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Autore: Final_Sophie_Fantasy    06/02/2016    1 recensioni
Una serie di pochi capitoli dove i tre giovani eroi di Baron dovranno affrontare i loro incubi più profondi e nascosti.
È la prima storia che scrivo su questo genere, quindi potrei zoppicare un poco. Come rating sarebbe più rosso che arancione, ma ho voluto renderlo più accessibile.
In via di illustrazione!
Buona lettura!
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cecil Harvey, Kain Highwind, Rosa Farrell
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era tornato solo.
Solo come era stato al principio di tutto. Non che gli fosse mai stato estraneo quello stato di essere. Ma in quel momento, lo era più che mai.
Si sarebbe aspettato di tutto da quel bosco, ma mai che gli rubasse anche gli amici.
Quella foresta era divenuta ladra del suo tempo, della sua infanzia, e ancora gli prendeva inesorabilmente le ore della sua vita. Un furto che lui gradiva e permetteva.
Concedeva al silenzio e alla natura di avvilupparlo con catene infrangibili, lo teneva imprigionato lì, lo rendeva una parte di sé, un amico e un compagno. La sua casa che lo rapiva. Questo era diventato per lui il bosco vicino a Baron.
Scappava lì, quando gli occhi del genitore si spostavano lontano dai suoi. E sorrideva.
Ma ora che la natura aveva osato troppo, lui si sentiva in dovere di rivoltargli contro il suo disprezzo. Con lui poteva giocare, con Rosa e Cecil neanche un po’.
Loro erano intoccabili, loro erano giusti, loro erano puri.
Lui no.
Loro dovevano tornare indietro per forza, Cain, invece, poteva restare nell’oscuro per quanto voleva, le tenebre della notte non lo ferivano affatto.
E combattendo contro il buio, la sua ricerca era iniziata, silenziosa. Dopotutto, gridare non sarebbe servito in quel vuoto. Non che cercare così superficialmente fosse meglio.
Ma una parte di lui condivideva quella tetra quiete, la sua mente non si poneva quasi più la domanda di dove fossero i suoi amici… perché lui cercava qualcos’altro. O almeno, questo era la spiegazione che dava al suo comportamento.
 
« Dillo… »
Cain diventò di masso sul posto.
Sguardo basso.
Occhi rossi infissi sul terreno.
Quella voce… L’aveva sentita davvero?
Il silenzio accolse le sue orecchie e nel petto sentiva di aver trovato qualcosa. Il fine della sua inconsapevole ricerca era vicino.
« Dillo che mi vuoi… »
Rimase fermo, la nebbia sembrava diventare più fitta.
« Dillo che hai bisogno di me… »
Ma… quella voce… era così simile alla sua. Era così poco distante, così affiata su di lui, così oppressiva e sensuale.
I suoi occhi andarono a spalancarsi, le pupille a ristringersi dalla consapevolezza, mentre nell’animo sentiva un peso crescere e alle spalle una pressione d’aria, una presenza.
« Dillo… » Un fiato soffiò sull’orecchio.
Cain scattò e con il bastone colpì alle sue spalle. Ma il legno tranciò solo l’aria con un basso fischio.
Il cuore batté forte.
Gli occhi vagavano nella nebbia.
« Perché hai paura? »
Cain sobbalzò ma scosse il capo.
Nessuno poteva osare di dirgli che aveva paura. Lui non ne aveva.
« Non ne ho! » Disse, rispondendo a chi lui ancora non conosceva né vedeva.
« Perché ti illudi da solo? Sapevi che sarei venuto. L’hai sempre saputo. »
Lui strinse i denti e si muoveva verso ogni direzione, cercando ancora.
« No… »
Ci fu una risatina ghignosa di bambino.
« Chi sei!? » Urlò Cain.
Cercava. Con vista, orecchie, animo.
« Che intransigente sei! Non credevo mi volessi così tanto. »
Lui sospirò.
Si fece coraggio, pronto a vedere qualunque gli si fosse parato davanti:
« Sì! Voglio vederti! Ti voglio! Vieni e mostrati! Codardo! »
L’ultima potevo risparmiarmela…, pensò, sentendo l’atmosfera scendere fitta in un’afa di tenebra.
Vide la nebbia muoversi davanti ai suoi occhi e strinse il bastone.
Il velo lattiginoso si raggrumò in lunghe e sottili composizioni che si unirono a formare uno scheletro. Si solidificarono in ossa, sopra le quali crebbero organi, muscoli ed infine uno strato di pelle nera.
Una figura.
Un bambino.
Cain perse il respiro.
Era lui.
Il suo clone era chino su sé stesso, poggiato su gambe instabili, coperto di pantaloni e maglia ridotti a stracci marci. I lunghi capelli erano disordinati, raccolti in una coda identica alla sua, neri invece di biondi.
Il capo si mosse, un’inquietante scricchiolio venne dal collo.
Comparvero due occhi cupi, solo l’iride rosso brillava in quelle che sembravano orbite vuote. Lo fissarono di sottecchi, sulla sottile bocca un sorrisino.
Cain non poté risparmiarsi un passo indietro quando lo vide portarsi composto nella postura in un continuo suono di ossa mosse ed incastrate mentre prendevano posto.
« Ciao, Cain. » Disse la figura, con la sua stessa, identica, voce.
Lui non rispose.
Vide il capo scuro chinarsi di lato, il sorriso incancellabile dal suo volto:
« Ti stupisci? »
« Cosa sei? » Chiese, la voce ora meno decisa.
« Sono te. »
« Non scherzare. Faccio sul serio. Dove sono Cecil e Rosa? Cosa gli hai fatto? » Replicò.
« Non lo so e non mi interessa. » Fu la risposta che sembrò venire dalla stessa persona.
« Lo so che sei stato tu! » Disse Cain a voce più alta, infastidito che i loro toni fossero così uguali.
Ricevette una scossa di capo come risposta.
Cain montò sulle furie e sapeva che presto avrebbe perso il controllo.
« Sei un mostro… » Disse, tornando sull’argomento iniziale.
« Non credevo che ti avrei stupito così tanto. Credevo mi conoscessi abbastanza. Ma d’altronde sei ancora un bambino incosciente. » Disse la figura, diventando seria solo per un istante.
« Smettila di parlare così! Dimmi cosa sei, una volta per tutte! »
Una serie di bianchissimi e luminosi denti comparve dietro le labbra ritratte in un sorriso. Cain gelò come vede due canini lunghi come zanne brillare.
« Come hai cominciato a vivere, così io ho preso a condividere questa tua esistenza. Le tue emozioni, i tuoi pensieri, i tuoi ragionamenti, le tue sensazioni sono parte di me. Io solo un contenitore della tua energia oscura che porti in corpo. Un tempo questo tuo potenziale non era abbastanza per permettermi anche solo di possedere un corpo, ma ora che ne hai nutrita a sufficienza, sono stato capace di costruirmene uno materiale. » Si guardò le mani nere, dalle vene attraversate di sangue oscuro « Devo dire che non avevo mai provato una pesantezza del genere… Sei più leggero nel corpo che nell’animo… il tuo odio pesa di più… »
Sorrise, guardandolo con occhi socchiusi.
Cain stava ancora rimuginando sulle sue parole.
Non voleva credergli, ma sentiva dentro che non stava affatto mentendo.
« Di che odio parli? Io non provo alcun odio. » Disse, sentendo di dire il falso.
« Oh, tu ne provi. E posso anche elencarti verso chi… la tua lista non ne è sprovvista. » Gli occhi divennero improvvisamente sinceri, seppur ancora ridenti di una perversione che stava andando crescendo nel semplice sguardo « L’odio che provi per nostro padre. Lui non ci tratta come dei normali bambini e da una parte nemmeno lo vogliamo. Vogliamo invece la fama, la forza, l’onore che cerchiamo con le nostre sole capacità. Richard non deve interferire con la sua serietà e con il pugno di ferro. E ti dirò di più: la sorte ci verrà incontro. Il Capitano dei Dragoni morirà in sella al suo glorioso drago, l’armatura d’oro non lo difenderà dalla volontà di suo figlio… »
Cosa dice? Cosa diavolo sta dicendo!? Pensò, ma quando gli nacque la domanda se davvero lui provava questo per suo padre, preferì quasi non sentire la sua stessa risposta.
« E c’è l’odio per il tuo amico. » Sorrideva e lui aveva gli occhi sbarrati « Sì… Cecil… Perché lui avrà il trono, avrà il potere, avrà un regno, avrà una flotta, il potere di un Cavaliere delle Tenebre, un cavaliere oscuro che dominerà su tutto e avrà al fianco la sua donna… la nostra donna. »
Rosa…
« Esatto… lei… il nostro amore, il nostro desiderio. Ma tu sei un cuore buono, morbido, tenero, dietro quella scorza che ti fai giorno dopo giorno, con il rimorso di non poterle dire “ti voglio bene” perché è arrivato per primo il tuo amico a confessarglielo. »
Cain sentì un dolore al petto: quelle parole lo ferivano e rendevano i suoi occhi doloranti per il rimpianto che sentiva premere dentro.
« Lo faccio perché voglio bene ad entrambi. Voglio che stiano bene e farò di tutto per mantenerli felici come sono ora. »
« Permettendoti di marcire e di morire nel dolore che ti procuri da solo? » Fu la domanda.
Cain chinò il capo.
Corrugò la fronte e gli occhi nacquero di determinazione. Quella era una convinzione su cui non vacillava:
« Sì. »
La figura s’avvicinò in un lugubre passo ciondolante che sparì quasi subito come le gambe trovarono equilibrio. La distanza improvvisamente diminuì in un battito d’occhio.  Come Cain lo vide torreggiare su di lui, alzò il bastone in orizzontale per difesa e due mani nere lo afferrarono. Un collo magro si sporse verso il suo viso, pochi centimetri di distanza.
« Un giorno morirai per questo se non ti lasci andare! » Disse l’oscuro bambino.
« Se questo aiuterà a far sparire anche te! » Gridò in risposta Cain, cogliendo l’occasione per sputarglielo in faccia.
Il clone sembrò rimanere più stupito dal suo coraggio che offeso.
Ma proprio quando Cain pensava di aver avuto la prima soddisfazione, in risposta arrivò uno sguardo perverso, sensuale, desideroso… affamato.
« Sarò io a costringerti… » Gli sussurrò a fior di pelle « Prova a resistermi… »
Cain fissò la creatura negli occhi, così simili ai suoi, così desiderosi, così… reali. Erano una calamita, non riusciva a staccarsi dal suo sguardo famelico.
Il corpo nero premeva su di lui, spingendolo in basso, facendo piegare le gambe. E nel petto sentiva un peso, quasi il clone cercasse di sopraffarlo anche nell’animo.
Cain oppose resistenza, risvegliando i sensi e strinse i denti: la creatura non cedeva.
I denti bianchi e le zanne al posto dei canini ricomparvero, vicinissimi alla sua pelle. Il mostro rise, divertito dalla sua ingenuità. Lui non poteva sostenere quella risata che cresceva e prese a strattonare il bastone tra le loro mani, cercando un distacco.
« Lasciami… lasciami! » Mugugnava nello sforzo di opporsi.
Ma l’intera situazione lo lasciava confuso, lo rendeva più debole di quanto volesse.
E quegli occhi… quell’immagine di specchio resa oscura era traumatizzante, ma mai quanto sentire la sua voce incrinarsi in quel desiderio perverso.
Il suo contegno era sempre andato prima di tutto all’atteggiamento, al portamento e al tono, mai incrinato di una nota. Ma sapere che sarebbe stato capace di storcerla in tale maniera… lo faceva sentire lui stesso un mostro.
Le mani del clone erano ferree sul bastone e sembravano non volerlo lasciare per nessuna ragione. La risata malefica ormai raggiungeva un tale tono che gli feriva le orecchie.
Vide la figura prendere improvvisamente la situazione in mano e lo spinse violentemente indietro.
Lui non sarebbe mai caduto se gli occhi fossero stati catturati dai canini sguainati di nuovo.
Si trovò per terra, costretto contro un albero. Il bastone era sfuggito dalle sue mani.
Portò una mano alla fronte, gli girava la testa improvvisamente.
Quando alzò lo sguardo gli occhi rossi del clone lo guardavano pieni di gioia perversa. Volle muoversi, ma in un istante il corpo del mostro gli bloccò la via di fuga. Ora che era chino, quasi addosso, a lui, Cain poteva chiaramente vedere le costole spuntare sotto la pelle, i fianchi ristringersi eleganti sotto la maglia blu notte strappata. Le gambe magre e nude sfioravano le sue, facendogli sentire una pelle ruvida e fredda. Le mani avevano preso a stuzzicare lo scollo della maglia.
Cosa sta facendo? Perché non lo sto fermando? Si chiedeva, guardando in basso non trovando più coraggio dentro di sé.
« Perché nessuno può ritrarsi da me. Tu mi vuoi. » Rispose la sua voce in un sussurro che gli fece accapponare la pelle.
Cain alzò lo sguardo.
Ora i suoi di occhi erano diventati quasi supplichevoli, avevano perso il ghiaccio in loro, sciolto, e ora erano quelli di un bambino perso e che chiedeva pietà.
La creatura fu spietata e una mano gli prese il mento, bloccandogli la testa:
« Vediamo quanto resisti al tuo lato oscuro… alla mia tentazione… » Replicò con voce impercettibile.
Cain lo vide chiudere gli occhi di sangue e avvicinarsi ancora. Vicini. Ancora. Ancora…
Sentì delle labbra ruvide premere contro le sue e scattò all’istante indietro, trovando però il duro del legno che lo bloccò. Nel panico, le sue mani fiondarono in un lampo alle spalle del clone, afferrandolo con le unghie e spingendolo lontano. Ma l’oscura figura era irremovibile, le mani nere gli correvano sui fianchi, facendolo impazzire.
Sentiva la saliva della bestia imbrattargli la bocca come un veleno, la faceva bruciare, ustionante. E il clone volle di più, premendo di più, come se volesse sbranarlo sul posto. I denti scintillanti presero a torturargli la lingua, affilati come coltelli, ferendolo, facendolo gemere in lamenti soffocati che sentiva riecheggiare in entrambe le gole.
Mosse le gambe per cercare di allontanarlo almeno con i calci, ma sentì un ginocchio spigoloso premergli in mezzo alle gambe e bloccarlo dallo stupore.
Non puoi resistermi… Non puoi scappare da ciò che sei… Puoi solo godere di ciò che ti sto offrendo… , sentiva ripetere nella sua testa dalla sua stessa voce.
Non cadrò… non devo! Si gridò.
I denti strinsero sulla lingua, schizzando il suo sangue nella bocca di entrambi, mischiandosi alla saliva velenifera, colando ai lati della sua bocca.
Cain contenne un grido tra il dolore e il disgusto.
Combatti quanto vuoi Cain Highwind… Tu non avrai mai la vittoria… Solo il piacevole dolore della mia esistenza in te.
Cain sentì la bocca concedergli aria solo dopo pochi minuti, che lui passò combattendo contro una parte di lui che gli sussurrava di cedere.
Si ritrovò ansante, cercando ossigeno. Ma intorno a lui non ce n’era molto, come se fosse rinchiuso da ore in una scatola. Sudava. Il sangue gli imbrattava le labbra, scivolando e gocciolando dal mento.
Gli occhi luminosi del mostro lo fissarono, vicinissimi, terribilmente uguali ai suoi.
La bocca famelica scivolò a fior di pelle sul suo collo e Cain capì.
Vide chiaramente lo scintillio dei denti e si dimenò, scoprendo di non poter più parlare per la lingua dolorante e sanguinante. Ma il ginocchio nei punti bassi lo costrinse di nuovo all’immobilità.
E li sentì premere contro la carne. Bucarla come aghi e penetrare.
Cain gemette, ormai senza più contegno.
Il collo divenne rigido, il dolore insopportabile, lui impazzì, raggiungendo la soglia.
Afferrò i capelli neri e li tirò; la risata divertita e soffocata del mostro lo fece vibrare fin nelle ossa.
Il sangue caldo prese a colare e la bocca ruvida prese a succhiare, bramosa di quel sapore ferreo, senza concedere ad una sola goccia di scappargli.
Cain era distrutto, sull’orlo del cedimento. Avrebbe voluto piangere, ma non se lo voleva concedere: le lacrime non avrebbero risolto nulla. Al clone non sarebbe arrivato nessun segno di compassione, solo gioia nel vederlo perdersi. Ma la debolezza a cui era costretto lo traumatizzava, lo sfiniva, lo feriva.
Non credevo che il mio sangue fosse così buono…, sentì la sua voce in testa.
Strizzò gli occhi, strinse i denti, le unghie graffiarono la sottile pelle nera delle spalle mostruose.
Rabbia.
Rabbia.
Rabbia e ancora rabbia.
Non avrebbe permesso una tale sottomissione. Non una tale sconfitta da sé stesso. Non queste ferite generate soltanto da lui. Se avesse ceduto, Cecil e Rosa sarebbero stati le prossime vittime a subire questa tortura e lui non sarebbe più stato capace di controllarsi. Il solo pensiero di vedere i suoi amici al suo posto, tra le grinfie di quell’orribilità lo fece imbestialire. Le lacrime di Rosa traumatizzata e supplicante, gli occhi azzurri di Cecil guardarlo con un profondo senso di tradimento.
No, mai.
Mai avrebbe permesso questo.
Mai!
Mai!
Caricò tutta la sua forza d’animo in un pugno e con un colpo preciso, affondò nel ventre del clone, urlando contro il dolore:
« MAII!! »
La creatura fu strappata violentemente dalla sua attaccatura da sanguisuga, e rilasciando una scia di sangue fresco fu spinta via, lontano, rotolando nella polvere e nella nebbia lattiginosa.
Cain aveva le gambe che tremavano, dolore ovunque, ma si alzò, reggendosi e strisciando contro l’albero dietro di sé. Gli occhi furibondi impalati contro il mostro nero che si rialzava, emergendo dal velo bianco.
Si guardarono.
Poi la creatura sorrise:
« Ah… che illuso sono… »
Cain gli si sarebbe avventato contro, desideroso di spargere il suo di sangue. Ma sapeva di non essere in forze  per fare ciò. Si limitò a deturpare la faccia colante sangue in un ringhio tanto feroce da sembrare pazzoide.
« Tutti questi sforzi non ti serviranno a niente. » Replicò ancora, alzandosi in piedi « Io crescerò con te, diventerò tanto forte quanto lo sarai tu, diventerò l’onore e l’incubo di Baron allo stesso tempo, diventerò amico e nemico dei miei amici, diventerò forte e debole allo stesso tempo. »
« Tu sparirai. Per sempre! Perché sarà la mia volontà a non permetterti più nulla! » Gridò lui in risposta, massacrando la lingua per lo sforzo a cui la sottoponeva.
Tornò quel sorriso maligno:
« Fino al giorno in cui qualcuno non aprirà la mia prigione… e mi scatenerà contro coloro che tu ami. E tornerò ancora, fra molti anni. E tu mi rivedrai, in uno specchio, tornare in questa forma, con questa voce, a chiamare il tuo nome… a tradire quelli a cui più tieni. E dal momento in cui verrò liberato, tu non avrai più pace. »
« Non permetterò a nessuno di farti ritornare. E se lo incontrerò, lo ucciderò! » Sentiva di poter tenere il confronto.
Ma il corpo del bambino fu improvvisamente scosso in convulsioni, un dolore cresceva dentro il corpo oscuro e Cain lo vide gemere ed emettere un ultimo grido mentre s’impiantava le dita nelle tempie, come una spina che gli trafiggeva la testa.
Il corpo magro crebbe di misura e venne coperto di un’armatura nera, un enorme mantello lo coprì ai suoi occhi. E quando il tessuto fu scostato da un braccio, la trasformazione era completata, rivelando un uomo imponente, torreggiante su di lui, un elmo cornuto e il volto coperto da una sottile visiera oltre il quale brillavano ancora i suoi occhi rossi.
Cain tremò ed ebbe paura.
La voce che ne venne fuori  fu una fusione tra la sua e quella bassa e potente di un uomo:
« Ricorda questo volto, Cain! Perché un giorno tu dovrai trovare il coraggio di affrontarlo, resistergli ed eliminarlo! »
La sua risata invase la foresta. Divenne austera mentre l’elmo sembrava venire bruciato via in cenere per rivelare ancora la copia del suo volto infantile.
All’improvviso, la figura prese a levitare.
Gli si fiondò addosso con le zanne aperte in un grido acuto, i denti ed i canini scintillanti. Cain volle coprirsi ma non fece in tempo e si sentì venire spinto lontano.
Rotolò per metri e metri, l’urlo pazzo ancora nelle orecchie, mentre il mondo vorticava.
Quando si fermò, al petto sentiva un fortissimo dolore, tanto che portò la mano in quel punto emettendo lamenti contenuti.
Rimase così, dando la schiena tremante al cielo invisibile, il viso nascosto nel braccio steso e le dita contratte sul suo corpo, il sangue a sporcargli i vestiti.
Tutto intorno a lui era silenzio.
Il silenzio che lui conosceva.
La foresta che lui conosceva.
La ladra che tornava a derubarlo del tempo.
E lui tornò a desiderare quel furto eterno.



 

Salve a tutti!
Scusate l'immenso ritardo di qualche mese ma l'ispirazione proprio non veniva ed essendo Cain il mio personaggio preferito ci tenevo molto a scrivere bene questo capitolo. Fa strano, non scrivo quasi mai cose così, ma non è dispiaciuto poi così tanto. Provare non fa male, giusto? Grazie al cielo esistono musiche che sanno far venire le idee! :D
Bene, al prossimo capitolo! 


 
   
 
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