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Autore: CookieKay    08/02/2016    0 recensioni
Da quanto tempo non riuscivo più a vedere il mondo a colori? Ero talmente disillusa e cinica che ormai vedevo tutto in bianco e nero. Completamente assuefatta dalla monotonia e dalla noia che anche i miei pensieri non erano più in technicolor.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cinquanta minuti di ritardo.

Era il primo giorno di primavera e il sole aveva timidamente iniziato a fare capolino nelle vite di tutti noi giovani senza alcuna esperienza lavorativa alla ricerca di un posto fisso che ci permettesse di vivere. Mi sarebbe piaciuto poter affrontare il mio milionesimo colloquio con un bel sorriso stampato sul viso, con positività e grinta. Ma ero semplicemente sconfortata, inglobata in una nube di negatività da cui non potevo scappare. Ero stanca dei rifiuti, come se non valessi abbastanza, come se tutto ciò a cui mi ero dedicata e perfezionata non valesse nulla.

E come se non bastasse, ero bloccata in quella stazione ad aspettare un treno che mi avrebbe portata dritta dritta ad un ennesimo «Le faremo sapere».

Chiusi gli occhi in preda all'esasperazione e stilai un elenco mentale di dieci modi in cui avrei potuto uccidermi in quella maledetta stazione. Al primo posto trionfò l'attesa del treno fino alla morte cerebrale, che non era propriamente classificabile come suicidio, ma quasi come una punizione divina. Per lo meno mi sarebbe valso un posto nel Regno dei Cieli e non come albero divorato dalle Arpie nel dantesco Inferno.

Sospirai sconsolata, riaprendo gli occhi. Da quanto tempo non riuscivo più a vedere il mondo a colori? Ero talmente disillusa e cinica che ormai vedevo tutto in bianco e nero. Completamente assuefatta dalla monotonia e dalla noia che anche i miei pensieri non erano più in technicolor. Il che li rendeva più macabri di quanto già fossero. Spostai il mio sguardo annoiato in direzione di un uomo sulla ottantina, appollaiato su una panchina appena sotto ad un'anonima bacheca di avvisi, proprio di fianco alla biglietteria. Notai che mi stava osservando, come se fossi un quadro esposto in una galleria. Con un'acuta critica mista a un'indomabile curiosità. Da quanto tempo se ne stava lì a studiarmi? Mi schiarii la voce, decisa a chiedergli se avesse bisogno di qualcosa, ma lui mi anticipò.

«Come può una persona così giovane avere uno sguardo talmente vuoto e triste?»

In un primo momento rimasi spiazzata. Mi guardai intorno, sperando quasi che non stesse parlando con me, ma in quella sala d'attesa c'eravamo solo noi due. Avrei potuto ignorarlo, in modo da fargli capire che non avevo la minima intenzione di intavolare una conversazione sul mio, a suo dire, animo oscuro.

«Mi sta dicendo che ho gli occhi da bovino?» ironizzai. Fino a quel momento credevo di essere brava ad ironizzare, ma mi ero appena paragonata ad un bovino. Il che mi rendeva stupida, non ironica.

Lui rise, penso più per pietà che per reale divertimento. Scosse la testa e continuò: «Non volevo assolutamente paragonarti ad un bovino. Mi chiedevo solo se ci fosse un motivo per il quale nei tuoi occhi non ci fosse un briciolo di gioia.»

Non so cosa gli desse il diritto di stare lì a giudicarmi senza nemmeno conoscermi, ma non gli avrei dato la soddisfazione di leggermi dentro. Feci spallucce, senza dire niente.

«Sai, è successo esattamente qui. Proprio su questa panchina» iniziò a parlare. Voleva raccontarmi qualcosa, come una qualsiasi vecchietta in fila alle poste che ti ubriaca di parole fino a tramortirti e a cederle il tuo posto per farla andare via prima e non rivederla mai più.

«Era seduta qui» disse passando le sue dita sulla fredda superficie della panchina di metallo.

«Non era una bella donna, aveva folti capelli neri, in netto contrasto con la sua carnagione pallida, legati in modo scompigliato, con qualche ciocca ribelle che le cadeva sul viso. Era vestita in modo anonimo, con colori spenti, e teneva sulle ginocchia una borsa di tela bianca. Insomma, era l'ultima donna che avrebbe fatto girare gli uomini al suo passaggio. Ma non fu quello che mi colpì. Fu il suo sguardo. Curioso, vispo, attento. Aveva uno sguardo vivo. Esistono persone così, sai? Hanno un animo docile e all'apparenza lo sembrano davvero, ma poi le guardi negli occhi e ci vedi... Tutto. 
Riesci a scorgere l'intero universo nel loro sguardo. Ti fanno viaggiare con un solo battito di ciglia. Ti stravolgono l'esistenza solo guardandoti. E tu non puoi farci niente. Soccombi e basta. Inerme. Non sono molte le persone che possono vantarsi di un simile potere, anzi la maggior parte non sa nemmeno di possederlo. Ed è una cosa bellissima. Immagina sapere di poter ammaliare le persone con un solo sguardo: dopo un po' ti stuferesti, è nella natura umana. Invece non saperlo, ti permette di non sciupare la magia del tuo animo. Anzi, di aumentarla sempre di più. 
Può sembrare un discorso sconclusionato, posso capirlo, ma da qui ritorniamo alla mia domanda: come può una persona così giovane come te avere il vuoto nei suoi occhi?»

«Se ci sono persone che vedono a colori, allora ci sono persone che vedono in bianco e nero» risposi di getto.

Mi guardò un attimo, poi mi sorrise. «E' strana questa tua analogia. Perché senza il bianco e il nero non esisterebbero i colori. Un po' come l'equilibrio del cosmo: se non ci fosse il bene, non sapremmo cos'è il male. Ma chi decide cos'è il bene e cos'è il male? Noi.»

«Ha detto che non tutti possono avere quel potere» iniziai, ma lui mi interruppe, correggendomi: «Ho detto che non molti possono vantarsi di un simile potere. Credo che tutti potremmo averlo, ma non ci impegniamo. Immagina di avere due strade davanti a te: una grigia ma dritta, e l'altra colorata come un arcobaleno, ma piena di ostacoli, curve, dossi e, perché no, anziane in bicicletta con la spesa attaccata al manubrio. Sono convinto che molti decidano di prendere la strada dritta, anche se grigia, perché sono spaventati dagli ostacoli e si perdono la vera magia solo per pigrizia. Perché di pigrizia si tratta. Puoi capire molto da uno sguardo. Ad esempio, il tuo ora. Vedo una scintilla.»

Scossi la testa: «Io vedo in bianco e nero.»

«Non è mai troppo tardi per cambiare. Quella donna lo ha fatto con me. Inconsapevolmente. Non abbiamo mai parlato. Ogni tanto torno qui, sperando di incontrarla nei miei giorni grigi. La guarderei e tornerei subito a vedere a colori, ne sono certo.»

«Come si fa a cambiare?» chiesi, senza accorgermene. E' così che capita: aspetti un treno in una sala d'attesa, qualcuno ti parla e finisci inevitabilmente per rivedere tutte le tue convinzioni. Alle volte gli sconosciuti sanno capirti meglio di chi ti conosce da anni o di chi ti ha messo al mondo.

«Si cambia. Semplicemente. Come per ogni cosa basta la volontà. Tra una strada e l'altra ci sono milioni di scorciatoie. Sta a noi decidere quando cambiare via e...» s'interruppe. Mi guardava sorridendo. «Eccola ancora, quella scintilla» sussurrò, puntando il suo indice in direzione dei miei occhi.

Chiusi gli occhi.

Cercavo i colori.

Volevo i colori.

E quando li riaprii tutto era diverso. La sala d'attesa non era più grigia, ma di un giallo tenue illuminata dal sole primaverile. E gli occhi di quell'uomo brillavano come gemme. No, non erano i suoi occhi: era il riflesso dei miei.

Lo vidi ridere. L'aveva capito. «Sei riuscita a trovare una scorciatoia in un battito di ciglia. Ora vedo ciò che prima non c'era. Ciò che ci si aspetta da una ragazza giovane come te.»

Mi guardavo intorno, affascinata da come le cose potevano cambiare così velocemente viste sotto un altro punto di vista.

E la campanella che segnalava l'arrivo del treno iniziò a tintinnare.

  
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