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Autore: Flitwick    08/02/2016    4 recensioni
[Notre Dame de Paris: un possibile incontro fra Esmeralda e Quasimodo nella Londra del 1482]
“Io non vedo nessun mostro, vedo solo Mordred.” Sorrise nuovamente, continuando ad accarezzargli le guance mentre i suoi occhi sgranati si riempivano di lacrime, di nuovo.
Le sentì, le sue lacrime, sul suo palmo.
Caddero una ad una, ma lui non ci fece caso, concentrandosi ancora su quegli occhi azzurri, che, con dolcezza lo fissavano.
{Mordred/Aithusa}
 
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aithusa, Gaius, Mordred
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
- Questa storia fa parte della serie 'Zucchero, cannella ed ogni cosa bella'
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A LadyParsy e al suo amore per Notre Dame de Paris
  
 
 
 
Per comprendere la scena, vi consiglio di risentire God help the Outcast, del Gobbo di Notre Dame.
 

 
God Help the Outcasts~I am a Monster
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God help the outcasts
Hungry from birth
Show them the mercy
They don’t find on earth

 
 
 
 

 
 
Quella sera Aithusa sentiva così freddo che nemmeno stringendosi contro il grande portone di Westminister Abbey riusciva a riscaldarsi.
Si era arrampicata su una piccola nicchia, dove una Madonnina di bronzo tacitamente la osservava, e aveva osato dare uno sguardo al di fuori della chiesa, intravedendo la viscida figura del giudice Julius Borden[i] con i suoi scagnozzi.
Lurido bastardo. Mormorò, voltandosi di scatto verso l’ambone, colpita da un immediato senso di colpevolezza. Da quando quello squallido figuro aveva messo gli occhi su di lei, la sua vita era diventata un vero inferno. Non era passato giorno, e nemmeno notte, in cui non avesse cercato di catturarla per farla sua.
E meno male che era un uomo di chiesa, altrimenti cosa le sarebbe successo?
Era viva solo per miracolo stavolta, soltanto per un puro caso. Aveva avuto la fortuna di incontrare la persona giusta al momento giusto.
Il giovane capitano Pendragon[ii] aveva mentito – in una chiesa per di più!- affermando che avesse invocato il diritto d’asilo, permettendole di scampare alle grinfie di quel subdolo prete. Le aveva sorriso di sfuggita, per poi vedere la sua testa bionda scomparire oltre l’enorme entrate.
Una bellissima prigione mia cara, meravigliosa, ma pure sempre una prigione.
Strinse i pugni, scendendo lentamente dalla piccola finestrella, mentre i primi fedeli facevano capolino per assistere alla funzione.
Le lanciarono sguardi velenosi, carichi di odio per i suoi capelli chiari come la neve – è un segno del diavolo- e il suo vestito ridotto a brandelli nella parte inferiore. Le sue scarpe di panno incrostate di fango ormai stantio che aveva ormai rinunciato a ripulire mesi prima.
Bigotti infami pensò, vedendo due nobildonne farsi il segno della croce al suo passaggio. Come se loro soltanto fossero degne di perdono, nonostante tutti conoscessero il comportamento a dir poco sconveniente delle nobili londinesi.
Saltellò fino alla navata sinistra, lasciando liberi i suoi braccialetti d’argento di tintinnare per tutta la chiesa raccolta in preghiera. Così imparate. Ridacchiò fra sé e sé, immaginando lo sguardo sconvolto delle anziane ipocrite, mentre i loro mariti si sarebbero soffermati ad osservarla, famelici.
“Bambina, lascia pregare coloro che ne hanno bisogno.”
 
Spaventata da quella voce apparsa dal nulla, bloccò il polso sinistro, girandosi di scatto con il fiato sospeso.
 
“Mi dispiace padre Gaius.[iii]” Bisbigliò con un piccolo sorriso “Sembrano così buffi, padre, lo sapete pure voi che non stanno pregando. Molti fanno solo pettegolezzo.”
 
Il cipiglio severo del diacono le fece morire quella risata su nascere, rispedendola direttamente nello stomaco.
 
“Può essere che non tutti stiano pregando, ma alcuni lo stanno facendo, e dovresti farlo anche tu bambina mia.” Continuò duro, squadrandola da capo e piedi “Io sarò pure vecchio, ma non penso che tu sia esente da qualsiasi tipo di peccato.”
 
Aithusa abbassò lo sguardo, mentre un lieve imbarazzo le si dipingeva sulle guance. “Chiedo scusa padre, cercherò un posto dove non potrò darvi fastidio.”
 
“Ma no bambina resta pure, vieni.” Le afferrò con delicatezza il polso e trascinandola gentilmente verso un piccolo altare illuminato da tante candele di diversa statura. Molte appena accese, la cui cera tardava a cadere, mentre altre ormai ridotte a poche dita, consumate dalla loro stessa cera.
 
Padre Gaius si abbassò, facendo scrocchiare la sua vecchia schiena, per prendere una piccola candela candida leggermente impolverata.
 
“Tieni, accendila, e prega per chiunque tu desideri, o semplicemente, ascolta ciò che ti detta il cuore.” Le disse dolcemente il prete, lasciando nelle sue mani fredde quel piccolo cero ancora immacolato.
 
“Non so pregare, padre Gaius, come si fa? Nessuno mi ha mai insegnato.” Ammise la ragazza, piena di vergogna.
 
Il vecchio le sorrise dolcemente, accarezzandole il capo biondo “Non si impara a pregare, Aithusa, devi soltanto ascoltare ciò che il Signore ti vuole dire.”
 
“E se non mi vuole dire niente, padre? Forse io non sono… Insomma…”
 
“Non avere paura, bambina. Il Signore non fa distinzione fra classi sociali o tasse pagate, a lui tutto ciò non interessa.” Con un ultimo sorriso la lasciò da sola di fronte a quella foresta di luce che le dipingeva il volto di un tenue dorato.
 
Si inumidì le labbra, sentendo il caldo delle candele riportare alla vita le sue dita congelate per il freddo infernale di Londra.
Doveva veramente fare tutto quello che gli aveva detto padre Gaius? Si sentiva incredibilmente stupida e con la vaga sensazione di essere osservata in quella chiesa. 
Prese un bel respiro avvicinando il cero ad una fiamma, aspettando che si accendesse.
Si guardò ancora una volta intorno, sentendosi a disagio, sperando che nessuno stesse prestando attenzione a una povera zingara in un angolo dell’abbazia.
 
“Non so se puoi sentirmi”  Iniziò, chiudendo gli occhi, ed abbandonandosi alle parole che come un fiume in piena scorrevano dalla sua bocca “O ancora se ci sei, o se avrai voglia di ascoltarmi, non sono nient’altro che una zingara.”
 
Strinse il cero con forza, aprendo gli occhi celesti[iv] verso le fiammelle.
 
“Non dovrei parlarti, probabilmente, ma ti prego, se ci sei, ascoltami. Aiuta quelli come me, che in un modo, o nell’altro, senza offerte esagerate o doni molto costosi, ti sono devoti.”
 
Sentì un fruscio, e guardandosi da una parte all’altra, non riuscì però a individuarne la fonte. Probabilmente si stava lasciando suggestionare inutilmente, ma percepiva uno sguardo su di sé. Uno sguardo curioso che non la osservava per i suoi capelli demoniaci, ma per interesse alla sue parole.
 
Continuò, cercando di eliminare quella strana sensazione “Non ti chiedo nulla per me, ho quanto basta, ma fa’ qualcosa per quelli meno fortunati di me.”
 
Fa’ qualcosa per quelle piccole anime che muoiono in mezzo alla strada, te ne prego. Pensò, ricordando quella piccola bambina sepolta in mezzo alla neve, con le braccia livide e gli occhi stralunati. Le aveva portato del pane raffermo, ma il giorno dopo, il freddo della notte l’aveva portata via con sé.
 
Non sapeva nemmeno il suo nome e probabilmente, non lo avrebbe mai saputo nessuno.
 
Stavolta il fruscio divenne più deciso, tanto da farla voltare verso destra. Era più simile ad un passo felpato, di qualcuno che non volesse essere visto, ma che desiderava ascoltare il più possibile.
Aveva paura a svoltare l’angolo, sperando di non vedere uno degli scagnozzi di Borden.
 
“Salva i poveri e i disperati, ero convinta che saremmo stati tutti…”
Un singhiozzo.
Un singhiozzo silenzioso da dove sentiva lo sguardo.
“… Tuoi figli.”
Qualcuno aveva sentito tutta la sua preghiera e si era commosso.
Appoggiò delicatamente la candela accanto alle sue gemelle, muovendosi con dei piccoli passi in quella direzione, sentiva il cuore martellare nelle orecchie con insistenza.
Chi poteva avere così interesse per le parole di una gitana da piangere?
 
Svoltò lentamente l’angolo, ma prima di poter vedere chi si nascondesse dietro la colonna, un urlo di donna riempì l’aria satura di incenso, richiamando la sua attenzione.
 
“Per amor del Signore, cosa ci quell’abominio qua dentro?”
 
“Mandatelo via! Non è degno di stare qui! Non merita la pietà del Nostro Signore.”
 
Aithusa guardò nuovamente la colonna da cui provenivano i singulti, ma nel buio non riuscì a intravedere altro se non degli occhi grigi impauriti, che nel giro di pochi secondi scomparvero con un scalpiccio diretto verso il campanile.
 
“Aspetta!” urlò, infischiandosene degli sguardi infastiditi delle suore con il loro rosario vicino al cuore.
 
Ti prego fatti trovare, fatti vedere, chi sei?
Seguì i passi tenendosi la gonna blu, non poteva lasciarlo andare, doveva vederlo.
Doveva vedere questo qualcuno che alle sue parole si era lasciato andare ad un pianto, che per certi aspetti, le era apparso quasi liberatorio.
Voleva vedere quello che loro, dall’alto della loro piccolezza, chiamavano abominio.
 
Lo rincorse su per le scale ripide, sentendo il suo fiato farsi corto per la corsa e i suoi passi farsi più veloci per la paura.
Che scappasse perché la credeva una di quelle bigotte che si apprestavano a iniziare il rosario?
Credimi, sono tutto fuorché quello. Sorrise a quel pensiero, immaginandosi infagottata in un vestito enorme e ricoperta di gioielli.
 
Quando gli scalini si apprestavano a terminare e i passi che inseguiva cessarono, Aithusa si ritrovò in una piccola stanza immersa nella semi-oscurità. A poca distanza da lei, c’era un piccolo tavolo con una miniatura di quella che le sembrava l’abbazia, mentre dei piccoli vetri colorati, appesi ad una trave, rilasciavano dei deboli raggi, il resto era completamente nascosto da un telo grigio.
Dietro una colonna, subito dopo una campana ammaccata, intravide un letto, con una piccola candela spenta, molto simile a quella che aveva visto prima nella chiesa.
 
Si guardò intorno più volte, cercando di captare il minimo movimento dello sconosciuto, facendo scampanellare i braccialetti, ma di lui non sembrava esserci traccia, o almeno, così sembrava.
 
“Mi dispiace averti spaventato, non era mia intenzione.” Si indirizzò verso il tavolo, aspettando che l’abominio saltasse fuori, indispettito per aver toccato il suo lavoro. “Volevo ringraziarti per avermi ascoltato, prima, intendo.”
 
Almeno di sicuro qualcuno l’ha fatto. Commentò fra sé e sé, alzando un sopracciglio.
 
Silenzio, né un fruscio, né un bisbiglio, niente.
 
“Non volevo rincorrerti in quel modo, e mi ha dispiaciuto anche il modo in cui ti hanno trattato, se non fosse stato per me non ti avrebbero scoperto. È colpa mia, perdonami.”
 
Sfiorò con delicatezza la piccola cattedrale di legno, notando dei pigmenti di colore sparsi là vicino. Pennelli sporchi, pezzi di stoffa rozzamente tagliati, ago e filo. Scostando leggermente il telo, apparvero una ad una delle piccole miniature non ancora colorate. Il fornaio, il maniscalco… Sorrise prendendone una e avvicinandola alla luce soffusa del tramonto.
Erano curate nei minimi dettagli, i vestiti, le espressioni, sembravano fatte da un falegname.
 
“Le hai fatte tu queste?” La domanda si perse nel vento, e Aithusa sperò, in fondo in fondo, che qualcuno le rispondesse. Attese diversi minuti, con le orecchie all’erta, mordendosi l’interno della guancia.
Ma la risposta non arrivò.
Sconsolata, ripose la statuetta dove l’aveva trovata, ormai conscia che nessuno sarebbe venuto a reclamarla.
 
Ho parlato da sola, è questa la verità. Mormorò amaramente, imboccando la tromba delle scale.
 
“… Sì, le ho fatte io.”
 
Si fermò di scatto, ancora sulla soglia, mentre il cuore riprendeva a battere furiosamente in petto per l’eccitazione.
Una voce calda e bassa, una voce maschile, da qualche parte le aveva risposto.
La voce di un ragazzo, a giudicare dal tono.
Non ferma e decisa, come quella degli uomini. Timida e timorosa, che in un soffio si perse fra gli Ave Maria provenienti dabbasso.
 
“Dove sei? Fatti vedere. Volevo ringraziarti.”
 
La voce non rispose, e Aithusa si morse la lingua. Domanda peggiore non poteva essere posta, doveva essere lei a individuarne la fonte in quella stanzetta.
 
“Lascia stare la prima domanda, va bene così. Io mi chiamo Aithusa.” Sorrise, cercando di sembrare incoraggiante, chiedendosi se lui potesse vederla.
Dopo alcuni secondi la voce rispose, stavolta, la ragazza la sentì da sinistra.
 
“Io sono Mordred.” Continuò titubante la voce.
 
Mosse alcuni passi, stavolta verso la voce, sentendo il corpo del ragazzo farsi spazio contro la parete, per allontanarsi il più possibile da lei.
 
“Piacere di conoscerti, Mordred. Penso che tu… Abbia sentito ciò che ti ho detto prima, non volevo… Che accadesse tutto ciò.”
 
Afferrò con determinazione il telo che celava il ragazzo dal suo sguardo, percependo il suo respiro trattenuto.
Che fosse deforme? Che fosse cieco?
Si morse le labbra, scuotendo la testa. Sicuramente era molto sensibile, il suo pianto glielo aveva dimostrato.
Cercò di immaginarsi tutti i mostri possibili e pensabili, per non lasciarsi sorprendere dal suo aspetto.
 
Qualunque cosa egli sia, non farti impaurire.
 
Tirò con forza la tenda che li separava, ma la figura che vi ritrovò la sorprese enormemente.
Per terra, con le gambe strette al petto, c’era un ragazzo sui vent’anni, accovacciato. I capelli neri e corti incorniciavano il suo viso che, a detta di Aithusa, non possedeva alcun tratto di mostruoso.
Gli occhi grigi e vispi, la fissavano, sbattendo a ritmi regolari le lunghe ciglia scure, il naso piccolo e grazioso, mentre la bocca era tirata, forse in attesa di un suo movimento.
 
Questo per loro è un abominio? Pensò incredula, specchiandosi negli occhi chiari e impenetrabili del giovane.
 
Allungò lentamente una mano, avvicinandola con cautela alla sua guancia pallida. Inizialmente insicuro, fece per scostarsi, ma Aithusa ci riprovò, e lui, docilmente si lasciò toccare.
La pelle era liscia, senza barba, e ancora umida per le lacrime di prima. La accarezzò dolcemente, piegandosi sulle ginocchia per poter essere al suo stesso livello.
 
“Perché…?”
 
“Non toccarmi, sono un abominio, lo hai sentito anche tu.” Sibilò, scostandosi nuovamente dal tocco gentile di lei.
 
Aithusa non si lasciò intimidire e con delicatezza, gli afferrò il viso, costringendolo a guardarla negli occhi.
Cosa sei di così terribile?
Non vedeva niente che avesse potuto far anche solo ipotizzare che fosse un mostro. Probabilmente i suoi capelli bianchi avrebbero destato più clamore.
 
“Mordred, io non vedo nessun abominio qui con noi.” Sorrise “Se non i miei capelli.”
 
Lui non sorrise, continuando a guardarla negli occhi con risolutezza.
 
“I-Io sono… un incesto, Aithusa.” Mormorò, con voce spezzata “Sono molto peggio di quello che posso sembrare.” Lo sentì deglutire con forza “Sono frutto del Demonio.”
 
Un brivido scosse la schiena di lei, ben cosciente di cosa fosse Mordred e perché lo avessero cacciato in quel modo.
Si inumidì le labbra, passandogli una mano fra i ciuffi corvini, disegnò con il pollice le sopracciglia scure, poi carezzò il naso e infine la bocca tremante.
 
“Io non vedo nessun mostro, vedo solo Mordred.” Sorrise nuovamente, continuando ad accarezzargli le guance mentre i suoi occhi sgranati si riempivano di lacrime, di nuovo.
Le sentì, le sue lacrime, sul suo palmo.
Caddero una ad una, ma lui non ci fece caso, concentrandosi ancora su quegli occhi azzurri, che, con dolcezza lo fissavano. Con incertezza, avvicinò la sua mano a quella di lei, coprendola gentilmente.
 
“Grazie per... Per aver pregato per quelli… Quelli come me.” La sua voce si ruppe in un singhiozzo “N-Nessuno lo aveva mai fatto prima d’ora, grazie, che tu sia benedetta.” Le baciò il palmo della mano con devozione, nei suoi occhi, una luce di speranza. “Sei un angelo, non è vero?”
 
Aithusa rise, lei un angelo era davvero il colmo! Padre Gaius l’avrebbe ripresa per superbia, ma quel giovane sembrava convinto di ciò che stesse dicendo.
 
“No, non sono un angelo.” Fece spallucce, schermendosi “Sono solo una mendicante, e ora anche una prigioniera di questa chiesa.”
 
Prima che lui potesse parlare, allontanò le mani dal suo viso, alzandosi, per poi tendergli le mani per farlo alzare. Mordred la fissò a lungo, per poi asciugare frettolosamente le lacrime ancora vagabonde sul suo viso.
 
Sentì il cuore stringersi di tenerezza, sembrava un bambino, più che un uomo. Lo sguardo smarrito, gli occhi pieni di lacrime l’avevano colpita profondamente.
Non sei un abominio, non lo sei mai stato.
 
“Sei davvero bravissimo con il legno, hai imparato da solo?” chiese, aspettando che lui prendesse le sue mani.
 
Mordred annuì timidamente.
 
“Mi insegneresti?”
 
Lo vide alzare di scatto il viso, rosso sulle gote più di quando lo fosse prima. “N-Non lo so, ci vuole tempo, è difficile…”
 
“Ho tutto il tempo del mondo, possiamo stare quanto vuoi.” Il ragazzo afferrò le sue mani, dandosi la spinta per risalire. Era più alto di lei di quasi due spanne, le spalle larghe coperte da una casacca grigia rattoppata in più punti.
 
Forse per imbarazzo, lo vide curvarsi per rendersi più piccolo e poterla guardare negli occhi, nuovamente.
Per la prima volta, Aithusa lo vide sorridere.
Un sorriso piccolo e timido che la fece sciogliere completamente.
“Sono tutta tua, insegnami.”
 
Mordred annuì, guardandosi intorno, come se fosse alla ricerca di qualcosa.
 
“Qualcosa non va?” domandò, cercando nella stanza un elemento che potesse creargli fastidio.
 
“N-No, è che...” balbettò, arrossendo vistosamente “Non ho un altro sgabello.”
 
Aithusa tacque, mentre le sue sopracciglia chiare si sollevavano per lo stupore, sparendo sotto i capelli.
Si vergognava di non avere un altro sgabello? Potevano stare a terra e mettere la candela vicino a loro.
Oppure fare a turno.
Davvero si stava preoccupando di trovarle un posto a sedere?
 
Vide i suoi occhi sgranarsi e le sue mani stringere le sue con forza.
 
 “S-Se non hai fretta, posso fabbricarne uno adesso.”
 
La ragazza si emozionò, osservando il ragazzo armarsi di legno e scalpello.
Qualcuno stava facendo qualcosa per lei.
Qualcuno voleva che lei restasse.
Qualcuno… Si stava preoccupando per lei, per la prima volta in tutta la sua vita.
 
“Non c’è bisogno Mordred, posso sedermi a terra…” Non riuscì a terminare la frase che l’indice del ragazzo si fermò sulle sue labbra screpolate, invitandola a tacere.
 
Con un sorriso imbarazzato le fece segno di accomodarsi sulla sua piccola panchetta, nascosta sotto il tavolino. Lei obbedì, cercando di fare meno rumore possibile.
 
“Il mio angelo custode non deve sedersi per terra.” Mormorò lui, raschiando il legno grezzo su un lato ben preciso “Penso si dica così… Padre Gaius mi ha detto che si chiamano così.”
 
Gli occhi di Aithusa divennero d’acqua e maldestramente li asciugò prima che le potessero macchiare il viso.
Mordred continuò silenzioso, senza notare l’emozione improvvisa di lei.
 
Se lei era un angelo quel ragazzo era un santo. Conosceva quell’innocenza, tipica dei bambini che con l’avanzare degli anni svaniva, rimpiazzata dalla malizia.
In lui questo non sembrava essere successo, un corpo di uomo in cui era rinchiuso l’animo di un fanciullo.
Il modo in cui l’aveva visto piangere fra le sue mani, la sua gentilezza nel lasciarla sedere nell’unico posto in cui era accetto, la fece sorridere, ripensando a Julius Borden e a quanto fosse indegno di Mordred.
Nato per colpa non sua, portava un peccato che non aveva commesso, per questo, era costretto a vivere da solo.
Borden era malvagio e malefico, tutti lo sapevano in città. La sua condotta non rispettava nessun canone ecclesiastico, spesso infrangendo bellamente tutti i comandamenti che il prete le aveva insegnato moltissimi anni prima.
 
Se devo andare all’inferno che lui bruci più di me.
 
“Aithusa, per quanto vuoi rimanere?” La voce del corvino la risvegliò dai suoi desideri di vendetta. Si voltò di scatto, mentre il suo sorriso timido attendeva una sua risposta.
 
Tese una mano, accarezzando le mani del ragazzo con gentilezza, per poi sorridergli amabilmente.
 
“Resto finché vuoi, Mordred.”
 
 
 
 

 
 

i Personaggio presente nella 4x04 che ruba l’uovo di Aithusa dal campo dei Druidi, qui interpreta Claude Frollo.
[ii] Arthur nei panni di Phoebus è un bello spettacolo, concedetemelo~
[iii] Il mitico Gaius nei panni di un bravo diacono ci sta anche qui
[iv] Aithusa, ovviamente, interpreta Esmeralda (Capitan Ovvio), ma essendo un drago, e non parlando per tutta la serie, non avevo idea di come darle voce. Ho immaginato una ragazza albina, con una montagna di capelli mossi e con gli occhi azzurri che ha un carattere niente male. Forte e indipendente, che però, davanti a Quasimodo/Mordred si scioglie. Non so se è possibile considerarla OOC, purtroppo non si è mai espressa, quindi mi sono lasciata prendere dall’immaginazione.
V Mordred invece è un Quasimodo un po’ particolare. Mi sono ispirata a Mordred versione ‘cavaliere perfetto’ nelle prime puntate della quinta stagione, dove sembra un angioletto. Ho provato ad adattare questo suo atteggiamento ed è uscito un Mordred molto cuccioloso e infantile. Non so se possa considerarsi anche lui OOC, ma non penso. È figlio di Morgana, ma non di Arthur (anche perché avrebbero praticamente la stessa età o.o) è il frutto incestuoso di due fratelli di famiglia nobile. Per evitare lo scandalo il bambino è stato abbandonato.
 
Per la coppia, è un crack paring, ovviamente, ma i due si sono incontrati(lei gli ha pure forgiato la spada, se ricordo bene), quindi è un mezzo crack(?).
Aithusa versione umana mi ispira davvero un sacco, è fantastica e con Mordred ancora di più. Da donna me la sono immaginata più  forte e più combattiva di quanto appaia nel telefilm (anche perché Mordred è un tenerone e non è proprio fortissimo di carattere, quindi ci vuole una donna di polso).
Ovviamente, è inutile aggiungere che Kara la detesto e io a quella il mio piccolo Mordred non glielo mollo (?), o Aithusa o niente.
 
Per l’ambientazione, mi sembrava sciocco usare proprio Notre Dame, ho preferito utilizzare Westminister Abbey. So che è una chiesa anglicana, ma ho letto che gli anglicani riconoscono la figura della Madonna. Ora, non sono mai stata nell’abbazia, quindi non ho idea se ci sia o meno una statua di Maria. Ho adattato la chiesa alla religione cristiana, ho preferito non sparare cavolate su una religione che, ahimè, conosco pochissimo.
 
Detto ciò, ringrazio chiunque abbia letto, in silenzio o non e vi auguro che la mia shot vi sia piaciuta ^.^
Se avete voglia di lanciarmi pomodori costruttivi addosso *infila gli occhialini* Io sono qui ad aspettarvi!<3
Au revoir!
 
Eurydike
  
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