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Autore: Barbara Baumgarten    06/02/2016    4 recensioni
Quello dei Templari è un ordine al servizio della dea Desna, principale divinità del regno di Anthurium, il cui scopo è combattere le forze oscure e le creature del Male. Alistair è un Templare di grande esperienza eppure commette un errore: viene morso da un vampiro. E' consapevole del destino infausto al quale sta per andare incontro e per questo decide di non consegnare la sua anima al Male. Questa OS narra gli ultimi istanti di vita del Templare... la sua ultima crociata.
Storia partecipante al contest "L'inizio e la fine di ogni cosa" di ManuFury.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fu senza accorgersene che si ruppe. In un secondo la sua spada si frantumò contro le resistenti squame delle Viverna. Era un segno e lui l’accettò con onore. Chiuse gli occhi e attese il colpo di grazia. Sentiva la bestia ruggire e dimenarsi pronta a fare di lui l’ennesima vittima.

Poi accadde. Una luce. Un bagliore accecante si sprigionò dall’elsa della spada che ancora teneva in mano e la bestia scappò rapida, come fosse inseguita da qualcuno. L’uomo guardò la pietra incastonata tra le fauci di un Basilisco che elegante avvolgeva l’intera impugnatura della spada e capì. Tante storie aveva sentito raccontare su quell’arma che un giorno d’inverno apparve a lui come evocata da una forza. Si diceva che la spada raggiungesse i puri di cuore conferendo l’immenso potere di spaventare le bestie oscure. Eppure, dal primo momento che l’aveva impugnata, aveva capito quanto quelle storie fossero solo frutto di una magnifica fantasia: lui non era un puro di cuore. Lui era un Templare dell’Ordine di Desna, un uomo addestrato per uccidere e nelle tante missioni alle quali aveva preso parte mai una volta si era sentito puro. Con gli occhi cercò il tatuaggio che aveva segnato la sua appartenenza all’Ordine. Lo trovò nascosto fra le macchie di sangue della Viverna: un cerchio perfetto. Era il simbolo dei Templari, ciò di cui per lungo tempo era andato orgoglioso. Ma ogni cosa ha la sua fine e la rottura della spada aveva segnato la sua.

Si rimise a cavallo, faticando a trovare la forza necessaria per issarvisi, mentre la ferita al collo pulsava e sgorgava sangue. Non era stata la Viverna, lo sapeva. Ecco perché il terrore cominciò a pervadergli il corpo.

Cavalcava solitario nella bruma mattutina. Non un rumore, non un rifolo di vento. Solo il lento procedere del suo cavallo segnava lo scorrere del tempo. Aveva terminato da poco la sua più grande battaglia e i segni della lotta rilucevano sanguigni nella nebbia. Stava morendo…

Cercava di raggiungere un villaggio in cerca di aiuto. Ma sapeva che le speranze si affievolivano a mano a mano che procedeva, incerto, fra gli alberi. Doveva trovare un riparo dai raggi del sole… doveva farlo al più presto.

Gli spasmi di dolore cominciavano ad essere insostenibili, tanto che il tremore s’irradiava in tutto il corpo. Cercò di trarre a sé l’energia, ma invano. Doveva nutrirsi se voleva coltivare anche solo una lieve speranza di sopravvivenza, eppure le forze mancavano. Non poteva cacciare…

La vita nel bosco sembrava scomparsa. Gli unici esseri erano lui e il suo destriero. Guardò il cavallo con più attenzione: era stanco e debilitato. Nemmeno lui sarebbe sopravvissuto ancora per molto. L’idea di nutrirsi del suo cavallo si fece via via sempre più cosciente, trasformandosi in un richiamo atavico come la creatura che era diventata.

Come è triste il Fato! Lui, Templare dell’Ordine di Desna, eroe delle terre di Anthurium, colui che aveva infinite volte ucciso mostri… lui, ora, era diventato uno di loro.

Nella grande battaglia combattuta nelle Paludi dell’Ovest, era stato morso. Un errore, una stupida svista e quell’immonda creatura era balzata alle sue spalle. Un attimo di indecisione…

Sapeva che sarebbe cambiato. Lo seppe da subito, da quando sentì i denti del vampiro conficcarsi avidi nel suo collo. Anche mentre tagliava la testa della bestia, lo sapeva. Anche mentre lottava contro la Viverna.

Ora, i rumori erano più chiari, le immagini più distinte. Perfino il battito del cuore del suo cavallo sembrava un cupo rimbombo nella propria testa.

Con la punta della lingua si toccò i denti scoprendoli aguzzi e taglienti. Gli occhi iniettati di sangue non erano più gli stessi del Templare… erano quelli di un mostro. Fermò il destriero e rimase fermo qualche istante a guardare il cielo diventare sempre più chiaro all’orizzonte.

L’alba stava per nascere.

Un ultimo gesto nobile del Templare che fu… non uccise il cavallo. Non lo meritava.

Con le ultime forze rimaste prese la pergamena e scrisse una lettera.

Cara madre, sono io, tuo figlio. Sono tanto cambiato in questi lunghi anni e vorrei poterti vedere un’ultima volta. Ma Desna ha avuto per me altri progetti, cara madre. Sarai orgogliosa di me? Io non so più nemmeno cosa significhi la parola orgoglio.

Vorrei raccontarti tutto: delle mie battaglie, delle mie conquiste. Eppure, ti rimarrà solo la mia unica sconfitta. Ho lottato a lungo e me la sono sempre cavata, sai? Ma non questa volta. Ho sbagliato, mamma, mi sono distratto. Potrai mai perdonarmi?

Ti voglio bene, madre, anche se non te l’ho mai detto abbastanza”

 

Scese dalla cavallo e arrotolò la pergamena inserendola nello spazio vuoto sotto la sella. Diede una pacca al destriero, che corse allontanandosi da lui, e si diresse fra gli alberi andando incontro ai primi raggi di sole.

Un pensiero a sua madre…

Un pensiero per se stesso…

E poi, luce.

   
 
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