Serie TV > The 100
Ricorda la storia  |      
Autore: Alley    07/02/2016    1 recensioni
“Smettila di giustificarti così, Clarke!” Bellamy si ferma, le rivolge uno sguardo che è uno schiaffo in pieno volto “Smettila di nasconderti dietro la nostra gente. È comodo usarla come pretesto, vero?”
L’accusa la inchioda sul posto, riporta a galla i rimorsi che non è mai riuscita ad annegare. Il fatto che sia Bellamy a dargli voce li rende infinitamente più dolorosi. Infinitamente più insopportabili.
“Non è per la nostra gente che te ne sei andata.”

[post 3x03] [pre Bellarke]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Lexa, Raven Reyes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Kane le rivolge un cenno di saluto mentre prende posto al cospetto di Lexa. I rappresentanti dei clan si dispongono a semicerchio intorno al trono su cui si erge impetuosa la figura del Comandante, il cui sguardo altero sonda gli astanti pregno di quell’autorevolezza che gli garantisce il rispetto degli alleati ed il timore dei nemici.

La Coalizione si riunisce sempre più di frequente da quando la minaccia del Regno di Ghiaccio si è fatta incombente; si resocontano le perdite subite, si elaborano strategie, si progettano attacchi che paiono ormai inevitabili da sferrare.

Il fantasma della guerra aleggia tra di loro, e Clarke si domanda quanto tempo occorrerà prima che cessi definitivamente di essere solo uno spettro.
 
*
 
Lexa le ha fornito una stanza sontuosa – da regina. Da quando l’accordo è stato sancito Clarke ha smesso di segregarsi al suo interno, ma continua a trascorrervi buona parte del proprio tempo, aspettando. Che cosa, non saprebbe dirlo.

Ha sempre vissuto in attesa da quando sono approdati sulla Terra: in attesa che sua madre venisse a riprenderla; in attesa che le cose migliorassero, che prendessero finalmente la piega che provava a dar loro; in attesa di diventare la persona che si era imposta di essere.

“C’ho provato. Ho provato a stare dalla parte dei buoni.”

È meglio non sapere di cosa si tratti. La delusione sarà meno cocente quando non arriverà.
 
*

Gli uomini di Lexa si preparano alla battaglia. Il clangore delle armi risuona nell’aria, penetrando nella sua stanza sin dalle prime ore del mattino insieme alle luci dell’alba.

La vista dà sul campo in cui l’esercito dei Grounders si allena. Non s’è mai affacciata da quando è lì, ma quel giorno lo stridore si trasforma in un richiamo che la spinge a sporgersi oltre le imponenti mura di granito per osservare l’addestramento.

Dall’ammasso di uomini e donne ricoperti d’armature e sudore si delinea una figura familiare.

Clarke la riconosce ancor prima di metterla a fuoco.
 
*

“La mia gente è a palazzo?”

Clarke irrompe nella camera di Lexa senza alcun cerimoniale. Le guardie che ne sorvegliano l’ingresso non provano nemmeno ad ostacolarla. Il Comandante è stato chiaro riguardo ai privilegi di cui Wahneda godrà durante il suo soggiorno a Polis.

“Quando l’accordo è stato stipulato abbiamo convenuto sul fatto che è necessario coalizzarsi per fronteggiare l’armata del Regno di Ghiaccio” replica Lexa, la consueta solennità a rivestire le sue parole “I nostri eserciti hanno bisogno di conoscersi per agire all’unisono sul campo di battaglia.”

“Non se n’è parlato durante l’ultima riunione.”

“L’avanzata del nemico è stata più rapida di quanto fosse possibile prevedere. Ho mandato degli emissari presso i rappresentanti dei clan per chiedergli di inviare qui parte dei rispettivi eserciti. Attendere la prossima adunata avrebbe sottratto tempo prezioso agli addestramenti.”

Forse non occorrerà altro tempo. La guerra è già diventata una realtà tangibile.

“Da quanto sono qui?”

“Due giorni.”

Clarke annuisce prima d’andar via.
 
*
 
Il mattino seguente raggiunge il campo poco prima che l’allenamento termini. In disparte, osserva Bellamy duellare con una Grounder che lo supera notevolmente in statura. Quando lo atterra, costringendolo con la schiena contro il terreno fangoso e puntandogli la spada alla gola, Clarke rivede davanti ai proprio occhi quanto accaduto pochi giorni prima e, per un attimo, ha l’impressione d’essere attanagliata dalla stessa morsa di panico.

“Farò qualsiasi cosa, smetterò di combattere. Solo, ti prego, non ucciderlo.”

Quando Bellamy si solleva le immagini si dissolvono, come una bolla di sapone scoppiata all’improvviso.

Pochi istanti dopo, la fine dell’addestramento viene annunciata nell’idioma dei Terrestri e la folla di combattenti comincia a defluire.

Bellamy procede nella sua direzione. Una volta raggiuntala, prosegue senza fermarsi. Senza nemmeno dar segno d’averla vista.

“Bellamy.” Clarke accelera il passo per affiancarlo. Lui continua a camminare guardando dritto di fronte a sé. “Non sapevo che fossi qui.”

“Preferirei non esserci” replica, secco, e Clarke increspa la fronte davanti al gelo di cui è intessuta la sua voce “Ma il Comandante ha ritenuto necessario che gli eserciti della Coalizione si preparassero insieme alla battaglia.”

“Lo so. Ho parlato con Lexa. Il Regno di Ghiaccio si avvicina con più rapidità del previsto.”

“Così pare.”

Continuano ad avanzare fianco a fianco, avvolti in un silenzio sfrigolante di tensione. Clarke ha la spiacevole sensazione d’esser tornata indietro, retrocessa all’epoca in cui Bellamy era un muro contro cui seguitava imperterrita a scontrarsi.

“Anch’io preferirei essere a casa, Bellamy.”

È una fase che non ha intenzione di rivivere, pertanto, non le resta che provare ad aprire una breccia nel cemento.

“Sei qui per tua scelta. Tu hai voluto che entrassimo a far parte della Coalizione” il tono di Bellamy s’incrina, piegato da un misto di rabbia e delusione – lo stesso che bruciava nei suoi occhi quando gli ha detto che no, non sarebbe tornata. “Tu hai deciso di restare.”

“Se non fossi rimasta Lexa---”

“Se non ti fidi di lei potevi rifiutare l’accordo.”

“Era la cosa migliore per la nostra gente.”

“Smettila di giustificarti così, Clarke!” Bellamy si ferma, le rivolge uno sguardo che è uno schiaffo in pieno volto “Smettila di nasconderti dietro la nostra gente. È comodo usarla come pretesto, vero?”

L’accusa la inchioda sul posto, riporta a galla i rimorsi che non è mai riuscita ad annegare. Il fatto che sia Bellamy a dargli voce li rende infinitamente più dolorosi. Infinitamente più insopportabili.

“Non è per la nostra gente che te ne sei andata.”

Il nodo alla gola è così stretto da impedirle di ribattere – non che potesse davvero farlo.

Non ci sono parole per confutare la verità.

“Sei molto più egoista di quanto ti piaccia credere.”

Si può soltanto incassarla in silenzio.
 
*
 
“E tu cosa ci fai qui?”

Quando vede Raven venirle incontro sente le labbra piegarsi in un sorriso - il primo che le viene strappato dopo tanto, troppo tempo.

“Volevo visitare la capitale. Abby m’aveva detto che era parecchio alla moda come posto.”

Raven sorride a sua volta prima di buttarle le braccia al collo. Soltanto in quel momento Clarke realizza quanto le sia mancata. Quanto il resto del suo popolo (dei suoi amici, della sua famiglia) le manchi tutt’ora.

“Ho chiesto a Kane di imbucarmi nella delegazione che avrebbe preso parte all’assemblea di questo mese. Avevo voglia di rivedere i miei amici.”

Raven è esattamente come la ricordava. Fiera e sfacciata, caparbia. Luminosa. L’unica cosa ad esser cambiata è il dolore scolpito nei suoi occhi, quello che il sorriso che si ostina ad ostentare non riesce a nascondere. Clarke lo vede riflesso allo specchio da troppo tempo per non riconoscerlo.

È stata talmente occupata ad addossarsi la colpa, in quei mesi, da non aver mai riflettuto sui segni che quanto avvenuto deve aver lasciato sugli altri.

“Sei molto più egoista di quanto ti piaccia credere.”

“Allora” dice, mettendo a tacere la voce che sussurra nella sua testa – non sa se sia quella di Bellamy o della sua coscienza “Come stai?”

“Alla grande.”

Clarke sa che è una bugia, ma sa anche che, a volte, raccontarsi menzogne è l’unico modo per andare avanti. La verità richiede tempo per essere accettata, e di sicuro lei non è la persona adatta a far prediche sulla necessità di affrontarla.

“Sono ancora viva, almeno. Molti non possono dire lo stesso.”

Clarke annuisce, comprensiva. Sentirsi in colpa per essere sopravvissuti; è stato il loro destino sin dal principio, sin dal momento in cui hanno contato i morti dopo essere atterrati sulla Terra quel giorno che le sembra distante anni luce.

Sopravvivere è una pena che non si smette mai di scontare.

“Sono felice.” Poggia una mano su quella di Raven, la stringe appena prima di riprendere a parlare. “Che tu sia qui. Che tu sia viva.”

Questa volta è l’altra ad annuire.

“Come sta Bellamy? Era a pezzi per Gina prima di venire qui.”

“Gina?”

“La sua ragazza. Stavano insieme da un po’. Era a Mount Weather quando---”

Raven lascia che sia il silenzio a finire per lei, ma Clarke ha già smesso di ascoltare.
 
*
 
“Clarke.”

Lexa lancia un’occhiata al piatto ancora intatto posto accanto alla porta. Non aveva voglia di lasciare la sua stanza, così ha chiesto che la cena le venisse portata in camera. Il cibo, però, non le è mai parso meno allettante.

“Domani i membri della Coalizione accorsi per gli addestramenti congiunti lasceranno la città. L’esercito del Regno di Ghiaccio ha cessato di avanzare. Occorrono presidi da stanziare lungo le zone in cui sosta. Ho pensato che volessi saperlo.”

"A che ora partiranno?"

"Prima dell'alba. È il momento più sicuro per mettersi in viaggio."
 
Clarke accoglie la risposta in silenzio, assorta in pensieri taglienti come vetro. Quando Lexa lascia la sua stanza, libera un sospiro spossato.

È stanca. Così terribilmente stanca. 

*
 
Quando apre la porta per andare da Bellamy, Clarke non riesce a reprimere un moto di stupore nel ritrovarselo davanti.

“Posso parlarti?” le chiede Bellamy, il disagio palpabile nella sua voce, e Clarke indietreggia per consentirgli di entrare.

“Clarke, io--”

“Ho parlato con Raven.”

Vorrebbe avere le parole giuste. Per una volta, vorrebbe riuscire a dirgli quello che ha bisogno di sentirsi dire.

“So cosa significa perdere qualcuno. Qualcuno di importante.” Bellamy s’irrigidisce, e Clarke deglutisce per spegnere il tremore della sua voce “So cosa significa sentirsi responsabile.”

La maschera di Bellamy si sfalda fino a svelare una smorfia straziata ed un paio di occhi lucidi davanti ai quali fatica a proseguire. “Mi dispiace” mormora e non sa per cosa lo stia dicendo, se per essere stata una vigliacca o per non essere tornata a casa o per Gina. Per la scia di morte che continua a seminare alle sue spalle. “Mi dispiace tanto.”

Colma la distanza che li separa, e lo abbraccia. Con tutta la forza di cui è capace, tutta quella che ha dimostrato di non possedere quando ha preferito scappare invece di accettare il suo perdono e voltare pagina insieme come le era stato proposto di fare.

Bellamy resta immobile per qualche istante, poi le allaccia le braccia attorno alla vita, esattamente come il giorno in cui gli è corsa incontro dopo essere tornata al campo - e Clarke vorrebbe che fosse davvero un abbraccio uguale a quello, fatto di speranza e sollievo e non di sofferenza.

Un solo, rumoroso singhiozzo esplode contro la sua spalla, scuotendo Bellamy a tal punto che Clarke lo sente tremare contro di sé. Lo stringe più forte mentre s’abbandona al pianto, serra la presa sul suo fianco e gli infila le dita tra i capelli – non è in grado di infondere conforto a qualcuno, non lei che riesce soltanto a distruggere tutto quello che tocca, ma non se ne starà con le mani in mano mentre Bellamy rischia di andare in pezzi.

Non metterà il suo dolore davanti a quello degli altri. Non questa volta.

“È stata colpa mia. Non avrei dovuto fidarmi.”

Clarke continua ad accarezzargli il capo fino a quando non lo sente rilassarsi sotto il suo tocco, e aspetta che sia lui a rompere l’abbraccio.

Bellamy indietreggia con lo sguardo basso; la vergogna per la propria debolezza è un altro di quei fardelli che Clarke conosce per esperienza, uno di quelli che le gravano sulle spalle dal giorno in cui ha abbandonato tutto a favore di una solitudine espiatrice.

“Non sei l’unico ad aver riposto la propria fiducia nella persona sbagliata.” Gli solleva il viso, piano. Una lacrima silenziosa gli rotola lungo la guancia, e Clarke cede all’istinto di asciugargliela “Tutti abbiamo commesso degli errori.” Gli strofina lo zigomo con il pollice, indugiando sulla pelle bagnata di pianto molto più del necessario “Io non ho saputo convivere con i miei.”

È straordinariamente liberatorio ammetterlo. È come tornare a respirare dopo mesi trascorsi in apnea.

“Clarke. Quello che ho detto---” Bellamy esita, tentenna più volte prima di interrompersi nuovamente "Io non--- Mi dispiace. Non volevo fartene una colpa.”

“È una colpa. Vi ho lasciati.”

Ti ho lasciato

Il pensiero prende forma nella sua mente prima che possa rendersene conto. Clarke si sforza di accantonarlo, di ignorare la voragine che le scava nel petto.

“Ma tornerai.”

Ci sarà tempo per guarire anche quella ferita.

“Sì. Te lo prometto.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The 100 / Vai alla pagina dell'autore: Alley