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Autore: rossella0806    07/02/2016    5 recensioni
Regno di Sardegna, gennaio 1849.
Costanza Granieri si è svegliata per l'ennesima volta spaesata e affranta: da quando si è trasferita in città, lontano dalle sue abitudini e dai suoi affetti, la notte non riesce a dormire.
L'unica cosa che desidera è ritornare alla vita di prima, nel paese di montagna che l'ha vista crescere: la sua sola consolazione risiede nella corrispondenza epistolare che intesse con la nonna materna, influente donna della comunità che ha dovuto abbandonare.
Sullo sfondo delle vicende della famiglia Granieri e dei Caccia Dominioni, in mezzo a personalità nobili e giovani rivoluzionari, va in scena la battaglia della Bicocca, combattuta nelle campagne novaresi il 23 marzo 1849, tra lo schieramento dei piemontesi e quello degli austriaci, nemici giurati di un intero popolo.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
Capitoli:
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Non c’è nulla interamente in nostro potere, se non i nostri pensieri

Cartesio (filosofo e matematico francese, 1596-1650)




L’alba era già sorta da parecchio, ma il cielo inspiegabilmente tardava ad illuminarsi.
Forse, dipendeva dalla foschia onnipresente e molesta che nelle ultime due settimane era diventata una compagnia fissa e sgradevole di quel gennaio ormai agli sgoccioli.
Costanza alitò sulle dita fredde e bianchicce, per cercare un po’ di quel calore che il camino della stanza non era riuscito a donarle, nonostante la solerzia con la quale la cameriera era venuta a rifornire di abbondanti ceppi di frassino la brace ormai spenta della notte.
Sebbene non ci fosse nessuno da disturbare, si alzò silenziosamente dal baldacchino, sistemando i piedi ghiacciati nelle calde babbucce di lana grigio perla, abbandonate sullo scendiletto persiano.
Recuperò il moccio della candela che aveva acceso qualche ora prima del crepuscolo, quando si era svegliata improvvisamente, non riuscendo a ricordare per l'ennesima volta dove si trovasse.
Era una sensazione che le era diventata famigliare, suo malgrado, nonostante fosse già trascorso un mese dall’arrivo in quella nuova e indesiderata casa.
Il mozzicone tra le mani, avvertì la carezza della cera sulle dita, ormai fragile e quasi trasparente, completamente inutilizzabile.
La ragazza agguantò con delicatezza quell’innocente rimasuglio, per poi gettarlo nell’apposita scatola di ferro, che la cameriera avrebbe avuto cura di ripulire e rifornire non appena Costanza avesse lasciato la stanza per la colazione.
Quindi, si sedette sull’elegante sedia in legno di ciliegio, davanti lo scrittoio ribaltabile, adagiato sotto l’ampia finestra con i pesanti tendoni di broccato appena scostati che lasciavano intravedere irregolari rettangoli di quel cielo perennemente fosco.
Osservò con la solita noncuranza le copiose venature che attraversavano quel pezzo di albero ormai privo di vita, poi aprì il primo cassetto di sinistra, dove custodiva il cofanetto con tutto l’occorrente per la corrispondenza.
Sistemò meglio la lunga vestaglia bianca di raso foderato, che le ricadeva addosso come un vecchio sacco informe per la raccolta del grano, ma che tuttavia lei adorava.
La schiena incurvata, la luce del mattino che faticava a scacciare quella buia della notte, Costanza intinse la piuma d’oca nel calamaio: l’inchiostro era denso, quasi vischioso, bastava un attimo perché rovinasse il foglio immacolato su cui si stava per posare.
Tuttavia, le dita della ragazza, agili seppure intorpidite dal freddo, ebbero la meglio, e così le parole cominciarono a scivolare sulla carta, fragrante e lievemente arricciata ai bordi:
Novara, mercoledì 24 gennaio 1849





Cara Nonna,
è l’ennesima giornata fredda ed uggiosa, in una città che continuo a ritenere visceralmente ostile ed infida, sempre avvolta com’è da una densa caligine grigiastra.
Mi mancate molto, lo sapete, ed ogni giorno penso a voi e a quello che ho dovuto abbandonare contro la mia inutile volontà di donna e figlia: le nostre adorate montagne, l’aria fresca delle sera e quella gentile del mattino, il canto timido degli uccelli, l’abetaia dove amavamo passeggiare...
Qui il tempo scorre uguale al primo momento in cui sono arrivata, ovvero lentissimo e noioso.
Non ho amici, ma questo ve l’ho già ripetuto almeno in altre due lettere, scusatemi se continuo a tediarvi, ma siete l’unica mia consolazione in questa nuova vita che non ho minimamente desiderato.
L’altra sera c’è stata una festa, qui a palazzo, un diversivo per animare la vita sociale che ci stiamo costruendo: Nicolò ed io abbiamo finalmente potuto conoscere i nostri famosi parenti Caccia Dominioni, il ramo nobile della famiglia che, naturalmente, sono stati l’attrazione dell’intera serata.
Lo zio Aldo è un uomo molto anziano, lo immaginavo un cinquantenne bonario, invece avrà come minimo una ventina di anni in più.
E’ gentile, mi ha stretto teneramente la mano, e sebbene non abbia mai veramente sorriso, ho visto una luce affettuosa nei suoi occhi cerulei, come se fosse stato contento di conoscermi.
Non ha quasi capelli, è stempiato sulla fronte, e questa sua caratteristica lo fa assomigliare ad uno scoiattolo spelacchiato, dato il colore dei ciuffi che ancora può vantare!
La zia Rosa, invece, è una donna assai minuta, ma ben proporzionata, pallidissima e con gli occhi di un nocciola sbiadito: ha un profumo delizioso, non saprei dire quale essenza nasconda; forse, quando entreremo maggiormente in confidenza, oserò chiederle da quale Mastro profumiere se l’è fatto creare, perché vi assicuro, cara nonna, che è davvero una fragranza gradevolissima.
Rispetto al marito, ha talmente tanti capelli che potrebbe donarglieli, folti e chiari da risplendere anche senza la luce diretta!
Non so quanti anni abbia, sicuramente è più giovane dello zio Aldo, credo almeno di una decina di anni, ma queste sono solo mie supposizioni, e non intendo cedere alla curiosità di chiedere alla mamma notizie maggiormente dettagliate.
Ovviamente, assieme a loro, sono venuti anche i due figli, Pietro e Federico, che non credo conosciate.
Non si assomigliano per nulla: il primogenito, Pietro, è biondo e ha gli occhi grandi ed azzurrissimi; l’altro, invece, è moro e decisamente più atletico, dalla corporatura meno tozza.
Tuttavia, ho notato avere una caratteristica in comune: il naso, infatti, appare leggermente schiacciato, per il resto non sembrano neppure fratelli, alla stessa maniera di come non sembrano figli dei loro genitori; su questa frase sibillina, abbiate pazienza che mi spiegherò al meglio.
Il più giovane è intraprendente, spigliato, fin troppo allegro: ha cercato di invitarmi a ballare almeno tre o quattro volte, non ricordo con esattezza, perché sono sempre riuscita ad allontanarmi prima che lui si avvicinasse troppo!
L’altro cugino, invece, è taciturno, e credo sia anche un po’ sciocco: mi ha dato l’impressione, infatti, che non sappia imporsi su alcuno, forse a causa dello sguardo sfuggente o di quel suo costante assenso degli occhi color del ghiaccio.
Sono convinta si sia annoiato parecchio, esattamente come me, ma è rimasto educatamente seduto per l’intera durata della cena -a mio avviso interminabile ed inutilmente abbondante- per poi rintanarsi con gli altri uomini nel salottino da fumo; persino quando hanno aperto le danze, Pietro non si è allontanato dal suo rifugio, adducendo come scusante il desiderio di dare un’occhiata alla biblioteca e alla collezione di armi di mio padre.
Occhiata che, detto tra di noi, si è protratta per quasi l’intera durata delle danze.
Tra i due giovani, cara nonna, ammetto che mi affascina di più il timido Pietro, forse perché lo reputo maggiormente affine al mio carattere introverso.
Anzi, sono convinta che, a suo modo, sia persino più ribelle del fratello, seppure, come ho scritto poche righe fa, a mio avviso non abbia ancora imparato ad imporsi.
Ora vi devo lasciare: il cielo, nonostante siano quasi le nove del mattino, si sta sempre di più oscurando, e purtroppo sono rimasta senza la scorta di candele.
Vi abbraccio con tutto il mio cuore e la devozione di nipote affezionata, scusandomi se vi ho annoiato con descrizioni di persone che, sebbene non vediate da anni, sono certa ricorderete.
Attendo con trepidazione una vostra lettera,
Costanza


La ragazza piegò in quattro il foglio, quindi lo infilò con cura in una busta color avorio, recuperata dal cofanetto dedicato alla corrispondenza.
Infine, la sigillò con della calda e colante ceralacca, sorridendo tristemente.

Soddisfatta e speranzosa, smistò la lettera nell’apposito contenitore, da cui la cameriera l’avrebbe presa per farla spedire quanto prima.



****


“La situazione tenderà a precipitare molto presto!” sbraitò il notaio, versandosi un bicchierino di liquore al ginepro.
La moglie guardò torvo l’uomo, reputando poco signorile quel gesto da ubriacone compiuto di mattino presto.
Fece un cenno alla cameriera che si era appiattita in un angolo e, ordinandole di lasciare immediatamente la sala da pranzo, tornò a concentrarsi sulla tazza fumante e sulla fetta di torta al limone che stava per addentare, prima dell’attacco di rabbia del consorte.
“Padre, voi vi preoccupate troppo!” cercò di rabbonirlo un giovane sui venticinque anni, alto e massiccio quanto il genitore, il viso avvampato di furore ed entusiasmo.
“Non possiamo più rimanere con le mani in mano, fingendo che quei maledetti Austriaci non stiano stringendo il cappio attorno ai nostri poveri colli! Lo capite che stiamo parlando della libertà di tutti noi? E’ necessario e doveroso intervenire, altrimenti perderemo la poca credibilità che ci è rimasta davanti al resto del mondo!”
“Parli proprio come il giovane sciocco ed irresponsabile quale sei! La guerra, voglia il Cielo che non scoppi mai, non è il gioco infantile che facevi da piccolo, con quelle stupide spade finte e il cavallino più mansueto di cui disponevamo nelle stalle! Nemmeno le lezioni di scherma potranno salvarti, se e quando ti ritroverai in mezzo alla bolgia, alle urla e alla selvaggia crudeltà del nemico: al tuo fianco, uniche e non cercate compagne, rimarranno solo la desolazione, l'incomprensione e il senso profondo di smarrimento…”
Il notaio abbassò lo sguardo, gli occhi scuri, inferociti fino all’attimo prima, ora erano velati da vecchi ricordi sopiti.
All’improvviso, infatti, gli tornò alla mente il suo passato da giovane ribelle, fiero esponente della Carboneria, persino del suo fugace incontro con Mazzini, durante una riunione dei soci a Genova, città d’origine del fondatore del movimento rivoluzionario, fino ai momenti concitati dell’arresto da parte degli Austriaci, più di vent’anni prima, e di come il padre lo avesse tirato fuori da quella spiacevole situazione, grazie all’influenza economica e alla fama che precedeva il nome dei Granieri.
Don Armando ritornò cupamente al presente, accorgendosi di come avesse condotto quell’arringa sempre in piedi, un braccio appoggiato al freddo marmo della mensola del caminetto, staccandosi da quell’angolo solamente per compiere una mezza piroetta su se stesso, come a non voler incontrare lo sguardo di quel figlio testardo ed inconsapevole delle sciocchezze che brandiva a destra e a manca, quali fossero trofei di cui essere orgoglioso.
Accorgendosi del bicchierino colmo di liquore ancora in una mano, lo trangugiò d’un fiato, facendo poi una smorfia di disgusto e tornando a sedersi a capotavola.
Costanza entrò nella stanza lo stesso istante in cui il padre e il fratello avevano appena deposto le armi, dopo che le loro grida l’avevano improvvisamente accolta mentre scendeva la scalinata in marmo.
Nicolò rimase in silenzio per qualche istante, il capo dai folti e ricci capelli abbassato sulla tovaglia immacolata: congiunse le dita, i gomiti abbandonati sulle ginocchia, quindi cercò di trattenere un sospiro.
“Perdonatemi, ma devo sbrigare certe faccende al circolo. A più tardi”
Il giovane si alzò senza degnare di uno sguardo i presenti, sbattendo volontariamente la porta, che si richiuse senza troppo rumore dietro di lui, il tacchettio degli stivali che calpestavano il costoso marmo del pavimento.
La ragazza deglutì meccanicamente, cercando di intuire dagli sguardi dei genitori il motivo di quell’abbandono così freddo ed improvviso da parte del primogenito.
Stava aprendo la bocca per cercare di avere qualche notizia sullo screzio che era certa si fosse appena consumato, quando la moglie del notaio, donna Luisa, spiegò con fare forzatamente allegro:
“Questa mattina arriverà il tuo nuovo insegnante di musica, Costanza cara! Ci raggiungerà tra un’ora, e ovviamente rimarrà a pranzo con noi, così potrete cominciare già nel pomeriggio le vostre lezioni! Sei felice, figliola?”
“In realtà, oggi non mi sento bene… ho dormito poco, e dopo pranzo era mia intenzione riposarmi…” tentò di replicare la ragazza, assumendo un’espressione afflitta.
Poi, si portò una mano ad una tempia, cercando di addurre un’improvvisa emicrania come giustificazione, l’ennesima in quell’ultimo mese contro le assurde proposte che le perpetrava la madre.
“Ma non possiamo rimandare! Il maestro Rossini è il più prestigioso dell’intera provincia! Ha lavorato persino a Milano e a Venezia, non è educato rimangiarsi la parola data! Sono convinta ti piacerà moltissimo: anzi, voci che si rincorrono da qualche tempo, lo vogliono alla ricerca di una moglie! Se siamo fortunati, la promessa sposa potresti essere proprio tu!”
Costanza sgranò gli occhi: non aveva alcuna intenzione di sposarsi, il suo unico desiderio era ritornare dalla nonna, in mezzo ai boschi, cullata dalla montagne, immersa nella vita selvaggia che
, in quei primi diciotto anni di esistenza, era stata la sua fedele compagna di viaggio.
Lanciò un’occhiata d’aiuto in direzione del padre, assorto in chissà quali pensieri: aspettò che l’uomo alzasse almeno una mano, che dicesse la sua opinione su quel mucchio di assurdità che la moglie stava propinando alla sua unica figlia, ma attese inutilmente.
Così, non vedendo alcun segnale da parte del notaio, tornò a tuffarsi in mezzo alla solitudine e all’arrendevolezza che, ultimamente, si stavano impadronendo delle sue mancate decisioni: guardò delusa il volto appuntito della madre, gli occhi allungati ed azzurri, la bocca sottile aperta in un sorriso di incoraggiamento.
Erano in quei momenti, negli ultimi mesi sempre più soventi, che Costanza si domandava come facesse quella donna ad essere la figlia di donna Maria, la sua adorata e saggia nonna.
Avevano due caratteri così diversi, visioni della vita completamente all’opposto…
“In attesa che il maestro arrivi, hai il permesso per andare a ritirarti nelle tue stanze, figliola” si rabbonì donna Luisa, convinta di compiere un gesto di grande magnanimità.
La ragazza strinse il tovagliolo color panna che aveva adagiato sulle ginocchia, appena qualche attimo primo: lo ripose sul tavolo e, cercando di sorridere, acconsentì:
“Molto bene, ma almeno permettetemi di decidere una cosa: mi farò portare la colazione nella serra, lì fa più fresco. Chissà che l’emicrania mi passi completamente…”
   
 
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