscono per le feste e poi, appena finito il divertimento, accompagnano i figli nei loro alloggi striminziti con una moquette vecchia di secoli. Quelle famiglie  che un po’ si commuovono, quando devono lasciar andare i ragazzi che, spazientiti, si allontanano bruscamente dai loro abbracci. Il sole, stranamente, più caldo del solito, le irradiava la chioma folta, la rendeva ancora più pregna di riflessi purpurei, mentre lei, stanca e annoiata, prendeva qualche appunto su un’agendina nera. Segnava gli appuntamenti, gli orari dei nuovi corsi, faceva piccoli schizzi e disegni appena abbozzati, perdeva tempo in attesa che il suo compagno di studi arrivasse. L’appuntamento di Sara aveva uno scopo ben preciso: concludere la ricerca iniziata prima delle vacanze invernali e ormai, da consegnare a breve al professore di Filosofia. Era una ragazza precisa, una di quelle con degli obiettivi, studiosa e razionale. Una che molti definirebbero “una brava ragazza”. Eppure questa etichetta, a volte, la infastidiva, la rendeva una delle tante, ma lei sapeva di non esserlo. Beh, lei non lo era affatto e  lo notava ogni giorno di più …
«Allora, come va, Secchia?» eccolo spuntare, il suo compagno di studi, giunto ad interrompere il flusso dei suoi pensieri. Harry, era il quarterback della squadra dell’università, un vero idolo, uno dei ragazzi con più spasimanti,  nonché uno sfaccendato di prima categoria.
«Una favola!» rispose sarcastica Sara, guardando l’orologio del suo cellulare. «Ho aspettato solo un’ora il tuo arrivo, ma figurati, non ti far problemi!»
«Infatti, nessuno se li fa, dolcezza.» Harry si beccò un’occhiataccia, la prima di tante; Sara non poteva far a meno di odiare quella parola, “dolcezza”, quella che solo una persona le aveva rivolto e che, ora, nessun altro poteva pronunciare in sua presenza.
«Allora, iniziamo, che abbiamo poco tempo! Capitolo 4 libro 8. Lo riassumiamo e poi aggiungiamo l’approfondimento sul paragrafo 5…» Sara continuò ad elencare numeri e parti di libri totalmente sconosciute al suo compagno di studi, ma quest’ultimo non la degnò della sua attenzione, era troppo impegnato ad assistere ad una delle scene più strane mai viste al Campus.
Una grande auto nera, perfettamente lucidata e con i vetri oscurati, era appena arrivata sul vialetto d’entrata dell’università, quello su cui affacciava la finestra vicino al tavolino dei due giovani. Un uomo, dalla carnagione scura, vestito come fosse appena uscito dal film Matrix, aveva abbassato il finestrino per scrutare all’interno del bar. Uno sguardo inequivocabile, pensò Harry, fissava proprio nella sua direzione. Forse, un osservatore, forse, l’opportunità per entrare in una grande squadra. “Sai come fanno” disse tra sé “non avvertono prima di arrivare, si mettono lì a fissarti per un po’ e poi decidono cosa fare della tua carriera.” Una domanda ovvia, però, non gli balenò in testa: perché non andare a vedere gli allenamenti, ma pedinarlo in caffetteria? Voleva forse controllare anche il livello di studio del ragazzo o le sue amicizie oppure le sue abitudini alimentari? L’uomo richiuse il finestrino. Un attimo precedette la sua uscita dal veicolo. Era un uomo pelato, afroamericano, con un impermeabile nero e una benda dello stesso colore sull’occhio. Un soggetto davvero mai visto in quel dell’ateneo e che Harry continuava a fissare incredulo, cercando di non farsi notare. Aveva sentito di giocatori che diventano flaccidi col tempo, alcuni, purtroppo, che si riducono sulla sedia a rotelle, ma mai di un ex giocatore che perde la vista, al punto da doversi bendare. L’uomo, dall’aria seria e burbera, entrò nella caffetteria. Sara continuava a parlare imperterrita, ma riceveva solo meri cenni di assenso dal suo compagno e solamente quando quello strano guidatore era ormai a pochi passi di distanza, alzò lo sguardo e guardò Harry in volto. Il ragazzo rimase quasi paralizzato nel vedere una tale presenza avvicinarsi sempre di più, vide il suo sogno realizzarsi e prendere forma, ma, d’un tratto, i suoi pensieri, miserabilmente, svanirono in una bolla di sapone.
«Signorina» si avvicinò l’uomo, la cui voce fu subito riconosciuta da Sara. Era lui, dopo tutto questo tempo. Come sapeva che era lì? Come poteva credere che nessuno lo avrebbe riconosciuto? Perché stava lucidamente mettendo in pericolo un lavoro durato anni?
Il sangue della giovane si raggelò, di botto, iniziò ad avvertire il freddo incalzante di quel rigido Gennaio. Deglutì appena, gli occhi sbarrati, il fiatone. Decise, però, di calmarsi, l’ansia non l’avrebbe portata da nessuna parte. «Sì? Mi dica…» rispose poco convinta e con un leggero affanno che tradiva il suo stato d’animo.
L’uomo, Nick Fury, la guardò severamente, mentre lei non fece altro che fingere disinvoltura, anche se con scarsi risultati «Avrei bisogno di un’informazione. » le disse, infine.
«Prego»
« È la prima volta che vengo qui e vorrei trovare un luogo dove andare a mangiare qualcosa. » in quel preciso istante Sara si ricordò di quel gioco che Nick le aveva insegnato, quando era solo una ragazzina.
“È come giocare con le marionette, ti inventi una storia e la porti avanti e nessuno deve pensare che sia una finzione, più sei brava e intelligente e più tutti ti crederanno.” Le aveva spiegato. A Sara tornò in mente tutto in un secondo: quella sera, in cui erano davanti al camino e lei pendeva letteralmente dalle sue labbra. Anche se molto giovane, era perspicace e sapeva di doversi fidare, perché lui poteva aiutarla; lui conosceva i trucchi e lei li avrebbe imparati tutti. Lo avrebbe reso fiero di lei. Così, nonostante, i tanti anni di distanza, Sara rispose come era stata istruita: «Certo. C’è una locanda, si chiama Poison Ivy, non è molto lontana, disterà circa 1 kilometro, alle 18 servono un pollo fritto buonissimo. Ci vada, glielo consiglio. » concluse il tutto con un sorriso e l’uomo burbero, uscì ringraziando.  Saltò di nuovo in macchina e sgusciò via dal vialetto.
«Che tipo strano, non trovi? » chiese Harry ancora stranito da quella visione.
«Boh, non mi è sembrato. E quindi, questo programma ti va bene?» continuò la ragazza, cercando di concentrarsi di nuovo sulla ricerca e di frenare le domande del quarterback.
«Uhm … e poi perché lo ha chiesto a te? Non poteva chiederlo al cameriere?»
«Eh? »
«Perché ha fermato te per chiedere indicazioni, poteva chiederlo per strada o ai ragazzi qua davanti o a …»
«Ascoltami, Smith, per essere il quarterback scemo che non presta attenzione a nulla, fai un po’ troppe domande, ma naturalmente nessuna attinente all’argomento importante: la nostra ricerca. Quindi, stammi a sentire, quel tizio è entrato ha chiesto un’informazione e ora chissà dove sarà andato a perdersi su queste montagne, non mi interessa di lui, mi interessa di non essere bocciata in Filosofia e poiché la ricerca è tutta opera mia, sarebbe davvero il colmo. Queste sono le parti che devi imparare» concluse Sara, cacciando fogliettini dalla borsa «vedi di saperle per bene per il giorno della presentazione, perché io figuracce per colpa tua non ne faccio. Ora puoi anche tornare ai tuoi allenamenti, tanto non capiresti comunque nulla di ciò che ti dico. » diede i bigliettini a Harry e sistemò le altre carte.
«Ehy, Secchia, stai tranquilla. Nessuno boccia il quarterback!»
«Infatti, è per me che mi preoccupo, idiota! » con queste parole, la ragazza, prese la sua borsa nera e vi posò agenda, libri e i mille fogli sparsi sul tavolino, poco prima di uscire fuori dal bar. Non voleva essere scortese, in fondo, sapeva benissimo che Harry era solo stupido, ma non cattivo -almeno, non con lei-  ma come si dice? L’attacco è la miglior difesa, giusto? Meglio attaccare prima di far scoprire la verità. Prima di far finire quella fase serena della sua vita, quei due anni di università, lì, sui monti, rintanata nella sua stanza con la moquette vecchia e puzzolente; rinchiusa nel suo covo, nella sua zona pacifica, forse, fin  troppo. Ma Sara Collin era nata per altro, era nata per combattere e quel giorno, avrebbe capito che la tranquillità non può esistere per chi è sempre in guerra con se stessa.
  
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