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Autore: Mannu    09/02/2016    1 recensioni
Un altro quando, un altro dove: in un mondo animato dalla forza del vapore Veruska è una giovane domestica accompagnatrice da poco diplomata in cerca del suo primo impiego. Non esita a salire a bordo di un bellissimo treno che la porta verso una movimentata avventura che non avrebbe mai sospettato di poter vivere.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Veruska'
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Schmeisser (Vollversion)
Der erste Teil

Il treno d'ebano entrò in stazione fischiando e stridendo sulle rotaie di lucido acciaio. Si fermò in perfetta corrispondenza con la banchina dove ben pochi viaggiatori lo stavano attendendo, pazienti e ordinati. Il treno soffiò su di loro il suo alito caldo avvolgendoli in nuvole bianche puzzolenti di carbone.
Stette fermo con le porte chiuse: una muta, enigmatica sfida per i passeggeri che lo guardavano tranquilli e indolenti, ancora fermi dentro le nuvole di vapore che tardava a dissiparsi nella fresca aria del mattino. Il lungo, cupo fuso d'acciaio, legno e vetro, studiato per la migliore resa aerodinamica sembrava riposasse, ansimante dopo una lunga corsa sfrenata.
Scattando all'unisono un coro di bocche a soffietto si aprì per tutta la lunghezza del convoglio. Gradini dorati vennero estroflessi e la forza del vapore azionò meccanismi nascosti che fecero apparire corrimano d'ottone lucidissimo con pomoli decorati da motivi a foglie d'acanto.
Senza fretta pochi viaggiatori fecero la loro comparsa sul gradino più alto. Come un quadro impressionista che si animasse all'improvviso le ampie pennellate bianche di vapore si punteggiarono di verticali tratti neri: abiti da viaggio con code e gonne lunghe fino alla caviglia, borse e ombrelli, piccole valigie, eleganti cappelli a cilindro e velette nere. Passeggeri scesero dai gradini dorati, altri dalla banchina salirono scomparendo nel ventre del treno in attesa.
Un signore ben vestito, alto e slanciato nel suo bel pastrano scuro, con pochi passi colmò la distanza che lo separava dalla scaletta più vicina. Come saggiando le piastrelle ornamentali che decoravano il pavimento della banchina d'attesa, si faceva precedere dal silenzioso e lieve tocco del suo bastone da passeggio, nero con un pomo d'argento stretto nel pugno guantato. Il bastone si sollevò per posarsi sul gradino più basso ma con un gesto fluido ed elegante fu trattenuto e richiamato. L'uomo in segno di rispetto chinò il viso ornato da una barba scura e ben curata e si fece da parte. Facendo risuonare lievemente il metallo coi tacchi alti quattro dita, scarpe bicolori scesero i gradini fino a posarsi sulle piastrelle di ceramica sobriamente decorata. Scarpe strette e chiuse da una fila di lucidi bottoncini, palline d'argento che salivano verso lo stinco e presto sparivano alla vista sotto l'orlo di una severa gonna nera. La gonna di un accollato abito da viaggio che si stringeva intorno alla vita sottile di una giovane, le fasciava aderente il torace, si apriva in ampi sbuffi pieghettati sulle spalle, si stringeva strettamente intorno a esili gomiti e si chiudeva rigido intorno al collo stretto fino all'ultimo nero bottone. Sobri e lunghissimi guanti neri da viaggio salivano dalle sottili mani fino a infilarsi sotto le maniche del vestito, impedendo la vista di un solo centimetro di pelle. A celare il viso della giovane, sebbene solo in parte, la tesa di un cappellino da viaggio nero ornato di piume anch'esse nere e la veletta di pizzo lavorato finemente accuratamente disposta.
- Benvenuta a Kräaftenburg, fräulein. Perdoniate l'impudenza, se potete - disse il gentiluomo ancora leggermente inchinato, sollevando il cappello a cilindro come esigeva l'etichetta.
- Bentrovato, mein herr. Facciate buon viaggio - rispose quella altrettanto cortesemente, solo l'ombra di un sorriso sulle labbra del più tenue corallo rosa.
La giovane fece qualche passo. Era stata tra gli ultimi a scendere, riluttante ad abbandonare le lussuose comodità del treno. Morbidi velluti, imbottiture comode, ottoni lucidissimi, personale preparato e cortese, pochissimi ma squisiti compagni di viaggio abili a comprendere quando desiderava la compagnia di una brillante conversazione e quando la pace e la tranquillità che solo la solitudine di un comparto vuoto e il placido dondolio del treno potevano regalare.
Aggrappata con due mani alla sua borsa da viaggio stette un poco a guardarsi intorno. Era giunta a destinazione. La stazione ferroviaria di Kräaftenburg era grande anche se non poteva affatto rivaleggiare con altre ben più estese come Berlino Ostbahnhof e Monaco Carl Gustav VIII Hauptbahnhof. Aveva ben altri pregi: il caos, il rumore, la puzza soffocante, le migliaia di passeggeri in perenne movimento sui marciapiedi tra le decine di binari, il vociare, le urla degli ambulanti, gli ordini dei capotreni, le chiamate dagli altoparlanti che gracchiavano parole e numeri distorti al punto da essere a stento comprensibili in quel marasma. Tutto ciò era assente lì a Kräaftenburg Hbf. C'erano dodici binari per i treni passeggeri e l'unico dove vi fosse qualche attività era occupato da quello che l'aveva così dolcemente e velocemente portata lì. Su un binario lontano un indolente convoglio merci dalle carrozze chiuse color mattone procedeva a passo d'uomo, le ruote di acciaio che bussavano a intervalli regolari sugli interstizi tra le rotaie così piano che il vagito di un bimbo le avrebbe sovrastate facilmente.
Proprio mentre il treno merci le scorreva davanti agli occhi stregati dalla malìa del potere della ruota e del vapore, apparvero le carrozze di coda: aperte, mostravano il massiccio carico d'acciaio che rendeva Kräaftenburg degna di avere uno scalo merci. Enormi semilavorati di acciaio, parti di turbine a vapore che una volta assemblate avrebbero prodotto energia elettrica. Le riconobbe, sebbene smontate, dalla loro caratteristica forma a conchiglia nautilo. La radice dei suoi studi era profondamente umanista e poco si intendeva di tecnologia, ma anche un bimbo avrebbe riconosciuto le pale di una turbina. Era nata nell'era del carbone e del vapore, dell'energia elettrica e dell'acciaio speciale. Sulle spalle di questi giganti l'uomo procedeva a grandi balzi verso un futuro che non poteva essere che ricco e luminoso.
A quel pensiero una punta di amarezza la morse nel petto, vicino al cuore. Per potersi guadagnare da vivere in quel mondo di potenti macchine che avrebbero fatto grande l'uomo era stata costretta ad abbandonare gli studi, la casa dei genitori e la sua città per cercare un lavoro come domestica accompagnatrice. Mestiere non privo di un certo non so che di nobile, le aveva detto il tutore dell'istituto alberghiero che l'aveva preparata, ma quel non so che lei non l'aveva ancora trovato. E ciò che le restava era tutt'altro che ricco e luminoso.
Si diresse verso l'uscita della silenziosa stazione lasciandosi alle spalle il lungo fuso d'ebano sbuffante vapore e migliaia di metri di rotaie d'acciaio che scintillavano sotto il sole incrociandosi parallele all'infinito.
L'atrio della stazione di Kräaftenburg era ben proporzionato e ampio; dal soffitto alto pendevano lampadari possenti ma di stile sobrio ed elegante. La biglietteria era arroccata dietro una barriera di corrimani di alluminio lucidissimo, un labirinto per domare con file ordinate almeno un centinaio di viaggiatori alla volta. Dei dieci sportelli solo uno era aperto e nessuno dei presenti sembrava nemmeno lontanamente intenzionato a inoltrarsi nel serpeggiante labirinto per acquistare un biglietto.
Opposto alla biglietteria c'era un bar che ostentava arredi dalle linee moderne ed essenziali, intonandosi così al resto della stazione, ma anche orpelli un po' vistosi: una macchina del caffè a gas di produzione italiana, interamente dorata e con manopole decorate; file e file di tazze, tazzine e teiere tutte smaltate di un bianco abbagliante e ornate da un filo d'oro vicino al bordo; liquori in bottiglie di vetro intagliato con fantasiosi tappi scintillanti; espositori fatti di fili d'ottone saldati e arricciati con eleganza che mettevano in mostra coloratissimi dolciumi di ogni forma e dimensione.
Fu piacevolmente disorientata dal contrasto fra i sobri e composti viaggiatori che entravano e uscivano dalle luminose porte e il frastuono che cominciava a filtrare ogni qual volta se ne apriva una. La giovane fece ticchettare le scarpe lucide sul marmo liscio e decorato a grandi disegni geometrici fino a raggiungere un'uscita. Posò una mano guantata su una lunga maniglia d'acciaio lucidata dal passaggio di altre migliaia di mani come la sua e spinse il battente.
Kräaftenburg le cadde addosso, calda e rumorosa. Il sole era ormai sopra i tetti e l'abbagliava, schiaffeggiandola in viso coi suoi raggi invadenti. Se non avesse avuto cappellino e veletta, sarebbe rimasta accecata per ben più di qualche istante. Mentre i suoi occhi si adattavano, le sue orecchie dovettero sostenere l'assalto del rumore di una città dove l'industria pesante sfamava più della metà della popolazione. Motori elettrici gemevano, caldaie a vapore sibilavano, dai capannoni e dalle fabbriche si alzavano i ruggiti dei macchinari pesanti che sagomavano il metallo piegandolo alla volontà dell'uomo. Dopo il fresco dell'atrio della stazione gli sbuffi di calore soffocante prodotti dai veicoli le parevano insopportabili. A una vicina stazione di rifornimento l'acqua scrosciava con fragore da un tubo grande come una grondaia dentro il serbatoio di un camion col telone. Un arrotino ombrellaio passò col suo carretto a pedali su cui la mola a vapore sbuffava in folle. Gettò il suo richiamo senza smettere di pedalare e di guardarsi intorno alla ricerca di clienti. Il profilo della città era spezzato dai tetti dentellati delle fabbriche e dalle ciminiere di mattoni rossi terminanti con anelli dipinti di bianco e rosso. Un operaio si stava arrampicando su una di queste grazie a una scala a spirale che la percorreva fino alla cima eruttante fumo grigio.
Abbassò gli occhi sulla strada: veicoli e pedoni si contendevano l'ampia carreggiata senza che nessuno riuscisse a prevalere. Le affidabili vetture a vapore sibilavano tranquille grazie a collaudati meccanismi, ma in egual numero le più moderne e slanciate auto elettriche facevano la loro comparsa ronzando: eleganti e accattivanti, in esse era concentrato ogni più recente ritrovato della tecnologia. Fossero i piccoli e potenti motori installati direttamente nelle larghe ruote o le splendide vernici iridescenti delle carrozzerie, per lei non aveva importanza.
Cercò il posteggio delle auto pubbliche: doveva per forza essercene uno nelle vicinanze della stazione.
Fu molto sorpresa di trovare al posteggio un'auto elettrica. Le aveva sempre considerate troppo lussuose per un conducente d'auto a nolo. Evidentemente a Kräaftenburg non era esattamente così. Ignorò quindi i conducenti di auto a vapore e si avvicinò all'uomo appoggiato alla portiera della bella auto blu che attendeva silenziosa e luccicante nella luce del mattino.
- Buongiorno - salutò lei com'era buona educazione fare - quanto costa una corsa?
- Buongiorno... dipende da dove la bella signorina vuole andare.
- Alla Villa Schmeisser - rispose quella seria e decisa.
Il conducente alzò prima un sopracciglio e poi l'altro.
- Sicura?
- Certo. Forse non è raggiungibile? - chiese lei sempre seria come le avevano insegnato. Solo le ragazze troppo frivole e sciocche sorridono in continuazione, le aveva inculcato il suo tutore. Lei non si riteneva né sciocca né frivola.
- Affatto, è raggiungibile... - tentennò l'autista. Era una persona semplice: indossava abiti di panno marrone e blu, semplici e puliti, e un berretto a coste color del cioccolato stretto davanti da un bottone automatico sulla visiera rigida. Dalla giacca aperta sporgeva un po' di pancia e le sopracciglia all'ombra del berretto tradivano una spruzzata di grigio.
- È troppo costoso? - lo incalzò lei. La sua borsa da viaggio stava cominciando a darle noia per via del peso: voleva concludere.
- Ma cosa sono cinque demark per un viaggio a bordo di questo gioiello della meccanica? - esclamò l'autista suscitando ironici commenti da parte dei colleghi come lui in attesa di clienti.
La giovane ci pensò per qualche secondo e poi pagò all'autista la cifra richiesta.
- A bordo! - esclamò quello facendo tintinnare le monete nella tasca della giacca marrone.
L'auto era forse un gioiello della meccanica: certo pur non potendo competere in comodità col treno da cui era appena scesa, era però discretamente accogliente e confortevole. C'era spazio per il suo bagaglio nella cabina e poteva sedersi comoda. I finestrini erano ampi e l'abitacolo ben fatto al punto che poteva osservare bene tutto ciò che desiderava: le manovre del conducente, il traffico, il paesaggio che le scorreva intorno.
Attraversò il centro della città: qui l'abitato era moderno e ben mantenuto. Le case avevano tutte fiori alle finestre e le facciate ben dipinte. Alcuni tetti erano scuriti dal nerofumo, ma molti sembravano addirittura nuovi. C'erano bei negozi, bellissime vetrine luminose e accattivanti, merci di ogni tipo e di ogni prezzo. La gente che camminava per strada era ordinata e composta, nessuno sembrava avere fretta. Nemmeno i fattorini.
A causa dei lavori in corso per l'installazione di una nuova condotta di gas metano il conducente fu costretto a una deviazione e la scintillante auto elettrica, dai motori mugolanti e dall'accelerazione che la schiacciava nel sedile gentilmente ma fermamente a ogni ripartenza, si trovò a passare attraverso il quartiere industriale.
Il cielo si striò ancora di più di nero, le belle case furono sostituite da lunghi muri di mattoni grigi e rossi, da fughe di cemento interrotte da finestre dai telai a scacchi, da grandissimi cancelli di ferro che a intervalli vomitavano nella strada giganti dalle molte ruote carichi di materie prime o prodotti lavorati nelle fabbriche. I negozi divennero spogli ed essenziali e proponevano la loro merce esponendola su grezzi telai di legno e ferro. C'era perfino un treno a scartamento ridotto che circolava su rotaie affondate nella strada, in mezzo al traffico dei normali veicoli a ruote di gomma. Trasportava carbone e lingotti di metallo pronti per essere pressati, torniti e fresati da macchine per trasformarsi in parti di nuove, migliori macchine.
Un autocarro pesante uscì dal passo carrabile di un grande capannone senza rispettare la segnaletica, costringendo l'auto elettrica a una brusca frenata. La ragazza esclamò per lo spavento.
Teufel! Siano lodati i freni a disco! - l'autista gesticolò alla volta del mezzo pesante che come se nulla fosse accaduto si allontanava traballando, gravato dal suo carico.
- Tutto bene? - aggiunse poi rivolto allo specchietto interno.
La giovane fece un cenno affermativo con la testa. La cintura di sicurezza l'aveva abbracciata un po' rudemente, ma le aveva evitato ogni conseguenza.
Il conducente le offrì dell'acqua fresca da un thermos e usò l'accaduto come pretesto per cominciare a ciarlare. Le raccontò diffusamente di quanto stesse diventando pericoloso il traffico cittadino, di come fosse scandalosamente facile anche per i privati ottenere la licenza di condurre un veicolo, di come le automobili elettriche avrebbero migliorato la situazione con la loro modernissima e sicura tecnologia.
- Certo, più tempo si passa in strada, più rischi si corrono. Il nostro è un bel viaggetto, oggi... fino a Villa Schmeisser! Non capita tutti i giorni!
A quelle parole l'attenzione della giovane si destò. Del torrente di parole che fluiva verso il sedile posteriore quelle erano di certo degne di un piccolo approfondimento.
- Come sarebbe?
- Sarebbe che non capita spesso di portare qualcuno fin lassù.
- Lord Schmeisser ha forse un'auto privata? - volle sapere lei. Che esagerazione sarebbe, pensò. Certo se poteva permettersi di assumere una domestica referenziata come lei, non era una cosa da escludere a priori. Il conducente rise di cuore.
- Un'auto privata... Ach! - esclamò ancora ridendo - Un'auto privata! Un autista tutto per lui, pagato solo per guidare una delle tre vetture con le quali si reca qui in città! Ecco cos'ha!
Tre vetture! La ragazza si sbalordì, ma fu brava a controllarsi. Confidando nella veletta per celare il rossore del viso, non si mosse né fece gesti inconsulti.
- Decisamente benestante - osò dire. Il conducente continuava a ridacchiare e la cosa la stava infastidendo. Ma quel commento volto a interromperlo ottenne invece il risultato opposto.
- Guardi fuori, bella signorina... la vede quella grande "S" bianca sui muri?
Non ci aveva fatto caso. Effettivamente l'uomo aveva ragione: c'era un grande monogramma su moltissimi muri, su recinzioni, sulle pareti e sui tetti inclinati dei capannoni, ovunque. Sorpassarono tre camion dalle sponde di legno sulle quali campeggiava il medesimo simbolo: una grande esse bianca. Schmeisser.
- Esatto - le rispose quando esternò la sua intuizione - proprio lui. Lord Schmeisser. Camion, capannoni, fabbriche... tutta roba sua. Più di metà delle attività produttive di Kräaftenburg appartengono a lui. L'altra metà dipende da lui per i prodotti e le materie prime. Metà di Kräaftenburg è di Lord Schmeisser e l'altra metà... beh, l'altra metà - il tono del conducente si fece d'un tratto molto meno ilare - lavora per lui.
   
 
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