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Autore: ChrisAndreini    06/02/2016    1 recensioni
"Questa non è una storia d'amore, non è una storia di avventura, non è una storia di fantasia e felicità.
Questa è una storia d’attesa, una storia di rimpianto, una storia di errori e di cambiamenti."
Riley Collins è una ragazza particolare, con un passato particolare, interessi particolari, occhiali particolari e senza ombra di dubbio, una storia e una consapevolezza particolari.
Infatti lei, a differenza di tutti gli altri, sa esattamente cosa la circonda, e riesce a vedere la realtà nel modo più vero possibile.
Dal Cap. 1:
"Salve a tutti, il mio nome è Riley Collins.
…Si, mi sto rivolgendo proprio a voi che leggete la mia storia, e non lo sto facendo perché la sto scrivendo io, ma perché l’autrice sta scrivendo di me proprio in questo momento.
Come faccio a sapere di essere il personaggio di una storia?
Facile, io sono l’esperta massima di storie."
6° classificata al contest “AAA Genio Cercasi!”
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Nickname: ChrisAndreini
Genere: Introspettivo
Sottogere: Fantasy e Romantico
Rating: Arancione
Oggetto: Occhiali

 

Attraverso le lenti della realtà

Capitolo 1: Virus nella storia

 

Salve a tutti, il mio nome è Riley Collins.

…Si, mi sto rivolgendo proprio a voi che leggete la mia storia, e non lo sto facendo perché la sto scrivendo io, ma perché l’autrice sta scrivendo di me proprio in questo momento.

Come faccio a sapere di essere il personaggio di una storia?

Facile, io sono l’esperta massima di storie.

Credo di aver letto la maggior parte dei libri scritti sulla Terra, sono una grande fan della vostra letteratura.

E dico vostra perché, da dove vengo io, la scrittura non esiste.

Ma non mi va di parlare del mio mondo, soprattutto visto che sono scappata apposta per non ritornarvi, e perché lì sono meno di una reietta.

Solo perché sono diversa.

Nel mio mondo non importa che tipo di diversità tu abbia, ma se hai un pezzo fuori posto che non si abbina con il resto della tua razza sei solo spazzatura da buttare via.

E da questo ritorno alla mia fuga.

Avevo diverse dimensioni tra cui scegliere, naturalmente, ma quella che trovavo migliore era senz’altro la Terra.

Perché, sulla terra, tutti sono uguali, e non parlo di come la gente vede qualcuno, perché sono a conoscenza del fatto che in realtà ci sono discriminazioni anche qui, ma fisicamente, a livello di capacità particolari hanno tutti le stesse potenzialità, e nessuno nasce avvantaggiato (poi se uno ha genitori ricchi si, ma le abilità sempre quelle rimangono).

Perciò io, trasferendomi completamente da voi, avrei perso tutto ciò che mi rendeva diversa e mi sarei finalmente integrata in una società che mi avrebbe accettata.

O almeno, così credevo.

Perché non solo ho scoperto di non invecchiare e rimanere per sempre una diciassettenne, ma le mie abilità sono rimaste quasi immutate.

Però con il passare degli anni ho iniziato ad apprezzarlo, dato che così sono riuscita ad arrivare fino ad ora ed imparare moltissime cose.

Inoltre in questo mondo accadrà una cosa, e da immortale potrò essere presente per viverla.

Ma basta con i convenevoli, è il caso che inizi una storia vera e propria.

E questa storia comincia il mio primo giorno di scuola.

No, dai, è una partenza banale, meglio vivacizzare, e soprattutto velocizzare, un po’ la faccenda… facciamo che inizia il primo giorno di scuola di Joseph Jones.

Perché è stato allora che mi son immischiata in fatti e personaggi con cui non dovevo assolutamente avere a che fare in modo diretto.

Ah, fatemi fare un’ultima premessa: quando sono arrivata sulla Terra e ho scoperto di essere immortale, ho girato il mondo per moltissimi anni, e con moltissimi intendo centinaia e centinaia, mantenendo la mia età, quindi ho cambiato nome spesso, utilizzando cognomi di autori che mi sono piaciuti (Collodi, Tolkien, Cussler, Dickens, Checov, Balzac eccetera, in questo momento Collins) 

Ecco, fine della premessa, possiamo continuare.

Era il 15 Gennaio 2013 alla Eleanor Roosevelt High School di Manhattan. Fuori faceva freddo, ma non c’era neve, ad eccezione di qualche traccia agli angoli delle strade.

Appena entrai in classe quella mattina mi misi come al solito seduta al mio banco in prima fila da sola e tirai fuori il mio quaderno di disegno.

Disegnare non è solo una passione per me, è tutto il mio mondo.

Disegno da quando ero nella culla, e, questo mi sembra opportuno dirlo, nel mio mondo, Kosmos, le persone come me si chiamano Pittrici delle Nuvole, e riescono a disegnare senza uso di colori ma direttamente con le dita, oltre ad avere l’innata capacità di captare i dettagli più minuscoli, e, vabbè, creare dal nulla gli oggetti disegnati.

Sulla terra però ho bisogno di matite e pastelli, non preoccupatevi. L’unica cosa che ho portato con me è la capacità di cogliere i dettagli meglio di Sherlock, Poirot o Miss Marple.

Comunque, avevo iniziato a fare uno schizzo della professoressa della prima ora, che mi guardava scuotendo la testa ormai abituata alla mia disattenzione, quando la porta si aprì, e il preside entrò, seguito da un ragazzo composto e dall’espressione incredibilmente seria.

Lo guardai per poco più di un secondo, e capii immediatamente che c’era qualcosa di diverso in lui, e non per la postura rigida, l’uso di una camicia con i gemelli per andare a scuola o lo sguardo intelligente.

A colpirmi fu infatti il suo tic alla mano sinistra.

Inizialmente perché mi aiutò a capire che era stato mancino ma lo avevano educato ad usare la mano destra esattamente come era successo a me, poi perché mi resi conto che comunicava un messaggio in codice Morse. E io Morse lo conosco bene, ci ho studiato insieme.

-Ragazzi, voglio presentarvi un nuovo alunno, che starà qui per un periodo da sua zia perché la sua tutrice è scomparsa…- dopo poche parole del discorso inutile del preside mi isolai dalla realtà per decifrare il codice, che mi incuriosiva parecchio.

Il problema è che cambiava spesso, anche se alcune parole si ripetevano qualche volta prima di modificarsi.

“Abbassate gli sguardi, non avete mai visto un inglese? Il ragazzo in terza fila si chiama Stuart. Non incrociare lo sguardo del tipo a destra. L’America ha pessime scuole”

Si, il preside aveva parlato molto a lungo, e lui batteva le dita molto velocemente.

Fatto sta che, dopo aver finito il discorso interminabile che non avevo minimamente ascoltato, salutò la classe e Joseph con un caloroso:

-Non fatevi spedire nel mio ufficio, mi raccomando- e una risatina.

Osservai le dita di Joseph, e lessi il seguente messaggio “Tra due ore e quarantacinque minuti”

Non mi trattenni dal ridere sommessamente, e tutta la classe si girò verso di me, guardandomi storto.

Non è che mi apprezzassero più di tanto a dire il vero. Nonostante tutti i miei tentativi di sembrare normale molti mi davano dell’aliena, e non sapevano quanto avessero ragione.

-Allora, Joseph, puoi sederti accanto a Riley, qui, al primo banco- la professoressa, un tantino seccata per aver perso venti minuti di lezione, gli indicò svelta il posto vuoto affianco a me, e dopo avermi lanciato uno sguardo calcolatore, il ragazzo si sedette alla mia destra, a schiena dritta ovviamente, e senza smettere di battere con le dita della mano sinistra.

Probabilmente non se ne accorgeva neanche.

Io presi un nuovo foglio del quaderno, e inizia a disegnare lui.

Era senz’altro un ragazzo che volevo tenere nella mia raccolta di volti.

Sapete, ogni volta che incontro una persona interessante le faccio un ritratto molto elaborato, scrivo il nome e lo conservo in una grossa cartella.

Davvero grossa, visto che sono in circolazione da un sacco di tempo.

Comunque la maggior parte delle persone poi sono diventate molto famose, per esempio Shakespeare, o quel simpaticone di Leonardo… Da Vinci, ovviamente, non Di Caprio.

Albert l’ho tenuto solo perché ero convinta che avrebbe avuto un futuro, ma a dire il vero gli ho dovuto dare ripetizioni di grammatica per un sacco di anni, ed era di una noia mortale, troppo preso dai suoi studi per pensare ad altro.

Comunque ho sempre adorato Leo, voleva dipingermi per ringraziarmi di averlo aiutato nel sorriso della Gioconda, ma poi io gli ho chiesto di no, dato che sarei potuta essere riconosciuta, quindi ha lasciato il dipinto a metà. Credo sia conservato in qualche museo con il nome della “Scapigliata”, ma non mi sono molto informata.

Ma tornando a noi, la professoressa stava spiegando, il mio vicino di banco stava ascoltando, probabilmente annoiato quanto me ma molto più educato, e io disegnavo.

Non avevo bisogno di lanciargli occhiate furtive per fare meglio il disegno, dato che avevo già immagazzinato ogni dettagli del suo volto, ma lanciai qualche sguardo alla sua mano sinistra, che continuava a battere ed era nel mio campo visivo.

“Ti sta disegnando” disse solo, e si ripeté più volte, finché il ragazzo non sembrò accorgersi della mano ballerina, e mi lanciò un’occhiata, come per vedere quanto ci fosse di vero nel messaggio che lui stesso si stava inviando.

Poi si fermò ad osservare, ed io naturalmente feci finta di niente.

Solo che ad un certo punto la sua mano si bloccò, per circa dieci secondi, ed io distolsi l’attenzione dal mio disegno, curiosa e interessata nello scoprire il perché.

Poi la mano riprese a ticchettare, lentamente, come sforzandosi di trovare delle parole.

“Ignoto. Virus. Kosmos” Joseph mi guardò confuso, soppesandomi, e io non potei più far finta di non essermi accorta delle sue attenzioni, così sollevai lo sguardo su di lui, e gli feci un gran sorriso.

Ci guardammo per qualche secondo, poi la mano riprese a ticchettare, ed io finsi nuovamente di concentrarmi solo sul mio disegno, distogliendo lo sguardo da lui, e decifrando il codice solo ascoltando, senza vedere.

“Non è di questo mondo. E’ come un virus. Non riesco a vedere niente di lei. Non esiste”

Non ci volle molto ad immaginare l’espressione confusa di Joseph, anche se non alzai lo sguardo per vederla.

Dentro di me non facevo altro che pensare a come quel messaggio mi avesse scoperta, e non riuscivo a dargli un senso logico.

Solo una cosa era del tutto certa: 

Joseph aveva qualcosa di fin troppo strano, e la mano che gli dava i messaggi non era controllata da lui.

Decisi di fare una cosa molto rischiosa ma fondamentale.

Mi portai con discrezione una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ed attivai un piccolo bottone sulla stanghetta destra dei miei occhiali.

Ah, si, mi sono dimenticata di dirvi che porto gli occhiali.

Generalmente io non mi descrivo mai, non perché io sia brutta, anzi, se i ragazzi terrestri mi avessero vista nella mia dimensione d’origine, è molto probabile che ora sarei materia di stalking ossessivo, rischierei di scivolare ogni secondo per la bava sulla loro bocca e di certo la mia vita sarebbe molto meno sopportabile.

Di solito non mi descrivo perché in questo mondo cambio molto spesso aspetto, dato che vado a spasso da secoli, e poi perché, per scelta, ho adottato uno stile più invisibile, composto da abiti larghi, capelli neri lunghi e capo chinato.

Se vi state chiedendo il motivo di questo stile è che sono consapevole di essere in una storia, e se c’è una cosa che assolutamente non voglio fare è essere invischiata con i protagonisti.

Infatti ogni storia che si rispetti ha i suoi personaggi primari, secondari e le comparse, e finché non raggiungerò la storia che voglio io non ho intenzione di essere altro che una comparsa.

Perché io sto aspettando una storia particolare, e ne passano molte in questa dimensione, del tutto simile al mondo reale quanto incredibilmente diverso.

E da qui torno al bottone dei miei occhiali.

Innanzitutto voglio chiarire che io non ne ho bisogno, dato che ho una vista perfetta e molto accurata, come avete avuto modo di capire, ma gli occhiali sono il mezzo perfetto per due miei obiettivi in questa terra: 

1) Nascondere il più possibile i miei occhi, dato che gli occhi sono lo specchio dell’anima, e non ridete alla frase fatta perché è vero. Quando uno porta gli occhiali gli occhi diventano meno facili da riconoscere, e quindi non corro il rischio di venire scoperta nel corso dei secoli;

2) Grazie ad un piccolo aiuto tecnico del già citato Leo, siccome nella meccanica io non sono mai stata molto pratica, ho creato una lente speciale che se attivata mostra la vera identità del mondo.

E su questo, scusatemi, ma devo davvero aprire un’ulteriore parentesi.

Non so se siete pratici di Filosofia, io non ho conosciuto personalmente i filosofi antichi (per fortuna non sono così vecchia) ma conosco teorie sui concetti che sono l’essenza pura delle cose, o, se vogliamo metterla sul platonico, delle idee come forma immutabile ed esplicativa della realtà.

Non vorrei essere troppo logorroica, dato che Joseph, durante questo intermezzo, è ancora lì a guardarmi, vi basti sapere che essendo in una storia, ogni singolo oggetto, persona o ambiente è fatto di parole che si intrecciano tra loro, come un calligramma.

Se osservo una sedia, per esempio, vedo centinaia di aggettivi, parole, e il ruolo della suddetta nella storia.

Io, essendo un’infiltrata, sono semplicemente nera, come una macchia d’inchiostro uscita per sbaglio dalla penna dello scrittore.

Solitamente non è rischioso usare questa invenzione quasi magica, ma se il ragazzo davanti a me era onnisciente come temevo che fosse, poteva essere un protagonista e capire di essere in una storia, provocando un vero problema all’interno della stessa, che avrebbe potuto autodistruggersi.

Ed io avevo bisogno di questo mondo.

Però decisi di rischiare, e sollevai leggermente lo sguardo verso Joseph, incontrando la sua faccia.

Prima che potessi emettere una flebile imprecazione in arabo (è la mia lingua preferita per le volgarità) la professoressa ci richiamò.

-Ragazzi, un po’ di attenzione per favore- ci riprese.

Mentre Joseph si rimise composto borbottando qualcosa che non riuscii a comprendere, io rimasi a guardarlo, concentrandomi sull’enorme parola appena sopra la sua testa.

“Protagonista”

Non avevo mai visto così tante parole nella stessa persona, e la maggior parte erano concentrate nella mente, così affollate e vorticose che non riuscii a leggerle tutte chiaramente.

Scoprii solo che era un maniaco dell’ordine e della pulizia, con un passato familiare travagliato, orfano, ossessivo compulsivo… una biografia perfetta per essere un protagonista. 

Sicuramente era molto odiato dall’autrice, comunque, oppure molto amato, dipendeva dal sadismo delle suddette, che di solito era alle stelle.

Come la Rowling, che afferma che Harry sia il suo personaggio preferito e gli ha dato una vita di vero inferno.

Ma naturalmente c’è bisogno di conflitto e problemi per far andare avanti una storia, ed io rispetto la cosa.

A volte il fine giustifica i mezzi, anche se sembra una frase da antieroe o cattivo.

MANO, così chiamerò per ora l’entità che invia i messaggi, avvertì Joseph con grande preoccupazione “Gli occhiali!” ma lui non sembrò badarci, ed io mi affrettai a disattivarli.

Per quel giorno avevo visto abbastanza, e avevo capito che dovevo assolutamente stargli lontana per non compromettere la mia attesa.

Però quel protagonista aveva qualcosa di davvero affascinante, e dall’occhiata che mi lanciò mentre la professoressa si era allontanata un attimo per richiamare dei compagni in ultima fila, capii che anche lui pensava lo stesso di me, e non sembrava minimamente uno che lasciava perdere.

Si sollevò gli occhiali (si, li portava anche lui), poi tornò ad ascoltare la conversazione, e non mi guardò più fino alla fine dell’ora.

Io continuai a disegnare, e lo ricreai perfettamente, ma non riuscivo a concentrarmi neanche per fare la cosa che mi riusciva meglio, così, non appena la campanella suonò, mi precipitai in bagno, per riordinare le idee.

Avevo un protagonista come compagno di banco che aveva già notato che in me c’era qualcosa di strano.

E dato che era senza ombra di dubbio una persona intelligente e che imparava in fretta, dovevo trovare il modo di stargli lontana senza che lui si insospettisse.

Mi appoggiai sul termosifone, e in un riflesso incondizionato iniziai ad attivare e disattivare gli occhiali della preziosa lente della realtà.

E la lente era impostata quando tre ragazze entrarono in bagno, chiacchierando e scambiandosi pettegolezzi. Approfittando del cambio dell’ora per rifarsi il trucco.

-E così ho detto ad Alex che aveva avuto la sua occasione, e gli ho sbattuto il telefono in faccia. Insomma, non voglio stare con uno stalker bavoso- quella che molto probabilmente era il capo, con abiti molto poco invernali e una quantità sconvolgente di trucco, si avvicinò allo specchio con un rossetto in mano, pronta ad aumentarne la dose sulla faccia, e senza accorgersi minimamente di me.

Sulla sua testa si leggeva chiaramente la parola “Comparsa”, e per le sue amiche la faccenda era simile.

Le parole che la descrivevano erano molte di meno rispetto a quelle per Joseph, e una spiccava tra tutte, perché era la parte che stava usando maggiormente in quel momento, e l’aggettivo scritto più grande e ripetuto più volte.

“Bugiarda”

Ridacchiai tra me, incapace di trattenermi.

Mossa molto sbagliata.

La ragazza, di nome Natasha, si girò verso di me, e mi squadrò dall’alto in basso.

-Hai qualche problema?- mi chiese, presuntuosa.

Io sorrisi caldamente, non potevo farne a meno, dato che ero stata abituata a sorridere in ogni momento, nel mio mondo. Certe abitudini imparate da bambina sono dure a morire.

Mi portai una ciocca dietro l’orecchio, ma decisi di non disattivare la lente della realtà, poteva sempre tornare utile.

-No, nessun problema. Stavo solo pensando a una barzelletta che ho sentito poco fa. Sarà il caso che torni in classe- risposi, giocherellando con una ciocca di capelli.

Non fraintendete, io non sono debole, ma le comparse stereotipate come Natasha mi fanno soltanto pena. Poverette, non è colpa loro se sono state scelte per essere inutili e odiate da tutti i lettori.

Un po’ meno pena mi fanno quando mi lanciano un rotolo di carta igienica in pieno volto.

-Si, torna in classe, cesso ambulante!- mi prese in giro lei, avvicinandosi con il rossetto stretto in mano -Così impari a prenderti gioco di me. Tu non sai di che cosa sono capace- mi minacciò, usando il suo rossetto come un pennarello e sporcandomi il naso.

Io rimasi impassibile, aspettando che finisse e conservando il sorriso.

Quando Natasha mi diede le spalle e si mise a ridere come un’oca insieme alle sue amiche, chiamandomi clown, il mio sorriso si congelò, e la guardai per qualche secondo, mentre con la carta igienica mi ripulivo il naso tranquillamente.

-Hai finito di giocare?- chiesi in tono freddo.

Le ragazze si girarono, confuse. Non si aspettavano di certo una mia reazione.

-Ne vuoi ancora, ragazzina?- mi chiese lei con tono di sufficienza.

-Io ho sempre ammirato Gandhi è il suo rifiuto verso la violenza, ma ho anche sempre pensato che Cenerentola fosse una debole ragazza senza spina dorsale nel farsi usare in quel modo senza reagire. Così ho elaborato una mia teoria, che appoggia leggermente quella di Newton “Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e opposta”. L’unica differenza è che a me piace restituire con gli interessi e in modo creativo- risposi io. Dalla faccia che fece non aveva capito nulla di quello che avevo detto, ma io ero troppo impegnata a recuperare il sorriso ed essere felice di aver tenuto impostate le lenti della realtà.

Infatti, quando Natasha, ripresasi dallo shock, cercò di tirarmi uno schiaffo con quelle unghie smaltate e piene di glitter, io seppi perfettamente dove scrivere con velocità una parola sul suo braccio per spezzarglielo.

Un singolo tocco con la punta dell’indice e lei si strinse al petto il braccio dolorante, con un urlo in gola pronto ad esprimersi.

Mentre le sue amiche le si avvicinavano confuse, io mi sporsi per toccarle la gola, e cancellare una parola per privarla della capacità di esternare suoni, il sorriso sempre più aperto.

Avvicinai la mia bocca al suo orecchio, mentre lei mi guardava immobile, muta e terrorizzata.

-La prossima volta che qualcuno ti sorride e vuole andarsene, lascialo andare senza fare storie- le sussurrai, con voce mielosa, poi le misi una mano sulla fronte, e le cancellai gli ultimi ricordi da quando era entrata in bagno, sostituendoli con qualcosa di nuovo.

Similmente feci con le sue amiche, che sembravano mute come il loro capo per lo shock.

Infine uscii dal bagno, spegnendo gli occhiali, e diretta a lezione di chimica.

 

…Cosa c’è?

Mi sembra che siate confusi.

Ah, già, scusate per il piccolo inconveniente con Natasha, mi sono lasciata trasportare dalla scia dei ricordi. Avrei seriamente dovuto tralasciare il fatto, ma…

Sapete, è così difficile fingere, guardare il mondo così ingiusto, non curarsene e passare oltre.

Si, ho parafrasato un po’ Dante, ma il concetto è uguale.

Ho tanta rabbia dentro, e un potere sconfinato da far uscire fuori, ma sto aspettando il momento giusto, e mentre attendo, devo pur sfogarmi in qualche modo. Con i bulli che inquinano la società.

Non sono stata del tutto onesta con voi, e probabilmente continuerò a non esserlo. Sarete voi a scoprire piano piano la verità.

Perché questa non è una storia d’amore, non è una storia di avventura, non è una storia di fantasia e felicità.

Questa è una storia d’attesa, una storia di rimpianto, una storia di errori e di cambiamenti.

Io so di essere in una storia, e questo mi da il potere di cambiare le piccole cose, e a volte anche le grandi.

Un aggettivo qua, un’abilità là. Posso cancellare una cosa e aggiungerne un’altra a mio piacimento, gli occhiali servono solo a trovare il posto giusto.

E toccando un punto preciso, posso fare in modo che una determinata persona cessi semplicemente di esistere.

Ogni mio cambiamento modifica il passato e il futuro dei personaggi.

C’è solo un personaggio, in tutta la storia, che non ho il potere di cambiare, oltre a me, e questo è il protagonista.

E… beh… è un bel problema!

   
 
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