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Autore: Lara Ponte    06/02/2016    2 recensioni
Questa storia partecipa al Contest "L'inizio e la fine di ogni cosa."
Link: http://freeforumzone.leonardo.it/d/11201381/L-inizio-e-la-fine-di-ogni-cosa-Original-Fantasy-Fantasy-AU-Contest-/discussione.aspx
In questo racconto unisco le mie idee e i miei personaggi con il “lore” di una vecchia serie di videogiochi: Gothic, di ho preso a prestito alcuni stralci della trama nonché parte dell'ambientazione (che comunque nel genere fantasy è di uso abbastanza comune).
Date le diverse modifiche da me apportate, credo di poter considerare questa storia, più che una FF al 100%, come una specie di Cross-over.
Ho rinunciato di proposito alla comparsa del mitico “Eroe senza nome” (il protagonista nei giochi) per allontanarmi dal genere FF; preferendo appunto modificare/adattare la storia come fosse una originale al 100%.
Dimenticavo un breve accenno sulla trama !
Lo sfondo è quello di una guerra che dura da troppi anni, il protagonista è una guardia (ex soldato) che lavora in una colonia mineraria usata come carcere, là incontrerà un suo vecchio amico di infanzia e la vita si farà "più complicata".
Grazie in anticipo e Buona lettura !
Genere: Avventura, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Presentazione

Questa storia partecipa al Contest : “L'inizio e la fine di ogni cosa”Link: http://freeforumzone.leonardo.it/d/11201381/L-inizio-e-la-fine-di-ogni-cosa-Original-Fantasy-Fantasy-AU-Contest-/discussione.aspx
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Nick sul forum/ Nick su EFP: Lara Ponte

Titolo Storia: Quarzo e Ossidiana

Situazione Iniziale Scelta: 1-La storia deve iniziare con la descrizione di un viso.

Situazione Conclusiva Scelta: H -La storia deve concludersi con la narrazione di una leggenda.

Bonus: Coppia Slash ; Guerra (come sfondo) ; Ossidiana (colore); Libro (diario).

Genere: Fantasy.

Rating: Arancio.

Tipo di Coppia: Slash

Note / Avvertimenti: Racconto dall'ambientazione fortemente ispirata al mondo Fantasy/Medioevale dei videogiochi della serie Gothic. I protagonisti e le loro vicende personali invece sono del tutto originali, come è originale anche lo stato (fatto di isole) dove i due approdano dopo il naufragio.

Lunghezza (numero di parole): 8752 (21 pagine A4)

Breve Introduzione: Questa storia in realtà nasce da due idee ben precise: la prima era quella di raccontare un amore nato “dietro le sbarre”- appunto in prigione (e qua ammetto di essere stata ispirata dalla traccia di un altro Contest- per quanto in quel caso non fosse accettato il genere “Fantasy”); la seconda idea invece era di scrivere qualcosa ispirata al mondo RPG di Gothic (tant'è che inizialmente avevo anche pensato di scrivere una vera e propria FF ).

Alla fine ho messo insieme le due cose in questo racconto dove unisco le mie idee e i miei personaggi con il “lore” del videogioco, di cui comunque non ho resistito a prendere a prestito alcuni stralci della trama nonché una parte dell'ambientazione (che comunque nel genere fantasy è di uso abbastanza comune).
Credo di poter considerare questa storia, più che una FF al 100%, come una specie di Cross-over.

Sono sicura che i fan della serie di Gothic non esiteranno a riconoscere elementi come l'isola di “Khora” (Khorinis nel gioco) e il generale Lee (che nella mia storia invece si chiama Lian)…Ho invece rinunciato di proposito alla comparsa del mitico “Eroe senza nome” per allontanarmi dal genere FF; preferendo appunto modificare/adattare la storia come fosse una originale.

Sperando di non aver fatto infuriare i fan della Saga, auguro a tutti una buona lettura !:)




 

Quarzo & Ossidiana

 

Viaggiando...”

 

Osservavo il suo volto, addormentato accanto a me, l'espressione serena di chi vive leggero e senza troppe preoccupazioni. I lineamenti sottili e regolari che gli conferiscono a volte un tratto felino, altre angelico. Quella carnagione tanto pallida, coronata da capelli d'argento, che spesso lo ha fatto sembrare un albino. Era fin troppo facile immaginarmi i suoi occhi, ora nascosti dietro le palpebre, dalla sfumatura cristallina grigio-celeste come un ghiacciaio in pieno inverno. In momenti come quello invidiavo tutto il suo ottimismo e la sua allegria: non osavo nemmeno pensare ai cerchi neri che invece segnavano il mio sguardo, perso come sempre tra mille dubbi e l'onnipresente senso del dovere.
Per lui avevo fatto questa follia, per lui avevo abbandonato tutte le mie certezze e la strada che ora ci aspettava davanti appariva più misteriosa che mai. Mentirei se dicessi di aver provato paura o rimpianto, in realtà sono sempre stato fermamente convinto della mia scelta. Per troppi anni mi ero crogiolato in un brodo di finte certezze e inutili tribolazioni e da un lato mi sentivo finalmente come fossi tornato alla vita, quella vera intendo.

Un bisogno impellente di dare un'occhiata al cielo mi fece uscire dalla nostra tenda: la notte era serena e stellata in questo angolo del mondo dimenticato dagli dei; ancora non ero riuscito a capire bene dove ci trovavamo, anche se in effetti quello era proprio l'ultimo dei nostri problemi. Tornai dentro a sedermi accanto a lui e quasi senza accorgermene, con la mano destra gli accarezzai piano i capelli lunghi, sottili e morbidi come quelli di una ninfa. L'accenno di un sorriso comparve per un istante sulle sue labbra sensuali, come se si stesse per svegliare, ma per fortuna tornò velocemente ai propri sogni.
Intanto io continuavo a rimuginare su tutti gli eventi, che uno di seguito all'altro mi avevano portato qua: un nuovo inizio dopo troppi anni di inerzia. Tra le varie cose che ci eravamo portati appresso trovai un vecchio quaderno, le cui pagine sgualcite erano ancora candide e così, un po' per istinto un po' per mettere ordine nei miei pensieri, cominciai a scriverci sopra la mia e la nostra storia.

 

Memorie.

 

Mi chiamo Janus Bakaresh e sono un figlio del deserto. Un figlio lontano in realtà, dato che la mia famiglia di mercanti si trasferì nelle fertili terre centrali quand'ero un lattante di appena pochi mesi. Ho sempre portato i capelli neri cortissimi, per non impazzire a cercare inutilmente di dar loro una piega e per quanto riguarda il mio aspetto generale, posso dire di somigliare moltissimo a mia madre, che in gioventù era soprannominata “La perla nera”. Soltanto gli occhi, dal taglio leggermente a mandorla, riescono ad essere più scuri e brillanti della mia pelle. L'unica cosa che mi differenzia fortemente dal resto della famiglia sta nella mia statura, sono alto infatti quasi sette piedi, molto più dei miei genitori e fratelli, ma sembra che in questo abbia preso dal nonno paterno, che se non ricordo male si vantava sempre di discendere da un'antica stirpe nordica.

Quando cominciò la guerra contro gli orchi stavo per compiere sedici anni e ormai ero fin troppo affezionato a Myrthara, la città che mi aveva visto crescere. Inoltre, nonostante tutte le lezioni che costantemente i miei mi facevano sorbire sulla nostra cultura, preferivo di gran lunga la mentalità più libera e meno superstiziosa della gente di quel luogo. Così, quando la mia famiglia decise di tornare nel deserto, io dissi che invece rimanevo con l'intenzione di arruolarmi nell'esercito reale. Inizialmente non la presero troppo bene, ma avevo raggiunto l'età in cui potevo decidere della mia vita e anche volendo non avrebbero potuto fare molto per farmi cambiare idea.
Un mese dopo la loro partenza, durante l'addestramento in caserma, ricevetti una lettera ufficiale che mi spezzò il cuore. Dei banditi avevano assaltato la carovana con la quale viaggiavano e stando al rapporto dei ranger non si era salvato nessuno. Ricordo quel momento come fosse ieri. Ero seduto su un tronco d'albero adagiato vicino alla segheria, i gomiti sulle ginocchia e le mani che tremavano stringendo forte quel foglio di pergamena ingiallito. Digrignavo i denti nello sforzo di trattenere le lacrime, impregnate di tutta la rabbia che può dare la disperazione e proprio quando credetti di scoppiare, sentì sulla spalla la mano del mio comandante istruttore.
“Janus.” Disse piano. “Non sono bravo con le parole, ma sappi che nessuno qua riderebbe di te in queste circostanze. Non sei il primo ragazzo che vedo distrutto dal dolore, ma sei sicuramente il primo che conosco ad aver rinunciato alle proprie origini per servire il nostro Re. Se fossi partito, ora non potresti più fare nulla per loro. Adesso hai un motivo in più per non mollare: consideralo pure come una piccola vendetta. So che non è un granché, ma anche se non dovessi prendere gli stessi farabutti che hanno fatto ciò alla tua famiglia, potrai sempre usare la tua spada per proteggere la vita di altri innocenti.”
Piansi come un bambino per almeno dieci minuti e nessuno tra i miei commilitoni fece alcun commento. Quando mi fui calmato parlai ancora con il comandante, ringraziandolo per l'aiuto che mi aveva offerto e chiedendogli consiglio sulle questioni di tipo pratico e legale; in realtà non ricevetti granché come eredità perché i miei avevano impegnato tutto per fuggire dalla guerra. Da allora mi concentrai soltanto sulla vita che avevo scelto, allenandomi ogni giorno al meglio che potevo, caricando i miei fendenti con tutto ciò che mi portavo dentro e in poco più di un anno riuscii a diventare un soldato a tutti gli effetti.

All'epoca la guerra non era ancora arrivata nelle città e la prima campagna la affrontai nella parte più remota dei confini ovest del regno. Quando mi ritrovai faccia a faccia con gli squadroni di orchi ne rimasi impressionato. Mi avevano già avvertito che erano grossi, ma non avevo proprio immaginato quanto. Lineamenti bestiali, coronati da piccole corna ai lati della testa e corpi massicci rivestiti da armature di ferro e pelli scuoiate a chissà quali mostri lontani. Alcune delle loro armi erano grandi quanto un uomo di piccola statura. La loro voce gutturale e dalla parlata per noi incomprensibile, sembrava provenire dagli stessi inferi. Mi ritrovai a deglutire la mia stessa saliva, chiedendomi come accidenti potessimo affrontare simili creature e uscirne vivi. Il capitano intanto strillava ordini su come disporci, dicendo che quei bestioni puntavano tutto sulla forza bruta, ma che potevano essere battuti sull'agilità e altre frasi che in quel momento mi suonavano come grandissime sciocchezze.
Ad affiancarci avevamo due battaglioni di balestrieri e tre di arcieri. Inoltre una piccola legione di paladini avrebbe combattuto in prima fila davanti a noi. I paladini rappresentavano l'élite dell'esercito reale, scelti sia per la forza che gli permetteva di indossare le corazze pesanti e brandire le armi di metallo sacro, sia per la capacità di usare la magia antica che i maghi del fuoco insegnavano loro nei monasteri, dopo aver preso i voti. Ricordo bene come per me all'epoca fossero la massima aspirazione, ma non essendo nativo delle centrali sapevo bene che avrei avuto ben poche speranze di essere ammesso nei loro ranghi.

Stando agli ordini ricevuti dai generali tattici, doveva essere una breve battaglia “mordi e fuggi” per seminare un po' di caos tra le file nemiche, invece si trasformò in uno scontro coi fiocchi. A quanto pareva nessuno tra i 'capoccioni' si era ancora preso la briga di informarsi sul proprio avversario: magari avrebbe scoperto per tempo che un popolo di guerrieri fieri ed orgogliosi combatteva tutte, proprio tutte, le proprie battaglie fino all'ultimo respiro e quel giorno lo imparammo a nostre spese.
Sia noi che loro ne uscimmo distrutti e ci vollero almeno due settimane prima che i sopravvissuti, me compreso, fossero nuovamente in grado di rimettersi in piedi. Devo confessare che già durante quella prima battaglia mi tolsi in fretta dalla testa l'idea di provare a diventare un paladino: quelli che ci avevano aiutato erano morti quasi tutti e i più fortunati erano rientrati a casa senza una gamba o un braccio. Rabbrividisco ancora al ricordo di uno che veniva letteralmente fatto a pezzi, un metro avanti a me: gli schizzi di sangue che arrivavano fino ai miei stivali e l'odore delle sue viscere che si diffondeva nell'aria, già irrespirabile per il fumo delle frecce incendiarie. Quel giorno, nonostante la mia forza, non riuscii ad uccidere nemmeno un orco, ma ne ferii qualcuno rendendolo se possibile ancora più furioso.

Quando ci riprendemmo da quella carneficina fummo mandati ad unirci ad una compagnia di veterani che combatteva leggermente più a sud, tuttavia non posso dire di aver trovato molte differenze tra una battaglia e l'altra. La prima è quella che, nel bene e nel male, non si scorda mai, ed è sempre a quella che vanno i miei pensieri ogni volta che qualcuno mi chiede di raccontare come era la guerra. Ero arrivato nei campi di battaglia poco più d'un ragazzo e diventai uomo tra uno spargimento di sangue e l'altro. Il mio fermo obbligatorio in veste di fante era stato di tre anni, durante i quali avevo continuato a pensare alla gente delle città, chiedendomi chi si sarebbe battuto per loro quando i migliori guerrieri erano schierati lontani. Così, mentre ai confini continuavano le schermaglie, anziché iniziare i corsi per gli ufficiali, chiesi ed ottenni di lavorare nella guardia cittadina.

Fui trasferito a Capo Dhumak: un promontorio sul mare a qualche giorno di marcia dalla mia vecchia città. Non mi dispiaceva la vita come soldato civile, nel corso del tempo ottenni diverse soddisfazioni, ma le cose non andarono esattamente come avevo previsto. Senza saperlo, durante un'indagine, avevo pestato i piedi alla persona sbagliata, un nobile che rivendeva armi ai banditi accampati lungo la costa e dopo quasi cinque anni di onorato servizio, in pattuglia nei boschi a snidare malviventi ed esploratori nemici, da un giorno all'altro mi ritrovai ad essere sbattuto a fare il cane da guardia nelle prigioni. Da sergente a secondino, ma almeno non mi levarono i gradi.
 

Viaggiando...”

 

“Buongiorno Jan! Che leggi di bello?”
Ero stato talmente assorto dal diario, che non mi accorsi nemmeno da quanto tempo il sole scaldava la nostra tenda.
“Ilyàs...” Sospirai. “Buongiorno a te. Dormito bene?” Chiesi senza rispondere alla sua domanda.
“Non sopportavo più quella dannata e puzzolente nave, sono così felice d'esserne sceso che avrei dormito pure su un mucchio di chiodi.”
“L'importante è essere salvi...” Borbottati. Incredibile come sembrava non importagli nulla del naufragio. Fu un vero colpo di fortuna per noi essere riusciti ad aggiustare l'ultima scialuppa rimasta, scartata per una crepa laterale, prima che la nave sprofondasse negli abissi. Del resto, la nostra fu una strana partenza. Riuscimmo per un pelo ad imbarcarci su una goletta di contrabbandieri e per quanto la tariffa ci costò quasi tutto ciò che avevamo, quando le cose si misero male, ci abbandonarono al nostro destino.
“Ma che belle occhiaie che hai. Non hai dormito, vero?”
“Sono stato distratto dal libro, ora lo metto via...” Lasciai a metà la frase perché tutto quello che desideravo in quel momento era stringerlo forte a me. Dopo tutto il tempo in cui avevamo dovuto nasconderci, non mi sembrava vero averlo tra le braccia senza timore di essere scoperti. Portai il suo viso accanto al mio e cominciammo a baciarci, prima lentamente poi togliendoci il respiro. Nonostante l'intera nottata a dormire come un sasso, la sua pelle manteneva un buon profumo, non gli permisi di parlare perché volevo lasciare che fossero i nostri corpi ad esprimersi. Era passato quasi un mese dall'ultima volta, dopo quella lunga ed estenuante attraversata in mare, entrambi non desideravamo altro. Aspettai che lui per primo sfilasse le proprie vesti, soffermandomi ad osservare per qualche istante la sua pelle così candida, non c'era da meravigliarsi del soprannome che gli avevano dato al campo. Accarezzai un'altra volta il suo viso per poi liberarmi in fretta anch'io di tutto ciò che indossavo. Stringendoci l'uno all'altro sentivamo la nostra eccitazione prendere il sopravvento su tutto il resto e perdermi in quelle sensazioni mi mandava in estasi. Rimanevo sempre incantavo nell'osservare i nostri colori così opposti uniti in quell'abbraccio, come se una parte di me non fosse ancora completamente abituata e nonostante tutta l'intimità passata insieme, quasi mi sentivo come la prima volta. In realtà sapevamo bene cosa ci piaceva in quei momenti, iniziavamo in modo gentile, abbandonandoci lentamente l'uno all'altro, quindi davamo sfogo al piacere nella maniera più selvaggia. All'apice dell'amplesso adoravo rilasciare il mio seme nel suo corpo, così come lui amava l'orgasmo nella mia bocca, donandomi ogni volta quel suo sapore agrodolce per niente sgradevole. Poi, quando tutto finiva e i nostri cuori tornavano a battere in modo regolare, ci rimandavano sorrisi complici e un po' stupidi, qualche volta ci rivestivamo scherzando e prendendo in giro la nostra stessa libidine.

C'era un laghetto non lontano da dove ci eravamo accampati e ne approfittammo per darci una rinfrescata, prima di cominciare il nostro viaggio. Dalla nave, tra le altre cose, ero riuscito a salvare anche una bussola, decidemmo quindi di partire seguendo la direzione sud-ovest, nella speranza di trovare presto un villaggio o un qualsiasi tipo di insediamento. L'isola dove eravamo approdati era verde e rigogliosa come le terre centrali, cominciavo ad avere un piacevole sospetto su quale luogo si trattasse, ma era presto per cantar vittoria. Nonostante le poche provviste ottenemmo un pasto decente, dalla cattura di alcune lepri nella boscaglia che attraversavamo. Prima di rimetterci in marcia dormii poche ore nella calma del pomeriggio e arrivò il tramonto che ancora non avevamo incontrato nessuno: né uomini, né orchi. Infine, quando Ilyàs si addormentò, ripresi in mano il diario.

 

Memorie.

 

In quasi otto anni la guerra si era spinta sempre più vicino alle grandi città, alcune delle quali vivevano ormai sotto assedio. La richiesta di minerale sacro per la forgiatura di nuove armi era salita alle stelle. Così un editto del re Zardas II, sorto al trono dopo la recente morte del padre, impose che tutti i prigionieri, indipendentemente dal crimine commesso, fossero mandati a scavare nelle miniere dell'isola di Khora. Ovviamente assieme ai prigionieri venivamo trasferiti anche noi guardie.
L'isola si era rivelata di gran lunga più grande di quanto avessi immaginato. Per percorrerla tutta da una costa all'altra occorrevano almeno due settimane di marcia forzata. Vi era anche una zona raggiungibile soltanto via mare, di cui non se ne sapeva molto: l'unica cosa certa era la presenza delle rovine di un'antica civiltà, che stando alle dicerie, pare fosse un luogo infestato da evitare come la peste.
Risalendo le montagne centrali, su un altopiano circondato da un grande lago si ergeva un piccolo monastero del sacro ordine del fuoco, cui si poteva accedere soltanto da uno stretto ponte in muratura, quasi in bilico sui pilastri che lo reggevano, proprio l'ideale per le mie vertigini. La prima volta che lo vidi, sperai di non dovervi mai passare e per fortuna le mie preghiere furono accontentate. Nelle campagne si potevano contare almeno tre fattorie, che producevano risorse appena sufficienti per sfamare la popolazione locale, i cui rapporti col governatore si erano incrinati con l'aumento delle tasse. A disposizione dei viandanti c'era anche una piccola locanda all'incrocio delle grandi vie principali. Gli scavi minerari infine occupavano tutta una vallata a sud-est, separata dal resto dell'isola da una lunga catena montuosa. Quel confine naturale poteva essere superato soltanto passando attraverso una stretta gola, il cui ingresso era costantemente sorvegliato dai paladini.

La città portuale dove alloggiammo per qualche giorno, mi colpì tanto che la dovetti lasciare a malincuore. Era molto più estesa di Capo Dhumak e si sviluppava su ben tre livelli. In quello più vicino al mare abitava la gente povera: mendicanti, pescatori, c'era perfino un bordello e in un luogo come quello non mi avrebbe certo stupito il nascondiglio di qualche ladruncolo. Nella zona intermedia notai invece diverse attività artigianali, dal conciatore di pelli al fabbro, passando per i mercatini all'aperto situati ai due cancelli principali. Soltanto poco prima di partire, mi accorsi di un vicolo nascosto dove c'era la bottega di un alchimista, un tipo un po' scontroso a dire il vero, ma a detta di molti piuttosto in gamba. Nella parte alta infine, il cui accesso era riservato soltanto ai più meritevoli, vivevano i nobili e i mercanti che avevano fatto più fortuna. Inoltre si trovavano gli uffici pubblici più importanti: uno per il governatore e l'altro dedicato al tribunale. Dimenticavo: la caserma della guardia cittadina sorgeva come un piccolo bastione tra il porto e il mercatino vicino alla porta nor-est, c'era dentro anche una piccola prigione, quasi in disuso a causa del nuovo editto, ma non era quella la mia destinazione: la valle delle miniere mi attendeva impaziente.

Il giorno della partenza dovevamo scortare una ventina di condannati. Noi guardie eravamo appena in nove e io che ero l'unico graduato avrei occupato il primo posto della colonna. Divisi gli uomini di scorta in due gruppi di quattro, il primo avrebbe viaggiato subito dietro di me e il secondo avrebbe chiuso le fila. I prigionieri erano sistemati nella nella parte centrale, incatenati tra loro per i polsi in file di quattro.

All'ingresso della gola presentai i documenti ai paladini, i quali non fecero una piega. Notai subito il drastico cambiamento di paesaggio, dal verde altopiano che avevamo lasciato al grigio marrone della pietra di cui invece era fatto lo stretto e claustrofobico passaggio tra le montagne. Fu una liberazione quando alla fine del sentiero, al culmine della salita, l'intera valle apparve sotto i nostri occhi. Non che ci fosse stato un grosso miglioramento nei toni ma la presenza di alcuni fiumiciattoli e il grande spazio aperto risollevarono il morale a tutti. La zona delle miniere non era lontana dalla fine della gola e la raggiungemmo in poche ore. I principali siti di scavo erano tre e al centro della vasta area pianeggiante si ergeva un piccolo forte dove alloggiavano le guardie e gli uomini di servizio. La costruzione era abbastanza spartana: un perimetro di forma rettangolare con un ampia corte al centro. Tutti gli edifici erano disposti attaccati alle mura di difesa, c'era soltanto un grande cancello dal quale si poteva accedere, il quartier generale era proprio davanti all'ingresso e poco distante alla sua sinistra c'era anche una piccola cappella dedicata al culto del fuoco, mi dissero che di tanto in tanto i magi sacerdoti passavano a portare pozioni e parole di conforto. Gli alloggi della guarnigione stavano sul lato del cancello assieme ad una fucina e una piccola rivendita.

Anche là ovviamente c'era una gerarchia da rispettare e appena arrivati dovetti presentare i documenti di viaggio al comandante in carica Staen Kortega. Nonostante andasse per i quaranta, sfoggiava ancora un fisico ben allenato. Aveva capelli lisci brizzolati pettinati all'indietro con le punte che gli sfioravano appena il collo e i freddi occhi castani non trapelavano alcuna emozione. Perse la mano sinistra in battaglia, ma da quello che si raccontava era ancora un temibile spadaccino che non esitava a risolvere con le cattive i problemi di insubordinazione con le guardie della peggior specie.
“Così sei un sergente?” Disse dopo che mi fui presentato. “Meglio così: un ufficiale in più fa sempre comodo.”
Ricordo bene come la sua voce tagliente mi diede un brivido sulla schiena, ma come da addestramento lo mascherai abilmente, limitandomi ad ascoltare gli ordini. Eravamo arrivati quasi al tramonto e tutto quello che c'era da fare era portare i detenuti alle baracche-prigione e stabilire i turni di lavoro per i prossimi giorni.

E così iniziò la mia nuova vita, lontano da tutto ciò che avevo imparato a conoscere e amare. Se è vero che il tempo scorre lento nelle carceri, devo dire che in un campo minerario com'era il nostro, non scorre affatto. I giorni si susseguivano uno uguale all'altro. Ogni mattina all'alba si accompagnavano i detenuti a scavare, secondo turni stabiliti in modo da non stremarli troppo, non che fosse un gesto caritatevole, la realtà pratica era che dei lavoratori troppo stanchi avrebbero sicuramente compromesso la resa della miniera. Alla sera poi dovevamo fare i conti di quanto materiale utile era stato estratto; ed io, tra i pochi che sapevano leggere e scrivere, ero quello che stava ore sui registri ad annotare ogni singola pepita: ferro, zolfo o minerale sacro che fosse. A volte capitava di trovare anche qualche pietra preziosa o dell'oro, ma di quei beni si occupava personalmente il comandante.
I tentativi di evasione erano ben pochi, anche perché ammesso che si superassero le le guardie e le mura, ci avrebbe pensato l'affamata fauna locale a porre fine all'esistenza del malcapitato in giro da solo senz'armi né armatura.

 

Viaggiando...”

 

Questa volta non rimasi a scrivere fino all'alba, riposi il diario dopo poche ore perché volevo svegliarmi ben riposato. Quando aprii gli occhi Ilyàs era già fuori dalla tenda seduto su una roccia che affilava i suoi pugnali. Aveva accanto anche la mia spada e a giudicare da quanto brillava alla luce del sole, si era già preso cura anche di quella.
“Grazie...” Mormorai con un sorriso, andando a sedermi accanto a lui.
“Avremmo dovuto sistemarle ieri stesso, ma non fa nulla.”
Lo osservai in silenzio terminare il lavoro, pensando che io non ero mai stato tanto abile nel fare il filo a una lama, mentre lui nonostante la fragilità apparente, sembrava nato e cresciuto in una forgia.
“Secondo te dove siamo approdati?”
“Credo che sia una delle isole maggiori dell'arcipelago Okasa.” Riflettei qualche minuto prima di rispondere. “La nave seguiva una rotta verso sud e se ho letto bene le carte, al momento del disastro era stata spostata verso est. Per quel poco che so, in queste isole ci sono ben poche città, quasi tutte lontane dalla costa e questo spiegherebbe come mai finora non abbiamo visto anima viva...”
“Accidenti! Se fosse davvero la repubblica di Okasa sarebbe una bella fortuna!” Mi interruppe lui saltandomi al collo.
'Fortuna? Forse.' In realtà non sapevo cosa aspettarmi da quel luogo. Un conto era la fama, un altro la realtà. Di quel piccolo stato, che occupava circa una decina di isole, si diceva tutto e il contrario di tutto, l'unica cosa certa era l'apertura mentale dei suoi cittadini. Era retto da una forma di governo particolare, dove erano gli stessi abitanti ad scegliere i propri re, cinque in tutto chiamati Giudicies. Questi rimanevano in carica per un periodo di dieci anni, dopo di ché si ripetevano le elezioni. Il Giudice più importante era quello che aveva preso il maggior numero di consensi e gli altri erano scelti tra i candidati in rappresentanza delle quattro isole maggiori, spesso anche le donne ottenevano abbastanza voti da poter avere tale carica.
L'economia si fondava sul commercio di perle e su una flotta navale mercenaria da fare invidia ai grandi imperi. Come si usava tra la gente del deserto, anche da loro era considerava giusta la schiavitù, tuttavia un padrone poteva decidere in qualsiasi momento di rendere liberi i propri uomini. Inoltre anche uno schiavo (o schiava) molto avanti con gli anni poteva chiedere di diventare cittadino.
La mia paura maggiore era che qualche cacciatore di teste potesse tentare di rivenderci come schiavi e fino a che non avessimo raggiunto una città, non avremmo potuto considerarci al sicuro. Se non era cambiata la legge infatti, l'accoglienza degli stranieri nei porti era tenuta di grande importanza, ma nel caso di arrivi fortuiti, avremmo prima dovuto dimostrare alle autorità locali le nostre buone intenzioni.
Se per me era facile essere considerato un bravo soldato, praticamente lo avevo scritto in faccia, non era altrettanto semplice per il mio compagno, la cui esistenza era stata segnata fin dalla prima infanzia dal suo colorito innaturale e da un caratterino bello pepato, ad ogni modo ero più che disposto a fare da garante.
“Prima dovranno riuscire a prenderci vivi!” Scherzò spavaldamente Ilyàs quando finii di esporgli i miei dubbi e le preoccupazioni. Lui era fatto così: affrontava di petto tutto ciò che gli capitava e poco importava se dopo si pentiva delle sue scelte avventate. Sono sicuro che avrebbe preferito di gran lunga farsi ammazzare piuttosto che finire in mano agli schiavisti e conoscendo il suo carattere, sarebbe anche morto ridendo in faccia ai suoi carnefici.
Quel giorno comunque la fortuna ci sorrise ancora, in fin dei conti era un luogo pacifico: dopo poche ore di cammino incappammo in una strada ed ero certo che di li a poco avremmo finalmente trovato una città. Ormai avevo tanti di quei pensieri per la testa, che la stesura del mio diario era diventata all'improvviso meno urgente, tuttavia c'erano cose che ancora ci tenevo ad annotare, prima di dimenticarle del tutto.

 

Memorie.

 

Mi ero appena abituato alla nuova vita, pochi mesi dopo il trasferimento, quando lo portarono da noi a scontare la sua pena. L'estate volgeva al termine ma non si poteva dire altrettanto del caldo impetuoso che ancora tormentava la valle. Fu una vera sorpresa per me ritrovarmelo davanti dopo tutti quegli anni: mai avrei creduto di incontralo in simili circostanze, non so perché ma ero convinto che fosse andato a vivere nei paesi del nord. Per qualche istante dimenticai completamente tutto ciò che avevo attorno, per immergermi in un mondo ormai lontano.

Da piccoli giocavamo assieme agli altri ragazzini della città e forse anche perché coetanei, era uno dei pochi che riuscissi a considerare un buon amico; una delle cose che più mi faceva arrabbiare era che ogni volta che capitava qualcosa, lui era sempre il primo ad essere sospettato. Questo soltanto per via del suo aspetto insolito e perché non viveva in una famiglia vera e propria. Nessuno in realtà sapeva da dove venisse e l'alchimista che lo aveva adottato, era più facile trovarlo nella taverna ad ubriacarsi che nel suo negozio a vendere medicamenti e pozioni. Il momento peggiore fu quando lo accusarono del furto di una collana appartenente alla moglie del fabbro. Avevamo appena tredici anni e il suo tutore era fuori città a fare una consegna. Ad ogni modo, lui scappò via prima di essere sottoposto ad un processo improvvisato e dal giorno non lo avevo più rivisto. E dire che una settimana dopo, quella collana era spuntata fuori incastrata in uno dei banchi della cappella del fuoco.

Era stato portato assieme ad altri sei prigionieri e li avevamo messi in fila nel cortile davanti al cancello principale. Anche lui mi riconobbe subito, nel momento in cui incrociammo gli sguardi, durante la schedatura.
“Ma guarda chi si rivede: Janus -Ossidiana- Bakaresh!” Mi salutò allegramente. 'Ossidiana' era stato il soprannome che il figlio di un minatore mi aveva affibbiato quando ero piccolo e sentirlo dire ad alta voce da uno dei nuovi arrivati tra i prigionieri quasi mi fece morire d'imbarazzo. Lo guardai storto ma non durò a lungo, mi resi subito conto che non lo aveva detto con cattiveria e il sorriso che mi rivolgeva era sincero.
“Ilyàs Valmir. Anch'io mi ricordo di te.” Risposi fingendo indifferenza, quando invece il mio cuore batteva così forte da sembrare impazzito. “Come puoi vedere la situazione è leggermente diversa da allora. Per te, come per gli altri, sono semplicemente il sergente Bakaresh.”
“Se voi siete un'ossidiana, con tutto il rispetto signore... quella peste là, con la pelle slavata che si ritrova, è sicuramente un quarzo.” Scherzò a bassa voce il caporale che avevo a fianco, coniando involontariamente il suo soprannome.
L'arrivo di Ilyàs portò una ventata d'aria fresca nella colonia mineraria. Nonostante la fatica del lavoro nei tunnel aveva sempre una gran voglia di ridere e scherzare, tant'è che i suoi compagni lo chiamavano il “Quarzo allegro.”
Nel giro di pochi giorni intanto, io ero diventato inesorabilmente il “Sergente Ossidiana”, devo dire però che finii con l'affezionarmi al nomignolo e lasciai che i miei colleghi lo usassero senza protestare troppo. Facevo la voce grossa soltanto quando erano i detenuti a tentare di prendersi troppa confidenza. In realtà avevo imparato in fretta che là dove ci trovavamo, in un modo o nell'altro, eravamo tutti prigionieri, tuttavia c'erano regole scritte e non, che andavano rispettate per il bene della comunità, o almeno così credevo allora.

La mia relazione con Ilyàs cominciò nemmeno un mese dopo. Un giorno si era trattenuto in uno dei tunnel dicendo di aver quasi messo in luce una grossa vena e non voleva saperne di uscire per il pranzo, così, dopo gli inutili tentativi da parte di altri due secondini, decisi di andarci di persona a tirarlo fuori a forza.
“Si può sapere che accidenti ti è preso?” Gli sbraitai contro quando fummo faccia a faccia.
“Suvvia! Ho solo dato due calcetti alle guardie, ti assicuro che avevo un ottimo motivo.”
“Questo scherzetto ti costerà una settimana d'isolamento.” Mi resi conto che nel parlare evitavo di guardarlo. Lavorava praticamente a petto nudo e la luce delle torce aveva uno strano effetto sulla sua pelle, tanto che una sensazione fortissima di desiderio mi prese a martellare subito dopo aver visto quegli occhi brillare nella semioscurità.
“Mi sei mancato Jan.” Disse all'improvviso con naturalezza. “In realtà ho fatto un po' di casino sperando di vederti. Un tempo eravamo amici e so che nemmeno tu lo hai dimenticato.”
“Un tempo appunto.” Era dura cercare di convincere me stesso che quel tempo era lontano, pochi giorni prima in cortile ci era bastato guardarci una volta per capire quanto ancora ci volessimo bene. “Quindi in questo dannato tunnel non c'è nulla, vero?” Chiesi per cambiare argomento.
“Falso. Direi che ci sia un bel filone d'oro. Non sarà minerale sacro, ma dovrebbe valere una discreta fortuna. Vorrei segnare il posto dove scavare prima di uscire.”
Mi avvicinai ad esaminare la roccia che aveva accanto e da ciò che vidi, per il poco che avevo imparato sui minerali, potei constatare la verità delle sue parole.
“Come sei diventato un ladro?” Pensai, senza accorgermi che invece avevo parlato a voce alta.
“Quando tutti credono che già lo sei, il passo è breve. In realtà è stato il modo più facile per procurarmi di ché vivere.”
Avevo letto il documento che lo riguardava diverse volte. Era diventato quel tipo di ladro che entrava nelle case quando il padrone era via e per quanto ne sapevo non aveva mai ucciso nessun innocente.
“E alla fine ti hanno beccato...” Sussurrai in modo ironico.
“Tu invece non sei esattamente come mi aspettavo. Credevo che saresti diventato un paladino, sai? ”
“Ammetto di averci pensato, ma le cose cambiano.” Era così bello parlare nuovamente con lui che all'improvviso non mi importava più del tempo che passava. Dovetti fare fare davvero un grosso sforzo di volontà per costringermi a tagliare corto e tornare fuori. Come da regolamento lo feci rinchiudere in isolamento, tuttavia non riuscii a d'impedirmi di andarlo a trovare almeno una volta. Ingenuamente mi ero convinto di volergli semplicemente parlare, invece, non appena fummo certi che non ci fosse nessuno nei paraggi della cella, facemmo sesso insieme per la prima volta. Alla fine parlammo davvero ben poco, lui mi raccontò di avere avuto relazioni tanto con gli uomini che con le donne, mentre io ammisi senza troppi problemi di aver sempre preferito soltanto la compagnia maschile.

La vita nella colonia, non era poi così male. Noi guardie, per non creare inutili tensioni, cercavamo di non essere mai troppo duri coi detenuti, non più del necessario almeno, soprattutto con quelli i cui crimini erano poco al di sopra del 'Ladro di polli'. Un trattamento diverso invece era riservato a quelli condannati per gravi capi d'accusa come omicidio, brigantaggio o alto tradimento. A loro erano riservate delle celle di sicurezza nei sotterranei del forte e l'orario di lavoro era ridotto per evitare disordini.
In quello stesso periodo fu portato da noi un generale dell'esercito, o meglio ex, accusato di aver assassinato la moglie del Re. Si chiamava Lian Gorn e in passato era stato un vero pezzo grosso, tanto che aveva partecipato attivamente alle sedute del consiglio. Ricordo bene quegli occhi verde scuro fieri ed orgogliosi, su un fisico da guerriero che io per primo avrei esitato a sfidare. Per i primi tempi, non sapendo bene cosa aspettarci, decidemmo di tenerlo lontano dalle miniere; dovevo però ammettere che nei suoi modi c'era sempre una gran correttezza e la sua persona emanava fiducia da tutti i pori. Sembrava proprio quel tipo d'uomo per cui i soldati avrebbero combattuto fino all'ultimo respiro. Non parlava molto, ma in seguito fu lui a chiedere di poter lavorare, 'Per non perdere del tutto la testa', almeno così disse. Soltanto parecchi mesi dopo, mi giunsero pettegolezzi secondo i quali era stato incastrato ingiustamente per un capriccio del sovrano, che nel frattempo aveva preso in moglie un altra donna.

 

Viaggiando...”

 

La strada su cui ci eravamo incamminati si rivelò più lunga di quanto avessimo immaginato. Ilyàs si era fatto silenzioso ed anch'io non morivo dalla voglia di sprecare il fiato. Dopo un'altra giornata di marcia, non sapevamo più cosa pensare di dove fossimo finiti.
'Ma quanto accidenti è grande quest'isola?' Chiesi a me stesso mentre mettevamo su l'accampamento per la notte. Su un foglio avevo cercato di tracciare una mappa del percorso già fatto, ma data la mia scarsità in materia, più lo guardavo e più mi sembrava un grosso scarabocchio.
“Ancora non l'hai buttata?” Mi prese in giro il mio compagno vedendomi pensieroso.
“In effetti è abbastanza inutile...” Sospirai.
“I casi sono due: o è proprio l'isola maggiore dell'arcipelago, e questo spiegherebbe perché siamo ancora a spasso, o semplicemente è un altro posto.”
“A questo punto una cosa vale l'altra.” Sapevo che da stanco dovevo essere insopportabile, quindi cercavo di parlare il meno possibile per non peggiorare la situazione. Frugai nella sacca delle provviste trovandoci gli ultimi pezzi di pane e formaggio e un po' di frutta secca. Quel giorno non avevamo avuto fortuna nella caccia, quindi ci accontentammo di ciò che era rimasto.
Dato che dovevamo passare la notte su una grossa via, decidemmo di dormire a turno e questo ci salvò la vita. Non saprei dire che ore fossero quando Ilyàs mi si avvicinò in silenzio indicandomi una direzione ben precisa. Senza indugiare, indossai subito la giubba di cuoio imbottito, mentre lui prendeva la mia spada a due mani. Per fortuna mi ero addormentato senza levarmi gli stivali e ciò ci fece guadagnare tempo utile per organizzarci. Ci spostammo nell'oscurità della foresta senza toccare nulla delle nostre cose, fino a trovare un buon punto di osservazione.

Dopo qualche minuto, esattamente dalla direzione opposta rispetto a quella da noi seguita, giunse un gruppetto di quattro persone. Mi resi subito conto però che non erano soli: l'ultimo della fila si era girato spesso indietro e dopo un po' anch'io, nella luce della luna, scorsi un movimento tra gli alberi pochi metri più in là, probabilmente avevano qualcuno armato di arco o balestra a coprirgli le spalle. Subito lo feci capire a Ilyàs, che senza esitare sparì letteralmente nelle ombre. Continuai ad osservarli mentre curiosavano nell'accampamento e un tipo alto e grosso che sembrava il capo cominciò ad imprecare sul fatto che ci fossimo accorti di loro.
“Non devono essere lontani.” Disse poi, sfoderando una spada dalla punta ricurva.
Proprio in quell'istante sentii l'urlo isterico di una ragazza e tutti tornarono allarmati sulla strada.
“Lasciami bastardo!” Si lamentava una giovane dai lunghi capelli scuri mentre il mio compagno la trascinava legata ai polsi. Notai subito come si fosse messo in spalla un arco e una faretra carica, probabilmente l'attrezzatura di lei. Subito corsi a mettermi al suo fianco con la spada in posizione di guardia.
“Perché ci stavate cercando?” Chiesi come se stessi interrogando dei prigionieri.
“Vi abbiamo sottovalutato. Avremmo dovuto attaccarvi prima in pieno giorno.” Rispose sputando a terra. “Chi siamo volete sapere? E dove vi trovate non ce lo chiedete? Abbiamo sentito i vostri discorsi, naufragi dei miei stivali. Per quanto mi riguarda per me siete soltanto merce nuova, o almeno dovevate esserlo.” Da come parlava sembrava un pirata, ma era più probabile che in passato avesse lavorato come mercenario in qualche flotta navale.
Rabbrividii mentre vidi lo sguardo di Ilyàs farsi gelido. “Quindi siamo ad Okasa e voi sareste mercanti di schiavi, giusto?” Più che una domanda sembrava un'accusa.
“Tutto vero e voi siete stati abbastanza abili da metterci in difficoltà, lo ammetto.”
“Facciamo così: noi liberiamo tua figlia e tu ci lasci andare in pace.” Proposi. In realtà non ero sicuro di quello che dicevo, ma data la somiglianza tra i due, decisi di rischiare.
“Figli di puttana! Non rischierò certo la vita della mia bambina. Diavolo! Può anche darsi che due come voi possano perfino rendersi utili da queste parti.”
Fui davvero sorpreso di come avesse accettato la mia offerta senza tentare di fregarci e come se ci avesse preso in simpatia, ci disse che mancava appena una mattinata di marcia per giungere alla capitale. Anche molto tempo dopo che furono andati via non riuscimmo più a dormire, aspettammo l'alba cercando di immaginare quello che avremmo fatto una volta giunti in città. Il fatto che fossimo in vista proprio della capitale ci aveva dato una nuova carica e ormai ci sentivamo pronti a tutto. Prima di rimetterci in marcia Ilyàs disse di voler inaugurare il nuovo arco per procurarci un pasto decente e quando si allontanò ne approfittati per rimettere le mani sul diario.

 

Memorie

 

Il mio primo anno nella colonia penale alla fine era andato piuttosto bene, certo, io ed Ilyàs dovevamo stare attenti a non farci scoprire, tant'è che i nostri “incontri furtivi” si limitavano a non più di volte al mese, ad ogni modo eravamo felici anche così. Se me lo avessero chiesto, avrei potuto dire in tutta tranquillità che in quel periodo da noi la guerra era sembrata lontana.
Le cose precipitarono con l'avvistamento delle prime navi da guerra orchesche a poche miglia dalle nostre coste. Inoltre, dato che la richiesta di minerale era arrivata alle stelle, furono portati parecchi altri detenuti, tanti che fummo costretti a riaprire alcune vecchie gallerie, quasi esaurite, pur di non averceli attorno tutto il giorno. Ormai, nonostante le nuove reclute, ci superavano di gran numero e ciò non fece che aumentare le tensioni e il malcontento, tanto tra le guardie che tra i reclusi.

Anche il comandante Kortega era diventato più nervoso ed irrequieto del suo solito, tuttavia non me la sentivo di biasimarlo: negli ultimi tempi avevano cominciato a verificarsi strani casi di sparizioni, sia di beni (minerale compreso) che di carcerati. Nel giro di un mese eravamo passati da una vita quasi tollerabile alla pressione più totale. Molti dei nuovi prigionieri erano criminali della peggior risma e più d'ogni altra cosa nell'aria sentivamo già la puzza di una ribellione imminente, al punto che noi guardie finimmo col raddoppiare le ronde notturne, invitando chi andava a riposare a tenere sempre e comunque un'arma sotto mano.
L'unica nota positiva nel 'bell'ambientino' che si era venuto a creare, era stata un miglioramento del generale Lian. Da solitario e taciturno infatti aveva cominciato a farsi delle lunghe chiacchierate, sia con noi che con gli altri prigionieri. Ad essere sincero io personalmente non sapevo bene che pensarne di quel cambiamento, l'unica cosa che potevo fare era di restare all'erta, tuttavia non potevo negare di provare una certa stima nei suoi confronti e di sperare che in qualche modo riuscisse a ripulirsi il nome. In tal proposito Ilyàs invece fu molto più critico, a dispetto del suo solito ottimismo, disse che probabilmente l'unica soluzione per il generale sarebbe stata la morte del Re.

Una mattina una squadra di ranger era tornata dicendo di aver individuato un accampamento di orchi lungo la costa bassa. Non seppero dire quanti fossero esattamente i nemici sbarcati perché avevano già iniziato a costruire un imponente palizzata. Scoprirono però che alcuni di loro parlavano la nostra lingua, per averli visti trattare con alcuni contrabbandieri. Devo dire che quella notizia mi mise subito le pulci nelle orecchie. 'Prima spariscono i beni, poi compaiono contrabbandieri ed orchi?' Non ci voleva un genio per capire che le due cose fossero in qualche modo collegate. Era evidente che nel forte c'era una talpa e ora dovevamo scoprire chi fosse, quindi andai subito a parlarne con il comandante.
“Sono tempi duri.” Rispose quando terminai di esporgli i miei dubbi. “Ti autorizzo a fare qualche indagine se proprio ci tieni. Basta soltanto che ciò non interferisca col tuo lavoro.”
Quando uscii dal suo ufficio mi venne uno strano formicolio sulla nuca, era quella tipica sensazione che provavo ogni volta che qualcuno mi nascondeva qualcosa. In effetti si era comportato in modo diverso dal suo solito. Dopo il mio resoconto infatti mi sarei aspettato una sfuriata “contro ignoti”, invece non aveva fatto una piega. Decisi così di andare a fondo dell'intera faccenda. Mancava poco al giorno del mese in cui andava personalmente ad ispezionare le gallerie, così ebbi tutto il tempo di mettermi d'accordo con un caporale mio amico per coprire i miei spostamenti. Sapevo bene che di guardia alle sue stanze c'era forse il più avido di tutti i secondini avessi mai conosciuto. Oltre ad inventarmi di aver dimenticato di aggiornare un registro dovetti cacciar fuori cento pezzi d'oro per poter entrare a dare un'occhiata. Quando mi fui quasi arreso, in uno scomparto segreto di un armadietto trovai infine un piccolo quaderno con alcune annotazioni di date, somme di denaro, quantità di minerale e alcuni nomi. Copiai alla svelta le ultime pagine e tornai subito al mio giro di pattuglia. Pagai allo spilorcio un extra affinché mantenesse il segreto della mia visita, sperando di non aver buttato i miei soldi. Tuttavia ne era valsa la pena, avevo appena fatto una scoperta che cambiò in modo radicale e per sempre la mia idea di “giustizia”. I nomi che avevo copiato infatti erano tutti di detenuti abbastanza giovani ed in salute e metà di loro figurava già tra gli scomparsi. In quella lista era presente anche il mio amato e la cosa mi mandò su tutte le furie. 'Che diavolo poteva significare? Dove erano spariti tutti? Era lui il prossimo?'

Nei giorni seguenti parlai con quelli di cui mi fidavo e in breve i miei sospetti diventarono certezza. Mi confermarono che tra gli orchi era praticata la schiavitù nei confronti delle altre razze e spesso erano bendisposti anche alla compravendita. Come un boccalone ero stato cieco e sordo ai vari segnali, invece dietro quello sporco traffico c'era proprio il comandante. Era evidente che Kortega avesse usato i contrabbandieri per fare da tramite con gli orchi. Diverse guardie prima di me lo avevano sospettato, limitandosi a scherzarci sopra, ma avere sotto mano le prove della sua colpevolezza cambiava tutto. Non avevo bisogno di pensare per sapere quale sarebbe stata la mia scelta: non avrei mai permesso a nessuno di toccare Ilyàs. 'Al diavolo tutti quanti!' Mi dissi.
Investii diverse monete e pasti decenti per corrompere i carcerati più insidiosi, scoprendo che proprio il generale Lian stava organizzando la tanto temuta ribellione. Una notte, molto tardi, lo andai a trovare nella sua cella, dicendogli apertamente che non lo avrei ostacolato, ma che se non voleva rogne, avevo bisogno di tutte le informazioni di cui disponesse. Anche lui nel tempo aveva messo su una bella rete di contatti, mi diede perfino il nome di uno dei contrabbandieri sulla costa e il luogo dove lo avrei potuto trovare. Le mie intenzioni erano molto semplici: appena si sarebbe scatenato l'inferno, me la sarei squagliata con Ilyàs.

Probabilmente il mio incontro con il generale aveva accelerato i tempi, ad ogni modo mi ero già preparato due sacche colme di rifornimenti e di tutti i miei risparmi. Come avevo immaginato, la rivolta cominciò una sera poco prima del tramonto, all'ora in cui il grosso dei prigionieri, dai tunnel veniva riportato alle celle. Non era stato troppo difficile uscire di soppiatto in mezzo a tutto quel caos: il fumo degli incendi appiccati come diversivo e le urla di chi era rimasto ferito durante gli scontri erano stati un'ottima copertura.
In realtà furono momenti rapidi, tristi e confusi, ricordo ancora lo stupore nello sguardo di Ilyàs quando lo recuperai per tagliare la corda e le sue risate mentre correvamo nella notte verso l'approdo dei contrabbandieri. 'Il bravo soldatino che pensa al proprio tornaconto!'' Mi canzonò tante di quelle volte, che per poco ci mettemmo a litigare, tuttavia alla fine anch'io non riuscii fare a meno di farmi una risata, anche se amara, sul fatto che alla fine in un certo senso avevo scelto di schierarmi dalla parte dei detenuti.

Quando raggiungemmo l'insenatura, l'equipaggio della nave era impegnato nei preparativi per salpare, il loro capitano infatti, avvistati i fumi che si levavano dal forte, aveva capito subito che le cose per i loro affari si erano messe male. Purtroppo non era l'uomo di cui mi aveva parlato il generale, tuttavia grazie a un colpo di fortuna, riuscimmo a farci ascoltare. Non appena ci videro infatti, avevano sfoderato le armi pronti a massacrarci e io in un folle momento di disperazione mi ricordai una parola d'ordine che avevo letto nel quaderno del comandante.
“Come conosci il nostro codice?” Mi chiese incuriosito il contrabbandiere. Risposi che in realtà non lo conoscevo affatto, ma lo avevo scoperto per puro caso e dopo almeno un quarto d'ora di estenuanti trattative, lo convincemmo a farci salire a bordo.

 

Epilogo.

 

La città di Okasa, che dava il nome all'intero arcipelago, era a dir poco splendida, verdeggiante come la foresta che l'aveva preceduta, pulita e piena di canali. C'erano fiori in tutte le aiuole e arrampicati ad ogni muro, l'aria aveva un profumo così fresco che ci bastò un respiro per capire subito di aver trovato il nostro piccolo paradiso. Prima di contattare il prefetto passammo qualche giorno in una locanda per darci una bella ripulita e quando fummo certi di essere nuovamente presentabili, dopo aver speso le nostre ultime monete in abiti migliori, chiedemmo un appuntamento in tribunale. Era stato facile trovare quell'edificio: una palazzina di tre piani dal tetto verde, su una grande piazza accessibile a tutti.
Avevo raccontato la mia storia con tutta la sincerità che potevo, spiegando che alla fine stavamo solo fuggendo dalla guerra e dicendo che il mio amico aveva già scontato la sua pena in un carcere ormai fuori controllo ed auto governato dagli stessi detenuti. Il regno che ci eravamo lasciati alle spalle era praticamente invaso dagli orchi e in rovina, mentre tutto quello che chiedevamo era l'opportunità di rifarci una vita tranquilla. L'uomo che ascoltò le nostre suppliche, perché alla fine di questo si trattava, fu molto comprensivo. Inizialmente ci diede un permesso temporaneo, poi nel giro di qualche anno riuscimmo a diventare cittadini a tutti gli effetti. Io, non avendo altre specializzazioni, ripresi a fare la guardia cittadina, mentre Ilyàs che si mise d'accordo con i fabbri e gli artigiani locali aprì una bottega di armaiolo, oltre che nel commercio il mio amico si era rivelato piuttosto abile anche nel riparare armi da taglio e armature leggere.

 

***

 

A quasi cinquanta anni di età potevo dire che quella che inizialmente avevo considerato come una follia, era stata la scelta più saggia che avessi mai fatto. In un modo o nell'altro avevamo conquistato una vita felice. Pochi giorni fa, nella soffitta della nostra casa ritrovai il mio vecchio diario e devo dire che provavo davvero una strana sensazione a stringerlo in mano dopo tutto quel tempo. Da quando io ed Ilyàs ci eravamo sistemati ad Okasa, non avevo più avuto nemmeno il tempo di guardarlo e in realtà ero stato talmente occupato, che non ci avevo più pensato a continuare il mio racconto.

Quella sera ci sarebbe stato lo spettacolo di una compagnia di attori girovaghi ed io e il mio compagno, incuriositi dal titolo, La leggenda del generale Lian Gorn contro i draghi di Khora.”, non potevamo assolutamente perdercelo. Il generale, un po' come mi aspettavo, era diventato famoso e i bardi ne cantavano le gesta ad ogni angolo di strada. Il palcoscenico era stato allestito nella stessa piazza che ospitava gli edifici pubblici e noi ci piazzammo là con almeno due ore d'anticipo perché volevamo un posto in prima fila.

 

[ Quando si alzò il sipario potemmo ammirare una bella scena di corte con un castello sullo sfondo. Il generale, interpretato da un attore un po' avanti con gli anni, sedeva a un tavolo assieme al Re e a tutti i nobili. Il tradimento del sovrano fu messo in scena con la comparsa di un fulmine oscuro e vedemmo l'eroe venire trascinato via in modo brutale dalle guardie aizzate da una folla realizzata con sagome di legno.

Nella seconda scena, fu proposto un generale che già comandava la colonia penale dell'isola di Khora. Era evidente che la sua vita come prigioniero non era stata presa in considerazione e il narratore ne aveva dato appena qualche cenno, mentre si allestiva il palco per il proseguo della storia. Notammo subito come la valle delle miniere era stata rappresentata circondata da una barriera magica, probabilmente il governatore aveva chiesto l'intervento dei maghi del fuoco per cercare di arginare il problema. Da ciò che vedemmo in seguito, l'incantesimo fu annullato abbastanza velocemente e il generale si trasferì in una delle grandi fattorie circondato dai migliori combattenti, formando così una compagnia di mercenari noti come “Cacciatori di draghi”.

Nel terzo atto si raccontò di come, poco dopo la caduta della barriera, comparvero davvero i draghi. Ben quattro che presero possesso dell'intera valle dove un tempo sorgeva la colonia penale. Il loro potere magico era talmente grande da aver cambiato perfino la geografia del luogo. Nella tana del drago del fuoco ad esempio era sorto un vulcano, mentre quello di ghiaccio aveva fatto cadere la neve ed il gelo per almeno due miglia dalla grotta dove si nascondeva. L'unico modo per affrontarli e sconfiggerli era di ottenere la benevolenza del dio del fuoco, attraverso un amuleto che egli stesso consegnò agli uomini duecento anni prima. L'eroe riuscì a portare a termine l'impresa soltanto dopo aver ottenuto l'approvazione del monastero, il cui priore faticò non poco a credere che proprio il generale era stato prescelto dal dio.

A dire il vero non so quanto ci fosse di vero nella storia dei draghi, ma immaginai che uno come Gorn sarebbe stato capace di tutto.

La rappresentazione si concludeva con l'eroe che, accompagnato dai suoi fedeli amici, si imbarcava per tornare nelle terre centrali a combattere gli orchi e reclamare ciò che gli spettava di diritto. ]

 

Dopo lo spettacolo, prima di tornare a casa cenammo in una locanda dove ci lasciammo andare a una lunga chiacchierata. Era stato bello ascoltare la parte della storia che ci mancava, lo dico perché il finale in realtà lo avevamo scoperto dieci anni prima. Lian Gorn non solo era riuscito a sconfiggere gli orchi, mettendo assieme il più grosso esercito avesse mai camminato per le terre centrali, ma uccise anche lo stesso Re vigliacco e corrotto, per diventare egli stesso il nuovo sovrano.

Confesso che in quel periodo io ed Ilyàs fummo tentati di fare a ritorno a casa, tuttavia sapevamo bene che avremmo trovato soltanto un regno distrutto e martoriato da una guerra durata quasi vent'anni. Inoltre, difficilmente la gente che ci aveva visto crescere, contrariamente a dove stavamo vivendo, avrebbe accettato di buon grado la nostra relazione. In fin dei conti noi due eravamo stati soltanto dei figli adottivi per la città di Myrthara e farsi delle stupide illusioni avrebbe soltanto fatto soffrire entrambi.
Alla fine, nel periodo più buio nella storia di quello che per molto tempo avevo considerato come il mio paese, anziché rimanere a combattere gli orchi, avevo scelto di fuggire con la persona che amavo più della mia stessa vita e se da una parte non riuscivo a perdonarmi, considerandomi un vigliacco, dall'altra invece ero sicuro di aver fatto la cosa giusta.
“Non ti sopporto quando fai tanto il filosofo, Jan!” Sbottò Ilyàs dopo aver ascoltato i miei stupidi discorsi. “Metti che fossimo tornati a combattere, secondo me ci avrebbero fatto fuori alla prima battaglia e anche se ce la fossimo cavata, come avremmo vissuto? Magari mezzi morti di fame, nascondendoci da tutti gli stupidi pregiudizi su chi è bene portarsi a letto o meno. Ti sei già dimenticato di come ci trattavano da ragazzini? D'accordo tu non eri troppo preso di mira perché almeno avevi una famiglia rispettabile, ma un bel soprannome te l avevano affibbiato lo stesso, o no?!”
“Dannatamente vero.” Risposi levando il calice alla nostra felicità, nonostante tutto infondo ce l'eravamo guadagnata.





Pensieri a mezz'aria...

Ed eccoci alla fine.
Devo dire che ero molto tentata di pubblicare la storia dividendola in almeno due capitoli.
Spero soltanto che non sia stata troppo lunga e pesante da leggere.
Ovviamente spero anche che in qualche modo vi sia piaciuta e vi abbia fatto capire quanto ho adorato
l'universo di Gothic ^_^
Non so se in futuro farò una FF vera e propria sull'eroe senza nome, anche perché ci sono 4 titoli
ed un mondo abbastanza complicato... :P
insomma: mi sembra faticoso al solo pensarci anche perché il mio tempo per scrivere è davvero misero...
Ancora grazie a tutti per essere arrivati fin qua !
A presto.
Ciao ciao
Lara XD





 

  
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