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Autore: Manu_Green8    08/02/2016    1 recensioni
Ogni volta che lui metteva piede nel mio locale, un sorriso sorgeva involontariamente sul mio viso.
E io non potevo farci nulla. Dopotutto lui era Dean Winchester, il ragazzo che mi aveva affascinata da quando portavo ancora le trecce e che tutt'ora, dopo tutti quegli anni, con un semplice e dannato sorriso mi faceva perdere la testa.
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E sinceramente è la prima volta che scrivo sul mio telefilm preferito. Ma ho avuto quel momento di ispirazione che non poteva essere ignorato ed è venuta fuori questa one shot, con un nuovo personaggio al suo interno.
Molte cose rispecchiano ciò che penso del mio personaggio preferito e spero che anche voi siate dello stesso parere.
Buona lettura!
Genere: Malinconico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dean Winchester, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Ottava stagione
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Quel pomeriggio era tutto molto tranquillo. Un pomeriggio dei pochi, senza irruzioni casiniste e gente ubriaca a causa di tragedie familiari.

"Carl, smettila di prendertela con le mie freccette, prima che te le sequestri" dissi senza guardare il mio cliente più abituale e continuando a pulire il bancone.

"Ma Rachel! Non vogliono proprio fare ciò che voglio. Perché non colpiscono il bianco? È lì che miro" rispose il cacciatore in pensione.

"Sei tu che non sei buono, Carl! Cambia sport!" lo prese in giro Ed. Erano gli unici due clienti che c'erano nel locale al momento.

"Non può neanche essere considerato uno sport!" ribatté Carl, mentre io scuotevo la testa e mi abbassavo per prendere uno straccio sotto al bancone.

Stavo ancora piegata in avanti quando il tintinnio della porta che si apriva faceva zittire i due uomini che battibeccavano.

"Winchester".

Quella semplice parola mi fece accelerare il battito cardiaco. Avevo una possibilità su due che fosse lui. O magari si trattava di entrambi. E sinceramente ci speravo così tanto. Ci speravo da sei mesi e dodici giorni.
Solo il fatto di tenere il conto dei giorni in cui non l'avevo visto era una cosa patetica. Ma quando si trattava di lui era sempre stato così.
Ogni volta che lui metteva piede nel mio locale, un sorriso sorgeva involontariamente sul mio viso. E io non potevo farci nulla. Dopotutto lui era Dean Winchester, il ragazzo che mi aveva affascinata da quando portavo ancora le trecce e che tutt'ora, dopo tutti quegli anni, con un semplice e dannato sorriso mi faceva perdere la testa.
E quando i suoi stivali avevano calpestato il pavimento del mio locale sgangherato quel pomeriggio, il mio cuore era quasi balzato fuori dal petto.
Era proprio come lo ricordavo. Forse con qualche ruga in più intorno agli occhi, ma era sempre lui. Le sue gambe storte, fasciate dai jeans scuri. Le sue camicie a quadri e la giacca di pelle. I capelli biondi appena alzati, come al solito. I suoi occhi verdi, così belli da far male soltanto a guardarli. E il suo mezzo sorriso beffardo.
Quello stesso sorriso che tante volte mi aveva fatto arrabbiare, ridere e anche impazzire.

"Dean" il suo nome appena sussurrato dalle mie labbra sembrava quasi stonato. Era da mesi che non lo pronunciavo ad alta voce, nonostante mi capitasse di pensarlo spesso.

"Cos'è questa calda accoglienza? Ti sei dimenticata di me da non riconoscermi più, per caso?" quella punta di ironia nella sua voce calda e così familiare mi fece rabbrividire.

"Dean" dissi a voce più alta, aggirando il bancone e andando verso di lui. Non dovette dire nulla. Aveva solo aperto le braccia per me e io avevo accolto quell'invito immediatamente, gettandogli le braccia al collo.
La sua risata mi fece scoppiare il cuore di gioia e dovetti trattenere le lacrime. Non gli avrei mai dato quella soddisfazione, dopotutto. Era sempre stato così, anche quando eravamo bambini. Quando giocavamo in mezzo alle innumerevoli macchine nell'immenso parcheggio - o meglio discarica di auto - di zio Bobby. Ero sempre stata più imbranata di lui nei movimenti, a causa del mio essere esile, ma già troppo alta per la mia età. Ed era per quello che spesso mi ritrovavo per terra, con le mani e le ginocchia sanguinanti e lui che mi prendeva in giro. Io che gli davo le spalle, non volendo che vedesse le mie lacrime, mentre il piccolo Sam mi chiedeva se stessi bene. Era sempre stato così dolce e gentile rispetto al fratello maggiore.
E poi Dean aveva smesso di prendermi in giro, dopo che un pomeriggio d'estate avevo reagito decisamente male alle sue parole e avevo finito per tirargli un cazzotto sul viso, mentre i nostri padri ci guardavano con gli occhi spalancati.
Ricordavo ancora il complimento che mi fece John quella volta. "Davvero un bel destro, Rachel", mentre suo figlio stava per terra.

"Allora non ti sei dimenticata di me!" disse, mentre io chiudevo gli occhi e mi godevo il suo abbraccio, aspirando il suo odore dolce e cercando di imprimerlo nella mente ancora una volta.

"No, brutto bastardo. Dove sei finito? Ti aspetto da anni" dissi allontanandomi da lui, ma senza togliere il contatto con le sue mani.

"Mesi, Rachel. Non anni".

Gli diedi un colpo sul petto, storcendo la bocca per il suo fare il precisino, quando in realtà non lo era mai stato. Era Sam il fratello puntiglioso, non Dean. Lui mi guardò divertito, senza dire una parola. Non riuscivo a capire il suo sguardo.
I suoi occhi erano sempre gli stessi, ma adesso che osservavo meglio c'era qualcosa di diverso dietro al suo sguardo. E io non avevo idea di cosa fosse.
Per un attimo pensai si trattasse di malinconia e forse era davvero così. Continuavo a ripetermi che gli ero mancata, tanto quanto lui era mancato a me e speravo che fosse realmente così. Ma in fondo sapevo che si trattava di una vana speranza.

"Ho parlato con Sam ho un po' di tempo fa. Sai, tuo fratello ogni tanto alza la cornetta del telefono e mi chiama. Dovresti farlo anche tu qualche volta".

Dean annuì appena, guardandomi seriamente. "Sono stato un po' impossibilitato in questo periodo, dolcezza". Un brivido mi attraversò. Avevo sempre odiato sentirlo usare nomignoli del genere nei miei confronti, ma in quel momento l'unica cosa che riuscivo a pensare era che nonostante tutto mi era mancato anche quel suo modo di parlare e trattare con me.
Lanciai uno sguardo ai due clienti che adesso stavano in silenzio e ci fissavano. "Non avete proprio niente da fare voi due?" chiesi acidamente. Quanto odiavo la curiosità dei cacciatori...

"No" risposero in coro e io sbuffai.

"Andate via. Forza, è ora di chiudere" dissi indicando la porta.

"Chiudere? Ma se sono le cinque" protestò Ed, continuando a stare seduto.

"Ho detto che è ora di chiudere. Mi prendo un'ora. Poi riapro. Quindi muovete quei brutti culi raggrinziti e andate a farvi un giro" dissi, guardandoli in modo minaccioso.

I due sbuffarono e si alzarono in piedi. "Questi Winchester..." borbottò Carl, prima di uscire dal locale.

Mi affrettai a chiudere la porta mettendo in mostra il cartello con la scritta 'chiuso' e raggiunsi di nuovo Dean, che adesso stava cercando una birra dietro al bancone. "Però... da quando Jordan ha lasciato il locale nelle tue mani, questo posto ha fatto passi da gigante".

"Che vuoi che ti dica? Doti naturali. Dopo che la Road House è stata distrutta, dovevo fare in modo che questo posto fosse abbastanza accogliente per tutti i cacciatori della zona" dissi, mentre gli toglievo la birra dalle mani e gli indicavo uno sgabello, sul quale andò a sedersi.

"E Jordan non ce la faceva più. Adesso è alla Bahamas a godersi il mare e il sole".

Dean si mise a ridere. "Beato lui". Quella frase aveva al suo interno molta ironia, ma anche una punta di invidia. Non tutti i cacciatori riuscivano ad abbandonare tutto in quel modo e tornare a vivere normalmente. Beh, in effetti quelli che c'erano riusciti potevano contarsi sulle dita di una mano.

Stappai la birra e la misi in un boccale che spinsi verso di lui, prima di poggiare i gomiti sul bancone.

"Dove hai lasciato il fratello intelligente?" chiesi e lui mi fece un piccolo sorriso.

"Kansas. Abbiamo deciso di separarci per un po'. Voleva seguire un caso, mentre io volevo seguirne un altro e..." iniziò a spiegare.

"Da quando in qua voi due vi dividete? Avete litigato di nuovo, Dean?".

Lui prese un sorso della sua birra e non c'era neanche bisogno che rispondesse alla domanda per capirne la risposta. "No".

Io scossi la testa divertita. "Che bugiardo... Ma dato che questa risposta falsamente negativa significa che non ne vuoi parlare, farò finta di crederti".

Lui tornò a sorridere. "È per questo che ti amo, Rachel".

Il mezzo sorriso divertito sparì immediatamente dal mio viso. Quella frase era stata come una pugnalata al cuore. E prima che si accorgesse di quanto mi avesse turbato, chiesi: "Cos'è questa storia del purgatorio?".

Dean si passò una mano tra i capelli. "Il fratello intelligente non si sa tenere niente, eh?".

"Lo sai. Si sente in dovere di avvisarmi su cosa ti accade nella vita, dato che tu non ti prendi la briga di farlo. E sinceramente la parola purgatorio non sembra portare proprio niente di buono. Ho sentito che non è un posto pieno di fiori e se tu sei stato lì, beh... forse dovrei preoccuparmi" dissi, sollevandomi un po' e poggiando i palmi delle mani sul bancone freddo.

"Ma sono qui, giusto? Sono vivo. Hai ragione, non è un posto pieno di fiori, ma io sono Dean Winchester. Ho la pelle dura, lo sai".

"Il tuo istinto di conservazione è notevole, Dean. E sai una cosa? Adesso ho capito a cosa è dovuto quel cambiamento nei tuoi occhi".

"I miei occhi sono sempre bellissimi" si pavoneggiò sollevando il bicchiere verso la bocca e facendomi l'occhiolino.

"Su questo sono d'accordo, Dean". Sinceramente non sapevo neanche io cosa ci trovassi in quell'uomo. Spesso era maleducato e sbruffone... ah, piantala di dire stronzate, Rachel! Ami anche quel suo aspetto. Lo avevo sempre fatto, tanto che il mio primo bacio che corrispondeva anche al nostro primo bacio era avvenuto proprio a causa del suo esser gradasso già a quindici anni. E a dirla tutta anche la nostra prima scopata era avvenuta per lo stesso motivo. Iniziavamo litigando, finivamo nudi su un letto. Era sempre stato così con Dean.
Il nostro rapporto non era per niente sano. Ma siamo cacciatori. La nostra vita in generale non è sana. Ammazziamo creature sovrannaturali e vediamo la gente morire attorno a noi. Proprio come zio Bobby l'anno prima: una ferita ancora aperta che bruciava tremendamente. Proprio come mio padre e il padre di Dean. Il nostro stile di vita era il peggiore.
Ma una volta iniziato, come avevo già detto, è tremendamente difficile uscirne. Quasi impossibile. Combatti o muori. Era questa la frase che mio padre mi ripeteva sempre, fin da bambina.
E i legami? Per quelli non c'era tempo. Non c'era spazio. E a Dean bastava l'amore per suo fratello. Era la sua più grande debolezza, ma anche la sua più grande forza.
E non avrebbe lasciato che una donna diventasse una sua ulteriore debolezza.
Io e Dean ci amavamo a modo nostro. Ma entrambi conoscevamo i rischi e le conseguenze e quello ci bastava. Ricercare il piacere e curarsi le ferite a vicenda. Dean non era mio e mai lo sarebbe stato. Mi faceva così male pensarlo, ma era vero: Dean non era mio e io non ero sua. Ma sinceramente Dean era una delle mie cure migliori. Io e Dean ci amavamo, ma si trattava di un amore limitato, di quelli su cui non puoi fare affidamento.

"Non ho intenzione di essere la tua psicologa, Winchester".

"Non voglio che tu lo sia infatti, Rach" mi rispose, finendo la birra e guardando il bicchiere.

Passammo qualche minuto in silenzio e potevo vedere il suo viso perso in qualche meandro della sua mente. "Come stai?" mi chiese alla fine, puntando di nuovo lo sguardo su di me.

Io feci un sorriso. "Domanda illecita, ricordi?". E sapevo che lui ricordava eccome, ma ci aveva provato comunque. Erano passati anni da quando avevamo stabilito quella regola. Quella domanda non doveva essere posta. Mai.

"Giusto..." disse, ricambiando il sorriso.

E poi sospirai, togliendogli il boccale dalle mani. "Perché sei qui, Dean? Hai bisogno di qualcosa?".

"Non ho bisogno di nulla. Ero di passaggio, Rachel. Volevo solo vederti" mi rispose, intrecciando le mani sopra al bancone.

"Dean, piantala. Ripeto la domanda: perché sei qui?".

Lui mi guardò e sospirò, prima di alzarsi in piedi. "Volevo salutarti...".

E io lo sapevo. Sentivo quella strana sensazione dentro allo stomaco. Quella sensazione che portava il mio corpo ad andare a sbattere contro l'angoscia, la paura, la preoccupazione.
Non riuscii neanche a chiedere che intenzioni avesse. Che cosa avesse in mente di fare. E sinceramente non volevo saperlo. Era molto meglio così.
Aggirai il bancone e lo raggiunsi, sollevando appena il collo per guardarlo negli occhi. Era durato così poco il periodo in cui ero stata più alta di lui. Adesso invece mi sarei potuta nascondere perfettamente dietro di lui, alle sue spalle larghe e alla sua figura abbastanza alta. Non quanto suo fratello Sam, certo. Ma Dean restava pur sempre alto.
Non dovemmo dire nulla. Quello sguardo diceva ogni cosa. Dal 'mi sei mancato' che entrambi non eravamo stati in grado di pronunciare al 'mi dispiace', perché scusarsi nel nostro caso non faceva mai male. Al ti amo... che io non ero riuscita a ricambiare ad alta voce qualche minuto prima, anche se lui lo sapeva. Non c'era bisogno che glielo confermassi.
Dean si sporse in avanti e mise le mani sul mio viso, prima di chiudere la distanza e baciarmi.
Il sapore delle sue labbra era così buono, da inebriarmi la mente. Mi aggrappai alle sue braccia con le mani, ricambiando il bacio e lasciando entrare la sua lingua.
Sei mesi e dodici giorni che aspettavo di poterlo rifare. Di poter baciare di nuovo Dean Winchester.
Dean lasciò cadere le sue braccia e le mise intorno al mio busto, attirandomi di più a sé. E poi quel momento che avrei voluto durasse in eterno, finì. Le nostre bocche si allontanarono e le nostre fronti si toccarono per qualche secondo, prima che entrambi facessimo un passo indietro, lasciando soltanto le nostre dita intrecciate come unico contatto.

"Tornerò". Una parola. Forse l'ultima che gli avrei sentito pronunciare.

Quella parola che gli avevo sentito dire così tante volte, solitamente seguito dal "lo faccio sempre, lo sai". Ed erano proprio quelle parole non pronunciate che mi fecero capire quanto quella volta Dean fosse poco credibile. No, lui non l'avrebbe fatto. Non quella volta. Era venuto lì per dirmi addio.

Lo guardai soltanto, mentre lui scioglieva le nostre dita e andava verso la porta.
Guardai le sue spalle, mentre una lacrima calda solcava la mia guancia. Anche quella volta non mi avrebbe visto piangere. Come sempre ero riuscita a non permetterglielo.
E poi aprì la porta e uscì dal mio locale senza guardarsi indietro, lasciandomi lì immobile a fissare un punto ormai vuoto.
Con il rumore dell'Impala che ripartiva, chiusi gli occhi e sospirai. Avrei superato anche quella come sempre, cercai di dirmi, anche se risultavo davvero poco convincente. Perché dopotutto era Dean Winchester. Il mio primo amore. L'amore della mia vita. E volente o nolente, così sarebbe sempre stato.

"Tornerò". Quella parola mi riecheggiava nella testa. E io ci speravo. Davvero, speravo che fosse così. Ma probabilmente era solo l'ennesima vana speranza.










 

  
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